Tutela degli animali e giardini zoologici: le contraddizioni di associazioni e istituzioni

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Foto di repertorio

Tutela degli animali e giardini zoologici: le contraddizioni di istituzioni e associazioni che scelgono di svolgere attività nei luoghi in cui gli animali sono sfruttati. Una situazione eticamente paradossale, che crea imbarazzo nel fronte di quanti a vario titolo si occupano di tutelare i diritti degli animali. Le notizie di stampa riportano con grande risalto un’iniziativa promossa da Zoomarine -il giardino zoologico con annesso delfinario e molte altre aree tematiche- che promuove la campagna “Se Cupido ci mette lo zampino” con collaborazioni insospettabili. Non soltanto di un’associazione che dichiara di occuparsi di vigilare sul benessere animale ma anche con la partecipazione dell’Assessorato Ambiente di Roma Capitale.

Scopo dell’iniziativa sarebbe quello di trovare famiglia e casa per i cani e gatti ospiti del Rifugio Muratella e dell’Oasi Felina Porta Portese. Sotto l’occhio vigile delle Guardie Zoofile di Agriambiente Lazio che avranno il compito di istruire le famiglie sul rispetto delle necessità degli animali domestici. Questa iniziativa viene portata avanti in una struttura che usa gli animali per fare spettacolo, attività del tutto legale ma che indubbiamente costringe gli animali in cattività per scopi commerciali. In tutto il mondo occidentale si chiede la chiusura di circhi, delfinari e anche di questo tipo di parchi tematici che, fra le altre cose, consentono interazioni con lemuri, pinguini, pappagalli e petauri.

In questo periodo le strutture di cattività per gli animali sono oggetto di critiche, da quelle più aspre nei confronti dei circhi con animali a quelle che riguardano delfinari e luoghi in cui si fa spettacolo. Lo sfruttamento degli animali per divertimento non è ritenuto eticamente accettabile, anche se i parchi tematici continuano, purtroppo, a essere molto attrattivi per il pubblico. Grazie al fatto che l’attenzione nei confronti degli animali e dei loro diritti ha diverse intensità, che variano non soltanto a seconda della specie ma anche del contesto in cui gli animali vengono tenuti.

Tutela animali e giardini zoologici sono realtà incompatibili, specie quando si fa spettacolo

I gestori di giardini zoologici come Zoomarine o Zoom sono stati molto attenti alle coreografie e alla narrazione delle loro attività. Raccontando di bioparchi immersivi o di giardini zoologici utili se non indispensabili a difendere ambiente e biodiversità. Ricreando ambientazioni che impediscono al visitatore poco informato di comprendere le reali condizioni degli animali, prigionieri in piccolissimi territori. Nella realtà i messaggi educativi e l’attenzione verso la biodiversità annegano in un contesto che diventa una macchina per fare soldi. Legittima, legale, criticabile sempre ma non denunciabile, non arrestabile sino a quando la normativa non cambierà radicalmente.

Nell’attesa di norme nuove bisogna cercare di aumentare la divulgazione su quanto queste strutture siano inutili, per far conoscere il comportamento degli animali o per contribuire alla loro conservazione. Questi parchi tematici rappresentano un vantaggio soltanto per le società che li possiedono, con ricadute davvero minime se non inesistenti sulla conservazione. Servono purtroppo, questo si, a riempire gli enormi buchi lasciati dallo Stato per quanto concerne il soccorso di determinate specie e la custodia degli animali in sequestro.

La difficoltà di collocare anche temporaneamente gli animali selvatici e esotici sequestrati rende spesso questi parchi una componente necessaria, ma soltanto a causa delle decennali carenze dell’ente pubblico. Le strutture per il ricovero e la cura degli animali pericolosi, esotici e selvatici dovrebbero essere attività separate da quella di società che utilizzano gli animali per intrattenimento. Per non consentire alibi alla cattività e per non diventare un traino, più o meno consapevole, di realtà quasi esclusivamente commerciali. Aziende capaci di utilizzare al meglio il marketing, veicolando azioni di greenwashing, che generano nei visitatori l’idea di contribuire ad aiutare il pianeta.

Associazioni e amministrazioni pubbliche devono mantenere comportamenti in linea con il loro ruolo

Se stupisce vedere il Comune di Roma coinvolto in attività che in qualche modo regalano visibilità a Zoomarine, altrettanto stupisce quando le associazioni utilizzano queste situazioni per promuoversi. Dovrebbe esistere una linea etica di separazione fra mondi che possono talvolta interagire per necessità ma che non devono sovrapporsi. Un esempio di questa confusione di ruoli sta nelle situazioni alle quali capita di assistere con maggior frequenza: le raccolta di cibo o di fondi che alcune associazioni fanno in negozi dove vengono venduti animali.

