Trasporto animali vivi, una sofferenza inutile inflitta solo per profitto che sarebbe facilmente evitabile consentendo il solo trasporto delle carni. Una scelta che contribuirebbe a ridurre i maltrattamenti inflitti agli animali allevati per scopi alimentari, eliminando l’ultimo carico di maltrattamenti costituito dal trasporto. Con animali costretti a viaggiare, stipati su camion, vagoni ferroviari o navi, per essere trasferiti per finire all’ingrasso o al macello.
Protagonista dell’ennesima impuntatura dell’animalsovranismo è stata l’Onorevole Maria Teresa Bellucci, Vice ministra del lavoro e delle Politiche sociali. Intervenuta in aula in vece del ministro Lollobrigida, per rispondere a un’interrogazione dell’onorevole Susanna Cherchi, del M5S, che chiedeva un ripensamento sulle scelte annunciate a favore del trasporto di animali vivi. Che vanno in direzione opposta a quella auspicata dall’Europa per aumentare le tutele, raccontando per l’ennesima volta come l’Italia sia più avanti di altri paesi europei, in una narrazione trita e ritrita quanto falsa.
Il trasporto degli animali vivi è una vergogna, proprio per essere giustificato solo dal profitto, senza alcuna altra motivazione sostenibile
L’idea è che spesso questo governo tratti temi che non conosce a sufficienza, affermando come tutto sia sotto controllo in un settore dove i controlli sono davvero pochi. Scarsi negli allevamenti dovee spesso sono anche poco efficaci, e quasi assenti sulle strade dove il controllo dei mezzi di trasporto con animali viene considerata un’attività complessa e fastidiosa. Messa in atto più per poter fornire dati per le statistiche che non per arginare comportamrenti inaccettabili. Nonostante la buona volontà della Polizia Stradale.
Il vice ministro Bellucci, nel rispondere all’interrogazione, si è vantata che l’Italia da tempo vieta il trasporto di animali vivi quando le temperature superano i 30 C°. Senza dire però quanti sono stati i controlli effettuati nei giorni di fermo e quanti in proprzione rispetto ai movimenti registrati. Un dato non difficile da reperire stante che ogni trasferimento di animali vivi deve essere aiutorizzato con un modello rilasciato dal Servizio Veterinario pubblico. Omettendo anche di dire che quando le temperature esterne superano i 25 C° all’interno dei camion in caso di rallentamenti o soste, possono raggiungere senza difficoltà livelli molto, molto più alti, trasformando i camion in un inferno.
Questo video è tratto dal canale You Tube di Animal Equality ed è interessante ascoltare le dichiarazioni rese all’aula. Raccontando quello che prevede la norma e le diverse forme di attuazione dei controlli, ma senza entrare nel dettaglio delll’effettivo rispetto della normativa. Dimenticandosi parlare di benessere rappresenta l’ennesima alterazione semantica, cercando di addomesticare il significato reale di benessere animale mentre sarebbe più corretto ed opportuno parlare di riduzione del maltrattamento.
Si potrebbe dire che compassione e empatia sono stati d’animo che abbiamo reso selettivi. Sulla base della tenerezza, del pericolo che incutono o del ribrezzo che suscitano. Quindi, se questo è il punto, questi sentimenti non devono essere visti come virtuosi, considerando che non coprono il senso della la vita come tale, ma solo quello di alcune creature. E talvolta nemmeno quelle. Durante il periodo pasquale molti si indignano per l’uccisione degli agnelli, per poi dimenticarsene, per non fare nulla per dar loro una sorte diversa.
Il claim pasquale diventa una sorta di inno alla vita degli agnelli, meno dei capretti, molto meno per i maialini e via via a scendere. Sino all’ultimo anello della catena rappresentato da pesci e affini. Mangiare agnelli a Pasqua, per chi consuma carne, non diventa così riprovevole: non vedendo differenza nella scelta e non comprendendone le motivazioni. Che invece ci sono e dovrebbero essere viste e comprese anche da quanti la carne la consumano. La limitazione del danno passa attraverso la conoscenza, non dalla difesa a oltranza dei propri piaceri o delle tradizioni.
