L’incremento del numero di riproduttori, abbinato a una buona disponibilità di risorse alimentari che abbassa la mortalità, porta a un inevitabile aumento dei randagi. Quando questo accade, aumentando il numero di cani e gatti liberi sul territorio, di pari passo sale anche l’intolleranza di molti cittadini. Portando non soltanto a catture ma anche a spregevoli azioni contro i randagi. Azioni, anche illegali, che non risolvono il problema, ma che complicano non poco la vita degli animali di strada. Incolpevoli vittime di comportamenti umani irresponsabili.
Su questa problematica si sono create diverse visioni fra quanti si occupano di randagi. C’è chi dice che occorre convivere con le popolazioni di animali liberi, non accettando la loro sterilizzazione, chi vorrebbe metterli tutti al sicuro in strutture di custodia o in famiglie e chi, come il sottoscritto, ritiene la sterilizzazione un’azione necessaria, molto più utile della loro reclusione nelle strutture. Intorno al problema randagismo convivono, con grandi differenze operative e di visione, enti pubblici e singoli, volontari di associazioni e gestori privati di canili, veterinari del servizio pubblico e liberi professionisti. Creando una complesità di rapporti e sinergie operative tutt’altro che efficaci, se non in pochissimi e virtuosi casi.
Sterilizzare i randagi non basta, occorrono azioni di riduzione del commercio e lavorare per un cambiamento culturale
Il randagismo è un fenomeno complesso che si alimenta in diversi modi. L’esemplificazione più semplice è quella di paragonarlo un grande fiume, che non potrebbe essere tale se non avesse diversi affluenti. Immaginiamo la popolazione degli animali randagi, quelli che riescono a vivere la loro vita in autonomia senza aspettare aiuti umani, come se fosse il corso principale del fiume randagismo. La cui portata viene costantemente alimentata grazie al vagantismo degli animali padronali e semi padronali, lasciati liberi di girare sul territorio, ai randagi assistiti ma non sterilizzati, uniti agli abbandoni di soggetti adulti e di cucciolate indesiderate. Il gran numero di animali, fertili e riproduttivi, presenti sul territorio continua a produrre cucciolate e a ingrossare il fiume sempre più.
Spesso quando diciamo randagi il pensiero corre ai cani ma, a questo popolo di animali domestici senza casa, appartengono a buon titolo anche i gatti. Che ripercorrono con identiche motivazioni le strade che originano il fenomeno del randagismo canino, con uguali dinamiche di popolazione. La sola differenza sta nel dar vita a comunità meno problematiche e appariscenti: per taglia, comportamento e abitudini. Creando quindi qualche conflitto in meno, ma arrivando comunque, senza controllo riproduttivo, a una notevole possibilità di crescita sul territorio. Per questo in tutto il mondo sono operativi programmi di cattura, sterilizzazione e rilascio (TNR – Trap – Neuter – Release) che per essere utili devono raggiungere una parte importante della popolazione di randagi.
Ritornando al parallelismo fra fiume e randagismo possiamo dire che senza gli affluenti, che continuano a portare nuova linfa vitale al fiume, in Italia il fenomeno del randagismo canino e felino si sarebbe grandemente e drasticamente ridotto. Ovviamente questa considerazione va modulata considerano il paese, l’antropizzazione e le contromisure attuate per contenere le problematiche, anche di natura sanitaria, del randagismo. Non si possono mettere a confronto paesi diversi, come ad esempio l’Europa e l’India o l’Italia e il Marocco per fare delle valutazioni complessive.Quello che è certo è che ovunque il numero dei randagi non è mai diminuito a seguito di catture, deportazioni e uccisioni.
I canili non risolvono il randagismo, cani e gatti liberi sul territorio devono essere la transizione verso un paese più civile
Per arrivare a una corretta gestione del randagismo occore compiere una profonda invesione di rotta, a cui devono contribuire tutte le componenti coinvolte, nessuna esclusa. Affrontando e guardando il problema con un occhio laico, che metta in fila non solo i soggetti coinvolti ma anche i tasti, e sono molti, che vanno toccati. Rispetto delle regole di convivenza, responsabilità nei confronti della collettività, preparazione, educazione e cooperazione. Questi potrebbero essere i cinque pilastri su cui fondare la costruzione del cambiamento. Consapevoli del fatto che se i randagi possono costituire (talvolta) un problema, cause e responsabilità della loro presenza sono solo umane.
