450 globicefali spiaggiati in Australia, nel più grande evento di questo tipo probabilmente mai registrato. Le cause sono tuttora sconosciute, anche se e gli spiaggiamenti di cetacei non sono un fenomeno così raro. Ma quello che è accaduto in Tasmania ha proporzioni davvero mi registrate. I soccorritori sono subito intervenuti per cercare di salvare quanti più globicefali fosse possibile, ma soltanto una cinquantina di loro sono stati ricondotti in mare aperto.
Le dimensioni di questi splendidi animali sono tali da rendere molto complicato l’intervento dei soccorritori: un globicefalo può arrivare sino a sei metri di lunghezza e due tonnellate di peso. Sino ad ora risulterebbero morti più di 350 animali, per i quali non è stato possibile effettuare un salvataggio. Nonostante i numerosi sforzi messi in atto dai biologi e dai volontari intervenuti sul posto.
Una delle ipotesi è che i globicefali, conosciuti anche come balene pilota, abbiano perso l’orientamento, entrando senza rendersene conto in una zona portuale con acque poco profonde dalla quale non sono poi riusciti più a uscire. Il problema ora sta diventando anche sanitario perché un così grande numero di cetacei morti crea notevoli difficoltà per il recupero e lo smaltimento.
450 globicefali spiaggiati in Australia, un evento che in poco tempo ha fatto il giro del mondo
I globicefali sono animali molto amati dagli studiosi per la facilità di poterli osservare quando li si incontra. Vivono in branchi di discrete dimensioni e essendo molto curiosi non sono intimoriti dall’uomo. Hanno anzi la tendenza a restare nei pressi delle imbarcazioni e di mettersi ad osservare con la testa fuori dall’acqua.
Sono presenti anche nel Mediterraneo dive vengono spesso avvistati dalle imbarcazioni che l‘organizzazione Tethys utilizza per studiare i cetacei del Mediterraneo. In particolare quelli che vivono nel santuario Pelagos, una vasta porzione di mare protetta situata fra la Corsica, la Liguria e la Francia. Fondamentale per la tutela dei mammiferi marini, così importanti per l’ecosistema acquatico.
Le fake news sugli animali fanno fare moltissime visualizzazioni e anche i grandi editori non riescono a resistere a questa pessima tentazione. Così leggendo il titolo dell’articolo comparso sull’edizione online de Iltempo.it sembra che uno squalo abbia terrorizzato dei poveri turisti che andavano per mare. E il terribile pescecane non solo avrebbe cercato, secondo il giornale, di mangiarsi i turisti! Con una capacità degna del grande Fregoli sarebbe anche riuscito a trasformarsi da pesce in mammifero diventando un cetaceo.
Il tutto scritto e descritto in poche righe, a corredo di un video amatoriale di 30 secondi, preceduto da una pubblicità. Nel video si vedono in realtà dei turisti, equipaggiati di tutto punto che stanno facendo whale watching, restando affascinati e divertiti da una balenottera che esce dall’acqua. Per nutrirsi probabilmente di un branco di krill o di piccoli pesci. Dello squalo neanche l’ombra, nemmeno della sua inconfondibile pinna!
Su questo argomento si potrebbero scrivere pagine e pagine perché quando parlano di animali i giornali troppo spesso scrivono notizie infondate, quando non manifestamente false. Per avere visualizzazioni non vanno troppo per il sottile, tanto secondo loro il pubblico nemmeno se ne accorge. Ma questo è fare disinformazione e dovrebbe prevedere delle censure dalle varie organizzazioni di controllo.
Contro le fake news sugli animali dovrebbe esserci in ogni redazione che si rispetti un doveroso controllo
Purtroppo molta parte dell’opinione pubblica conosce gli animali e i loro comportamenti proprio attraverso i giornali, ritenendoli delle fonti di informazione attendibili. Dando così credito a moltissime delle notizie false oppure credendo, come nel caso della volpe, che non ci sia niente di male nel condizionare un selvatico, mettendolo in pericolo.
In attesa che gli editori si dotino di regole più severe il consiglio è uno solo: non bisogna credere che una notizia sia vera solo perché è stata pubblicata. Anche quando questo avviene da parte di quotidiani prestigiosi. Occorre sempre mantenere uno spirito critico e cercare di comprendere se quanto pubblicato sia vero e/o sia un comportamento giusto. Per non andare a raccontare in giro che uno squalo è un cetaceo pericoloso!
Balene salvateci è l’ultimo libro di Maddalena Jahoda, ricercatrice, divulgatrice scientifica e da trent’anni impegnata nella tutela dei cetacei. Militando nell’Istituto Tethys, organizzazione scientifica impegnata nel fare ricerca sui cetacei e la loro importanza. Con lo svolgimento di periodiche crociere di studio nel Mediterraneo, attuate anche con la collaborazione di volontari disponibili a supportare in mare le varie attività.