L’agnello e la compassione intermittente: quella suscitata da alcuni animali e non da altri, senza pensare alle condizioni di vita e alla sofferenza
Come per tutti gli argomenti anche qui possono esistere concetti assoluti, come fare scelte vegane, e altri relativi come scegliere di consumare meno carne e pesce, cercando di evitare le provenienze da allevamenti intensivi. Scelte di buon senso che, come tutte le decisioni mediate, spesso non piacciono a nessuno. Non ai vegani, che le giudicano troppo facili e non risolutive, non a chi pensa che gli animali siano allevati per finire in pentola. Eppure oggi sono queste scelte a fare la differenza.
Nel cibarsi di animali ci possono essere decisioni che potrebbero migliorare le cose: un agnello resta sempre un cucciolo, ma se non venisse trasportato come se si trattasse di un carico di bulloni sarebbe certo meglio. Invece è proprio questo che avviene: animali strappati alle madri, fatti viaggiare in condizioni disumane e macellati peggio del solito. L’aumento della richiesta è come il sonno della ragione, genera mostri. Con pochi, pochissimi controlli su trasporto e macellazione. Un motivo universale per non mangiare agnelli e capretti.
Bisogna spendersi di più per informare le persone, per far loro capire come il mancato rispetto e una pietà ondivaga non vadano bene. Con una comunicazione che abbia il coraggio di non parlare solo alla pancia delle persone ma anche alla loro testa. L’emozione è passeggera, può crescere di fronte a una foto e scomparire leggendo un menù: il cervello crea spesso dicotomie. Per questo bisogna parlare alla testa: le convinzioni sono meno temporanee delle emozioni.
Diffondendo la cultura del rispetto si crea consapevolezza e non solo emozione: le due cose unite amplificano il risultato
La comunicazione sceglie spesso le frasi emotive, quelle che fanno scattare il click o la donazione. Se si privilegia la ragione il risultato è più difficile da raggiungere rispetto all’emozione. Un esempio che conosco bene: quando ho tolto la pubblicità dal blog ho detto che era per rispetto dei lettori, stimolando a offrire una piccola cifra per sostenere questo sforzo. Il risultato dopo molti mesi è che ho ricevuto offerte per ben 2,5 euro. Eppure il rispetto del lettore è un argomento forte, quando viene compreso. Ma va benissimo così.
Troppo spesso le scelte le decide il marketing perché tutti si occupano di raccogliere fondi, anche le cause più nobili. Ma credo occorra mediare fra la corretta informazione, quella che fa crescere la consapevolezza, e la pura raccolta di fondi. Che va benissimo per situazioni emergenziali come la guerra, dove non c’è il bisogno di convincere alcuno che i conflitti siano di per se orribili, dove basta raggiungere l’obiettivo economico e avere la coerenza di rispettarlo.
Quando lo scopo, invece, è quello di raccontare situazioni per essere artefici di un cambiamento allora il comportamento deve essere diverso. Il cardine dell’operazione deve diventare l’errore di consumare animali provenienti da situazioni crudeli, non la raccolta fondi che passa a essere una subordinata. In questo modo si avranno forse meno donazioni, ma si sarà contribuito a creare nuove convinzioni. Quelle che servono a cambiare la società, quelle che ci potrebbero traghettare verso una collettività più attenta ai diritti. Diversamente si crea il marketing che accresce la temporanea illusione di aver combattuto un errore tragico; non quello di mangiare agnello (o non solo) ma quello di far viaggiare anime animali anziché carni, come si chiede da tempo.
