Gli animali non sono peluche: impariamo a rispettare la loro diversità

animali non sono peluche

Gli animali non sono peluche: impariamo a rispettare la loro diversità se vogliamo davvero contribuire alla loro tutela. Scorrendo i post sui social ci si rende conto di come sia in atto, troppo spesso, un transfer emotivo nei confronti degli altri animali diversi da noi. Con una dilagante umanizzazione che sovrappone e confonde i piani, mescolando questioni e contribuendo a creare confusione. La loro e la nostra salvezza sta proprio nel riconoscimento della diversità e proprio questo serve a consentirci di difenderli in modo intelligente. Non creando quel rapporto emotivo che seppellisce conoscenza e rispetto sotto una coltre di improbabile quanto inappropriato affetto.

Ogni giorno si leggono vere dichiarazioni di amore verso lupi e orsi, che però,purtroppo, non sono supportate da una conoscenza delle necessità specie specifiche. In questo modo i nostri bisogni diventano i loro bisogni, le nostre ansie diventano le loro ansie. Ma questo porta a individuare forme d’aiuto che spesso peggiorano le loro condizioni di vita senza costituire un vantaggio. Questo comportamento viene attuato nei confronti di animali che sono molto distanti da noi, come i selvatici, ma anche verso gli animali di casa. Che vengono spesso soffocati sotto una coltre di affetto che impedisce loro di vivere da cani e porta a aberrazioni estetiche per farli assomigliare a bambini.

L’amore diventa così solo un fardello ingombrante per chi è costretto a subirlo, come gli animali con i quali dividiamo la vita. Costituendo anche un motivo di scherno, che spesso ridicolizza proprio quelle battaglie messe in atto per la tutela dei diritti degli animali.

Gli animali non sono peluche e per questo abbiamo il dovere di imparare a conoscere le loro esigenze

Un esempio per tutti è stata l’ondata emotiva venutasi a creare dopo la vile uccisione dell’orsa Amarena. Che ha lasciato, come tutti sanno oramai, due cuccioli orfani. Dopo questo terribile gesto è cresciuto il bisogno di umanizzazione dei piccoli. Orfani e senza madre, in mezzo a mille pericoli per colpa degli uomini. Unendo nel calderone sia chi ha sparato che quanti non li mettono al sicuro. Valutando nel cibo e nella protezione la soluzione contro ogni pericolo, senza riflettere che la loro cattura si potrebbe tradurre in una cattività senza fine. Un danno per gli orsetti che si vorrebbero difendere.

Gli animali selvatici non sono uomini e i loro cuccioli non sono bambini. Quello che sembra voler sottolineare una banalità è invece una realtà che corrisponde ai sentimenti di moltissime persone. Ma la natura ha regole diverse, sicuramente non temperate dell’emotività, ma asservite alle necessità della perpetuazione della vita. Un’esistenza completamente differente dalla nostra, costituita da grandi difficoltà nel vivere che stanno alla base, fra l’altro, dell’alto tasso di mortalità nei cuccioli di tutte le specie. Accorciando anche la vita anche degli animali adulti, che risulta essere ben più breve della longevita raggiungibile da soggetti della stessa specie se tenuti in cattività. Una vita lunga ma non paragonabile alla pienezza di quella in libertà, perdendo per un animale selvatico la ragione di essere vissuta.

Non serve mettere cibo per i cuccioli di Amarena e non bisogna mai alimentare gli animali selvatici

Il pericolo di una cattività permanente è una delle ragioni per le quali non si catturano i cuccioli di Amarena, cercando sempre di non creare inteferenze nelle vite degli animali selvatici. Per lo stesso motivo si cerca, con ogni mezzo, di far comprendere alle persone che non bisogna dare cibo agli animali selvatici, per non renderli condidenti nei nostri confronti. Provando a spezzare quella catena in cui si mescola si mescola scarsa conoscenza dei bisogni con la soddifazione della propria emotività. Cercando a tutti i costi un rapporto, che nella realtà è un condizionamento: la volpe a bordo strada non aspetta di giocare con l’uomo ma solo di ricevere cibo. Rischiando di diventare la stessa volpe che guarderemo con occhio triste, quando sarà uno dei tanti cadaveri di animali investiti sulle strade, dalle quali dovrebbero invece star lontani.