Se è vero che il pubblico che li frequenta si identifica quasi sempre con quanti credono di essere sensibili ai diritti degli animali è altrettanto vero che la presenza delle associazioni nei negozi diventa una giustificazione al commercio degli animali vivi.

Con le conoscenze raggiunte sull’etologia degli animali la cattività degli animali selvatici, anche se definiti da compagnia, è una scelta eticamente inaccettabile. Ricordando che devono essere considerati selvatici tutti gli animali non domestici, anche se riprodotti in modo controllato e non catturati in natura. Pappagalli, petauri dello zucchero, criceti, gerbilli e rettili di ogni specie non sono e non saranno mai animali domestici anche se milioni di questi animali sono costretti a vivere nelle nostre case.

Il commercio degli animali nasconde grandi aree grigie e poco indagate di maltrattamento ed è un fenomeno contro il quale viene fatta poca educazione. Proprio a causa di quella zona intermedia che collega commercio con gli amanti degli animali e con chi li difende. Una zona grigia che bisogna cominciare a infrangere, raccontando in modo molto chiaro che avere in casa animali selvatici non significa amarli e che non può esistere amore quando non si rispettano esigenze e caratteristiche etologiche. Se non cerchiamo di far vedere davvero questi prigionieri per quello che sono, vittime del nostro modo distorto di considerarli. le cose non cambieranno mai.

Animali a rischio investimento sulle strade: se ne parla tanto ma si fa troppo poco

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Animali a rischio investimento sulle strade: se ne parla tanto ma si fa troppo poco per mettere in sicurezza le nostre strade. Dopo la morte dell’orso Juan Carrito, investito e ucciso da un auto in Abruzzo, il tema torna prepotentemente alla ribalta. Ma l’esperienza insegna come su questo argomento i riflettori restino accesi per poco tempo, senza riuscire a far mettere in atto le azioni necessarie per prevenire queste collisioni, che hanno quasi sempre esito fatale per gli animali e spesso anche per le persone.

Il nostro paese è molto arretrato, rispetto a altre realtà europee, nell’adozione di provvedimenti concreti per tutelare gli animali selvatici. Costretti ad attraversare le nostre infrastrutture come strade, autostrade e binari ferroviari mettendo a repentaglio la sicurezza dei conducenti e la loro vita, per mancanza di adeguati corridoi ecologici. Una strage silenziosa sulla quale esistono pochi dati: se non si verificano collisioni importanti auto/animale i continui investimenti non fanno notizia. Specie quando riguardano animali di piccola taglia come volpi, tassi, ricci, faine o altri animali di taglia medio piccola.

Eppure queste collisioni sottraggono al nostro patrimonio naturalistico un numero consistente di animali, un’impressione non corroborata da dati certi, ma dai cadaveri di animali che si osservano percorrendo molte strade. Per evitare questi incidenti esistono soluzioni immediate, come una drastica riduzione della velocità quando si attraversano aree naturalistiche, specie nelle ore notturne, e la creazione di attraversamenti sicuri. La riduzione della velocità non può essere lasciata alla scelta del singolo automobilista, che spesso ignora i cartelli di pericolo, ma può essere ottenuta con controlli automatici della velocità. I proventi di queste sanzioni potrebbero essere destinati alla messa in sicurezza delle strade mediante la creazione di attraversamenti sicuri.

Animali a rischio investimento sulle strade: servono più controlli automatizzati

L’assenza di strutture per l’attraversamento sicuro delle strade da parte degli animali è un problema serio e non soltanto per garantire la sicurezza della circolazione. Le barriere, spesso invalicabili, costituite dalle nostre reti viarie rappresentano ostacoli fisici che impediscono il libero spostamento degli animali sul territorio. Con conseguenze che impattano anche sulla loro distribuzione e sulla tutela della biodiversità, così importante per mantenere l’ambiente in equilibrio.

La morte dell’orso Juan Carrito ha privato la popolazione degli orsi marsicani, che è di circa una settantina di esemplari, di un giovane maschio che non aveva ancora raggiunto la maturità sessuale. Un danno importante quando colpisce una popolazione così piccola, di una sottospecie unica che vive in un areale molto piccolo. Ma sulla stessa statale dove è stato investito Carrito negli anni precedenti erano stati investiti e uccisi già tre orsi, mentre altri due erano rimasti soltanto feriti e qualche giorno fa è stato investito un lupo.

