Spiedo di uccelli protetti in tempi di Covid, con banchetto fra i dipendenti pubblici della comunità montana della Val Trompia. Potrebbe sembrare il canovaccio di una brutta commedia, ma spesso in Italia la realtà supera, e di molto, la fantasia. Questo è quello che devono avere pensato anche i Carabinieri Forestali (bravi) che sono intervenuti per far andare di traverso ai commensali gli uccelli protetti. Il tutto negli uffici della Comunità Montana, guidata da Massimo Ottelli che risulta in quota PD.
Il presidente si è dichiarato all’oscuro di tutto e ha promesso provvedimenti disciplinari, ma il fatto resta comunque grave. Un reato consumato in strutture pubbliche, da dipendenti pubblici, in tempi di Covid che vietano banchetti e dove vengono cucinati animali protetti. Difficile immaginare di peggio, restando in campo di abusi fatti con soldi pubblici e bracconaggio. Un comportamento che è difficile poter definire meno che vergognoso.
In tempi come questi, dove il rispetto delle regole e gli esempi contano, qualcuno ha pensato che così non fosse. Consentendo a un bracconiere di portare nelle cucine dell’ente pubblico ben 65 uccelli protetti uccisi illegalmente e preparati per sollevare il morale dei commensali. Che sono ovviamente finiti sulle pagine dei giornali di tutta Italia. Una prova generale di arroganza pandemica che ricorda un po’ i ristoranti clandestini dove, in tutto il mondo si serve il bush meat a una clientela disponibile a pagare moltissimo. