L’attenzione ai diritti di uomini e animali e il rispetto dell’ambiente sono i principali fattori che differenziano una multinazionale dall’essere o meno un’impresa eco-sostenibile.
Patagonia è una multinazionale che ha investito e ufficialmente creduto in questi due fattori.
Qualificandosi come azienda leader dell’abbigliamento con una forte impronta sociale, di responsabilità aziendale e di collaborazione con le associazioni ambientali.
Un comportamento sicuramente premiato da molti consumatori, attenti a fare scelte consapevoli nell’acquisto dei loro prodotti, facendo per anni la fortuna di questo marchio.
Fino a quando un’inchiesta realizzata dall’associazione americana PETA non ha fatto cadere il castello dell’impresa, che da paladina dell’ecologia si è trovata sotto accusa per maltrattamento. Le investigazioni condotte sulle modalità di trattamento degli animali e sul loro benessere, in particolare per quanto concerne la filiera produttiva della lana, hanno dimostrato come in realtà il principale fornitore di Patagonia, Ovis 21, un’azienda argentina che gestisce l’allevamento brado di pecore in Patagonia, parrebbe essersi resa responsabile di gravi maltrattamenti agli animali.
Dopo un’iniziale difesa Patagonia ha dichiarato di aver interrotto ogni rapporto con Ovis 21, anche se sul sito italiano potete ancora leggere meraviglie sul progetto eco-sostenibile di Patagonia e dell’argentina Ovis 21, situazione contraddetta in modo energico da quanto possiamo vedere nel filmato posizionato alla fine dell’articolo a causa di immagini con contenuti violenti, che possono urtare la sensibilità dei più e che vengono pubblicate solo in quanto frutto di un’inchiesta.
Patagonia sul suo sito web racconta molte cose su la responsabilità verso i diritti animali, ad esempio informando che le piume delle imbottiture non vengono prelevate da oche vive con il metodo della spiumatura, cosa che aveva creato poco tempo fa qualche grattacapo a Moncler, grazie a un bel servizio di Sabrina Giannini trasmesso da Report su Rai3 (vedi articolo). Ma qualcosa evidentemente non ha funzionato perché le pratiche utilizzate da Ovis 21 con le pecore sono a dire poco barbare, inaccettabili, vergognose.
Moncler e Patagonia hanno due filosofie aziendali diverse, una rivolta alla massimizzazione del profitto, l’altra attenta alla trasmissione di messaggi di rispetto dei diritti sociali, animali e ambientali, per fare impresa nel modo meno dannoso possibile, per trasmettere valori di sostenibilità importanti, fattori questi che hanno sempre fatto guardare al brand Patagonia con simpatia, anche da quella parte di pubblico che, pur usando derivati animali, pretende che siano prodotti con rispetto dei loro diritti. Come detto qualcosa però non ha funzionato, Patagonia non ha vigilato attentamente sul comportamento dei suoi fornitori, evidentemente fidandosi di audit e rapporti rassicuranti che raccontavano tutto fuorché la verità sulle violenze inferte agli animali. Questa fiducia era davvero mal riposta e porterà il brand Patagonia a navigare in acque davvero agitate sul mercato occidentale, essendo più difficile farsi perdonare da un pubblico attento, poco incline ad accettare che chi racconta meraviglie sulla sua impresa sia poi colto ad impiegare un fornitore che sevizia le pecore usate per la produzione della lana.
Questa bruttissima storia emersa grazie all’investigazione dell’americana PETA rischia di creare un danno collaterale enorme, non solo a Patagonia ma a tutte quelle realtà che hanno scelto di praticare una produzione eco-sostenibile, basata su concetti di riduzione del danno e sulla tutela di ambiente e esseri viventi: ha aperto un’altra crepa nella loro credibilità, nel fatto che sia realmente possibile fare profitto attraverso un meccanismo equo e solidale. In questo modo si rischia che il pubblico non creda più a nulla, si senta preso in giro e costretto a pagare di più prodotti etici che poi etici non sono.
Non basteranno le scuse di Patagonia, non sarà sufficiente un cambio di fornitore a far dimenticare così in fretta le sevizie praticate sulle pecore merino: l’azienda dovrà dimostrare di aver intrapreso a una completa revisione delle pratiche di controllo, investendo una parte considerevole dei profitti proprio in queste attività, non bastando più, a questo punto, raccontare un’immagine che parla di green responsability senza aver solide prove per dimostrarlo: non so se il pubblico lascerà questa chance a Patagonia, sicuramente un secondo tonfo potrebbe aprire le porte di un baratro davvero profondo. Non ci resta che aspettare per conoscere quali saranno le mosse di Patagonia, che certo avrebbe fatto miglior figura fornendo spiegazioni anche sul suo sito italiano, a tutt’oggi completamente muto su questo scandalo.
Si può soltanto sperare che Patagonia comprenda il danno causato con un comportamento superficiale alle aziende magari più piccole, ma davvero attente alla responsabilità di fare impresa in modo sostenibile.