Le fake news sugli animali fanno fare moltissime visualizzazioni e anche i grandi editori non riescono a resistere a questa pessima tentazione. Così leggendo il titolo dell’articolo comparso sull’edizione online de Iltempo.it sembra che uno squalo abbia terrorizzato dei poveri turisti che andavano per mare. E il terribile pescecane non solo avrebbe cercato, secondo il giornale, di mangiarsi i turisti! Con una capacità degna del grande Fregoli sarebbe anche riuscito a trasformarsi da pesce in mammifero diventando un cetaceo.
Il tutto scritto e descritto in poche righe, a corredo di un video amatoriale di 30 secondi, preceduto da una pubblicità. Nel video si vedono in realtà dei turisti, equipaggiati di tutto punto che stanno facendo whale watching, restando affascinati e divertiti da una balenottera che esce dall’acqua. Per nutrirsi probabilmente di un branco di krill o di piccoli pesci. Dello squalo neanche l’ombra, nemmeno della sua inconfondibile pinna!
Su questo argomento si potrebbero scrivere pagine e pagine perché quando parlano di animali i giornali troppo spesso scrivono notizie infondate, quando non manifestamente false. Per avere visualizzazioni non vanno troppo per il sottile, tanto secondo loro il pubblico nemmeno se ne accorge. Ma questo è fare disinformazione e dovrebbe prevedere delle censure dalle varie organizzazioni di controllo.
Contro le fake news sugli animali dovrebbe esserci in ogni redazione che si rispetti un doveroso controllo
Purtroppo molta parte dell’opinione pubblica conosce gli animali e i loro comportamenti proprio attraverso i giornali, ritenendoli delle fonti di informazione attendibili. Dando così credito a moltissime delle notizie false oppure credendo, come nel caso della volpe, che non ci sia niente di male nel condizionare un selvatico, mettendolo in pericolo.
In attesa che gli editori si dotino di regole più severe il consiglio è uno solo: non bisogna credere che una notizia sia vera solo perché è stata pubblicata. Anche quando questo avviene da parte di quotidiani prestigiosi. Occorre sempre mantenere uno spirito critico e cercare di comprendere se quanto pubblicato sia vero e/o sia un comportamento giusto. Per non andare a raccontare in giro che uno squalo è un cetaceo pericoloso!
Saranno riusciti per davvero a creare il tigrallo? Certamente no, ma effetti con un titolo diverso si sarebbero potuti fare molti click, molti più di quanto si immagini. Sarebbe stata una sorta di truffa, fatta per guadagnare sulle visualizzazioni, molto in voga ora. Molti si chiedono come mai l’informazione, anche su animali e ambiente, sia così manipolata, approssimativa quando non falsa. Raccontando notizie improbabili, non verificate, prese da comunicati stampa di fonti troppo spesso inattendibili.
La spiegazione è semplice: chi scrive, chi fa informazione, chi si sforza di mantenere una dignità e di vivere onestamente, senza fare marchette, non è pagato il giusto. Anche per questo motivo si può riuscire a creare il tigrallo, a dargli una parvenza di credibilità. Il collaboratore a cui viene chiesto di scrivere un pezzo per pochi spiccioli, se non si è mai occupato di animali, paradossalmente ma non troppo, potrebbe anche crederci.
Capita spesso di leggere notizie, su temi che riguardano gli animali o l’ambiente, che farebbero impallidire quella del tigrallo. Pubblicate senza controllo, scritte in fretta e furia, con titoli che non rispecchiano i contenuti. Dietro queste fake news ci sono persone che per scrivere un articolo, per fare un pezzo, vengono pagate 3/5 Euro. Qualcuno pensa che per questa cifra sia davvero possibile fare informazione di qualità? Quanto tempo può dedicare per verificare una notizia chi scrive un articolo per pochi spiccioli?
Il tigrallo nasce e vivrà a lungo se non si riconosce valore a chi scrive
Lo testimonia, con coraggio e determinazione, Barbara d’Amico, collaboratrice del prestigioso Corriere della Sera. A lei il giornale ha portato il compenso per gli articoli prima da 40 a 20 euro, per arrivare ora a 15 Euro lordi. Senza preavviso, ma solo con un avviso unilaterale, a pezzi già scritti. Ma c’è chi scrive anche per molto meno: in ogni settore, fame e concorrenza non mancano mai.
Gli editori non sempre cercano la competenza, devono riempire le pagine al minor costo possibile anche se questo comporta di farlo con articoli sciatti, insipidi e troppo spesso di qualità davvero scadente. In questo modo si avvelena l’informazione, si allontanano le persone che vorrebbero scrivere seriamente e con senso di responsabilità. Ognuno vorrebbe infatti potersi permettere, lavorando in modo professionale, di poter fare la spesa e di riuscire a far fronte alle uscite quotidiane. Senza doversi immolare sull’altare della correttezza, caratteristica che non pare davvero onnipresente nel mondo dell’informazione.
Le fake news volano anche sulle ali di un’editoria che riceve contributi e restituisce talvolta bufale
Non sono solo i social, con i molti leoni da tastiera, a seminar odio e notizie false. Ci sono anche testate giornalistiche che contribuiscono a diffonderle, delle quali nemmeno gli ordini professionali sembrano volersi occupare.
Un uomo di 65 anni è stato aggredito da due lupi mentre con un amico stava passeggiando nella campagna tra Sticciano e Roccastrada. L’uomo ha visto i predatori attaccare un branco di pecore e ha provato a mandarli via, ma gli animali lo hanno morso ferendolo alla mano.
