abbandono estivo degli animali

Ogni anno in questo periodo giornali, televisioni e strade si popolano di campagne contro l’abbandono estivo degli animali, dipingendolo come un fenomeno stagionale.

Una questione legata alle vacanze che porta i proprietari, pur di non avere seccature, ad abbandonare il proprio animale. Ogni anno, in parallelo,  si inseguono dati, numeri che non si capisce mai da dove provengano esattamente.

La causa è probabilmente da ricercare nel moltiplicarsi delle richieste da parte dei media di avere informazioni sul fenomeno divenuto quasi mitologico: l’abbandono estivo.

Creato dai media, sempre in cerca di argomenti con cui riempire le pagine in tempo di vacanze, l’abbandono si materializza, puntuale, a ogni estate. La realtà però  appare subito un poco diversa: provate a fare una ricerca approfondita in rete, ve ne renderete subito conto.

Cercando “abbandono estivo cani” su Google vi usciranno intere paginate con articoli relativi all’Italia, ma se ripetete la stessa ricerca in inglese non troverete quasi nulla sul fenomeno estivo, mentre molto troverete sull’abbandono in generale degli animali.

L’abbandono degli animali dura tutto l’anno

Se poi cercate campagne di informazione straniere sul fenomeno “abbandono estivo” resterete sorpresi: ne troverete davvero poche, come quella della foto sopra, realizzata da un’associazione della Croazia e pochissime altre. Qualcuno allora potrebbe pensare che questo comportamento orrendo sia solo italico e che quando arrivano i primi caldi alcuni si riscoprano improvvisamente sadici.

Abbandonare un cane, un animale, molto spesso vuol dire condannarlo a morte, come racconta questa campagna del Ministero della Salute del 2012.

La realtà è più crudele, stupida e meno circoscritta: molte le persone, in tutto il mondo, decidono di prendere gli animali sulla base di una scelta emotiva, non di una riflessione, di un pensiero responsabile basato sulla convinzione che un animale sia per sempre.

Poi arrivano i primi problemi, un bimbo, una fidanzata, i costi, l’impegno e allora qualcuno, per fortuna percentualmente pochi, si accorge che l’animale diventa un peso e se ne libera: i più civili accordandosi con una struttura, i più incivili buttandoli dove capita. Il problema non riguarda certo solo cani e gatti e l’abbandono coinvolge tutti gli animali senza distinzione di specie.

Conigli, pappagalli, iguane, tartarughe, serpenti vari ma non si esita ad aprire le gabbie anche a scoiattoli, furetti e cavie, accomunati nell’aver avuto come tutore un uomo davvero poco “sapiens” e spesso destinati a fare una fine pessima.

Acquisti e adozioni d’impulso sono la causa dell’abbandono degli animali

Un fenomeno che dura 365 giorni l’anno e che non deve essere banalizzato riducendolo solo a un comportamento irresponsabile, legato alla necessità di andare in vacanza ed alle difficoltà di farlo con un animale. Per troppe persone, ancora, gli animali sono poco più che cose e vige il pensiero che “tanto qualcuno se ne occuperà”, scaricando sulla collettività, sulle associazioni, i costi derivanti dalla loro stupida irresponsabilità.

Nonostante da tempo l’abbandono di animali sia un reato non ci sono gli strumenti per poter reprimere con efficacia questo fenomeno, manca un’anagrafe degli animali, di tutti gli animali tenuti in cattività.  Che deve invece diventare un obbligo insieme a sanzioni per quanti non si adeguino, per costituire un deterrente.

Mentre ora al di là dei proclami e delle notizie di stampa chi abbandona un animale rischia poco, troppo poco. Uno dei principali affluenti del grande mare del randagismo, canino e felino, è proprio derivante dall’abbandono e dalla cattiva gestione degli animali di proprietà.

Ma pur essendo consapevoli di questo, i governi di ogni colore non hanno pensato di realizzare leggi che consentissero un maggior controllo del possesso di animali, per evitare certamente sofferenza e morte per tanti cani e gatti incolpevoli, ma anche incidenti, costi di gestione e una piaga, il randagismo, che non diminuisce, arricchendo pochi e rappresentando un problema collettivo.

Senza sottovalutare il “randagismo” degli alloctoni

Esiste poi l’altra faccia del randagismo, rappresentata dagli animali alloctoni, venduti come animali da compagnia e poi liberati in natura. Molti si sono acclimatati e si riproducono: così la penisola è piena di tartarughe della Florida, di parrocchetti dal collare, di scoiattoli grigi, di carassidi (i comuni pesci rossi).

Questo solo per parlare delle specie che sono oramai diventate numerosissime, alle quali si possono aggiungere i procioni in Lombardia, le nutrie quasi ovunque, i gamberi della Louisiana, i siluri nei fiumi del nord Italia e altri “clandestini”, che derivano tutti, invece, da importazioni fatte per scopi di sfruttamento commerciale per la pellicceria, l’alimentazione o la pesca amatoriale.

Gli animali alloctoni devono essere, per direttiva europea, eradicati, fatti scomparire dall’ambiente naturale, ma questo è impossibile quando il fenomeno è scappato di mano, ha preso il sopravvento: così si fanno insensati piani di abbattimento che costano agli animali sofferenze ed ai contribuenti moneta sonante.

Ma nessuno chiude il commercio, lo riduce, da nuove regole più restrittive, impedisce che si possano tenere animali esotici senza alcuna registrazione, senza responsabilità, senza nemmeno pagare una tassa di scopo per costruire i centri dove questi animali andranno poi ricoverati dopo il loro abbandono. La lobbie dei commercianti di animali vince, l’ambiente e gli italiani perdono e ne pagano il prezzo.

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