Il festival di Yulin ripropone come ogni anno il dramma dei cani “da macello”, in questa provincia cinese dove non sono considerati i migliori amici dell’uomo bensì un prelibato alimento, che però prima di diventare tale subisce ogni genere di sevizie: cattura, trasporti e uccisione avvengono in un modo talmente barbaro da indignare la comunità internazionale. Sulla barbarie ci sono pochi dubbi, ma sull’analisi complessiva forse qualcosa bisognerebbe, invece, puntualizzare.
Molto spesso, leggendo i commenti che popolano la rete, sembrerebbe quasi che in un ordine di importanza il primo problema sia che ci sia un festival dove si consuma carne di cane, fatto inconcepibile per gli occidentali. In Europa il cane non è considerato carne edibile e ne è vietato il consumo, cosa che è rimasta tale, un briciolo di coerenza non guasta, anche per EXPO 2015, che pur ha ricevuto numerose deroghe in materia: dal pesce palla agli scorpioni. In Italia mangiare il cane è inconcepibile, abbiamo un rapporto di familiarità e di amicizia che ci rende insopportabile la sola idea, così come rende incredibile per molti popoli del nord-Europa che in Italia si consumi carne di cavallo, animale con il quale abbiamo un legame forte, certo più recente rispetto a quello con il cane, ma non meno importante. Eppure legame o non legame il consumo di carne di cavallo in Italia è una realtà consolidata e tristissima, non solo perché siano cavalli, ma soprattutto perché i cavalli da carne passano la vita in un turbinio di sofferenze; da quelle dei centri di raccolta ai lunghi trasporti in condizioni pessime, quale che sia la loro provenienza: su camion se provengono dai paesi dell’Est Europa, in nave se arrivano dall’area balcanica. Eppure per i cavalli si muovono in pochi nel nostro paese, non si levano grandi proteste, mentre per i cani di Yulin le petizioni si sprecano: tutte le realtà che riguardano i cani hanno in Italia una valenza diversa, pesa il nostro rapporto con loro, si condanna il tradimento di un patto di mutua assistenza, che ha visto l’uomo come contraente moltissimi anni fa, e tutto questo è ampiamente comprensibile.
Il focus però deve, dovrebbe, essere spostato non tanto sulla specie ma sulla sofferenza, sulla qualità della vita, sul benessere animale: che si tratti di un cane o di un maiale, di un manzo o di un cavallo la mia attenzione si ferma principalmente sulle ingiurie fisiche e psichiche che noi riusciamo a infierire agli animali. Non parlo di morte, racconto di vita. Guardare le condizioni in cui sono trattati i cani di Yulin riempie il cuore di sgomento, per la sorte dei cani, ma anche per tante crudeltà inutili che vengono fatte subire agli animali senza nessun tipo di compassione. Colpisce più questo, le gabbie stipate, la violenza, l’indifferenza verso la sofferenza piuttosto che la specie dell’animale, che se è importante sotto il profilo del legame è del tutto ininfluente sotto il profilo dei maltrattamenti quando si parla di mammiferi; maltrattamenti tanto gravi quanto inutili. Yulin è uno dei tanti momenti che si aprono, come finestre temporali, riportandoci in una sorta di Medio Evo culturale, dove ancora si credeva che gli animali fossero animati ma senz’anima né diritti. Colpisce anche che contro il festival di Yulin ci sia molta più attenzione rispetto a quanto accade agli animali degli allevamenti intensivi italiani, forse perché, al di là dell’indubbio rapporto che ci lega al cane, questo argomento non tocca le abitudini alimentari e le scelte di chi non vuole sapere come faccia ad arrivare nel piatto quella fetta di salame. In effetti da noi un cosciotto di cane non potrà mai arrivare e questo per molti significa poter protestare per i diritti senza cambiare, nemmeno un filo, le proprie abitudini alimentari.