Partiamo dal problema fondamentale, legato al rispetto delle regole. il Mahatma Gandhi sosteneva che la civiltà di un popolo sia misurabile da come vengono trattati gli animali. Io aggiungerei anche da come vengano gestiti i rifiuti. Sono sempre loro, infatti, i protagonisti dell’alterazioner dei nostri rapporti con gli animali, domestici o selvatici. Il cibo è uno strumento potente di condizionamento, di abituazione ma anche di sostentamento. I rifiuti per un animale rappresentano una fonte proteica low cost, ai quali accedono tutte le specie, dai lupi ai cani, dagli orsi ai gatti, per arrivare a ratti, cinghiali e cornacchie. Una certezza alimentare che li avvicina, con conseguenze indesiderate, ai nostri mondi.
Se ci fosse molta attenzione nella gestione dei rifiuti, rendendolo inavvicinabili per gli animali, i tanto temuti incontri pericolosi con i predatori sarebbero azzerati o quasi. Diminuirebbe anche la presenza di specie che consideriamo infestanti, come le cornacchie, e scenderebbe drasticamente anche quella di cani e gatti randagi. Questo punto attiene al rispetto delle regole da parte dei cittadini e all’intelligente lungimiranza, non così frequente, degli amministratori. I rifiuti attirano gli animali nei contesti urbani, vicino alle abitazioni, sui bordi delle strade e in mille altri luoghi. Generando inutili conflitti che potrebbero essere facilmente evitati, se solo lo si volesse veramente.
La sanità pubblica deve smettere di voltarsi dall’altra parte e i volontari devono essere preparati
La responsabilità nei confronti della collettività impone al legislatore e al servizio pubblico di mantenere quel che promette e di avere visione di periodo. Inutile ripetere da più di mezzo secolo il mantra che. per combattere il randagismo, mancano le risorse. Affermiamo invece che una politica miope non fa bene i conti e non mette risorse dove servirebbero, dimenticando di fare i conti di quanto costi, in termini economici alla collettività, questa scelta. Così le sterilizzazioni restano spesso un dovere scritto ma non agito, le assenze dei Servizi Veterinari pubblici contribuiscono a ingrassare i privati che gestiscono le strutture, e manca un piano di periodo che esuli dalla pura gestione sanitaria del problema, che spesso risult approssimativa quando si parla di animali.
Molte norme sono ferme alla metà del secolo scorso e quelle che le hanno innovate, come la legge 281/91, hanno affermato principi sacrosanti, senza concretizzarli tutti. Ancora una volta viene identificato il canile o il rifugio come strumento di risoluzione, ma in realtà in molti casi si tratta di intombare gli animali, proprio come si è fatto spesso con i rifiuti pericolosi. Buttati in luoghi inacessibili, per togliere di mezzo i primi e per levare dalle dalle strade i secondi. Spesso grazie a figure criminali che nei decenni hanno tratto enormi profitti da entrambe le attività. Grazie a strutture di reclusione per animali dove i termini benessere e etologia restano sepolti sotto appalti senza controllo.
Per contro anche i volontari devono fare la loro parte, cercando di essere protagonisti preparati del cambiamento, e non soltanto comparse emotive che seguono l’istinto. Senza essere in grado di fare scelte, di confrontarsi con la politica, di conoscere il settore dove hanno deciso di impegnarsi. Difendono una categoria che non può protestare, ma a maggior ragione devono essere interpreti delle reali esigenze. Smettendo di pensare che la salvezza dei randagi sia nei box dei canili. Per fortuna (dei randagi) non sono tutti così e fra loro ci sono attivisti che sanno il fatto loro, spesso in perenne lotta con le componenti animaliste più emotive.
Saranno educazione e rispetto a sconfiggere il randagismo, non norme scarsamente applicate
Educazione e divulgazione sono i migliori strumenti per ottenere un reale cambiamento: quando la società riconoscerà davvero il diritto al benessere degli animali e la necessità etica di avere comportamenti responsabili. Attraverso questo progresso culturale si arriverà alla riduzione del commercio di animali come pet, si comprenderà il dovere di essere responsabili nella gestione di cani e gatti. Si chiuderanno le porte a una serie di comportamenti dannosi che oggi sono ritenuti normali. Le leggi servono a correggere le devianze della collettività, non sono uno strumento per educare una società a essere rispettosa dei diritti altrui.
Continuare a invocare nuove norme serve più alla politica, che continua a agitarle senza renderle mai concrete e soprattutto attuate. Quando mancano i controlli, se non viene percepita la gravità dei comportamenti è difficile ottenere sia il cambiamento che la puntuale applicazione. Il percorso culturale è più lento della promulgazione di un decreto, ma è più efficace in quanto permanente, una volta entrato nel comune sentire. Il commercio di pelli e pellicce non è crollato per legge, ma è la consapevolezza delle persone che fa sentire in difetto i pochi che ancora le indossano. Una strada senza ritorno, un cambiamento culturale sempre più diffuso.
