Criminalizzare proteste cambia realtà

Criminalizzare le proteste non cambia la realtà: l’emergenza ambientale cresce ogni giorno, mentre si fa ancora troppo poco per il cambiamento. Possono non piacere i blocchi stradali e molte azioni messe in atto da Ultima Generazione, ma certo non sono queste persone a essere un problema. Certo se questi attivisti fossero davvero ecoterroristi (per qualcun altro eco-imbecilli), come sono stati definiti da qualche illuminato politico, allora le cose cambierebbero. Ma per chi ha vissuto gli anni veri del terrorismo, con tutti gli strascichi che hanno comportato, questa definizione è davvero priva di significato.

Le proteste pacifiche sono azioni di disobbedienza civile che devono essere riconosciute come portatrici di un valore. Specie quando cercano di accendere i riflettori non su un problema ma su un dramma del quale si parla molto, facendo in realtà troppo poco. I cambiamenti climatici sono una certezza, i danni economici che porteranno sono ampiamente previsti dal mondo della finanza etica, ma anmche dalle Nazioni Unite, e le migrazioni in atto sono la punta dell’iceberg. Ma la confusione dell’informazione porta a omologare questi attivisti a dei black block, come se spaccassero e vandalizzassero tutto quello che trovano sul cammino.

In un mondo digitale chi scende sul terreno del reale sarebbe già da apprezzare solo per questo. Per la volontà dell’esserci, di metterci la faccia, di esporsi a dei rischi e di subire processi e denunce. In un paese come il nostro che sembra aver perso il senso del valore della libertà, spesso troppo occupato a subire l’informazione, senza avere voglia di indagare le ragioni dei fenomeni. I cambiamenti climatici sono diventati un’emergenza in Europa, ma si trasformano in drammi nei paesi più poveri del mondo. Mentre l’economia e la politica ci rassicurano che stiamo efficacemente combattendo le cause delle mutazioni del clima e ionvece stiamo andando a sbattere su una nave senza pilota.

Criminalizzare le proteste non cambia la realtà e Ultima Generazione non fa eco-terrorismo

Quando i blocchi stradali li fanno gli operai che difendono il posto di lavoro sono azioni illegittime ma scusabili, perché devono mantenere la famiglia. Ma se si tratta degli attivisti, siano di Ultima Generazione che di quanti difendono i diritti di tutti gli esseri viventi, allora le cose cambiano. Stranamente il lavoro è un diritto, ma voler avere un futuro sembrerebbe di no! Così queste proteste diventano inutili, fatte da ragazzini (e non è vero) che vogliono avere visibilità. Mentre il loro esserci, con sistemi di pacifica disubbidienza civile, ci aiuta a ricordarci che ogni giorno perdiamo biodiversità. Eppure la disobbedienza civile ce l’ha insegnata il Mahatma Gandhi, anche con il suo motto “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

Nelson Mandela, indimenticato primo presidente del Sud Africa post segregazione razziale, fu premiato nel 1993 con il Nobel per la pace. Un giusto riconoscimento, dato a un uomo che aveva messo in atto azioni, anche violente, per lottare contro la segregazione dei neri. Per usare un paradosso ha lottato con mezzi estremi per un mondo che non voleva vedere più in bianco e nero, come ricorda questo brano tratto da un articolo di Daniele Scalea:

Perché è vero che Mandela è stato l’uomo della resistenza non violenta, della pacificazione, della “nazione arcobaleno”, dell’amnistia, della filantropia. Ma è stato anche e non solo quel Mandela. C’è pure un’altra faccia di Mandela, quella del militante, del cospiratore, che non è opposta ma complementare alla prima. Che non è il rovescio “cattivo” della faccia “buona”. È altresì il Mandela che non si vuole ricordare perché, alla nostra società assuefatta alla violenza ignobile e insensata che viene compulsivamente narrata o descritta dai TG ai film, dalla musica ai videogiochi – a questa società tanto caratterizzata dalla violenza fine a se stessa, riesce invece difficile accettare e riconoscere l’esistenza di una violenza “nobile”, una violenza motivata dal senso di giustizia e tendente al giusto.

Huffington Post del 7 febbraio 2014

Il rispetto delle leggi è un valore assoluto, ma bisogna anche valutare le motivazioni delle trasgressioni

Non condividere il principio che il fine giustifica i mezzi non può significare voler essere ciechi. Abbiamo bisogno di innescare reali cambiamenti e se fossimo davvero attenti non avremmo necessità di avere queste proteste per averne consapevolezza. Invece insistiamo nel divorare la terra a morsi per non turbare economia e finanza, continuando a distruggere l’ambiente che avremmo dovuto da tempo imparare a proteggere. Un terzo della superficie di mari e oceani andrebbe tutelata e liberata dalle attività umane, mentre noi continuiamo a comportarci come i tarli inconsapevoli, sull’unico tavolo che ci ospita.

Se si vuole togliere di mezzo gli attivisti che difendono l’ambiente il sistema è facile: leviamogli la terra sotto i piedi della protesta, cominciando a fare cose per davvero e smettendo di raccontarle soltanto. Alla politica, ma non soltanto, manca il senso dell’urgenza che non sfugge invece, e per fortuna, a un’altra grande parte del paese, che certo non è composta da eco-terroristi. Chi si occupa e si preoccupa di difendere ambiente e biodiversità nell’Antropocene non è un profeta di sventure, una fastidiosa Cassandra. E’ soltanto una persona che racconta facili previsioni, non per vaticinio ma per senso della realtà, del tempo presente che stiamo vivendo.

Ragionamenti da fare ora, perché quello che tanto preoccupa l’Europa non diventi davvero un’invasione: non più migranti economici e richiedenti asilo, ma torme di migranti climatici disperati e affamati. E non ci sarà più tempo per il futuro, neanche prossimo, perché la realtà potrà essere descritta solo utilizzando il presente indicativo. E non sarà un bel racconto!

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