Nutrie e istrici: identificati i pericolosi responsabili delle inondazioni, secondo l’ultima barzelletta nostrana, assecondata anche da alcuni presunti tecnici. Gli animali sarebbero colpevoli di scavare le loro tane negli argini dei fiuni, causandone lo smottamento sotto la pressione dell’acqua. Chi avesse pensato che dietro i disastri che periodicamente devastano il nostro paese ci fossero motivazioni dovute all’incuria nella gestione del territorio e i cambiamenti climatici quindi sbaglia? Ancora una volta i veri responsabili sono gli animali e non gli esseri umani?
Quindi la frana che quindici anni fa ha devastato le aree del comprensorio di Sarno saranno state causate dalle tane scavate dai selvatici sulle pendici delle colline. Lo stesso si potrebbe ipotizzare per la rovinosa frana che pochi mesi fa ha colpito l’isola di Ischia per non parlare dei numerosi eventi calamitosi, costati la vita a decine di persone? Decisamente no, i responsabili di questi disastri non sono gli animali ma l’incuria e il fatto che divoriamo territorio senza preoccuparci delle conseguenze. Costruendo sugli argini dei fiumi, canalizzando, asfaltando, disboscando e eliminando la vegetazione di ripa, che con le radici consolida gli argini.
Siamo noi umani i responsabili di morti e devastazioni, di frane e dissesti e dei cambiamenti climatici indotti dall’Antropocene. Noi sempre sordi ai richiami che il territorio ci lancia, ma sempre pronti a scaricare responsabilità e colpe su altri, che in genere non possono obiettare. Colpevoli di un ritardo epocale nel mettere in sicurezza i territori, contando più sul valore effimero della speranza che nulla accada rispetto alla certezza di aver ben operato per evitarlo.
Non sono nutrie e istrici i pericolosi responsabili del dissesto idrogeologico italiano, ma decenni di incuria e sfruttamento intensivo
Dati che devono far riflettere. Cercando di non nascondere colpe e responsabilità poltiche ma, soprattutto, agendo in modo rapido e concreto. Per interrompere questa catena annunciata di disastri. Per non distruggere ulteriormente il nostro territorio, già duramente provato. Smettendo di cementificare e asfaltare ovunque, privilegiando il recupero al consumo di suolo.
Sembra che in questi tempi complessi, caratterizzati da grandi mutamenti climatici, solo pochi abbiano compreso l’importanza di guardare il pianeta come un unico ambiente. Dove uomini e animali devono poter convivere per poter mantenere gli equilibri che hanno consentito alla nostra specie di scendere dagli alberi, non certo per distruggere tutto. La progressiva scomparsa della cultura contadina ci ha trasferito in un’epoca arrogante, senza rispetto né attenzione verso l’equilibrio.
Chi pagherà in modo devastante il tributo della pandemia Covid19, che ha avviluppato il pianeta, saranno gli ultimi. I diseredati, quelli che hanno sempre subito i danni causati dalle rapine e dai crimini ambientali commessi dalle economie dei paesi più ricchi. Questo succederà fra le tribù indio dell’Amazzonia piuttosto che negli slum di Calcutta ,nelle bidonville di Caracas oppure fra i poveri di New York. Chi ha meno non ha soltanto minori disponibilità economiche, ma ha sempre avuto meno possibilità di vivere, anzi di sopravvivere.
La morte sarà anche una livella, come diceva Totò, ma non per tutti arriva nello stesso modo, con le stesse privazioni. Che comportano una speranza vita diversa, molto bassa fra i più poveri. Gli ultimi, quelli di cui pochi si occupano, quelli che raramente ottengono le prime pagine dei giornali, saranno i più falciati in assoluto da questa pandemia. Senza poter ricevere cure, senza essere aiutati nel momento della dipartita, soli così come, in fondo, sono sempre stati nella vita.
Il mondo non sta morendo di epidemia, di Covid19: una parte sta morendo di indigestione. Abbiamo divorato il pianeta, sostituito le foreste pluviali con il latifondo per allevare bestiame, coltivato proteine per produrre carne, con il peggior rapporto di conversione pensabile. Non lo abbiamo fatto per far da mangiare alle persone: la carne a basso prezzo è un vantaggio solo per chi gestisce il mercato. Gli unici a ingrassarsi sono i pochissimi che stanno al vertice della piramide economica, che non è più nemmeno il vertice di un triangolo equilatero, ma la capocchia di uno spillo. Considerando il loro numero rispetto alla popolazione mondiale.