Una situazione di pericolo che ha costretto il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, con l’aiuto dell’associazione Salviamo l’orso, a fare interventi per la messa in sicurezza di quel tratto stradale. Pur non avendo una competenza diretta ma con il solo intento di evitare altre morti in un tratto di strada molto pericoloso. Purtroppo il giovane Juan Carrito, sempre in cerca di nuovi percorsi, ha superato le reti arrampicandosi per poi balzare sulla carreggiata, un comportamento con conseguenze fatali. Del resto gli animali sono imprevedibili e i mezzi di dissuasione, seppur indispensabili, non possono fornire certezze assolute. Mentre la riduzione della velocità resta sempre la miglior prevenzione contro gli incidenti.

Tutte le nuove infrastrutture devono prevedere corridoi per garantire attraversamenti sicuri agli animali selvatici

Occorre che sul tema delle collisioni con la fauna e sulla necessità di creare corridoi che consentano agli animali selvatici attraversamenti sicuri si passi dalla teorizzazione alla concretizzazione. Mettendo in campo normative e risorse che consentano di tradurre in realtà i mille impegni sempre annunciati e mai attuati. L’amministrazione pubblica deve concentrare i suoi sforzi futuri in massima parte sulle attività di tutela ambientale e per il contrasto al cambiamento climatico. Magari sottraendo risorse a quella gestione venatoria della fauna che ha portato zero risultati sotto il profilo pratico.

Sarebbe bello fra qualche tempo poter affermare che la morte di Juan Carrito, che tanto ha colpito l’opinione pubblica, abbia fatto da spartiacque, facendo diventare concreta l’attenzione sulla sicurezza degli animali selvatici. In questo un grande aiuto lo possono fornire i cittadini, rallentando la velocità quando si percorrono strade che attraversano ambienti naturali e evitando di fornire cibo, anche involontariamente, ai selvatici. Per evitare di condizionarli e renderli così confidenti, mettendoli in pericolo e facendo perder loro il timore nei nostri confronti, che è invece indispensabile per la loro salvezza.

La morte dell’orso Juan Carrito deve aprire strade nuove verso il cambiamento

morte orso Juan Carrito
Foto tratta dal sito del Parco della Majella in occasione della sua traslocazione

La morte dell’orso Juan Carrito non deve essere inutile: l’orso più famoso del mondo a causa delle sue scorribande ci lascia innumerevoli spunti su cui riflettere. Riflessioni che devono andare oltre all’impatto emotivo perché, per chi ha seguito la sua storia, è stato come se fosse venuto a mancare qualcuno che si conosceva bene. In fondo un esempio di determinazione nel perseguimento degli obiettivi, seppur indotti da comportamenti umani sbagliati.

Non amo umanizzare gli animali, trovo che sia un po’ come sottrar loro qualcosa che è nell’essenza di ogni essere vivente. Il rispetto e l’affetto non sono dovuti solo agli uomini, ma soprattutto il rispetto è un sentimento che bisogna provare, come compassione ed empatia, verso tutti gli abitanti di questo fantastico e bistrattato pianeta.

M20, al secolo Juan Carrito, è uno dei quattro cuccioli nati nella primavera del 2020 nel Parco d’Abruzzo dall’orsa Amarena, una madre fantastica ma purtroppo confidente. Un’orsa che ha avuto un parto eccezionale con ben quattro cuccioli, evento rarissimo, riuscendo a farli crescere tutti. Un evento ancora più eccezionale del parto, considerando le mille insidie che popolano la vita di tutti i cuccioli, in particolare quelli di orso. Piccoli orsetti che corrono sempre il rischio di venire uccisi dai maschi della loro stessa specie, costringendo la madre a tenerli lontani dai pericoli.

La morte dell’orso Juan Carrito è stata una sorta di appuntamento a Samarcanda, voluto dagli uomini però

Amarena, già abituata a entrare nei paesi per cercare piante da frutto, in particolare proprio le ciliegie, ha iniziato a vivere sempre più vicino ai paesi. Per evitare ai suoi cuccioli incontri mortali, non immaginando quanto gli uomini sappiano, spesso, essere molto più pericolosi degli orsi maschi. Così nell’estate del 2020 Amarena è stata assediata ogni giorno da centinaia di turisti. Che volevano vederla, fare un video o una foto da postare sui social. Un assedio incessante che nemmeno i Guardia Parco e i Carabinieri Forestali sono riusciti a impedire.