Il libro spiega, in modo comprensibile e molto godibile, l’importanza di difendere i grandi cetacei, che sono specie fondamentali per gli ecosistemi marini. Mari e oceani ricoprono la maggior parte del globo e dalla loro salute dipende anche l’equilibrio delle terre emerse. Gli oceani svolgono, infatti, un ruolo fondamentale per l’andamento climatico, condizionando tutto quello che riguarda il clima sul pianeta.
Per mantenere in salute il mare occorre che tutte le creature che ci vivono diano il loro contributo e le balene rappresentano un anello fondamentale in questo complesso equilibrio. Intelligenti, sociali, con possibilità di comunicazione molto complesse e non ancora del tutto chiarite, al pari di tutti i cetacei, le balene sono le regine incontrastate degli oceani.
Balene salvateci porta il lettore a osservare il mondo marino e i suoi abitanti con maggior consapevolezza
In un periodo di grandi sconvolgimenti climatici, di riscaldamento della temperatura delle acque superficiali e di innalzamento dei mari per lo scioglimento dei ghiacci risulta fondamentale comprenderne le dinamiche. Per poter attuare azioni di protezione che rallentino, sino possibilmente a fermarle, tutte quelle alterazioni che possono davvero sconvolgere il futuro del nostro pianeta. Con conseguenze drammatiche.
Come biologa ho iniziato a studiare le balene perché sono gli animali più affascinanti che ci sono sul Pianeta, perché c’era ancora molto da scoprire su di loro, e ancora c’è, e perché rischiano di scomparire. Oggi però c’è un motivo in più, dobbiamo studiarle e salvarle affinché loro “salvino noi”. Si è scoperto che possono giocare un ruolo importante perfino nella lotta ai cambiamenti climatici, ma che i cetacei possono essere utili alla nostra specie ce lo dice il mondo della ricerca anche in altri ambiti. Possono infatti fare da campanello d’allarme, in altre parole sono i primi a risentire di determinati problemi ambientali.
Maddalena Jahoda, autrice di “Balene salvateci – I cetacei visti da un’altra prospettiva“
Nel libro non mancano aneddoti divertenti, come le citazioni di una serie di bizzarri convincimenti che l’autrice ha raccolto durante anni di lavoro come divulgatrice. Come quello che in cui si afferma che i ricci di mare siano mangiatori di plastica, tanto da essercene molti meno nei mari poco inquinati. Dimostrando quanto sia importante poter disporre di corrette informazioni, per non credere a leggende metropolitane che nulla hanno di scientifico.
Le orche di Genova ci insegnano solidarietà e coesione, restando insieme come una famiglia durante le difficoltà, senza abbandonare nessuno. Senza umanizzare la natura lo spettacolo offerto da questi cetacei dovrebbe farci riflettere. Sul nostro ritenerci sempre animali superiori, su comportamenti che vanno ben oltre all’istinto.
L’orca che riporta il cucciolo morto in superficie, nel tentativo di farlo respirare, nella disperazione della morte, ci commuove. Una madre che non vuole separarsi dal piccolo, che non riesce a farsi una ragione del fatto che sia morto. Molti animali possiedono il concetto di morte e richiedono tempo per elaborare il lutto.
Succede negli elefanti e nelle scimmie, ma non solo e questo dovrebbe portarci a riflettere. Sugli animali, sul loro sentire, sul comportarsi come una famiglia, senza abbandonare nessuno. Mettendo a rischio anche la loro sopravvivenza pur di restare insieme.
E se gli umani dovessero imparare dagli animali non umani?
Solidarietà, coesione, sacrificio una volta erano forse più comuni di oggi nella comunità degli uomini, che spesso si commuove molto ma non lascia spazio alla riflessione. La natura non va umanizzata, non è buona, mette in atto solo i comportamenti necessari a un’ordinata sopravvivenza, alla miglior condizione possibile per vedere il futuro.
Negli animali che formano gruppi sociali stabili esiste sempre un ordine, si hanno presenti ruoli e prerogative. Dai cinghiali ai lupi, passando per le orche e arrivando agli elefanti o agli scimpanzé. Noi uomini spesso non ci comportiamo secondo natura, preferiamo fare scelte che tengono maggiormente in conto il benessere dell’individuo.
Mai come nel periodo presente dobbiamo cercare di riconquistare la parte nobile dell’essere animali, quelle scelte che portano un gruppo di orche a restare insieme, fra le mille difficoltà che caratterizzano questa vicenda. Agiscono, scelgono mentre noi, anche su questa cosa, troppo spesso passiamo più tempo a pontificare piuttosto che a osservare. Eppure certo non mancherebbero gli spunti utili.
Ancora una volta la natura ci insegna qualcosa, basta avere gli occhi e la mente aperta per riuscire a vederlo, per volerlo capire.
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