Faremo pagare questa pandemia di Covid19 a quanti incolpevoli?
In fondo in Occidente e nei paesi ricchi, i poteri economici hanno saputo costruire una comunicazione efficace: il pianeta è in affanno ma noi stiamo lavorando per voi. Si sono però sempre dimenticati di farci sapere che, nella realtà, eravamo noi, con i nostri consumi, che stavamo lavorando per loro. Per gonfiare i conti correnti di un capitalismo vorace, che tutto divora e poco o nulla condivide.
Oggi la stampa riporta la notizia del primo indio Yanomami morto in Brasile di Coronavirus. Una morte che potrebbe, in un battito d’ali, essere l’inizio dell’estinzione di una delle ultime tribù che, in gran parte, sono prive di contatti con il mondo esterno. Indigeni che non hanno rapporti con la civiltà, ma solo con minatori illegali e tagliatori di legname, che quotidianamente invadono le loro terre. Culture che erano già destinate a sparire, ma che ora rischiano di farlo molto in fretta.
Con loro scompariranno gli abitanti di quella foresta che per millenni hanno abitato e difeso: giaguari, bradipi, tapiri e pappagalli. In una foresta importantissima che insieme a loro muore sotto i colpi dei bulldozer e delle seghe a motore, per arricchire i trafficanti con il legno e gli allevatori con il suolo.
A destruição segue crescendo enquanto a epidemia da #Covid19 se alastra: os alertas de desmatamento na #Amazônia aumentaram 30% em março, em relação ao mesmo mês no ano passado. Entenda na análise de Márcio Santilli, sócio-fundador do ISA: https://t.co/Aadt2QfQqk
Si alzano sempre più voci sul fatto che nulla debba tornare come prima
L’impressione è che sempre più parte dell’opinione pubblica si sia accorta di vivere in una finzione, come nel fortunato film The Truman Show dove inconsapevoli protagonisti vivevano all’interno di un gigantesco teatro di posa. Questa consapevolezza, nata proprio da questa terribile epidemia, deve essere la miccia per far esplodere il cambiamento, per rimettere al centro il pianeta.
Se non l’avete vista guardate questa puntata di Report, che parla di latifondo in Argentina, di allevamenti e della famiglia Benetton, che possiede sterminati territori in quel continente. Non solo ponti caduti e autostrade, ma un mondo a tutto tondo fatto di contenziosi con le istituzioni, l’ambiente, le tribù indigene che reclamano i territori e il patinato mondo delle catene dei loro negozi in tutto il mondo.
Le comunità in Patagonia che hanno dichiarato guerra ai Benetton.#Report da rivedere:
Il 21 giugno 2020 sono stati registrati, in un solo giorno, 183.000 nuovi casi. La maggior parte dei quali in America Latina. In Brasile sono stati superati i 50.000 morti. In India negli stessi giorni i morti hanno raggiunto quota 13.400 e per l’OMS potrebbe essere solo la punta di un iceberg.
Per contrastare il cambiamento climatico servono cittadini informati, disposti a perdere un po’ di tempo per farsi un opinione reale su cosa sta succedendo. Per capire quanto sia importante agire occorre avere una corretta percezione della realtà, che non sempre coincide con quanto racconta l’economia. Il vero antidoto contro gli errori commessi parte dalla consapevolezza che nulla sia facile, ma che molto sia indispensabile.
In questa fetta di mondo, che ci piaccia o meno, viviamo consumando molto più di quanto ragionevolmente ci si possa permettere. Per farlo stiamo “mangiando” le risorse che sarebbero di altri, che potrebbero non poterne disporre ma, proprio a causa dei cambiamenti climatici. I paesi più industrializzati stanno usando più acqua, più cibo, più terra di quanta ne dispongano in realtà. Questo nei decenni passati era meno evidente di oggi e l’equità della divisione delle risorse non è mai stato un tema che abbia avuto troppi appassionati.
