Cuccioli venduti come fossero smartphone, con annunci sulla rete che invitano a comprarli. Seguendo gli algoritmi di Google, proposti a chi evidentemente legge spesso post sugli animali. Nulla di illegale, tutto perfetto e secondo le regole, per un venditore che peraltro è stato già oggetto di indagini e polemiche.
Il commerciante dice di essere il principale fornitore di cuccioli di bulldog, inglesi e francesi, ai divi del jet set, dalla campionessa dinuoto Federica Pellegrini alla onnipresente Chiara Ferragni, senza dimenticare attori e calciatori, veri o millantati. Come sempre non tutto quello che viene pubblicizzato è vero, ma quel che è certo è la capacità di farlo diventare verosimile. Cani brachicefali, con difficoltà di respirazione che anche i veterinari chiedono di far estinguere dolcemente.
Così verosimile come il bouldogue francese blu, un colore del mantello che non è riconosciuto secondo gli standard di molti enti cinofili, come in Italia l’ENCI. Una razza che nel nostro paese non esiste, già oggetto di attenzioni di Procure della Repubblica e della Polizia Giudiziaria.
Occorre vietare il commercio di animali sulla rete
Fino a quando sarà legale promuovere la vendita di animali sulla rete inevitabilmente si agevolerà un commercio che non dovrebbe esistere. Un sistema che oltre a creare problemi agli animali, specie quelli costretti in quella zona grigia che si crea fra il commercio e il traffico, spesso stimola acquisti d’impulso. Quel tipo di scelte che sono fatte proprio credendo che un cane sia gestibile come fosse un oggetto griffato, uno status symbol da esibire. Fra vendita di cani di finta razza e commercio illegale, fra le poche luci e le tante ombre di ombre di questo settore.
Non ci sono dubbi che commerciare cuccioli renda, che farlo se questi vengono dai paesi dell’Est Europa renda ancora di più: costi bassi e prezzi di vendita alle stelle, specie se il venditore racconta di essere il fornitore ufficiale dello star system! Il web non è posto dove si dovrebbero poter comprare animali, non solo cuccioli di cane e gatto ma animali in generale.
Dovrebbe essere vietato non solo vedere animali ma anche fare pubblicità: la vita con un animale deve essere una scelta ponderata, consapevole, con un’idea chiara dei costi in termini di impegno, sacrificio e danaro. Che non è soltanto quello che viene pagato al momento dell’acquisto. I canili e tutte le strutture di ricovero e rifugio sono piene di animali abbandonati perché presi in modo irresponsabile.
Senza dimenticare che case e balconi diventano con frequenza prigioni per gli animali, comprati senza pensare e poi fatti vivere come fossero oggetti animati e non esseri senzienti. Reclusi senza affetto, senza rapporti, senza socialità. Prigionieri a vita dell’egoismo delle persone. Per questo è urgente vietare la pubblicità e la vendita di animali sulla rete.
Traffico di cuccioli da mettere sotto l’albero, pronti per trasformarsi in regali di Natale per bimbi e fidanzate. Ideali per farsi un bel selfie da postare su Instagram, per avere un po di like da amici veri o virtuali. Cuccioli che ogni tanto, per fortuna, vengono intercettati in frontiera, azzerando, per una volta, il guadagno dei trafficanti.
Sono più di vent’ani, con un crescendo incredibile, che i trafficanti di cuccioli, con le loro fabbriche, si arricchiscono sulle spalle degli animali. Grazie alla complicità degli acquirenti, che oramai solo in minima parte possono dirsi inconsapevoli. Troppe notizie dalle cronache, facili ricerche sulla rete tolgono la patina di vittime inconsapevoli agli acquirenti.
La realtà nuda e cruda è che molte persone cercano di comprare il cane, nemmeno di razza perché senza pedigree, al prezzo migliore. In questo modo si comportano come i clienti del mercato dei falsi: quelli che comprano finte griffe pur di poterle esibire. Per poter praticare l’ostentazione di un lusso che non si possono permettere. Ma gli animali non son borsette o orologi.
Sequestrati 27 cuccioli di bulldog francese a Tarvisio
Oramai bulldog francesi e carlini sono in testa alla classifica dei cani più richiesti dal mercato e più venduti dai trafficanti. Cuccioli sempre più giovani, come li vuole il mercato. Cani che hanno il muso sempre più schiacciato per piacere agli acquirenti, che pensano di comprare un peluche, non un essere vivente.
Il traffico di cuccioli e la Commissione Europea pare che abbiano diverse direzioni di marcia.
Il primo va a gonfie vele, mutando sempre metodi e strategie, mentre la seconda continua a procedere con mille cautele.
Che forse potremmo iniziare a chiamare per nome, definendole come una voluta scarsa reattività.
Fra sondaggi, opinioni, gruppi di lavoro interdisciplinari, pressioni di lobbie di ogni tipo e un’attività non pervasiva ed efficace delle associazioni animaliste il tempo passa inesorabile. Mentre i paesi della vecchia Europa continuano ad essere sempre sotto attacco da parte dei paesi europei “specializzati” nella produzione di cani, come Ungheria e Slovacchia, ma anche Polonia, Repubblica Ceca e la Romania che si sta affacciando a questo mercato.
