Sarò un maiale ma non credo a Coop

Sarò un maiale ma non credo a Coop, non senza verifiche perché il tempo delle aperture di credito sul benessere animale è finito, massacrato dalla realtà degli allevamenti intensivi, dalla logica del profitto, da una filiera spesso vergognosa.

Il pensiero suino mi è stato stimolato dall’amico Guido Minciotti, fortunato ideatore del blog 24zampe , persona che ci mette anima cuore e grande lealtà nel suo lavoro. Fatemelo dire la lealtà non è dote comune, la possiedono i cani e pochi altri e quando ne trovi fra gli umani li annusi subito.

Così quando a un mio tweet perplesso mi ha chiesto un parere, impossibile da declinare nei fantastici 140 caratteri di Tweetter, ha innescato la mia voglia di raccontare per esteso la questione, perché non credo (senza riserve) a Coop e alla sua filiera rispettosa per gli animali, senza antibiotici e con le galline allevate a terra.

Chi mi segue sa che sposo sempre la linea della riduzione del danno, più vicina e ragionevole del tutto e subito. Questo però non significa accettare che una catena della grande distribuzione, a cui va dato atto di essere molto più rispettosa verso gli animali di altre, faccia di un progetto di medio periodo, con contenuti almeno altalenanti, una campagna del tipo “mangia sano e garantisci benessere agli animali”.

Partiamo dalla questione galline ovaiole per la quale Coop è stata premiata nel 2010 da CIFW, associazione per l’allevamento rispettoso, per aver scelto di non vendere più uova di galline allevate in batteria, ma solo a terra. Sicuramente una certa lungimiranza va riconosciuta a Coop, ma le galline allevate a terra vivono tutta la vita in capannoni a alta intensità, non vedono la luce e hanno a disposizione uno spazio non molto diverso. Nessuno si immagini galline che razzolano sull’aia.

Arriviamo ora alla carne senza antibiotici, fattore di grande appeal sui consumatori, che però spesso confondono la storia con la geografia: la loro salute con il benessere animale, l’assenza di antibiotici (che deve ancora venire) con una mutata condizione degli animali degli allevamenti intensivi. Lo dice anche l’Huffington Post (leggi qui).

Gli antibiotici non servono per curare i bovini dalle malattie (possibili come per gli uomini) ma da patologie derivanti dalla promiscuità, dal numero eccessivo, dalla mancanza di adeguata ventilazione, da malattie provocate dall’alimentazione visto che abbiamo fatto diventare degli erbivori puri, granivori, considerando che li alimentiamo prevalentemente a mais.

Insomma sarò un maiale ma non credo a Coop (senza verifiche) perché vanno bene le telecamere in allevamenti e macelli (dovrebbero essere obbligatorie da domani e collegate in modo più efficace delle slot machine), va bene l’eliminazione degli antibiotici, ma la verità è che se volessimo allevare gli animali in modo rispettoso, e lo dico per gli onnivori, bisognerebbe pensare a carne e uova con un costo di 4/5 volte superiore. Il resto sono solo spot!

Si devono fare grandi passi indietro, non avanti, tornando a un’agricoltura che non sia industria, ripensando i consumi di carne, dicendo la verità sul rapporto proteine animali/proteine vegetali/consumo di acqua. Occorre che gli onnivori rimodulino quantomeno la loro dieta e che sul benessere animale non si costruiscano set da Mulino Bianco: la gallina Rosita è un trucco elettronico, la gallina ovaiola è ancora una realtà terribile.

E perdonate se anche in futuro prossimo sarò un maiale ma non credo a Coop (senza verifiche)!

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