Unica reale bella notizia è vedere che anche in Cina è nato e si sta sviluppando un movimento di attivisti per i diritti animali, che stanno bloccando i camion, obbligando le autorità ad intervenire e mettendo al sicuro un gran numero di cani destinati ad essere macellati. Queste prese di posizione e queste azioni stanno costringendo il governo cinese ad adottare delle nuove politiche che, ci vorrà sicuramente tempo, porteranno ad un miglioramento delle condizioni di molti animali anche in Oriente. Noi occidentali siamo bravissimi ad auto assolverci, gettando la croce sulla componente più arcaica e contadina degli altri popoli, omettendo di valutare che la nostra colpa vale almeno doppio: noi conosciamo, noi siamo anche con la crisi meno poveri, viviamo in democrazie e non in regimi, abbiamo libero accesso alla rete. Detto questo, senza nulla togliere al disastro e alla crudeltà di Yulin, se dovessimo stilare una classifica basata sulla gravità delle colpe in base alla realtà culturale e umana di chi le commette, sono sicuro che i cinesi siano poco diversi da noi (con le premesse fatte), che guardiamo Report o Anno Uno con un occhio solo, quando parlano di sofferenza animale, pur di non dover rinunciare al nostro Moncler o alla fetta di prosciutto di Parma. Siamo più colpevoli noi, con la tipica arroganza occidentale, che con EXPO 2015 pensiamo di insegnare al mondo come nutrire il pianeta, grazie alla bellissima dichiarazione di intenti della Carta di Milano, ricca di contenuti, ma priva di indicazioni sul come raggiungere l’obbiettivo, con un EXPO dove i main sponsor sono McDonald’s o Coca Cola.
Possiamo sperare che gli attivisti per i diritti animali cinesi siano una pianta che cresca forte in quell’immensa nazione, magari con quella concretezza e quell’onesta intellettuale che sempre più spesso manca a noi, capaci di tanto rumore, ma purtroppo incapaci troppe volte di mettere a fuoco il centro dei problemi, senza trasformarli in allegorie mediatiche.
Ciao.una cosa è uccidere animali stupidi come pecore o galline.un altra cani cavalli e gatti
Non esistono animali stupidi, è una categoria che appartiene solo al genere umano.
e’ tutto vero e direi che in ogni parte del mondo c’è incoerenza e indifferenza alla sofferenza di chi non può ribellarsi. Sto facendo un viaggio negli USA e sono sgomenta da quanto lavoro ci sia ancora da fare in questo paese che si è assunto l’onere di guidare il mondo. Eticamente c’è molto da fare ovunque! Diamoci da fare e non facciamoci fermare dall’enormità che ci sta davanti
La consapevolezza è così difficile da raggiungere? Pare di sì. Più facile battersi per i cani cinesi o rumeni od ucraini che inorridire per la cotoletta o la sogliola nel nostro piatto, od il latte nel nostro caffè. Quale differenza? Molti di noi non la vedono, e si comportano di conseguenza, che si tratti di un cane, un vitello, un pollo, un’ aragosta od un verme che non trova la strada per il prato. La consapevolezza appare scomoda, difficile, vincolante una volta raggiunta: non si può più “far finta di non vedere, non sapere”, e richiede coerenza, attitudine per molti inconcepibile. Così la bella ragazza può asciugarsi una lacrima davanti al servizio sui canili-lager, mentre ha sulla spalla la borsa di morbidissimo vitello, il giovanotto alternativo discettare sull’ inciviltà di chi abbandona il cane d’ estate mentre mastica il suo filetto al sangue, la buona vicina nutrire con bocconi prelibati il proprio amato gatto mentre tira il collo alla gallina per fare il brodo… Del resto, più di un milione di firme di cittadini europei che hanno certificato la propria volontà di porre termine all’ obbrobrio inutile della vivisezione è stato ritenuto ininfluente dalla Commissione Europea, più legata agli interessi economici delle lobbies che non al proprio mandato di rappresentanza….Lunga è la strada da percorrere, lontano, ancora fuori dalla vista l’ obiettivo.