In attesa che la cultura cambi ognuno è chiamato a avere comportamenti rispettosi, a cercare di farsi promotore di una cultura che parli di rispetto, di convivenza, di condivisione delle risorse. Avendo la consapevolezza che sia sempre meglio l’uso pacato della conoscenza, piuttosto che il ricorso all’aggressività data dall’ignoranza, che quando non ha sufficienti argomenti usa la prevaricazione per convincere, Perdendo così ogni possibilità di essere credibili.
Animali e Natale sono due parole che si abbinano male, proprio come un bulldog francese e un cappello da Babbo Natale. I cani talvolta sono molto espressivi e il muso di questa inconsapevole vittima del Natale credo esprima molto bene il suo sentire. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratti solo di uno scherzo per fare una foto buffa, ma purtroppo dietro a questa scusa si può nascondere molto altro. Come il concetto che gli animali siano un nostro possedimento, una proprietà sempre contenta di accontentare ogni nostro desiderio. Molte persone sono più preoccupate di soddisfare un bisogno personale, piuttosto che di considerarsi tutori responsabili dei compagni di vita.
Nonostante le informazioni su animali e Natale, diffuse, capillari e costanti ci sono ancora persone che credono che regalare un animale sia un gesto molto carino. Teneri cuccioli che occhieggiano dalle vetrine dei negozi, cani e gatti, ma anche animali che passeranno la loro vita in gabbia, sono candidati a diventare doni. Spesso non richiesti, non voluti oppure fin troppo desiderati senza preoccuparsi però delle loro necessità. Scelti con meno attenzione di quanto non si farebbe per un televisore o un cellulare.
Animali e Natale dovrebbero essere considerati un abbinamento incompatibile
Sotto l’albero non dovrebbero essere messi esseri viventi e senzienti, che si meritano sicuramente scelte più ponderate di convivenza. Partiamo proprio dal concetto di convivere, di condividere due vite che hanno esigenze diverse ma diritti comuni. Persone e animali dovrebbero poter soddisfare i loro bisogni primari, quelli che banalizzando servono per essere considerati felici. In realtà sarebbe già molto trovarsi in equilibrio con il mondo che ci circonda, un desiderio che anche gli umani perseguono, spesso senza vederlo mai completamente esaudito.
Le case degli italiani sono piene di animali, tanto da superare numericamente le persone che li tengono o li detengono, che non è differenza da poco. Cani, gatti, uccelli, rettili, pesci ma anche piccoli mammiferi come i criceti, che quanto a sofferenza rappresentano l’equivalente terrestre del pesce rosso.Un po’ meno di settanta milioni di esseri viventi che vengono allevati per essere, in molta parte, letteralmente divorati da un mercato che da poco valore all’essenza della vita.
Sulle motivazioni che ci spingono a voler avere animali “da compagnia”, un termine orrendo che però la dice lunga sulla nostra di specie, si sono spesi fiumi di parole. Non altrettante per far comprendere che una gran parte di questi animali, tolti cani e gatti custoditi correttamente e con rispetto, sono di fatto dei prigionieri. Come un pesce condannato al 41 bis, detenzione di massima sofferenza, nella sua boccia o un criceto all’ergastolo nella sua gabbia, costretto a sfogarsi correndo su una ruota che gira, senza cambiar mai paesaggio, odori, stimoli. Una sofferenza muta, che non vogliamo neanche comprendere. Spesso accecati dal nostro bisogno di amore che in realtà è soltanto possesso.
Quali animali possiamo mettere quindi sotto l’albero di Natale?
La risposta alla domanda di chi possa trasformarsi in un regalo eticamente accettabile è semplice: nessun animale dovrebbe essere regalato. Un animale si adotta, seguendo un processo decisionale responsabile che ci fa interrogare ben prima di comprare, ma anche di adottare. Strappare un cane da un canile è una scelta responsabile e etica, ma non può essere fatta a cuor leggero. Non si prende un animale per accontentare un bambino o una fidanzata/o. Dividere vite è complesso anche per gli uomini, specie quando vengono travolti dai sentimenti, eppure si possono parlare, potendo esprimere desideri e timori. Eppure l’infelicità spesso è dietro l’angolo, con esiti talvolta devastanti.
Regaliamo buone azioni, aiutando chi a meno, che è sempre un bell’insegnamento piuttosto che alimentare un mercato che specula sui buoni sentimenti. Si dice sempre “facili doni, facili abbandoni” e in effetti è proprio così: gli acquisti d’impulso spesso esauriscono presto la loro spinta di emozioni. Che vanno a schiantarsi contro le necessità che ogni animale, inevitabilmente, porta con se e alle quali non si è dato peso per tempo. Con tutte le conseguenze ben conosciute e prevedibili.