Più Amarena e i suoi cuccioli venivano pressati, inseguiti e perseguitati più era facile che questa vicinanza potesse diventare fonte di problemi. Così il più intraprendente dei suoi cuccioli, che sono come quelli di uomo uno diverso dall’altro per carattere e temperamento, ha cominciato a imparare che non aveva motivo per aver paura delle persone. Una pessima visione del mondo, questa, per un animale selvatico, che per vivere bene deve avere paura di noi e non vederci come creature diverse ma socievoli. Una condizione, quella di provare paura nei confronti degli uomini che spesso rappresenta la sottile frontiera fra vita e morte. Oppure fra vita libera e una destinata a essere vissuta da prigioniero, come successo all’orso trentino M49.

Così, crescendo, Juan Carrito, che deve il suo nome proprio all’omonimo paese del Parco, ha cominciato a visitare fattorie e pollai, senza disdegnare apiari e altri insediamenti umani. Per poi iniziare a frequentare il centro di Roccaraso, arrivando perfino a entrare in una pasticceria del centro. Per queste e altre incursioni finì per essere catturato e portato in montagna, nella speranza che potesse restarci. Nulla da fare, dopo pochi giorni o settimane Carrito tornava a Roccaraso. Questo anche perché qualcuno lasciava cibo per attirarlo e il Comune non aveva messo in sicurezza i bidoni dei rifiuti.

La morte di Juan Carrito dovrebbe insegnarci ad avere più attenzioni verso il capitale naturale

Il Parco, anzi i parchi visto che Carrito faceva il pendolare fra il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, quello del Gran Sasso e dei Monti della Laga e l’area protetta della Majella, hanno fatto sempre il possibile per proteggerlo. Qualcuno potrà anche dire che non è stato fatto abbastanza, ma la realtà è che quando il danno è fatto non sempre è possibile ripararlo. Una volta diventato confidente Juan Carrito aveva, in fondo, solo due possibilità: morire da orso libero a causa di un incidente o finire la sua vita da orso prigioniero, in cattività, come per fortuna non è stato.

In Italia manca l’educazione sul modo di rapportarsi con le varie componenti naturali, che bisogna imparare a conoscere e a rispettare. Nessun animale selvatico deve essere antropomorfizzato, riconoscendo che le vite di uomini e animali si possono intersecare nella condivisione dei territori e delle risorse, ma senza sovrapporsi. Mondi che devono restare separati, nei quali gli uomini devono imparare a entrare e uscire in punta di piedi. Con la consapevolezza che la cosa più importante non è vedere o farsi una foto con l’orso, ma riconoscere la sua importanza senza interferire, nei limiti del possibile, con la nostra presenza.

Occorre poi frammentare quelle barriere continue costituite dalle nostre infrastrutture: strade e ferrovie non devono diventare ostacoli pericolosi e insormontabili. Occorre costruire corridoi ecologici, sottopassi, ponti e strutture idonee che consentano agli animali di potersi spostare senza essere costretti ad attraversare strade e autostrade. In Italia se ne parla da decenni ma la loro realizzazione resta sempre ferma al palo, mentre si continuano a teorizzare di opere faraoniche inutili e dannose, come il ponte sulla Stretto di Messina.

Impariamo ad avere coscienza delle nostre azioni, con la consapevolezza di poter creare grandi problemi alla biodiversità

L’orso marsicano è una sottospecie unica, un patrimonio importante costituito da poche decine di esemplari che devo essere considerati preziosi. Perdere un orso, anche un solo orso, rappresenta un enorme danno fatto alla biodiversità, considerando che proprio gli orsi sono considerati una specie ombrello fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio naturale. Difendere gli animali selvatici parte dall’avere comportamenti responsabili: guidare con attenzione e moderando la velocità specie di notte, non alimentando gli animali grazie anche a una corretta gestione dei rifiuti. Ma anche tenendo i cani sempre al guinzaglio quando si fanno escursioni in natura, senza inseguire mai gli animali per fare una foto.

Cerchiamo di veicolare solo informazioni corrette, diffondiamo le buone pratiche come quella di non alimentare e non interagire con i selvatici. Chiediamo ai politici che votiamo di attivarsi per la costruzione dei corridoi ecologici, per dare maggiori risorse in uomini e mezzi alle aree protette. Cerchiamo di essere tutti una componente attiva per la difesa dell’ambiente e di tutte le forme di vita, non fermiamoci a considerare solo gli animali “simpatici”. Ogni essere vivente è importante, ogni organismo ha un suo posto nella natura, anche se spesso non siamo in grado di conoscere quale sia.