Siamo nati al caldo, con le vetrine piene di cibo, con i negozi che ci offrivano le banane in dicembre, cresciuti senza farci troppe domande. In fondo perché chiedersi troppe cose, quando non serve se non a rovinarsi l’umore. Se c’erano carestie o alluvioni l’occidente era sempre in prima linea per aiutare, ma non troppo e non in modo strutturale, la regione in crisi. le comunità locali. Senza chiedersi se le cause potevano magari dipendere da noi, dai nostri comportamenti.
Ora iniziamo a percepire il pericolo dei cambiamenti climatici, ma l’economia non si arrende
In questi tempi stiamo iniziando a capire l’importanza di contrastare il cambiamento climatico: non è più possibile far finta di nulla, non possiamo nascondere, ancora una volta, lo sporco sotto il tappeto. Questa consapevolezza che sta crescendo non piace molto a chi manovra le leve dell’economia: una piccolissima percentuale di persone che detiene, e gestisce, la ricchezza del pianeta. Anche quando la Terra brucia, si allaga, getta le persone nella disperazione e distrugge in un attimo ambiente e animali. Come accade in Australia, fatta percepire come un mondo lontano, diverso dal nostro, dove queste cose non possono succedere. Raccontando che l’Europa si sta mobilitando e sta diventando green! Ma stiamo davvero andando nella giusta direzione o stiamo facendo solo un’operazione di maquillage, un trucco chiamato greenwashing?
Leggendo giornali e pubblicità la svolta è iniziata, il cambiamento è dietro l’angolo e deve solo crescere e prendere vigore. La realtà è molto diversa e molto meno ottimistica di quello che ci racconta il marketing. Di tutte le bugie che i vengono raccontate per non far decrescere i consumi. Nulla di quello che produciamo è davvero green, nulla di quello che acquistiamo è esente dal produrre CO2 e l’anidride carbonica, insieme al metano, è uno dei gas maggiormente responsabili dell’effetto serra.
Il cambiamento climatico si contrasta diminuendo i consumi, mangiando meno carne, decarbonizzando
Tutte le altre scelte rappresentano un palliativo, un piccolo miglioramento ma non il cambiamento necessario. Sicuramente meglio che nulla, piccoli passi importanti ma non risolutivi, che le aziende ci vendono, invece, come la via maestra da percorrere. Un’azienda recupera la plastica, un’altra usa filati rigenerati, altre ancora usano plastiche riciclate o eliminano i componenti più inquinanti per rassicurare i consumatori. Ma questo non sarà sufficiente se non diminuiamo i consumi, se non contrastiamo gli allevamenti di animali e se non facciamo tutto il possibile per eliminare la dipendenza dalle energie fossili.
Queste ultime sono le maggiori responsabili della produzione di gas serra, ma su queste energie vivono economie di aree enormi del pianeta: Australia, America, Medio Oriente, ma soltanto per fare gli esempi più noti. Per capire quanto questo sia vero basti pensare all’accoglienza entusiasta ricevuta in borsa da Saudi Aramco, compagnia saudita che si occupa solo di petrolio. Così come è sufficente vedere i risultati deludenti della COP25, dove l’egoismo di pochi finirà per mettere in ginocchio tantissimi. Il primo effetto di questo disastro sarà l’innalzamento dei mari, che darà luogo a fenomeni migratori che nemmeno possiamo immaginare.
Per questo bisogna usare l’unico antidoto possibile contro queste bugie, contro l’indifferenza: la cultura, l’informazione indipendente, il non fidarsi delle prime fonti che troviamo sul web. Il tempo è poco, il problema è gigantesco, il cambiamento non darà mai risultati immediati. Mai come in questa circostanza occorre smettere di essere sudditi e diventare cittadini responsabili.
Usiamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere ad informazioni sul dispositivo. Lo facciamo per migliorare l'esperienza di navigazione e mostrare annunci personalizzati. Fornire il consenso a queste tecnologie ci consente di elaborare dati quali il comportamento durante la navigazione o ID univoche su questo sito. Non fornire o ritirare il consenso potrebbe influire negativamente su alcune funzionalità e funzioni.
Funzionale Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.