Un successo raggiunto oggi grazie alla tenacia e alla costanza del Nucleo di Polizia Giudiziaria della Polizia Stradale di Bergamo, che ha fatto tutto quello che era necessario per arrivare a questi arresti. A cominciare dalle intercettazioni telefoniche alle quali era sottoposta la famiglia del Vigani, che hanno fatto emergere comportamenti molto gravi. Che hanno dimostrato la piena consapevolezza degli indagati nel portare avanti condotte delittuose, con il fine di realizzare illeciti guadagni. Grazie al solito rodato meccanismo di cuccioli importati dall’Est Europa, tolti in giovane età alle madri e importati con documenti contenenti dati alterati. Uno schema operativo visto mille volte, ma complesso da individuare e da riconoscere, specie da un organo di controllo come la Polizia Stradale, che normalmente si occupa di altri tipi di reato.
Invece, con la volontà di conoscere come funzionano i traffici, gli uomini della Stradale hanno fatto come Pollicino, ricostruendo tassello dopo tassello come avveniva il traffico, come individuare i documenti falsi e ipotizzare le violazioni commesse. Potendo così portare al pubblico ministero le prove necessarie per mettere sotto controllo i telefoni, un’attività investigativa indispensabile per acquisire prove non discutibili. Come la frase acquisita agli atti “…il cane deve essere messo in braccio al bambino così si affeziona e lo compra di sicuro“. Poco importa se poi i cuccioli muoiano dopo pochi giorni e i bambini si ritrovino assaliti dal dolore . Causato dall’ingordigia di quanti su questi traffici non solo campano ma pure si arricchiscono.
Indagando sulla tratta dei cuccioli la Polizia Stradale ha raccolto sessanta querele da parte degli acquirenti truffati
Conosco bene il fenomeno della tratta dei cuccioli, come saprà chi segue il blog, e ho conosciuto anche Vigani e il Roccolino. Un commerciante capace di fare lo slalom attraverso le maglie della giustizia, passando indenne attraverso sequestri e denunce. Grazie a una giustizia troppo lenta, che molte volte assicura non l’assoluzione ma la certezza della prescrizione, garantendo non solo impunità ma anche i guadagni. Come dimostra il caso dell’indagine finita in prescrizione a Monza, con restituzione dei cani al Vigani. Che alla fine li vendette ai custodi, guadagnando ancora soldi.
In Europa ogni anno il commercio legale e quello illegale movimentano circa 8 milioni di cuccioli. Il traffico illegale di cuccioli importati dai paesi dell’Est con documenti falsi copre più della metà di questo mercato della sofferenza. Vendendo cani pagati intorno ai cento euro, che nel giro di poche migliaia di chilometri moltiplicano il loro valore anche di trenta/quaranta volte. Più redditizio del traffico di droga, ma infinitamente meno rischioso. Un traffico dove la domanda non la creano i tossicodipendenti, ma le persone che comprano cani come fossero un complemento d’arredo.
Ho inseguito questo fenomeno per trent’anni e se agli inizi gli acquirenti erano inconsapevoli oggi non è più così. Le persone sanno o comunque potrebbero sapere con qualche piccola ricerca. Ma sono convinti che sul web si facciano ottimi affari e non si accorgono di essere fiancheggiatori dei criminali, che per giunta li truffano. Vendendo a prezzi da capogiro cani che non sono di razza, ma solo somiglianti: in fondo dei “bastardi” senza colpa ma meno sani dei meticci. Gli incroci fortificano ed è per quello che i meticci sono più sani dei cani della tratta dei cuccioli, incrociati mille volte fra consanguinei. Per questo bastardo è bello, anche se è un termine che oggi è ritenuto politicamente scorretto.
Qualche mese di carcere potrebbe essere un buon viatico per capire, ma chi traffica ha sempre ottimi legali
La parola fine però non la metteranno gli arresti fatti dai poliziotti della Stradale, ma le sentenze e questo è sempre il cuore del problema. Vigani, ancora una volta, l’ennesima, è innocente fino a prova contraria. Sino a quando la Corte di Cassazione non arriverà a rendere definitive le condanne, se ci saranno. Ma i reati contro le persone, contro gli animali e tutti quelli che comportano sofferenza a degli esseri viventi dovrebbero avere una corsia preferenziale. Con l’impossibilità di accedere alla prescrizione, perché questa tipologia di reato è grave, mina la coesistenza e denota l’assenza di empatia e il profilo sociopatico di chi li commette.