Un orso o un lupo non vogliono essere amati, vorrebbero solo essere rispettati per poter condurre, liberi, la loro esistenza

In questo sta l’importanza di fare divulgazione, di lavorare per ottenere una diffusione delle informazioni che permetta di ampliare la platea di quanti conoscono gli equilibri naturali. Comprendendo che per poter vivere in pace i nostri mondi, umani e non umani, devono restare il più possibile lontani, senza rapporti ravvicinati. per la loro salvezza e la nostra sicurezza. Quella conoscenza che porta a riconoscere come falsa la convinzione che sia la carenza di cibo a portare orsi e lupi a frequentare gli abitati. Quasi si trattasse di una sorta di comportamento disperato dettato dalla carenza di risorse alimentari che, invece, non mancano.

Lasciare cibo nei boschi per alimentare i cuccioli del’orsa Amarena, per esempio, potrebbe non solo essere inutile, ma diventare controproducente, contribuendo a attrarre altri animali che potrebbero mettere in pericolo le loro vite. Il vero modo intelligente di aiutare la natura e tutelare la biodiversità è sempre quello di intervenire il meno possibile per non incrinare gli equilbri. Un colpo di fucile ha spezzato la vita di Amarena e messo in pericolo i cuccioli, ma non esistono interventi umani in grado di riavvolgere il film all’attimo prima dello sparo. Non serve cibo, serve rispetto e attenzione, dove l’intervento umano deve sempre essere visto come l’ultima possibilità.

Per far aumentare nell’opinione pubblica la consapevolezza sull’importanza e l’urgenza di difendere gli animali e i loro diritti dobbiamo essere credibili. Per questo occorre evitare di riversare le nostre emozioni su animali incolpevoli, che ne farebbero spesso volentieri a meno. Gli animali selvatici e quelli che vivono con noi non possono leggere i commenti sui social pieni di cuoricini, mentre vorrebbero poter condurre in pace le loro pur complesse vite. Non cercano fan e like, ma soltanto l’opportunità di potersi comportare secondo le proprie esigenze etologiche. Un desiderio più che comprensibile, che troppe volte mettiamo in secondo piano.


Uccisa in Abruzzo l’orsa Amarena, madre dell’orso Juan Carrito: un’altra perdita annunciata su cui riflettere

Uccisa orsa Amarena
Foto PNALM risalente all’estate 2021

Uccisa in Abruzzo l’orsa Amarena, madre dell’orso Juan Carrito, l’orso confidente più famoso di Europa, morto a seguito di un investimento stradale nel gennaio di quest’anno. La storia di Amarena parte da molto lontano ed è quella di un’orsa diventata confidente a causa delle continue interazioni con gli uomini. Quando un orso come Amarena perde la naturale e auspicabile diffidenza nei confronti dell’uomo, diventa un fenomeno da baraccone per troppi, nonostante l’incessante lavoro del Parco per proteggerla. Raggiungendo il culmine della pressione nell’estate del 2020, quando Amarena partorì ben 4 cuccioli e nella zona dei paesini della Marsica scoppiò il caos.

L’orsa fu messa sotto assedio da turisti a caccia di una foto, ma anche dai fotografi professionisti che non volevano rinunciare a documentare questo evento eccezionale. E così Amarena già nota per le sue incursioni nei paesi come Rocca dei Marsi, San Benedetto e altri, si abituò sempre più agli uomini. La nostra specie risultava infinitamente meno pericolosa degli orsi maschi, che per le femmine con cuccioli rappresentano il pericolo più grande. I maschi di orso tendono, infatti, a uccidere i cuccioli, per far andare nuovamente in estro le femmine.

In un contesto diverso, come il Trentino, un’orsa come Amarena sarebbe già stata catturata o uccisa, ma in Abruzzo la gestione è diversa. E diversa è anche l’accettazione delle persone nei confronti degli orsi, che non può essere messa in discussione per il gesto criminale di un singolo. La comunità abruzzese conosce l’importanza degli orsi, sia sotto il profilo ambientale che economico. Gli orsi, in Abruzzo, sono una fonte di ricchezza, grazie anche a un ente parco che fa tantissime attività divulgative e educative. Facendo comprendere l’importanza di un patrimonio unico come quello degli orsi marsicani.

