Allevatori condannati per aver maltrattato e causato la morte di alcuni maiali in un’azienda del gruppo Amadori, dopo un’inchiesta di Essere Animali trasmessa su Report RAI nel 2016. L’inchiesta, realizzata da Sabrina Giannini con il team investigativo di Essere Animali aveva portato alla luce condizioni disumane di allevamento.
Poco tempo dopo la messa in onda del video di Essere Animali, ENPA con l’aiuto di Animal Equality aveva presentato una denuncia alla magistratura. Le condizioni di allevamento mostrate nell’inchiesta erano state viste da due milioni e mezzo di persone, dopo essere andate in onda su Report, allora condotto da Milena Gabanelli.
Sulla base di quanto diffuso dalla RAI la Procura di Forlì, a cui si era rivolta ENPA, aveva aperto un fascicolo per maltrattamento di animali. A seguito della denuncia furono disposti accertamenti che portarono alla recente sentenza. Sul banco degli imputati sono finiti l’amministratore delegato e il gestore dell’impianto, ma altri sembrano mancare all’appello. Quanti avevano il compito di controllare e lo hanno svolto male oppure con grande superficialità.
La condanna degli imputati, che hanno scelto di patteggiare, peserà come un macigno su Amadori
Il Giudice per le indagini preliminari di Forlì ha accolto le richieste di patteggiamento presentate dagli imputati. Condannando il rappresentante legale dell’azienda a 3 mesi di reclusione, pena sospesa, e 22.500 Euro di multa. La persona che aveva in custodia gli animali è stata condannata invece a un’ammenda di 1.600 Euro. Pene basse rispetto a quanto succedeva e alle sofferenze patite dagli animali. Ma il massimo possibile considerando lo sconto di pena per il patteggiamento e la normativa attuale.
La condanna ha riguardato un’allevamento intensivo di proprietà del Gruppo Amadori, che non potrà dire di non conoscere le condizioni in cui i maiali venivano tenuti. In gabbie piccolissime, con lesioni, senza arricchimenti ambientali e in condizioni talmente afflittive da causarne in alcuni casi la morte.
ENPA nel 2019 aveva già ottenuto dal Garante per la Concorrenza e il Mercato un provvedimento che obbligava Amadori a modificare la sua comunicazione pubblicitaria, ritenuta non conforme al disciplinare. Questa volta non si trattava di suini ma di polli, pubblicizzati scorrettamente. Il benessere animale negli allevamenti intensivi viene spesso usato per convincere i consumatori dell’attenzione del marchio nella produzione, senza che questo corrisponda realmente al vero.
I consumatori non devono credere che sia vero tutto quello che racconta il marketing
Il consumatore deve stare sempre molto attento a verificare quanto dichiarato dalle aziende, per non cadere in una trappola che garantisce solo maggiori introiti ai produttori.
Quando si parla di benessere animale, peraltro, questo non deve far supporre che gli animali conducano una vita secondo i loro bisogni, ma solo che sono allevati seguendo le normative. Negli allevamenti intensivi il benessere, nel senso completo del termine, non esiste. Nella maggior parte dei casi può esserci soltanto solo una condizione di minor sofferenza.
Per questo è importante avere consumatori attenti e informati, che non si facciano rapire dalle sirene della pubblicità. Racconti spesso ingannevoli, come le espressioni sorridenti dei maiali sui camion di certi salumifici.
Un maiale nella gabbia di contenzione prima di essere macellato (foto Animal Equality)
La politica racconta bugie sugli allevamenti intensivi e le inchieste fatte da Animal Equality e da ICWFdimostrano senza possibilità di essere smentite che le condizioni di detenzione degli allevamenti intensivi dei maiali (e non solo dei maiali) sono incompatibili con il benessere animale.
Sicuramente non saranno tutti in condizioni disastrose, qualcuno avrà attenzioni maggiori nei confronti degli animali, ma non vi è dubbio che le condizione in cui sono allevati siano contrarie a qualsiasi rispetto delle necessità etologiche della specie e a quel minimo benessere che deve essere garantito sulla base delle numerose convenzioni europee sugli animali d’allevamento. In questa slide, che utilizzo quando tengo corsi alle forze di polizia sul benessere degli animali, possiamo trovare indicate le condizioni minimali a presidio del benessere animale, che già nel 1979 furono oggetto di una legge promulgata nel Regno Unito. Queste condizioni rappresentano un confine non travalicabile, se vogliamo che dal momento della nascita sino a quello della morte, gli animali vivano in una costante situazione di stress e sofferenza. La coscienza sul rispetto dei diritti degli animali sta crescendo ogni giorno di più e sono sempre maggiori le adesioni al vegetarismo e alla cultura vegan, fatte da persone che non vogliono più sentirsi complici di questo tipo di brutture.