Juan Carrito è diventato un simbolo che resterà nel cuore di tutti le persone che si sono in qualche modo occupate di lui. Non lasciamolo diventare un’icona vuota e priva di contenuti, ma trasformiamolo in un animale che è stato capace di indicarci i nostri errori, di insegnarci che non c’è amore senza rispetto e che ogni animale ha caratteristiche uniche e inimitabili. Non esistono animali buoni o cattivi, mentre esistono individui profondamente diversi fra loro, per carattere e comportamento, proprio come lo siamo noi, senza però avere fini diversi che non siano il perseguimento della propria esistenza e della perpetuazione della specie.

Diritti umani e animali: un cammino ancora lungo per realizzare il sogno

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Diritti umani e animali: un cammino ancora lungo da percorrere per realizzare il sogno di poter vivere in un mondo diverso, migliore. Guardando la realtà che ci circonda, quello che ogni giorno succede nel mondo, vediamo un pianeta senza equità e senza giustizia. Un meraviglioso pianeta dove quello che più manca è l’armonia, intesa secondo un concetto olistico che abbraccia tutti gli esseri viventi. Questa considerazione porta a una domanda, destinata purtroppo a avere una risposta che non vorremmo né sentire, né accettare. Se non riusciamo a garantire uguali diritti agli individui della nostra specie, potremo mai davvero garantirli agli animali?

Probabilmente no, non sino a quando non ci sarà rispetto vero per i diritti umani. Più facile essere attenti verso chi ci somiglia, piuttosto che verso individui diversi, che non sono neanche in grado di usare parole per comunicare. Bisogna essere dei sognatori nella vita, che non guardano gli ostacoli ma solo i traguardi, capaci di lavorare giorno dopo giorno per raggiungere obiettivi impossibili. Occorre però essere realisti, vedere le cose per come sono, non per come vorremmo che fossero. Solo la conoscenza dello scenario può portare a trovare strategie di cambiamento.

Possiamo sperare che sia riconosciuta come atroce la condizione degli animali che solcano mari e oceani sulle navi stalla, se consideriamo come un “carico residuale” uomini disperati soccorsi in mare? Davvero possiamo credere alla volontà di difendere l’ambiente, e quindi la nostra esistenza, senza che questo comporti la fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo? Ci preoccupiamo molto più di tutelare il nostro benessere, che di pensare come risolvere problemi planetari fondamentali. Per questo dovremmo operare per cambiare gli obiettivi e allargare gli orizzonti. Unendo sotto un’unica bandiera tutti i diritti.

Diritti umani e animali sono un unico problema: bisogna battersi per il loro rispetto

Il razzismo non esiste, non perché non ci siano discriminazioni per questioni di colore della pelle, culture e religioni ma perché non esistono le razze. Esiste la nostra specie, con tutte le sue differenti caratterizzazioni, inclinazioni, credo e modi di vivere, ma tutti gli uomini sono uguali. Esaperare le differenze serve soltanto a non far identificare la nostra appartenenza a un’unica collettività umana. Alla quale, universalmente, dovremmo riconoscere gli stessi identici diritti. Già questo passaggio potrebbe servire a contribuire alla soluzione di molte problematiche ambientali e verso gli altri animali. Animali come lo siamo noi.

Se davvero riconoscessimo a tutti gli uomini il diritto di accedere al cibo necessario e all’acqua pulita saremmo costretti a cambiare lo stile di vita occidentale. Dovremmo riconoscere a tutta la nostra specie il diritto alla libertà e alla necessità di condividere le risorse planetarie. Senza distinzione di genere, di orientamento sessuale o di religione. Dovremmo chiudere le fabbriche di proteine animali e destinare l’agricoltura all’alimentazione delle persone, ma oggi la parte più rilevante di mammiferi che vivono sul pianeta è costituita dai bovini d’allevamento. Che rappresentano da soli circa il 60% della biomassa, mentre gli uomini sono “soltanto” al 36%.

Questo per far comprendere che non si possono difendere i diritti degli animali senza rispettare gli uomini. Non si può dire di amare gli animali, voltando la faccia dall’altra parte quando il Mediterraneo diventa un cimitero. Bisogna smettere di credere e far credere che difendendo i confini e la nostra economia salveremo prima l’Italia, poi l’Europa e infine il mondo. I nostri egoismi finiranno per ammazzarci: per guerre, carestie e mutamenti climatici.

Bisogna insegnare la tolleranza e la condivisione di un mondo che non può più ruotare su economia e prepotenza

La realtà, di cui si parla sempre troppo poco, dimostra che i maltrattamenti che noi infliggiamo agli animali sono gli stessi che noi facciamo patire agli esseri umani. Con numeri inferiori perché gli uomini sono meno, ma quello che accade in molti allevamenti o nei canili lager succede giornalmente nei campi profughi della Libia o nelle carceri di buona parte del mondo. A cominciare dalle nostre di prigioni, come dimostrano le inchieste giudiziarie. Quindi se non vogliamo considerare la battaglia dei diritti come irrimediabilmente persa dobbiamo cambiare le regole del gioco, la cultura, dobbiamo iniziare a coltivare empatia e compassione.

A molte persone questo potrà sembrare un discorso senza senso, una via di mezzo fra un’utopia irraggiungibile e il contrasto perdente a un mondo che non cambierà. Eppure riflettendoci senza pregiudizi dobbiamo ascoltare quello che la scienza, inascoltata, ci sta dicendo da diversi decenni: se non cambiamo modello di vita finiremo per estinguerci. Riconoscere gli altrui diritti potrebbe essere, banalmente, l’unico sistema per assicurarci un futuro. Per dare ai giovani la speranza reale di un mondo diverso, che si concretizzi nei fatti e non negli equilibrismi della politica.

Il cambiamento non è mai facile, e chi sostiene che basterebbe poco è davvero molto poco credibile. Cambiare stile di vita, modificare bisogni e adattare i pensieri costa una fatica immane. Non c’è molto di facile nel nostro futuro, ma prima smettiamo di farci raccontare bugie, cercando di ragionare sulla base dei fatti, e meno dolorosa sarà la via. E sarà più facile affrontarla tutti insieme, piuttosto che subirla divisi in piccoli irriducibili gruppi. Iniziamo proprio dal riconoscimento dei diritti basilari, che devono essere garantiti a tutti. Che potrebbero essere gli stessi indicati nelle 5 libertà minime, individuate da Brambell per gli animali, già nel lontano 1965:

  • libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione, mediante il facile accesso all’acqua fresca e a una dieta in grado di favorire lo stato di salute
  • libertà di avere un ambiente fisico adeguato, comprendente ricoveri e una zona di riposo confortevole
  • libertà da malattie, ferite e traumi, attraverso la prevenzione o la rapida diagnosi e la pronta terapia
  • libertà di manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche, fornendo spazio sufficiente, locali appropriati e la compagnia di altri soggetti della stessa specie
  • libertà dal timore, assicurando condizioni che evitino sofferenza mentale.

Sfondare le gabbie della comunicazione sugli animali, per non parlare solo ai sostenitori

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Sfondare le gabbie della comunicazione sugli animali, liberandosi dalla ricerca del consenso e mirando a fare informazione di qualità. Cambiando il tipo di informazione, liberandola dagli stereotipi e cercando di essere coinvolgenti. Per non parlare sempre alla platea delle persone già attente, ma per coinvolgere quanti, ai temi dei diritti animali, non si sono mai avvicinati. Qualcuno potrebbe pensare che sia una cosa ovvia, ma per chi si occupa di comunicazione non lo è affatto. La ricerca del consenso e del sostegno, anche economico, porta a investire molto sempre sulla stessa platea e troppo poco sul grande pubblico.

Certo la comunicazione emotiva rappresenta una facile scorciatoia, capace di creare consensi, like e condivisioni. Se l’obiettivo, però, è quello di diffondere buona informazione in questo modo ci si allontana, e molto, dallo scopo. La necessità è quella di coinvolgere non solo i cosiddetti “animalisti”, termine orrendo, ma di intercettare chi potrebbe essere interessato a ricevere nuovi spunti di informazione. Per farlo occorre uscire da alcuni recinti mentali, non sempre così disinteressati, e puntare diritti verso l’obiettivo: per cambiare le cose serve aumentare il numero di orecchie e di occhi. Smettendo di accontentarsi di parlare sempre solo a chi è già d’accordo.

I diritti degli animali vanno comunicati, ma anche scomposti: esistono i diritti, che hanno un valore fondamentale costituito da rispetto, compassione e empatia. Solo dopo arrivano le sotto categorie, le divisioni lessicali, ma prima di essere umani o animali i diritti costituiscono valori inalienabili. Che andrebbero sempre difesi con le unghie e con i denti, anche a costo di graffiare. Se il concetto è condivisibile allora potrete continuare nella letteratura, diversamente questo articolo non fa al caso vostro.

Sfondare le gabbie della comunicazione sugli animali è possibile cambiando la costruzione del racconto

La natura non è disneyana, non è affatto buona per definizione, ma segue precisi disegni che a seconda degli occhi di chi li vive, possono cambiare di prospettiva. I lupi, per usare un animale divisivo, non sono simpatici per definizione, semmai sono indispensabili al mantenimento degli equilibri naturali. Ci sono persone che non condivideranno mai il concetto “io amo i lupi”, ma che potrebbero diventare degli strenui difensori del predatore se conoscessero meglio l’importanza della sua presenza. Perché questo avvenga è importante riuscire a divulgare le informazioni in modo corretto: il fine è quello di informare, non di compiacere.

Sfondare le gabbie della comunicazione sugli animali è molto più complesso che fare una dichiarazione d’amore. Amare qualcuno è una buona partenza, ma solo quando questo sentimento è perfettamente sovrapponibile al rispetto. Per questo l’obiettivo dovrebbe essere, sempre, quello di far comprendere il valore del rispetto, senza mai disgiungerlo da quello dell’amore. Sentimento che certe volte, per troppi animali, si trasforma in una gabbia dalla quale è impossibile scappare. Basti pensare a quanti dichiarano di amare il proprio cane, dimenticandosi dei suoi bisogni per soddisfare i propri desideri.

Un esempio d mancanza di comunicazione positiva lo troviamo spesso proprio in molti che si professano amati degli animali. Costringendoli a vivere in gabbia oppure alimentando il commercio dei cuccioli della tratta o ancora comprando cani brachicefali che non respirano. Forse per amore, certamente per egoismo. Per questo è importante allargare la platea di chi può essere coinvolto nella difesa dei diritti, rispetto a quanti si limitano a sollecitare solo la loro componente emotiva.

Difendere i diritti degli animali può voler dire anche andare contro corrente

Cercare di fare corretta informazione può creare spazi di critica, una cosa che deve essere accettata sino a quando tutto si svolge nel contesto di commenti educati. Il pensiero resta libero e non esistono verità assolute, in nessun campo; certo più ci si avventura sui sentieri fin troppo battuti della propaganda e più si rischia di inciampare. Proprio come fanno quelle persone che ancora oggi sono capaci di affermare che i lupi sono stati reintrodotti in Italia. magari con l’aiuto degli elicotteri.

Nonostante le mille emergenze ambientali e la perdita verticale di biodiversità, l’attenzione verso questi problemi non è ancora sufficientemente alta. Eppure per garantite il diritto di esistere, a persone e animali, dobbiamo tutti cercare di essere parte attiva, forse del più grande e rapido cambiamento che sia mai stato richiesto alla nostra specie. Che dopo anni di allarmi inascoltati, si trova di fronte a un bivio senz’appello: cambiare o vivere il peggiore degli incubi. Se non arrivare realmente all’estinzione entro l’Antropocene.

Questo è uno dei motivi sul perché sia così importante cambiare anche i modelli comunicativi. Bisogna essere attenti a non condividere notizie false, solo perché verosimili, non bisogna credere a tutto quello che circola in rete senza verificare, senza guardare la realtà con occhio critico. Quando l’informazione veritiera è difficile da veicolare quella che alimenta il mondo del falso sembra sempre ottenere sempre più credito. Ognuno di noi può fare la differenza, perché fra i diritti da difendere c’è anche quello alla verità e tutti possiamo essere ambasciatori del cambiamento.

Jova Beach Party 2022: il messaggio che arriva purtroppo è color verde acido

Jova Beach Party 2022

Jova Beach Party 2022 è un happening itinerante sulle spiagge italiane che ha suscitato polemiche già prima di partire. In fondo un po’ l’esatta replica di quello che era successo nel tour precedente del 2019, prima che la pandemia fermasse tutto. Ieri sera a Lignano la prima data che ha visto arrivare al Jova Village, rigorosamente sulla spiaggia, decine di migliaia d persone. Qualcuno dirà che le polemiche sono strumentali, che quest’ambientalismo estremo ha stufato, specie quando se la prende con spettacolo e divertimento. Però proteste e dissensi anche quest’anno non sono così sommessi.

Nonostante la presenza di una grande associazione ambientalista come il WWF come garante, una scelta che sembrerebbe aver fatto imbestialire molte sezioni e attivisti del panda. Che forse non hanno capito il valore aggiunto di una manifestazione come questa, proprio come non lo riesce a capire chi scrive. In primo luogo perché una spiaggia, per quanto sfruttata e bistrattata come quella di Lignano (ma è solo la prima), è quello che viene definito un ecosistema costiero. A differenza di uno stadio o di un palazzetto per lo sport che certo non ospita molta biodiversità e che, per questo, è il luogo giusto per certi eventi.

Nelle altre spiagge che saranno sede del Jova Beach Party 2022 le polemiche stanno montando da mesi, con accuse, da dimostrare, di una certa noncuranza verso le problematiche ambientali. Così quello che doveva essere il monumento estivo alla difesa dell’ambiente, sensibilizzando il pubblico del “ragazzo fortunato”, sta incassando una serie di critiche. Anche da alcune sezioni del WWF, della LIPU e di Italia Nostra. Come riportato da alcuni giornali, anche se i più su questo argomento glissano.

Il Jova Beach Party 2022 promette di ripulire le spiagge, non solo quelle toccate dal concerto, ma questo forse non basta

L’organizzazione del tour parla di scelte attentissime sotto il profilo ecologico e della sostenibilità, grazie all’uso di prodotti riciclabili, di materiali che avranno una seconda vita. Non c’è ragione, al momento di dubitare che sia così, ma il messaggio green è stato da molti etichettato come un’operazione di greenwashing. Portando il colore del verde verso la tonalità del verde acido. Un concerto in spiaggia, in un ambiente antropizzato ma naturale, sta alla tutela ambientale quanto l’Autodromo di Monza verso l’omonimo Parco.

Certo puliranno le spiagge dopo il concerto, ma ci si chiede quanti dei rifiuti, seppur sostenibili, saranno finiti in mare nel frattempo. Quarantamila persone sono un esercito composito e non tutti, per una questione statistica, saranno accorsi per prendere lezioni di ecologia. Molti resteranno distratti come sono arrivati e certo saperli in uno stadio avrebbe lasciato tutti più tranquilli. Forse è proprio questa la nota stonata: voler parlare di ecologia e organizzare un rave in spiaggia.

Il messaggio non funziona: se lo si organizza con attenzione un concerto può essere fatto ovunque, anche nelle aree naturali. Una scelta che aveva già suscitato polemiche per il concerto di Vasco a Trento, con tutti i suoi annessi e connessi, orso M49 compreso. In un momento in cui non esiste un solo prodotto o catena che non parli di sostenibilità, di attenzione, mistificando in fondo il messaggio che viene lanciato con foga verde verso le orecchie del pubblico. Che deve fare una gran fatica per capire se questo corrisponde al vero. Ma fin troppo spesso il valore del messaggio, quello vero, finisce prima di iniziare,

La sostenibilità deve essere reale per non trarre in inganno: ci vuole etica nelle scelte e nella comunicazione

Il Jova Beach Party 2022 vuole essere un grande laboratorio di divertimento e sensibilizzazione sull’ambiente e quindi sui diritti. Il vero ombelico del mondo ora è l’equità climatica, l’accesso all’acqua pulita, la suddivisione delle risorse. Per rendere queste cose possibili, per farle uscire dal libro dei sogni occorre imboccare la strada dei cambiamenti, della finanza etica, della riduzione delle emissioni clima alteranti. Quindi il tour avrà solo sponsor in linea con questo pensiero?

Sembra di no, anche qui qualcosa si mette di traverso nell’ingranaggio. Scrive nel suo articolo Linda Maggiori, impegnata nella difesa delle tematiche ambientali, come partner, oltre al Wwf c’è anche la Banca Intesa San Paolo, “banca fossile numero uno in Italia”, nonché tra le top 5 delle banche che più finanziano il traffico di armi. Aggiungo che fra i partner c’è anche Fileni, un’azienda che alleva animali per scopi alimentari. Alcuni bio altri no, promettendo grande attenzione verso l’ambiente, la sostenibilità e i suoi lavoratori. Sarà un messaggio interamente veritiero, ma non stona in un momento nel quale si chiede di consumare meno carne?

Il messaggio in bottiglia, che ci si può augurare che venga trovato su una delle tante spiagge toccate dal tour, è che dal green al greenwashing il passo è breve. Un’artista come Jovanotti, che si pone come il guru del divertimento ambientalista, potrebbe davvero essere un’importante cassa di risonanza del messaggio per un mondo diverso. A patto di avere maggiore attenzione e di tornare a fare musica nei luoghi giusti.

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