Grazie a questo tipo di articoli, compilati probabilmente dallo sfruttato di turno, pubblicati da testate iscritte al registro della stampa, si da corpo a leggende metropolitane o agresti. Alterando il senso dell’informazione che dovrebbe essere sempre veritiera, magari schierata sulla base di opinioni, ma mai falsa. Come quella citata, che non considera l’assenza di attacchi di lupi a uomini da più di un secolo!
La conclusione è che per non dover credere alla nascita del tigrallo o all’invasione dei lupi mannari bisogna tornare a pagare il giusto chi scrive, a scegliere i collaboratori sulla base della conoscenza e non della fame. Togliendo ogni tipo di sostegno e contributo a chi non rispetta le regole minime. Avvelenando mercato e informazione.
Sgarbi, le capre e la nostra Croce è un articolo che avevo cercato di non scrivere, poi la rilevanza sui media di una “non notizia” mi ha fatto cambiare idea. Era necessario spiegare le somiglianze fra Sgarbi e la nostra Croce, ma anche le differenze.
Sgarbi e Croce, presidente della fantomatica associazione AIDAA hanno una cosa in comune: la capacità di capire cosa fa notizia, quale assurdità possa conquistare le pagine dei giornali, quale azione possa subire la miracolosa trasformazione da “incredibile idiozia” in avvenimento degno di attenzione da parte dei media. Così succede che Vittorio Sgarbi utilizzi il sostantivo “capra” per definire una persona stupida, ignorante, poco attenta al circostante e lo ripeta fino a farlo diventare un tormentone, invero noioso, ma sicuramente privo di incitazioni al maltrattamento degli animali.
Peraltro andando a consultare il dizionario enciclopedico Treccani alla voce “capra” possiamo scoprire che questo sostantivo femminile venga abbinato alla descrizione di una “Persona ignorante, ostinatamente chiusa nella propria ignoranza: ho perso la speranza di far capire qualcosa a quella c. di mio nipote; a scuola è sempre stata una capra!”Quindi Sgarbi nulla ha inventato, succede spesso, ma ha soltanto ripreso quanto viene inteso nel senso comune, nell’affermare che una persona è una capra.
Forse l’innocente caprino viene ritenuto un animale poco intelligente, a torto, per via della sua abitudine ad essere gregario, quasi non avesse una propria via da seguire. Se andassimo a seguire il bestiario usato nel lessico umano scopriremmo un sacco di animali, immeritatamente giudicati: iene, sciacalli, avvoltoi, volpi, vacche, porci e così via.
Istigazione al maltrattamento oppure abuso della credulità popolare?
Da questo all’ipotesi di istigazione al maltrattamento ovviamente ce ne corre. Ma proprio qui entra in scena la genialità distorta del presidente dell’AIDAA, sedicente quanto improbabile associazione, Lorenzo Croce, vera croce con poca delizia di chi si occupa di tutelare davvero i diritti degli animali.
Lorenzo Croce, vera “volpe” della comunicazione, capisce che basta unire un nome, quello di Vittorio Sgarbi, a una denuncia per istigazione al maltrattamento delle capre per ottenere una copertura mediatica nazionale, complice le festività con la loro scarsa affluenza di eventi e l’acritica connivenza di molte redazioni che pubblicherebbero qualsiasi cosa faccia notizia e soprattutto click sulle pagine online, vera mecca dei pubblicitari.
In questo modo Croce presenta una denuncia alla Procura di Ferrara nei confronti di Sgarbi per istigazione al maltrattamento di animali, reato tanto fantasioso quanto inverosimile, cosa che porterà indubitabilmente ad un’archiviazione immediata di tale stupefacente notizia, in senso lisergico, ma anche alla risonanza per AIDAA e il suo presidente sui media.
Con evidente ripresa di Sgarbi contro gli animalisti, mai assist fu meglio servito, che probabilmente sarà intervistato da Cruciani alla Zanzara di Radio 24, così da poter sfogare il reciproco livore nei confronti degli animalisti, rei di essere veramente privi di buon senso.
Se lo conosci lo eviti, non è infettivo ma infetta la rete
Il problema è che gli animalisti, e per fortuna anche molte testate giornalistiche , conoscono Lorenzo Croce e AIDAA per le sue sparate, per la sua inesistente credibilità, per l’inconsistenza dell’associazione: per questo farebbero qualsiasi cosa per non essere accomunati a notizie di questa fatta, tanto stupide quanto inutili, tanto prive di senso quanto denigratorie nei confronti di chi difende i diritti degli animali.
Ci sarebbe da sperare in una class action delle associazioni contro questa diffamazione, contro tutte le attività di AIDAA, una delle quali è un mio personale ricordo indelebile: la seduta spiritica con un cane morto durante un bombardamento della Guerra Mondiale. Nulla da togliere ai cani, tanto da aggiungere al buon senso di chi “spara” notizie ad effetto senza far di fatto nulla in concreto per gli animali.
Con buona pace dei giornalisti che tutto pubblicano senza verificare, senza accertare chi sia il soggetto generatore della notizia. Non un’animalista, non una persona che si occupa di diritti degli animali ma soltanto un fantasioso stregone del marketing fantasioso.
Povere capre, saranno state insultate da Sgarbi, ma difensore peggiore non potevano trovarlo.
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