Il fallimento della giustizia è quando chi commette questi crimini li può reiterare una, due, tre volte senza mai pagare il prezzo. Dando l’idea alle forze di polizia che il crimine paga, ben più di quanto lo Stato paghi a loro di stipendio. Portandoli a non indagare su questi reati, così poco considerati il più delle volte, ma così gravi a conoscere davvero modus operandi e il danno causato, a cominciare dall’evasione fiscale per finire con i rischi sanitari. Come le nuove forme di cimurro e la rabbia, una zoonosi mortale per l’uomo.
Questo è il tema su cui bisogna lavorare per contrastare i crimini contro gli animali: formare e informare. Grazie alla formazione delle forze di polizia e degli organi di controllo su come contrastare i crimini contro gli animali, fornendo loro utili strumenti di lavoro. Strappando quel velo di pregiudizi che copre e nasconde questi reati, etichettandoli come minori. Occorre poi informare i cittadini dei rischi che corrono, delle sofferenze che causano, della malavita he finanziano. Sono queste le uniche strade per contrastare efficacemente un fenomeno diffuso e radicato come questo.
I cani con fine pena mai sono quelli che, una volta entrati nei canili, hanno un’altissima possibilità di restarci per tutta la vita. Animali condannati a trascorrere un’esistenza fatta di privazioni, interamente condotta dietro le sbarre, spesso in solitudine. I canili non sono la soluzione, e questo è oramai chiaro a quasi tutti, perché anche quelli migliori, che sono sempre meno di quanto si creda, non sono luoghi felici. Quando anche chi opera all’interno ci mette il massimo del suo possibile queste strutture restano sempre delle prigioni. Più si abbassa il livello di attenzione e più la vita di questi cani perde qualità sino a scomparire, proprio come avviene per gli animali di circhi e zoo, aprendo per loro baratri sconosciuti.
Guardando attraverso le grate di un box l’osservatore attento, quello che ha la voglia e anche la resistenza per andare oltre, percepisce una sofferenza, talvolta muta, talvolta abbaiata, ma comunque dolorosa. Qualcosa che se non stai attento ti si attacca all’anima: in molti casi si ha la netta percezione che il dolore che leggi negli occhi di questi animali sia senza cura. In tutti gli esseri viventi ci sono limiti che non dovrebbero essere mai superati. Percorsi della mente che non prevedono un ritorno, peggio della malattia fisica. Quando si altera la psiche, quando è il cervello che crea fantasmi e ossessioni, si apre il baratro della follia. Una voragine capace di inghiottire non soltanto gli umani, ma tutti gli esseri viventi che provano emozioni.
Nei canili ci sono animali anziani, magari non perfetti, talvolta anche esteticamente bruttini, ma talmente simpatici ed equilibrati da avere anche loro una possibilità. Questi sono cani difficili da far adottare, ma sono animali con una speranza. Quella che non è data a quei soggetti che una volta costretti in canile hanno imboccato una strada impervia, che rischia di diventare di impossibile ritorno. Animali che, a causa di storie di vita hanno perso l’equilibrio, rifugiandosi nei casi peggiori, proprio come accade per gli uomini, nella follia. Sono questi i cani che resteranno imprigionati in un viaggio senza stazioni di arrivo, quelli del fine pena mai!
I cani con fine pena mai sono quelli alienati, difficilmente recuperabili, destinati a una vita colma di sofferenze e paure
Storie che ricordano il libro di Mario Tobino “Per le antiche scale”, ambientato nel manicomio di Lucca prima dell’avvento della legge Basaglia, la norma che finalmente mise termine all’esistenza dei manicomi. Nel libro è contenuta la lucida descrizione della follia, capace di rapire per sempre il normale sentire in ogni essere vivente. Un fatto sul quale ci si sofferma troppo poco, quasi avendo paura che questo sottile filo possa spezzarsi, di colpo, anche in ognuno di noi. Gli animali non fanno certo eccezione, se solo avessimo la voglia di capire, di individuare il problema e di comprendere il peso e la grande sofferenza. Situazioni dolorose certamente, drammi che bisogna avere voglia di affrontare, di comprendere e dove possibile di lenire.
Questa è l’osservazione del dottor Anselmo, medico protagonista del libro, che non capisce come possano convivere due anime in una stessa persona, come la musica possa essere salvezza e il pensiero condanna.
«La pazzia è come le termiti che si sono impadronite di un trave. Questo appare intero. Vi si poggia il piede, e tutto fria e frana. Follia maledetta, misteriosa natura. Ma come, ma perché il Meschi quando soffia nel sassofono incanta e invece quando parla è zimbello di pensieri? assurdità? inconcludenze? O per lo meno noi non comprendiamo assolutamente nulla di quello che dice?»