Uccisa in Abruzzo l’orsa Amarena, una perdita per la biodiversita e una sconfitta per gli uomini

Ancora prima di conoscere l’esatta ragione che ha portato un residente a sparare a Amarena si è già messo in moto il solito circo mediatico. Fatto di attacchi a 360°, di affermazioni a effetto fatte senza nemmeno conoscere ancora la realtà. Dove tutto si focalizza sulle responsabilità di chi ha sparato e sull’odio che la politica, e questo governo in particoolare, cavalcano per interesse elettorale. Con la solita invocazione a pene e processi esemplari, che non ci saranno perché i giudici possono solo applicare la legge, non possono inventarsela. E le leggi a tutela della fauna sono da sempre fatte per non punire troppo severamente cacciatori e bracconieri.

Certamente chi ha ucciso Amarena andrebbe punito in modo esemplare. Non può essersi trattato di un atto di legittima difesa perché il responsabile del gesto poteva restare chiuso in casa. Ma le colpe, come accadde per Juan Carrito, sono tante e eticamente non meno gravi, in senso ovviamente relativo, di quelle dello sparatore. Non possiamo dimenticare, e facendolo non aiuteremmo certo gli orsi e gli animali selvatici in generale, delle responsabilità di quella moltitudine di umani che hanno comportamenti sbagliati. Talvolta per una mancata riflessione, per assenza di educazione naturalistica, altre volte per ragioni meno nobili.

Ci sono persone che hanno atttirato deliberatamente, con azioni o omissioni, Juan Carrito e Amarena nei paesi, lasciandogli cibo, non gestendo i rifiuti, usando in qualche caso esche attrattive per fare fotografie. Una realtà denunciata da tempo, sulla quale non si è riusciti a incidere in modo importante. Come la gestione dei rifiuti che molte amministrazioni comunali non hanno ancora reso sicura, con strutture che impediscano ai selvatici di nutrirsi della frazione umida.

Amarena è stata uccisa perché “orso confidente”, cioè un morto che cammina, come sa bene chi si occupa di convivenza con i grandi carnivori

Amarena è stata uccisa da un criminale, ma non è morta per questo. E’ morta perchè era stata resa confidente, Se non si riesce a comprendere la causa e si continua a guardare solo all’effetto non faremo grandi passi avanti nella coesistenza. L’anello debole della catena non è chi ha sparato, ci saranno sempre folli e delinquenti, ma chi ha reso Amarena un’orsa che portava a spasso i suoi cuccioli nei paesi. Certo l’indignazione ha sempre più presa del ragionamento e essere forcaioli paga sempre in termini di consensi.

Un colpevole soddisfa, lava le cattive coscienze e permette ragionamenti semplici, come quelli contenuti in molti comunicati stampa che sto ricevendo in queste ore.

Se però si vede un obiettivo di periodo sarebbe più utile interrogarsi sui motivi di questa nuova sconfitta. Comprendendo che prima della rigorosa applicazione della legge sarebbe necessario far capire, anche a chi invoca la forca, che l’unica reale difesa della fauna è il rispetto, delle regole e degli animali. Occorre un cambiamento di rotta perché gli orsi non sono belli e non sono peluche. Non bisogna comportarsi come fossero personaggi dei cartoni animati, diversamente ci scappa il morto.

La natura selvatica è meravigliosa ma perché continui a esistere va osservata a distanza, come ospiti rispettosi che entrano a casa d’altri, non come vocianti spettatori che entrano al circo. Bisogna capire i contesti, occorre una cultura nuova e molto più profonda di quella attuale. La vita sul pianeta non è un gigantesco social, dove tutto si fonde e perde contorno. Occorrono separazioni nette e consapevolezza, se no è davvero inutile piangere sul sangue dell’orsa Amarena. E ora vediamo cosa si potrà fare per salvare i suoi cuccioli, ancora troppo piccoli per essere autonomi. Un altro enorme danno per la popolazione veramente esigua di orsi marsicani.

Lupi, predatori e branchi usati per descrivere violenze: parole in libertà con poco senso e troppi pregiudizi

lupi predatori branchi

Lupi, predatori e branchi usati per descrivere violenze: parole in libertà con poco senso e troppi pregiudizi. Cercare di ricondurre comportamenti di sopraffazione, di mancato riconoscimento del valore e del rispetto dovuto a ogni individuo a riferimenti animali è un grave errore. Sotto il profilo scientifico con ogni certezza, ma anche come paragone diseducativo verso gli animali, usati in similitudini imbarazzanti. Che finiscono per stimolare, oltretutto, paura verso alcuni animali, che diventano così la rappresentazione della crudeltà.

Sarebbe ora di riconquistare il rispetto per le parole, con un linguaggio meno improntato ai luoghi comuni e più attento nel modo di fare comunicazione. Per evitare che i responsabili di uno stupro diventino branco, quasi a voler giustificare il comportamento individuale a causa del numero dei partecipanti. Una sorta di frenesia collettiva dove si finisce per assolvere le responsabilità di ogni soggetto, trasferendo la colpa a un branco di (umani) lupi. Andando a ripescare come sempre la storia di Cappucceto Rosso, che è favola intrisa di luoghi comuni e della narrazione di una malvagità falsa quanto stucchevole.

Se Cappucceto Rosso non fosse andata nel bosco da sola, per giunta vestita di rosso, il malvagio lupo non le avrebbe teso l’agguato. Nonostante il crescere della cultura scientifica e dell’etologia il nostro lessico non sembra essersi evoluto, evidentemente incapace di creare o usare meglio aggettivi e sostantivi. Senza necessità di doversi rifare agli animali, addebitando loro comportamenti biasimevoli. Così gli approfittatori diventano sciacalli o avvoltoi, i cattivi sono lupi o iene e i gruppi di ragazzi sbandati si trasformano in branchi di predatori.

Lupi, predatori e branchi sono usati per esiliare persone senza morale dal mondo degli uomini a quello degli animali non umani

Un concetto di alterità sembra voler paracadutare i colpevoli di atti vigliacchi dal nostro contesto sociale a quello degli animali che spaventano. Contribuendo, nel cercare questo allontanamento culturale, ad alimentare le paure verso molti animali, come i lupi, già abbastanza vessati da certa stampa. Eppure il branco è struttura sociale che protegge, che tutela i suoi appartenenti, con regole e gerarchie, quasi sempre con una leadership, attuando decisioni consapevoli che non accadono mai per caso. Ma oramai certi termini hanno lasciato il terreno della scienza e dell’etologia, per atterare nel mondo dove informazione e disinformazione si fondono.

Un mondo di mezzo, proprio come quello di molti dei protagonisti di queste brutte storie. Una realtà generata non dalla fantasia di uno scrittore ma dalla distrazione della società. Dall’aver abdicato al dovere di educare i giovani al rispetto, impedendo che la prevaricazione e la violenza si trasformino in un valore da emulare. Dal non aver insegnato che il rispetto va oltre all’apparenza, che l’aspetto o lo stato di una persona, ma anche di un animale, non autorizzano a considerarla una cosa, inanimata, incapace di soffrire. Una realtà che permea la cultura della nostra società, con una violenza spesso agita prima sugli animali e poi sulle persone.

Scientificamente i comportamenti violenti contro gli animali vengono visti come predittivi del possibile salto di specie, pericoloso come quello compiuto dai virus. Ma noi siamo più portati a ignorare che ad approfondire e così i responsabili di crimini violenti contro gli animali non vengono seguiti né vigilati. Lasciando che la violenza sia libera di crescere senza controllo, diventando capace di rovinare per sempre le vite, sia delle vittime che dei carnefici.

La violenza non si autogenera, ma certamente si autorigenera quando vengono sottovalutate le cause

La coesistenza fra uomini e animali non è solo un modo intelligente di vivere, riconoscendo l’importanza degli equilibri e la necessità vitale di mantenerli. Coesistenza significa insegnare l’importanza delle altre vite, il rispetto dovuto a ogni essere vivente e la necessità di evitare sofferenze inutili. La comprensione del fatto che ogni essere vivente possieda la capacità di soffrire serve a stimolare il riconoscimento dell’importanza di provare empatia e compassione, sentimenti che stanno alla base di una convivenza serena fra persone.

In natura il branco mette in atto strategie per vivere e difendere i suoi membri, il cosiddetto branco umano cerca di sopperire alla debolezza degli individui unendo la vigliaccheria dei singoli, dandogli corpo e aggressività. Portando a pessima conclusione quella cultura che ancora oggi, purtroppo, pone la donna un gradino sotto l’uomo, che ancora arriva a identificare in una minigonna una colpa. Quella cultura alimentata per decenni da programmi televisivi, film e giornali che hanno divertito (poco), costruendo un modello stereotipato e ottuso dei valori sociali.

Bisognerebbe investire per demolire modelli sbagliati, per diffondere valori e conoscenza, senza lasciare enormi sacche di degrado sociale e culturale. Cercando di intercettare la violenza quando si manifesta, per impedire che si amplifichi, che contagi con racconti e emulazioni. Comprendendo realmente che il capitale umano più significativo di una società è rappresentato dai suoi giovani, che vanno difesi e fatti crescere con l’idea che il rispetto debba essere a tutto tondo, abbracciando ogni mondo e ogni tipo di diversità.

Senza rispetto restiamo prigionieri in gabbie pericolose

senza rispetto restiamo prigionieri

Senza rispetto restiamo prigionieri in gabbie dove i valori positivi come l’empatia sono visti come forme di debolezza. Una sorta di resa verso i buoni sentimenti, che non permettebbe la scalata dell’individuo verso il successo. Un concetto tanto malato quanto pericoloso, che sta permeando la nostra collettività, come purtroppo le cronache ci restituiscono ogni giorno. Le conzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzdanne verso ogni tipo di violenza si sprecano, riempiono le pagine dei media, spesso con termini che riportano al comportamento degli animali, che però non hanno mai comportamenti di aggressività gratuita.

Tutto parte da un vuoto di valori causato da una voragine educativa, dal mancato insegnamento di valori fondamentali come rispetto, compassione, equità. Da social che straripano di esempi negativi, dove il successo non è meritato, ma spesso soltanto aggressivamente strappato e dove i valori sono diventati possesso, fama e denaro. Quando non si riconoscono le colpe di aver creato un sistema educativo inefficace si passa, sempre, a invocare strumenti eccezionali e spesso violenti nei confronti dei responsabili. Senza soffermarsi a riflettere sul fatto che sono gli esempi a creare comunità diverse e non (soltanto) le azioni repressive.

Ogni volta che un fatto grave viene commesso ai danni di soggetti fragili, siano uomini o animali, viene sempre invocato un inasprimento delle pene. Ma non sono le sanzioni a impedire la violenza, sia perché vengono applicate quando il fatto è già accaduto, sia perché le pene già ci sono ma non hanno il valore di deterrenza auspicato in una società che spesso non conosce norme e regole.

Senza rispetto restiamo prigionieri dei cattivi esempi che diamo ogni giorno

Sono i valori che contribuiscono a creare una società evoluta e civile e questi partono dal riconoscimento dei diritti. Riconosciuti a tutti gli esseri viventi e in particolar modo a tutti quei soggetti che non riescono a difendersi da soli. Forse per capire il problema dobbiamo proprio partire dal mancato riconoscimento dei diritti e in questo campo la nostra società da tempo sta fallendo. Ipocritamente spesso, neghiamo il diritto all’eutanasia di uomini sofferenti, ma consentendo che il Mediterraneo diventi, ogni giorno, una tomba liquida per migliaia di esseri umani.

Protestiamo contro l’abbandono degli animali domestici, ma continuiamo a trasportare animali vivi con ogni condizione metereologica per ragioni esclusivamente economiche. Sappiamo che la crudeltà verso gli animali rappresenti un comportamento predittivo di futuri atti violenti sugli uomini, ma preferiamo ignorare il dato. Conosciamo la sofferenza degli esseri viventi imprigionati, ma poco facciamo per evitare strutture sovraffollate e inumane per uomini e animali. Sapendo, per esempio, che le recidive di comportamenti criminali negli uomini dipendono anche da carceri che non rieducano, da violenze che dimostrano che l’unica legge è quella del più forte.

In questa schizofrenia comportamentale, fra abusi e violenze, stupri e illegalità, l’unica invocazione sembra essere l’inasprimento delle pene. Dimenticando che servono più scuole, migliore educazione, dimostrazioni, specie in politica, di valori etici non condizionati da tornaconti. Stiamo ritornando alla società forcaiola del vecchio West, anziché cercare di dirigerci verso la creazione di una società che rispetta le regole, insegna valori e, soprattutto, si comporta conseguentemente a quanto promette.

La vera rivoluzione culturale ci sarà quando ogni componente farà la sua parte

“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” predicava l’apostolo della non violenza, il Mahatma Ghandi. Che è stato capace di ottenere cambiamenti epocali grazie a un esempio, positivo, vero. Che ancora oggi tutti ricordano ma pochi seguono, con tutte le difficoltà che questo comporta, racchiuso nella nostra natura umana, tanto meravigliosa quanto contraddittoria. Mai come in questo periodo ci sarebbe bisogno di esempi, di schiere di persone di buona volontà che si adoperano per vedere il cambiamento. Per far risalire i valori dell’etica nella politica e quelli della gentilezza nella vita, anche in quella di tutti i giorni.

Considerando che i danni fisici sono visibili, ma che quelli causati nelle anime restano invisibili ai più, ma comunque troppo spesso insanabili per chi li ha subiti. Senza poter dimenticare che in questo tempo social spesso le tastiere fan più danni della spada e le parole non solo feriscono, ma diventano un perticoloso incitamento alla violenza e all’odio. Ci salveremo solo se lo faremo tutti insieme, difendendo i diritti e dando il giusto riconoscimento a doveri e valori!

L’attivita venatoria si sdoppia e raddoppia: minori tutele per fauna e cittadini e luna park sempre aperto

attività venatoria sdoppia raddoppia

L’attivita venatoria si sdoppia e raddoppia: minori tutele per fauna e cittadini e luna park sempre aperto, in modo decisamente scandaloso ma anche molto, molto pericoloso. Il provvedimento pubblicato in Gazzetta Ufficiale, che regola le nuove modalità di abbattimento, ha per titolo “Adozione del piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica“. Da subito appare evidente che l’obiettivo non sia agevolare la coesistenza, ma ancora una volta arrogarsi la sapienza di gestire la fauna, guardandola come un nemico.

La prima cosa che salta all’occhio leggendo il piano è che di fatto l’attività venatoria si sdoppia e raddoppia: una cosa resterà la caccia, con le sue regole, altro il contenimento faunistico. Quest’ultimo avrà regole diverse e non costituirà attività di caccia, quindi anche l’eventuale vittoria di un referendum non chiuderebbe questo nuovo luna park regalato ai cacciatori. Una scelta decisamente in direzione contraria rispetto a quella di cercare di lasciare spazio alla natura, di creare nuovi spazi di maggior tutela e minor pressione antropica.

Nel nostro paese il mantra più diffuso non è sulla necessità di ricreare un equilibrio nuovo, con la finalità di contribuire alla mitigazione dei danni antropici, ma bensì quello di non danneggiare l’economia. Raccontando che il nemico, la fauna, distrugge i raccolti, diminuisce le risorse e non ultimo genera costi. Motivo per cui non si deve pensare alla coesistenza ma bensì alla riduzione del numero degli animali considerati ostili: dai cinghiali ai conigli, dai mufloni alle nutrie. Lasciando aperta la porta all’abbattimento degli ibridi, con ovvio riferimento ai lupi.

L’attivita venatoria si sdoppia e raddoppia, con ogni mezzo e in ogni tempo: un Far West legalizzato e irragionevole

Si riportano di seguito, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, gli strumenti tecnicamente piu’ efficaci per la rimozione
selettiva degli animali: a) reti, gabbie e trappole di cattura; b) ottiche di mira anche a imaging termico, a infrarossi o intensificatori di luce, con telemetro laser, termocamere; c) fucile con canna ad anima liscia o rigata a caricamentosingolo manuale o a ripetizione semiautomatica classificate come armi da caccia o armi sportive. Salvo quanto diversamente disposto dallenormative vigenti in materia di armi, per i fucili con canna ad anima rigata e’ consentito l’utilizzo di ogni calibro, anche con diametro del proiettile inferiore a millimetri 5,6 e con bossolo a vuoto dialtezza inferiore a millimetri 40; d) arco tradizionale (longbow, flatbow, ricurvo) di potenza noninferiore a 50 libbre a 28 pollici di allungo e arco compound dipotenza non inferiore a 45 libbre a 28 pollici di allungo e frecce con punta munita di lame; e) fucili ad aria compressa di potenza superiore ai 7,5 Joule; f) strumenti per telenarcosi (fucili, cerbottane); g) strumenti per coadiuvare l’osservazione e il riconoscimentodegli animali (binocolo, cannocchiali, ottiche a imaging termico,intensificatori di luce e visori a infrarossi dotati di telemetrolaser); h) camera di induzione per eutanasia; i) strumenti di videosorveglianza nel rispetto delle normative e disposizioni in materia di privacy e trattamento dei dati personali; j) falco (unicamente per le specie autoctone delle famiglie degli Accipitridae, Falconidae, Strigidae e Tyonidae); k) richiami acustici, sia elettronici che meccanici; l) stampi e richiami impagliati, anche di specie diverse da quella oggetto di controllo; m) richiami vivi unicamente della specie oggetto di controllo, purche’ siano detenute ed utilizzate nel rispetto di tutte le normevigenti in materia di benessere animale; n) esche alimentari/olfattive attrattive (foraggiamento attrattivo, opportunamente regolamentato).

Comma 2, punto 3 dell’allegato 1 al piano straordinario di contenimento della fauna

Se non consideriamo le armi da guerra possiamo affermare che ogni mezzo sia consentito per raggiungere l’obiettivo, senza andare troppo per il sottile. Una deregulation che consentirà di sparare dalle macchine, di notte, con il silenziatore, con armi di qualsiasi calibro, solo per dare un’idea della pericolosità del provvedimento, per animali e persone.

Il delirio di onnipotenza porta a una gestione faunistica dannosa, mettendo l’uomo al centro e gli animali ai margini

I media non hanno dato il giusto risalto a questo provvedimento, che supera ogni immaginazione, ma anche ogni possibile idea del limite invalicabile per la difesa di ambiente e biodiversità. Certo il mondo venatorio e una buona parte di quello agricolo diranno che questo piano servirà al contenimento di specie alloctone e/o invasive che minacciano i raccolti. Ma un piano di gestione faunistica che consente di abbattere animali in ogni tempo e con mezzi impensabili non può essere considerato uno strumento intelligente. Resta aperta, per fortuna, la possibilità che l’Europa ci chieda profonde modifiche per non aprire quella che appare come l’inevitabile procedura d’infrazione.

L’articolo 19-ter, apena introdotto nel corpo della legge 157/92 stabilisce che: “Le attivita’ di contenimento disposte nell’ambito del piano di
cui al comma 1 (il piano di contenimento faunistico n.d.r.) non costituiscono esercizio di attivita’ venatoria e sono attuate anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto
“. Che tradotto in pratica significa poter cacciare animali sempre e dovunque, senza limiti temporali o di luogo!

In tempi come questi, nei quali la lungimiranza non dovrebbe essere più considerata solo una dote ma un obbligo, chi governa ha dato corpo e vita a un mostro. Con una visione del futuro che non arriva oltre alle scadenze elettorali, dimostrando tutti i limiti di una politica obbligata a pagare i debiti elettorali piuttosto che a difendere gli interessi dei cittadini.

Rimozione degli orsi problematici in Trentino: non essere d’accordo non significa essere estremisti

rimozione orsi problematici Trentino

Rimozione degli orsi problematici in Trentino: non essere d’accordo non significa essere estremisti, ma solo fortemente in contrasto con una gestione irresponsabile. Questa riflessione scaturisce dall’infinita polemica che ogni volta identifica i contrari all’abbattimento o alla captivazione come animalisti da salotto. Adducendo come motivazione il fatto che la rimozione di qualche animale contribuirebbe a innalzare il tasso di accettazione della popolazione. Un’idea che potrebbe avere (forse) un fondamento se scaturisse da un progetto gestito in modo inappuntabile sotto ogni profilo, compreso quello dell’identificazione degli animali problematici.

Leggo che per esperti e scienziati il progetto è stato un successo e personalmente credo che lo sia stato solo in parte. Il progetto, infatti, prevedeva che dal ripopolamento in Trentino si potessero ripopolare le Alpi orientali, e questo non è accaduto se non in modo sporadico. Il secondo fallimento è rappresentato proprio dall’ostilità delle amministrazioni che si sono succedute nel tempo, che non hanno mai messo in atto in modo completo e compiuto le azioni necessarie. Queste sono le due certezze al momento. Il parziale successo è rappresentato dalla crescita, non esponenziale come qualcuno vorrebbe far credere, della popolazione ursina.

Quindi successo parziale e intolleranza alle stelle, alimentata dalla politica che la cavalca gioiosamente cercando di trarne vantaggi. Facendo dimenticare che è stata la stessa politica a fallire, non mettendo in atto quello che doveva fare per dare un senso a quel progetto. Ma anche per dare un senso ai soldi investiti dall’Europa che ha finanziato questo LIFE. Qualcuno, nello stato attuale delle cose, può davvero credere che la rimozione di qualche orso potrebbe rasserenare gli animi? Oppure come prevedibile aprirebbe le porte, anzi le spalancarebbe, a un crescendo di richieste di liberare le Alpi da quello che viene, stupidamente, visto come un intruso?

