Benvenuti nell’Antropocene bellico, quello che rischia di precedere il disastro totale, causato da una sola specie, la nostra. Mentre il mondo si interroga sul torto e la ragione, l’orologio del tempo continua a scandire il ritmo delle nostre giornate. Quelle di una specie capace di guardare orologio e calendario, ma incapace di saper affrontare i reali problemi che lo scorrere del tempo ci pone di fronte. Di fronte all’ultima barbarie di questi giorni, figlia di un conflitto mai affrontato, sembriamo essere capaci solo di restare bloccati dall’orrore. Ma questo non basterà.
Siamo così presi dal rimbalzo dei problemi che le guerre porteranno sull’economia, da non preoccuparci minimamente di quanto questi eventi incideranno sul pianeta. Imprimendo un’accelerazione fortissima all’inquinamento e a tutte le problematiche legate ai cambiamenti climatici. Che già da sole, non affrontate in modo serio, sarebbero sufficienti a mettere una drammatica ipoteca sul nostro futuro. Stiamo dibattendo sulla transizione dai carburanti fossili, ma non ci chiediamo a sufficenza il valore clima alterante delle esplosioni delle armi usate in modo massiccio in questo scampolo di secolo. E degli effetti collaterali.
Vogliamo contrastare le migrazioni, imponendo norme e restrizioni, senza voler affrontare le cause che le generano, come la diseguaglianza economica e climatica. Senza contare che gli scontri in atto, come quello che oppone palestinesi e israeliani, metteranno in movimento centinaia di migliaia di esseri umani. Che potranno decidere se migrare o soccombere. Proprio come gli gnu, quando le vaste pianure africane diventano aride e inospitali e gli erbivori, per vivere, sono costretti a dar vita a una migrazione senza paragoni.
Benvenuti nell’Antropocene bellico, dove una sola specie sta distruggendo l’equilibrio sul pianeta
Fosforo bianco, uranio impoverito, polveri sottili, gas prodotti dalla combustione e metalli pesanti sono solo alcune delle conseguenze rilasciate nell’atmosfera dall’ultimo conflitto. Al quale vanno aggiunti tutti i conflitti al momento presenti su un pianeta che, dallo spazio, sembra poco più grande di un pallone da calcio. Un pianeta che da molto tempo stiamo prendendo a calci, con tutti i suoi abitanti, senza fermarci mai a fare delle riflessioni. Un tempo in cui il torto e la ragione perdono di senso, si sovrappongono, nell’incapacità di contrastare gli effetti degli scontri.
Se non fossimo così profondamente arroganti e stupidi potrebbe far sorridere il pensiero che, per molti, i pericoli dell’oggi in Italia derivino dalla presenza dei predatori. Lupi e orsi sono il nemico, perché in effetti serve sempre alla propaganda avere un nemico da combattere. Creando un mantra ripetuto senza fine che sembra averci reso incapaci di fare riflessioni di lungo periodo. Spostando il focus su falsi problemi, che in comune hanno solo la difficoltà della convivenza. Incapaci di comprendere che prima di capire chi abbia torto o ragione sia importante fermare il disastro. Cercando di analizzare le cause, smettendo di guardare solo agli effetti, che senza la rimozione dei motivi che sono all’origine dei problemi li perpetueranno all’infinito.
In questa follia odierna, in cui sembra essere rimasta invischiata la nostra specie, le soluzioni proposte sono inversalmente proporzionali alla quantità e al pericolo delle questioni sul tavolo. Un po’ come se di fronte al crollo della diga del Vaiont qualcuno si fosse preoccupato che la troppa acqua avrebbe potuto causare problemi all’agricoltura. Nel tempo del dibattito la realtà sarà capace di alterare completamente il mondo, impedendo di poter mettere in campo azioni salvifiche.
Una vergogna sentirsi parte di un’umanità disumana, rimasta ai tempi della clava come unica arma di risoluzione dei conflitti
In questi giorni è difficile non provare un sentimento di vergogna per l’appartenenza alla nostra specie. Perché se il sonno della ragione genera mostri gli uomini l’hanno addormentata da quando sono scesi dagli alberi. La nostra storia sul pianeta è colma di atti di eroismo e di gesti capaci solo di suscitate orrore. Che sarebbe surreale liquidare come il prodotto di un pendolo che oscilla costantemente fra bene e male. Una specie capace di deliberati orrori, commessi in nome di un dio sempre rappresentato da religione, denaro o potere, non ha eguali in natura.
Nessuna specie animale è deliberatamente crudele come la nostra, quasi sempre senza nemmeno avere la giustificazione della lotta per la sopravvivenza. Questo sta diventando il tempo dell’Antropocene bellico, quel tempo in cui pare difficile poter avere speranza di salvezza. Di fronte all’orrore e all’arroganza della stupidità di questo tempo, continuiamo a non voler vedere che possiamo solo salvarci o perire tutti insieme.
Uomini e animali migrano quando la loro esistenza è in pericolo. Se tutto sembra sul punto di essere perduto, quando in gioco c’è la sopravvivenza non resta altra strada se non quella di dirigersi dove si sa, o anche solo si presume, si possano trovare condizioni di vita migliori che possano far sperare in un futuro diverso.