Tratto da “Per le antiche scale” di Mario Tobino
Alcune volte l’alterazione comportamentale è uno stato causato da un’origine sconosciuta, altre volte è la conseguenza di un’insieme di concause: la mancata socializzazione, la paura, la noia. Elementi che giorno dopo giorno possono arrivare a far perdere il senno oppure creare l’impossibilità di condurre una vita normale. Così succede a molti cani condannati a passare la loro esistenza nei canili, magari solo perché appartengono a razze difficili da gestire, oppure hanno morsicato, per paura, essendo animali non socializzati, di branco, che non vogliono avere a che fare con l’uomo. Meno ancora dopo che li ha rinchiusi nel budello dove saranno detenuti a vita, il box spesso troppo angusto di un canile. Pochi metri quadri, forse puliti ma pieni soltanto di una noia senza fine, come una cella di Guantanamo.
I cani che resteranno detenuti a vita sono prigionieri incolpevoli di un patto tradito
Una piccola aliquota di animali e uomini instabili, senza apparenti ragioni, esiste e esisterà, forse non per sempre, ma ancora a lungo, finché non diventeremo bravi a curare le anime. Gli altri, quelli che hanno compiuto il doloroso percorso in salita che li ha resi difficilmente gestibili, instabili e talvolta anche potenzialmente pericolosi, sono quasi sempre una nostra responsabilità. Dovuta a cattive scelte, a incapacità di gestire animali caratterialmente complessi, alla decisione di volerli, presa d’impulso, che altrettanto d’impulso poi svanisce. Condannando gli animali a diventare prigionieri di un sistema che, come il carcere, difficilmente è capace di creare i presupposti per una seconda chance. Per mancanza di mezzi, di personale, spesso di capacità o semplicemente per disinteresse.
Può succedere che i cani subiscano le scelte di essere stati salvati a forza e rinchiusi. Da persone che a tutti i costi hanno deciso per loro, che fosse più sicuro il canile della strada, che fosse meglio un box di un rapporto imperfetto o di un compagno di vita giudicato non adeguato. Storie di adozioni sbagliate, che non incrociano i bisogni dei cani, ma soddisfano solo le aspettative di chi li fa adottare. Senza tenere conto che non tutti gli animali, proprio come le persone, sono uguali, reagiscono allo stesso modo, hanno identiche abilità, capacità di resistere, di vivere soli. Certo la vita è importante, va sempre difesa, ma per essere vera vita deve contemplare un equilibrio, quello che fa vivere in armonia con l’ambiente che ci ospita. Quando invece diventa “pena di vita”, può davvero arrivare a non essere migliore della morte.
L’importante è essere consapevoli che i canili non rappresentano la salvezza: ogni cane che entra in un box costituisce la dimostrazione di un nostro fallimento, di un patto che abbiamo tradito con il miglior amico dell’uomo. Per questo adottare è infinitamente più etico che comprare animali, così come non farli nascere è un dovere ineludibile, in un mondo dove ce ne sono già troppi rispetto ai possibili compagni delle loro vite. Entrate in un canile, guardate gli ospiti, fermatevi a guardare per un minuto occhi e comportamenti. Se lo avrete fatto con lo spirito giusto non potrete che scegliere uno di loro, magari anche il più bello e equilibrato, ma sicuramente un cane prigioniero, da liberare.
Cambiare il modo di contrastare il randagismo, educare al rispetto e alla comprensione della sofferenza
Occorre cambiare passo, non lasciare che i cani diventino strumenti di guadagno, come se fossero cose animate, come se fosse importante soltanto mantenerli in vita. Dobbiamo forse smettere di considerare la vita l’unico valore meritevole di tutela e dobbiamo iniziare a parlare di “diritto al benessere e alla felicità”. I cani lasciati a marcire nei canili gestiti in modo criminale, per incassare il prezzo della sofferenza quotidiana, devono diventare un retaggio del passato. Occorre considerare il randagismo un’emergenza che deve essere contrastata con campagne di sterilizzazione a tappeto, stabilendo percorsi abilitativi per chi voglia avere un cane. Bisogna introdurre l’interdizione alla detenzione di animali per quanti sono condannati per maltrattamento, che poi altro non è che una devianza criminale.
Bisogna riqualificare i crimini a danno di animali usando gli stessi parametri che sono considerati validi per gli uomini. Occorre smettere di usare termini roboanti ma vuoti, come “esseri senzienti”, se poi questa definizione resta priva di applicazioni concrete. La chiave di tutto è nel termine “rispetto”, l’unico sentimento in grado di garantire la convivenza sociale fra uomini e fra noi e gli altri esseri viventi. Smettendo di considerare il solo diritto alla vita come unico baluardo in grado di difendere chi abbia difficoltà a poterla vivere pienamente. Non è questione di vita o di morte, ma di dignità, di integrità psicofisica e di dare un valore diverso al termine, abusato, di “benessere animale”.