Rimozione degli orsi problematici in Trentino: ma l’orsa Jj4 è davvero un’orsa problematica oppure è solo la seconda vittima?

La tragica morte di Andrea Papi è da attribuire a un orso instabile e caratterialmente pericoloso, oppure a una mancanza di informazione che ha aumentato il rischio? Con la consapevolezza che, per tutti noi, il rischio di morte a seguito di incidente è una spada di Damocle che pende ogni giorno sulle nostre teste. Non serve essere in Trentino, non è necessaria la presenza di un orso a giudicare dal ragguardevole numero di morti fra i ciclisti in un anno. Un numero di morti esponenzialmente più alto, rispetto a quello causato da grandi carnivori in Europa nell’ultimo secolo. Eppure, pur comprendendo il comprensibilissimo risentimento della famiglia, questa orsa è stata individuata come la causa della morte, e non come l’effetto di quanto non fatto. Di una formazione e informazione prevista dal PACOBACE e mai realizzata.

Il famoso o famigerato PACOBACE, il piano di gestione degli orsi, identifica diversi casi di problematicità, che vanno collegati anche alle situazioni. In caso l’orso difenda i suoi cuccioli si concretizza una situazione di alto pericolo, che prevede azioni di dissuasione, rimozione per traslocazione o abbattimento. Sul potenziale pericolo nessuno fa questioni: una madre difende sempre i suoi cuccioli, dalla cornacchia all’orso e questo aumenta progressivamente rispetto alla possibilità offensiva dell’animale. Ma posto che i cuccioli stanno alla base di ogni piano di popolamento possiamo pensare di elinare il potenziale pericolo catturando tutte le orse?

Possiamo criticare il comportamento degli orsi che si avvicinano ai masi dove vengono lasciati rifiuti e alimenti oppure ai luoghi di foraggiamento? E’ giusto lamentarsi se dopo trent’anni ancora mancano i cassonetti per rifiuti a prova d’orso? Possiamo davvero ritenere questi animali colpevoli, assolvendo nel contempo amministratori incapaci di gestire un problema che andava, da tempo, affrontato con buon senso?

Accettare questa politica di rimozione insensata e mal gestita è impossibile per ogni persona di buon senso

Tutti i ragionamenti che partono dicendo che ci sono “troppi” animali rappresentano scorciatoie demagogiche, che prendono a calci nel sedere scienza e scienziati. Se ci sono un certo numero di orsi significa che il territorio mette a loro disposizione le risorse necessarie. Se una parte di queste risorse è data da rifiuti, siti di foraggiamento, bestiame lasciato al pascolo incustodito la responsabilità è umana. Se si vuole sfruttare una tragedia forse evitabile, come la morte di Andrea Papi, per usarla come scusa per giustificare un periodo di abbattimenti questo è scorretto.

Dobbiamo pensare di mettere in campo azioni che stimolino la coesistenza, perché se la serena convivenza può sembrare difficile la coesistenza è una necessità. Per questo è importante richiedere agli amministratori azioni concrete e non promesse, perché se per Coldiretti il problema sono i cinghiali per le persone di buon senso il danno sono le azioni promesse e mai realizzate. Così come la messa in campo di progetti incomprensibili, come un nuovo centro di detenzione per orsi problematici, che diventerebbe per i plantigradi l’equivalente dei canili per i randagi. Un posto dove mettere tutti gli orsi indesiderati, che per l’amministrazione Fugatti sarebbero già lora una cinquantina.

La rimozione di qualche orso non servirebbe a nulla, sino a quando la politica non smetterà di gettare benzina sul fuoco. E gli esperti credo che dovrebbero riflettere prima di sostenere in modo acritico che questo risolverebbe i conflitti. In un paese ideale i conflitti sarebbero gestiti sul nascere, mentre spesso in Italia la gestione è assente, divorata dalla necessità di avere consenso elettorale. Li si annida il pericolo per i cittadini, nelle scelte scellerate giustificate dalla paura, che viene fatta lievitare e alimentata ogni giorno.

Mastodon