Queste 5 libertà, indicate dal professor Roger Brambell, sono troppo spesso negate agli animali, sicuramente almeno nelle strutture oggetto delle investigazioni di Animal Equality e di CIWF, a dimostrazione di come gli allevamenti intensivi nel nostro paese siano in condizioni tali da poter essere definiti, in tantissimi casi, dei veri e propri lager. In nome del profitto i maiali, peraltro animali intelligentissimi, vengono tenuti in condizioni di costante sofferenza e quando parliamo di questa tipologia di allevamenti ci riferiamo a bolge dantesche che detengono migliaia e migliaia di animali, in condizioni di costante maltrattamento, sofferenza e privazione. Non può esistere alcuna necessità o giustificazione per allevare gli animali in condizioni tanto inumane e contrarie a qualsiasi senso di compassione nei loro confronti, ma esistono purtroppo delle motivazioni: il profitto, la domanda che aumenta e la scarsità dei controlli, accompagnata a leggi sicuramente con pene troppo miti. La norma sul maltrattamento non pone grande differenza fra chi lo commette per crudeltà o senza un motivo economico e chi invece lucra per milioni di euro: così la sanzione che può creare deterrenza nel primo caso è del tutto insufficiente per le attività speculative.
Difficile sentire senza un moto di rabbia il ministro Beatrice Lorenzin, titolare del dicastero della Salute che presiede anche alla vigilanza sugli allevamenti tramite i Servizi Veterinari delle ASL e i Carabinieri dei NAS, affermare che gli allevamenti delle inchieste recentemente mostrate alla trasmissione “Announo” sono da considerarsi un’eccezione nell’insieme delle aziende italiane, considerando che l’Italia ha un sistema di controlli sanitari che l’Europa ci invidia. Il ministro confonde evidentemente la sanità animale con il benessere animale, forse perché sono vigilate dalla stessa area dei servizi veterinari, senza poter spiegare come secondo il suo ministero sia possibile che aziende che hanno decine di migliaia di capi non abbiano un controllo costante. Caro ministro le condizioni che hanno rilevato le inchieste sono strutturali, riguardano un numero enorme di soggetti allevati in condizioni tali da costituire un sicuro maltrattamento, ma anche un rischio sanitario per i consumatori. Questo significa che la rete di monitoraggio non funziona, ha delle falle inaccettabili che possono fornire risultati assolutamente incongrui, ed è forse per questo che siamo invidiati: rileviamo le condizioni in modo trascurato e non sanzioniamo quasi mai le violazioni che sono sotto gli occhi di chi le vuol vedere; parametrando il numero dei controlli con le violazioni accertate diamo il quadro di un sistema di allevamento sano, pulito, rispettoso e produttivo, ma questa è una gigantesca bugia falsata dalla scarsità dei controlli e in molti casi dalla loro qualità.
Le situazioni che sono emerse dimostrano l’esistenza di realtà non soltanto indifendibili, ma anche difficilmente occultabili per dimensioni, numero di animali e tipologia di strutture: questo purtroppo fa pensare che i controllori, nella migliore delle ipotesi, facciano, troppo spesso, male il loro lavoro per le più svariate ragioni. Questo dovrebbe portare a una rimozione del personale coinvolti cioè chi materialmente ha effettuato i controlli senza muover rilievi, dimostrando di essere evidentemente inidoneo a svolgere in modo corretto e rispettoso delle norme l’attività di vigilanza. Nei casi opportuni ci si aspetterebbe che chi ne ha la responsabilità faccia scaturire una denuncia alla Procura competente, perché le omissioni sono un reato e lo sono ancora più grave se questo avviene a seguito di una dazione di danaro o altra utilità. Non dobbiamo criminalizzare i veterinari e quanti hanno fra i loro doveri il controllo del benessere animale, ma proprio perchè questo non avvenga dobbiamo essere in grado di controllare e di sanzionare chi sbaglia, sia per ragioni di malaffare o di semplice mancanza di empatia, attenzione, rispetto del proprio lavoro. Non è più accettabile che in Italia esistano caste che lavorano male senza pagare le conseguenze, ma lasciando, in questo caso, che gli animali siano trattati in modo vergognoso.
Ministro Lorenzin provi a guardare questo filmato di Animal Equality e rifletta, la prego, se condizioni di questo genere possano essere davvero un caso, un evento accidentale oppure siano le condizioni abituali che quell’allevamento può garantire agli animali, come molti altri sul territorio della penisola. Sono certo che, per intelligenza, propenderà con me per la seconda ipotesi e da questo però deve discendere immediato il fatto che quest’allevamento intensivo debba essere chiuso, togliendogli la possibilità di allevare, sia per il maltrattamento che causa agli animali sia per il potenziale danno che infligge alla salute di ignari consumatori, che certo dovrebbero essere molto più attenti, ma che evidentemente ed a torto si fidano delle sue rassicurazioni.
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