Maltrattamento animale gronda sangue

Il maltrattamento animale gronda sangue e violenza nelle sue forme più crudeli.

La continua sovraesposizione di questa realtà non credo rappresenti un aiuto per la crescita dei diritti degli animali, nonostante like e condivisioni.

Anzi potrebbe rappresentare la peggior strada per coinvolgere l’opinione pubblica in un percorso di crescita.

Certo le immagini sono la prima forma di comunicazione che colpisce l’immaginazione, prima del testo, prima di uno slogan.

Siamo parte di una società veloce che troppo spesso non legge, non indaga il nesso fra immagine e contenuto di un articolo e, purtroppo, come inevitabile conseguenza, rischia di non recepire il messaggio che si vuol trasmettere.

Certo qualcuno potrebbe obiettare che è la foto, la copertina, che fa vendere il giornale proprio in virtù dell’emotività che suscita in un pubblico magari distratto. Questo è vero ma con con alcuni limiti. Uno dei quali è rappresentato dall’esposizione della violenza, spesso senza un motivo che non sia quello di colpire l’emotività, di parlare alla pancia. Dimenticando che conquistare la testa delle persone è più difficile ma più efficace, molto ma molto più efficace in termini di risultato atteso.

Per scelta non pubblico mai immagini violente, pur conoscendo discretamente i meccanismi che presiedono alla comunicazione, pur sapendo che il numero di like e condivisioni passa anche, se non esclusivamente, dall’immagine che indigna, dal toro che inginocchiato in agonia versa il suo sangue sulla sabbia di una delle tante arene.

Vedete questa è la descrizione di una fine crudele e violenta, ma va pensata nello scrivere, per stimolare compassione e non repulsione, e compresa nel leggere, per capire che ci sono comportamenti indegni compiuti dall’essere umano. Ma questa descrizione non porta like quanto l’immagine splatter, quella che non si può guardare.

L’immagine del toro in agonia durante la corrida ottiene moltissimi apprezzamenti, molte condivisioni e questo potrebbe indurre a pensare che, se è così, questa sia la strada giusta, quella che va diritta al cuore, che colpisce la pancia, che fa ribollire il sangue degli amanti degli animali.

Così si stimolano le reazioni dei più emotivi che, purtroppo, troppo spesso sproloquiano lanciando invettive terribili nei confronti dei responsabili, arrivando a invocare morte e sofferenza anche ai parenti prossimi, senza comprendere il danno causato, la repulsione rispetto a una causa invece meritevole di grande attenzione.

Non sempre amore e equilibrio danzano sullo stesso palcoscenico, non sempre buone cause e capacità di convincere abitano le stesse parti del nostro cervello. Così spesso chi difende i diritti degli animali pensa che l’insulto sia un’arma vincente, fantastica, infallibile per giungere al risultato. Temo sbagliando.

Sono profondamente convinto invece che l’insulto, l’invettiva verso l’avversario, il mostrare sempre sangue e arena coagulino si un gran numero di persone, ma sempre le stesse, quelle che in questo cerchio hanno deciso di abitare in permanenza, dimenticando che la difesa dei diritti passa attraverso la diffusione della cultura e alla capacità di coinvolgere, non  da quella di escludere.

Questo tempo presente è sempre più quello delle contrapposizioni, dove troppo spesso gli schieramenti si ritrovano soltanto al loro interno, si riconoscono e si riconvincono di quanto li ha già convinti, escludendo chi sta fuori, chi non ha capito, chi non è fra gli unti dal signore.

In fondo l’uomo ha sempre avuto bisogno di avere un nemico per giustificare la sua rigidità nel ragionamento. In questo modo però si giunge a una ghettizzazione non solo degli argomenti ma anche dei risultati sperati, che non sono quelli di ricevere attenzione da chi è già attento alla necessità di tutelare le categorie fragili, a prescindere dalla loro specie, di difendere l’ambiente e la biodiversità.

Abbiamo bisogno di raggiungere l’altra parte di pubblica opinione: quella non informata su certi argomenti, quella che magari vorrebbe conoscere ma detesta l’aggressività di immagini e contenuti. Il mondo vuole forse capire, ma non si convincerà se la contesa fra bene e male si concentra, per fare soltanto un esempio, in una lotta senza quartiere fra vegani e onnivori.

Ritornando alle immagini, alla violenza esibita, all’incapacità di raccontare o suscitare attenzione senza il supporto di foto spesso terrificanti, temo che questa scelta porti soltanto alla creazione di recinti che rassicurano gli uni ma escludono gli altri.

Lo scopo di chi si propone di formare e informare è invece diverso, non bilanciato dai like ma dalla possibilità, non così remota se si riesce a coltivare un pubblico, di dare informazioni a chi non vuole vedere un fiotto di sangue, un animale straziato,

Un pubblico che non vorrebbe nemmeno che questa violenza esistesse, che conosce lo stesso il mostro che abita in noi e vorrebbe contribuire a combatterlo, senza però aver bisogno di vedere sempre sangue e arena.

Certo il discorso potrebbe allargarsi se guardiamo le campagne di comunicazione, spesso basate su immagini che colpiscono, più motivate dallo spingere i sostenitori a contribuire alla buona causa che non a informare. Un motivo che renderebbe auspicabile un cambiamento di direzione, un incremento dell’empatia. In fondo anche questo è marketing e non si può credere che il mondo sia fatto solo di anime belle.

Tutto costa e il sostegno è importante, quando è speso bene e con attenzione. Senza però dimenticare la necessità di contribuire all’evoluzione della specie. La nostra.

 

 

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