Quella del canile di Trecastelli è storia di maltrattamenti di animali causati dai gestori, ma consentiti da mancati controlli e da spiacevoli connivenze. Una storia ordinaria purtroppo con frequenti ripetizioni in varie parti del paese, nella quale i colpevoli pagheranno sempre troppo poco. Se e quando arriveranno a essere condannati in modo definitivo questo accadrà grazie agli altri reati contestati, piuttosto che per maltrattamento di animali. Le pene per chi maltratta e la considerazione verso questo reato portano purtroppo a facili prescrizioni.
La storia del canile di Trecastelli, sequestrato nel gennaio del 2021, è la replica di vicende già viste, che si ripetono puntualmente con le stesse modalità. Un allevamento autorizzato per detenere 71 cani arriva a custodirne più di 800, dieci volte tanto il consentito. Se qualcuno si chiedesse come possa succedere una situazione tanto abnorme la risposta è davvero molto facile: chi doveva controllare, ancora una volta, non lo ha fatto. Per disinteresse, per interessi, per non dover affrontare un problema complicato, per connivenze con i titolari. Storie ordinarie, frequenti, che quasi mai portano a sanzioni che servano da deterrente.
Il Comune di Trecastelli, in provincia di Ancona, all’ultimo censimento contava poco più di settemila residenti, non certo una metropoli. In questi piccoli centri tutti conoscono vita, morte e miracoli di tutti e gli organi di controllo presenti sul territorio avrebbero dovuto essere informati su cosa accadeva nella struttura. Eppure sembra non esser stato così o forse tutti sapevano ma nessuno aveva voglia di intervenire, non sapendo come togliere le castagne dal fuoco. Nel frattempo però, in tutto questo, ci sono stati centinaia di animali detenuti, per anni, in condizioni orribili.
Il canile di Trecastelli è una storia di maltrattamenti ripetuti, sui quali sarebbe stato opportuno intervenire molto prima
Le omissioni, colpevoli e dolose, hanno portato a uno dei più grossi casi di disastro sanitario, in ambito veterinario, avvenuti nella Regione Marche e non soltanto. I gestori del canile risulta che abbiano importato illegalmente cani dall’Est Europa, con tutti i rischi sanitari connessi. Rendendosi anche responsabili di aver fatto scoppiare un focolaio di brucella canis, zoonosi trasmissibile all’uomo. Un caso al momento unico in tutta Europa che aveva portato, nel giugno del 2020, al blocco sanitario del canile. Senza che fossero adottati provvedimenti per migliorare le condizioni di vita dei cani.
Ora dopo le indagini svolte dalla Procura sono emerse varie responsabilità, anche molto gravi, che hanno portato alla richiesta di rinvio a giudizio per i proprietari dell’allevamento. Che si trovano in buona compagnia, considerando che risultano coinvolti anche il comandante della Polizia Locale, insieme a veterinari pubblici e privati. Con un costo per l’amministrazione regionale che ad oggi sembra aver superato il milione e mezzo di euro, per mantenimento e cura degli animali in sequestro. Un disastro annunciato per i cani che sono transitati in questi anni dall’allevamento, ma anche per le casse pubbliche e per le associazioni coinvolte. Che hanno dovuto intervenire per cercare di aiutare gli animali e trovare, quando possibile, adozioni.
Servirà questa lezione per far comprendere la necessità di interventi tempestivi sui maltrattamenti e contro i traffici di animali?
Probabilmente la risposta è no, considerando i precedenti e consultando le cronache di molti altri episodi analoghi di traffici e maltrattamenti. Che hanno riguardato non solo i canili, ma tutti i settori ove vi fosse presenza di animali e quindi sottoposti a vigilanza veterinaria. Se da una parte è vero che la sanità pubblica si trova in grande crisi, dall’altro appare evidente che il meccanismo dei controlli si inceppi troppo spesso. Le origini di questo problema vanno cercate (anche) altrove. Per esempio nel fallimento del sistema di controllo sulle attività dei veterinari pubblici, anche grazie a una catena di comando con troppe figure “politiche” ai vertici.
Quando i veterinari ufficiali non fanno carriera “solo” per meriti, ma anche per sponsorizzazioni del politico di turno il sistema va in crisi. E con lui tutto quello che la sanità pubblica veterinaria deve presidiare. Una vigilanza che riguarda gli animali ma soprattutto la tutela della salute umana. Se naufraga il sistema dei controlli veterinari si mette in pericolo l’intera collettività. Lo indica il criterio “OneHealth” che ci vede tutti, uomini e animali, sulla stessa scialuppa, visto che la barca pare essere affondata già da tempo. La politica partitica ha avvelenato i pozzi, da quando ha deciso di non scegliere fra i migliori i suoi dirigenti, ma spesso solo fra i più vicini. Mortificando chi lavora con passione, restando indipendente dalla politica.