Dalla Spagna partono ogni settimana migliaia di animali destinati ai mercati del Nord Africa e del Medio Oriente. Trasportati come se fossero cose, non animali senzienti ai quali sarebbe obbligatorio garantire, almeno, condizioni di vita umane. I bovini sono stati ritenuti infettati dalla Blue Tongue, il morbo della lingua blu e per questa ragione sono stati rifiutati dagli acquirenti. Che forse in un secondo momento avrebbero anche cambiato idea, senza però trovare il consenso delle autorità spagnole.
Così oltre 1.800 vitelli sono arrivati di fronte alla Turchia senza poter sbarcare. Da allora la nave sta vagando per diversi porti del Mediterraneo. Senza mai riuscire a far scendere a terra gli animali, ma soltanto ottenendo i rifornimenti necessari. Per garantire qualche giorno in più (di sofferenza) al carico di sofferenti.
I vitelli in alto mare sono la dimostrazione di quanto sofferenza e maltrattamento siano stati legalizzati per profitto
Considerando che sono in mare da più di tre mesi, in spazi che sarebbero già angusti per un trasporto di una settimana, il maltrattamento pare evidente. Sembra che nel frattempo più di un centinaio di animali siano morti, per poi essere gettati in pasto ai pesci, stremati da privazioni e malattie. Un fatto che però non ha agevolato il loro sbarco, che come per i bovini della Karim Allah, finirà con il loro abbattimento.
Alla fine i poveri animali sono rimasti ostaggio della burocrazia, delle discussioni fra autorità sanitarie, portuali e armatori. Senza che fra questi qualcuno abbia dato un valore alla sofferenza degli animali. Che mai come in questo caso non sembrano essere considerati come esseri viventi, ma solo come carne da macello. Ma per loro anche la morte, con la fine delle sofferenze, sembra essere un traguardo irraggiungibile.
No Animal Left Behind ovvero Nessun Animale Lasciato Indietro. Un obiettivo ambizioso quello della campagna appena lanciata da Eurogroup For Animals, un raggruppamento di associazioni europee che opera a livello comunitario. Per ottenere un differente trattamento per tutti gli animali d’allevamento, dal bovino alla trota. In un momento in cui la Commissione Europea sta rivedendo l’intera legislazione che riguarda la protezione degli animali.
La legislazione europea in materia di animali è costituita da un insieme di norme che si sono stratificate negli ultimi 40 anni, arrivando una alla volta. Come spesso accade quando le leggi sono tante i controlli sono resi difficili in quanto si complica l’applicazione delle disposizioni, che spesso possono andare in contrasto fra loro. dando luogo a dei veri e propri intrichi legislativi, molto difficili da dipanare. Agevolando in questo modo chi le leggi non le rispetta.
Le disposizioni nazionali che riguardano la protezione degli animali sono quasi tutte di derivazione comunitaria e i singoli Stati devono muoversi entro il loro perimetro. Ma questo non è sufficiente per scongiurare abusi, violazioni e maltrattamenti. Come dimostrano in tutta Europa le inchieste realizzate dalle organizzazioni di tutela degli animali e dai media più sensibili. Che si ritrovano spesso sotto attacco dal mondo agricolo, ma sarebbe meglio dire dall’industria dell’allevamento, che vorrebbe zittirli. Come recentemente accaduto alla giornalista Sabrina Giannini, colpevole di aver svelato, ancora una volta, i retroscena degli allevamenti.