Uomini e animali sono legati da questo filo comune che possiamo definire con un concetto semplice, proprio di ogni vivente: “istinto di sopravvivenza”.
Ogni anno, guidati dal loro istinto, centinaia di migliaia di erbivori lasciano i territori del parco del Serengeti, in Tanzania, affrontando una lunga migrazione, densa di pericoli. Come l’attraversamento del fiume Mara dove li attendono incidenti e predatori, per portare i giovani nati da pochi mesi verso i pascoli del Masai Mara, in Kenya, che possono garantire la loro sopravvivenza.
In questo percorso, inarrestabile, le mandrie pagano il loro tributo sacrificando migliaia di capi ai coccodrilli, ai leoni, ma anche alle infezioni causate dalle lesioni causate dai mille pericoli che incontrano sul percorso della migrazione.
La speranza è più forte della paura
Guardando i branchi di gnu che si accalcano sulle sponde del fiume Mara si percepisce la loro paura, il terrore che l’ attraversamento provoca negli animali, ma il loro istinto riesce a fargli vincere ogni ritrosia: alla fine si gettano letteralmente nel fiume.
Molti di loro moriranno annegati a causa della corrente, altri verranno attaccati dai coccodrilli, altri ancora moriranno di stenti a causa delle ferite infette, ma la maggioranza arriverà nella terra promessa, perpetuerà la specie. Guardate il filmato della traversata: testimonia la dimostrazione dell’inarrestabilità delle mandrie nella loro migrazione.
I pascoli del sud si stanno inaridendo e non sono più in grado di sfamare gli erbivori, per questo devono obbligatoriamente mettersi in cammino verso altre praterie.
Questo viaggio coinvolge anche i predatori che si spostano con le mandrie di erbivori, non potendo certamente perdere il contatto con la loro fonte di sussistenza. Dopo qualche mese avverrà la migrazione a ritroso, che li riporterà, come avviene da millenni, dal Kenya alle savane della Tanzania attraversando gli stessi pericoli.
Uomini e animali non possono sopprimere il loro istinto, devono cercare di sopravvivere compiendo anche imprese epiche, disperate, per poterlo fare.
Affrontando pericoli e paure che ben conoscono prima di partire, ma che in uomini e animali, con diversi gradi di consapevolezza, sono ricacciate indietro dall’assenza di alternative e dalla speranza di farcela, di portare a termine con successo l’impresa.
Chi è disposto a salire su quei barconi, a impegnarsi la vita per pagare questi viaggi della morte, vuol dire che ha valutato di non avere migliori alternative.
Ha ritenuto che restare sarebbe più pericoloso che partire, che il rischio vale l’incertezza della sopravvivenza, considerando che il bene più prezioso e importante posseduto da un uomo è la sua vita.
Le migrazioni sono un fenomeno presente da sempre nell’avventura umana
Non si ferma la migrazione degli gnu nelle praterie del Serengeti, non si fermerà la fuga degli uomini dalla miseria, dalle guerre, dalla fame e dalla persecuzione. Non ci sono altri mezzi per interrompere questi viaggi, se non quello di rendere almeno accettabile la loro vita nei paesi d’origine.
Ora le società occidentali stanno pagando il peso di queste migrazioni, dimenticandoci che siamo stati noi ad averle causate, con scelte avventate, per motivi economici, per garantirci un benessere che abbiamo negato ad altri con inquietante indifferenza.
La continua ricerca di profitti esagerati l’abbiamo sempre fatta pagare agli esseri viventi più fragili che popolano la Terra: i poveri, i diseredati, gli animali; per farlo abbiamo spesso distrutto l’ambiente, privandoli anche di quel minimo necessario per sopravvivere.
Non abbiamo voluto vedere la sofferenza, abbiamo trafficato armi e rifiuti, abbiamo disboscato e distrutto, abbiamo messo al potere dittatori corrotti e ora chiediamo a quanti abbiamo strappato il futuro di rassegnarsi, di stare seduti ed aspettare il colpo di un cecchino o una morte di stenti in un campo profughi.
In fondo le nostre società fanno patire ai nostri simili quello che fanno patire agli animali, ad esempio negli allevamenti intensivi: pensateci, le condizioni di vita nei giganteschi campi profughi, che oramai costellano il Medio Oriente e l’Africa, non sono diverse, sicuramente non migliori. Fra noi si annidano predatori spregiudicati, bugiardi e insensibili, uomini di potere che riescono ad accumulare fortune spropositare, se è vero che il 10% della popolazione detiene il 90% della ricchezza del pianeta.
Se non riusciamo a provare empatia per i nostri simili, cosa mai potranno dover aspettare gli animali per affrancarsi dalla sofferenza.? Emma Bonino disse una frase che mi è rimasta scolpita nel cuore e nella memoria: “i cattivi esistono, perché i buoni tacciono”. Credo sia giunto il tempo in cui i buoni smettano di tacere e comincino a combattere seriamente i cattivi.
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