Non passa giorno. quando le associazioni denunciano e la magistratura fa il suo lavoro, che non vengano accertate situazioni terribili per gli animali. Pericolose anche per la salute umana, ma troppo spesso seppellite sotto omissioni e convenienti valutazioni da parte di chi è pagato per vigilare. Un circolo vizioso che va spezzato, ricordando a tutti gli organi di controllo e ai pubblici ufficiali che segnalare un reato è per loro un obbligo. Prevedendo pene ben più severe delle attuali per chi consenta, agevoli o non persegua fatti gravi come questi.
Canile di Trecastelli Il servizio dei Carabinieri trasmesso dal TG3 delle Marche
Parrocchetti contro rondoni per la competizione dei siti di nidificazione: entrambe le specie usano le cavità per riprodursi e spesso sono i parrocchetti ad avere la meglio. Un problema che può essere risolto, specie nelle cavità degli edifici usati dai rondoni, riducendo le dimensioni dell’accesso. Una questione che ancora una volta evidenzia il problema del commercio degli animali. Capace di creare molteplici problemi, destinati a ricadere sulla collettività.
Quando una specie alloctona, come i parrocchetti, riesce a acclimatarsi e a riprodursi, creando colonie stabili, il danno è irrimediabile. A nulla servono le soluzioni cruente, che non sono comunque in grado di risolvere, e occorre mettere in campo strategie in grado di limitare la competizione. Come sempre avviene in natura le specie che hanno un tasso più elevato di specializzazione sono quelle a maggior rischio. L’essere animali adattabili aiuta la sopravvivenza e anche la dispersione sul territorio, proprio come è successo per l’essere umano.
Parrocchetti contro rondoni per la competizione sui nidi, ma siamo stati noi a creare il danno
La lista degli animali alloctoni che si sono riprodotti a causa di liberazioni, volontarie o accidentali, è davvero molto lungao. Un elenco che oramai molti hanno cominciato a conoscere e che in parte proviene proprio dal mercato dei pet. Scoiattoli americani, pesci rossi, parrocchetti dal collare e monaci, testuggini della Florida, in tutte le loro varietà, ma anche procioni, nutrie, pesci siluro, trote alloctone, minilepri, ibis sacri e rane toro. Un bestiario destinato ad allungarsi se non verrà vietato il commercio degli animali esotici.
Eppure, nonostante le evidenze e anche le mattanze, il commercio non si vuole fermare. Devono essere promulgati i decreti legislativi di attuazione della legge 55/2021 che, inizialmente, avrebbero dovuto vietare il commercio degli animali esotici. Non per buon senso, non per etica, ma soltanto per evitare rischi sanitari. Ora però si è creato un movimento trasversale, composto da operatori del settore, politici, veterinari che hanno dato vita al movimento “Esotici ma familiari”, proprio per impedire il divieto di commercio.
La santa alleanza fra quanti traggono guadagni dai pet sconfiggerà il buon senso e il principio di cautela
La normativa come si diceva parte dai rischi sanitari per la nostra specie, causati da zoonosi che, come abbiamo visto, possono facilmente trasformarsi in pandemie. Su un pianeta dove l’uomo è oramai ovunque e già si parla di decine di migliaia di virus che rischiano di essere stanati. proprio dalle attività umane, rischiando di dare vita a nuove e sconosciute pandemie. La legge non tiene quindi in giusta considerazione gli aspetti legai ai danni collaterali del commercio di animali, rispetto a quelli sanitari.
Continueranno probabilmente a poter essere detenuti e commerciati gli animali che già ora provengono da riproduzioni controllate e non da catture. In questo lungo elenco saranno compresi probabilmente i pappagalli, specie molto amate dal pubblico, ma ad alto tasso di sofferenza quando sono tenute in cattività. Specie intelligenti e adattabili che, con la complicità del clima, potranno tranquillamente vivere e riprodursi alle nostre latitudini, proprio come hanno fatto i parrocchetti. A cui presto potrebbero trovarsi a fare compagnia amazzoni e cocorite, ara e calopsite.
Ma se quello dei pappagalli è un esempio di scuola è evidente che la chiusura del commercio di tutti li animali da gabbia e da terrario sarebbe una scelta responsabile. Non è più accettabile considerare l’esistenza di animali ornamentali, appartenenti a specie non domestiche che vengono “addomesticate” per il nostro piacere. Che corrisponde quasi sempre al loro dispiacere, al quale quasi sempre facciamo soltanto finta di interessarci.
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