No Animal Left Behind è il motore di una rivoluzione che cambi per sempre il modo di considerare gli animali
In questi ultimi decenni si è concesso troppo alle fabbriche della carne, consentendo loro di usare in modo vergognosamente abusato il concetto di benessere animale. Dando ai consumatori l’illusione che negli allevamenti tutto fosse sotto controllo, per garantire agli animali una vita almeno dignitosa. Niente di più falso perché la realtà parla di costanti violazioni di quelle “5 libertà”, ritenute indispensabili da Roger Brambell per poter garantir loro minimi diritti. Libertà che restano disattese da più di 50 anni, nonostante la loro lapidaria chiarezza:
Prima libertà: dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione
Seconda libertà: di avere un ambiente fisico adeguato
Terza libertà: dal dolore, dalle ferite, dalle malattie
Quarta libertà: di manifestare le proprie caratteristiche comportamentali specie-specifiche
Le fabbriche della carne e l’agricoltura sono drogate dai sussidi comunitari, che tante strade hanno aperto alla criminalità
Molti cittadini non lo sanno, ma se l’agricoltura e l’allevamento non ricevessero, grazie al PAC (Piano Agricolo Comune) cospicui finanziamenti non riuscirebbero a essere economicamente sostenibili. Queste logiche di costante aiuto consentono di rendere produttive anche realtà non più al passo con i tempi, oltre a costituire una costante fonte di truffe messe in atto dalla criminalità organizzata. Che con questo sistema riesce a ottenere finanziamenti legali da reinvestire in attività criminali. almeno nel nostro paese.
Per questo è giunto il tempo di fare una rivoluzione culturale, che riveda valori e criteri per arrivare a un’agricoltura equa, rispettosa e sostenibile. Che non divori territorio per produrre proteine per le fabbriche della carne, che non crei squilibri ambientali in ogni parte del pianeta. Ora è il momento di sostenere questa campagna, di capire che cosa si propone come punto di arrivo. Senza dimenticare che la riduzione dei consumi di proteine animali è un comportamento non solo salutare, ma anche responsabile.
Il trasporto di animali vivi è sempre causa di grande sofferenza, ma le navi stalla si possono rivelare delle trappole senza scampo per gli animali. Il grande pubblico spesso ha un’idea sommaria delle sofferenze che sono causate dal trasporto su gomma, ma la maggioranza non sospetta neppure che animali da reddito viaggino via mare. Per ragioni commerciali, incrementando la sofferenza già patita negli allevamenti intensivi. Una vergogna che l’Europa non può più far finta di non vedere.
Da molto tempo le associazioni che si occupano dei diritti degli animali si battono contro il trasporto di animali vivi. Costretti molte volte a compiere tragitti lunghi migliaia di chilometri, in ogni stagione, con ogni tempo. Per essere quasi sempre macellati una volta giunti a destino, dopo viaggi che possono durare giorni oppure anche mesi, come sta accadendo a due navi stalla nel Mediterraneo. Con il loro carico di migliaia di bovini costretti a un viaggio infernale, verso un destino certo: la morte.
Entrambe le navi cargo sono partite per il loro viaggio da porti spagnoli, con destinazione Medio Oriente. Per diverse ragioni il viaggio, eticamente sempre inaccettabile, non è andato come doveva e le due navi, la Karim Allah e la Elbeik, sono rimaste, per mesi, in alto mare. Scaraventando quando occorreva i capi morti durante questo viaggio atroce nelle acque del Mediterraneo. Gli oltre 800 vitelli della Karim Allah sono alla fine stati sbarcati nel porto di Escombreras in Cartagena, in Spagna. Per essere macellati sul posto in quanto affetti dal virus della lingua blu, una malattia che li aveva fatti rifiutare dal paese di destinazione.
Non si capisce perché l’ispezione veterinaria ufficiale non abbia testato gli animali per verificare se erano malati. Il governo spagnolo ha agito con pochissima trasparenza in questo caso e molti dubbi restano da risolvere. Ci auguriamo che questo scandalo serva almeno a porre fine all’esportazione di animali vivi in paesi al di fuori dell’Unione europea.
La sofferenza causata solo per profitto è la peggiore forma di crudeltà, non avendo nulla a che vedere nemmeno con le esigenze alimentari. Questi maltrattamenti sono compiuti soltanto per ottenere un maggior profitto dagli animali, senza altro tipo di giustificazione. Le navi stalla sono purtroppo una realtà planetaria, che non coinvolge solo i paesi del bacino del Mediterraneo. Le navi stalla riguardano anche milioni di ovini che vengono trasportati dall’Australia sino ai Paesi asiatici o del Medioriente.