Ufficialmente gli uffici comunitari dicono che stanno studiando come arginare il fenomeno, ma nella realtà non sanno come affrontare l’unico vero dilemma su questo argomento, passando da regole solo apparentemente certe mentre sono aleatorie a regole pratiche, facili da applicare, reali.
Quelle che servirebbero davvero per bloccare il traffico di cuccioli sempre più piccoli, sempre più fragili e quindi sempre più soggetti a maltrattamenti da parte dei trafficanti.
I processi ai trafficanti di cuccioli, dove gli imputati si possono permettere di spendere decine di migliaia di euro in avvocati e consulenze, alcune anche incredibili dove veterinari ASL e forze dell’ordine vengono chiamate come testi della difesa (davvero uno strano paese il nostro), hanno dimostrato molto chiaramente quanto la normativa comunitaria e quella italiana siano del tutto inefficaci, di difficile applicazione e in alcuni passaggi rappresentino strumenti a favore della difesa di chi traffica.
Per i non addetti ai lavori semplifico molto i requisiti necessari per importare cuccioli in Italia: identificazione con microchip, passaporto valido e compilato correttamente, vaccinazione antirabbica praticata 21 giorni prima della partenza e cani che abbiano un’età compresa fra le 14 e le 16 settimane, a seconda del paese di provenienza, in base al vaccino antirabbico usato.
Parlando proprio del vaccino antirabbico arriva la prima follia: il vaccino comunemente più usato indica come età minima dei cani per essere sottoposti a vaccinazione anti rabbica, in tutti i paesi europei, un’età di 3 mesi, che significano convenzionalmente 90 giorni.
Ma in Ungheria, il paese dal quale parte il numero più elevato di cuccioli, la stessa casa farmaceutica ha depositato la scheda tecnica del vaccino indicando che può essere praticato a cuccioli di 11 settimane, vale a dire 77 giorni. Un vero controsenso che in Europa sia consentito alla stessa casa farmaceutica di depositare schede tecniche diverse sullo stesso farmaco, con identico principio attivo e denominazione commerciale.
In questo modo il vaccino è leader di mercato perché due settimane di tempo fanno proprio comodo a chi traffica in cuccioli, molto, troppo, comodo: 2 settimane consentono una maggior elusione dei controlli. Una vergogna per la casa farmaceutica, uno scandalo per l’Europa.
La determinazione dell’età dei cuccioli è infatti il fronte su cui si gioca la grande battaglia durante i procedimenti giudiziari, quelli che vedono protagonisti spesso gli stessi avvocati e gli stessi periti in ogni luogo della penisola e quindi più confusione si riesce a creare sull’argomento e meglio è.
Visto che non esiste una certezza sull’età di un cucciolo, ma solo una finestra temporale, più o meno ampia, di circa un paio di settimane (proprio come la differenza di tempo che consente vaccinazioni precoci). L’altro fronte è l’effettività della vaccinazione contro la rabbia, zoonosi pericolosa per l’uomo, spesso falsamente attestata nei passaporti ma poi non praticata, per evitare nei cuccioli, troppo giovani per essere vaccinati, immunodepressioni che li possano portare a contrarre diverse malattie virali.
Per contrastare questo fenomeno l’Europa ha stabilito che sopra la fustella del vaccino, che deve essere obbligatoriamente applicata sul passaporto, debba essere messa una plastica anti contraffazione: un’idea ridicola visto che il problema non è la fustella sul passaporto, ma il fatto che la vaccinazione sia effettiva, prima che ritorni anche da noi la rabbia.
Un vaccino costa poco, si può applicare la fustella e gettare via il principio attivo. Insomma la miglior idea risulta fallimentare e il problema dei passaporti falsi non è risolto: i passaporti non sono falsi in quanto lo sono le fustelle o altre piccole particolarità, ma lo sono in quanto contengono dati falsi, il primo dei quali è la data di nascita dei cani.
Se ci fosse la volontà di interrompere davvero il traffico basterebbero due indicazioni inderogabili e ineludibili: prelievi a destino di campioni su almeno il 50% degli animali della partita, a spese dei commercianti ovviamente, per ricercare gli anticorpi che validano l’efficacia dell’avvenuta vaccinazione antirabbica.
Stabilendo in un 5% massimo il caso di cani che non hanno sviluppato gli anticorpi al virus della rabbia; la seconda è quella di consentire l’importazione solo di cuccioli per i quali ci sia già stata l’eruzione dei denti premolari definitivi. La presenza dei molari è un dato fisico, non lascia finestre, o sono presenti o sono assenti. Certo ci potrebbe essere una piccola aliquota di cuccioli precoci, ma sarebbe un problema davvero minimo.
Nessuno vuole queste regole, considerate troppo restrittive e contestate dalle lobbie dei paesi produttori di cuccioli, ben consapevoli che il mercato richiede cuccioli sempre più giovani, neotenici, magari malati ma con un musetto tenero, purtroppo. La legge giusta manca, come l’acquirente responsabile.
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