Molti di questi viaggi sono destinati verso paesi che praticano l’uccisione degli animali senza stordimento preventivo
Ma se peri bovini stipati sulla Karim Allah la questione si è tragicamente risolta, con il loro abbattimento in un porto spagnolo, lo stesso non si può ancora dire per gli animali, più di 1.700, trasportati sul cargo Elbeik. Attualmente alla fonda in un porto greco, dove solo grazie alle pressioni esercitate dall’organizzazione internazionale Compassion in World Farming (CIWF), i bovini hanno ricevuto cibo e assistenza. Non ci sono ancora certezze sul loro destino, nonostante siano in viaggio dalla metà di dicembre verso i porti della Libia e della Turchia.
Una vera e crudele tortura della quale qualcuno dovrebbe essere chiamato a rispondere. Per non aver fatto esami preventivi sullo stato di salute degli animali, che sono anche loro risultati positivi al virus della Blue Tongue.
Ben cinquecento bulldog francesi cuccioli spediti dall’Ucraina al Canada, per essere piazzati sul mercato locale. Ma purtroppo la spedizione finisce in tragedia: questa razza di cani ha seri problemi nella respirazione. All’arrivo, fra lo sconcerto dei funzionari dell’aeroporto si scopre che ben 38 animali erano già morti e altri si presentavano in cattive condizioni. Vittime di commercianti senza scrupoli e di una compagnia aerea che mai avrebbe dovuto accettare il carico.
Il volo da KIev a Toronto dura ben dieci ore, alle quali vanno aggiunte quelle necessarie all’imbarco e allo sbarco dei poveri animali. Un tempo di almeno 16/18 ore complessive durante il quale gli animali sono stati lasciati al loro destino. Un fatto inconcepibile specie quando riguarda cuccioli, troppo giovani per affrontare un viaggio così lungo, in stiva, che anche se pressurizzata rappresenta un grave pericolo per queste razze.
La Canadian Food Inspection Agency ha ora aperto un’inchiesta per comprendere come un fatto di questo genere sia potuto succedere. Senza che le autorità sanitarie del paese di destinazione fossero preventivamente avvisate di una spedizione di animali così particolare. Cinquecento cuccioli, spediti tutti in un solo blocco, rappresenterebbero un numero enorme anche per l’Europa.
500 bulldog francesi cuccioli spediti per essere venduti a caro prezzo nei negozi canadesi
Secondo il Washington Post che per primo ha dato la notizia, questi cuccioli in Canada possono raggiungere un valore molto alto, maggiore ancora di quello europeo. Nei negozi un cucciolo di bulldog francese può arrivare a costare fra i 4.500 e gli 8.000 dollari canadesi. Ragione che rende molto vantaggioso questo commercio, anche se dovesse arrivare morta la meta dei cuccioli.
Per le autorità canadesi questa importazione di cuccioli rappresenta anche un rischio sanitario, per la rabbia
I cuccioli, sul cui destino ci saranno notizie nei prossimi giorni, sono potenziali portatori di rabbia, provenendo da un paese, l’Ucraina, che non ha ancora sconfitto la diffusione del virus rabido. Un’ipotesi che in un periodo di pandemia ha messo in grande allerta le autorità sanitarie. Una spedizione comunque eccezionale ma non unica, considerando che da tempo anche il Nord America è diventato terra di conquisti per i trafficanti di cuccioli.
Molti paesi dell’Est, secondo il Washington Post che cita un rapporto di Dogs Trust, si stanno buttando in questo affare: Lituania, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Serbia,Romania e Ucraina. Profitti alti, rischi bassi e una rete capillare di piccoli allevatori che riforniscono trafficanti senza scrupoli. Fiancheggiati spesso da veterinari compiacenti e da funzionari pubblici corrotti. L’unico rimedio sarebbe quello di riuscire ad azzerare la domanda, convincendo gli acquirenti che queste scelte non sono meno immorali dei traffici messi in atto.
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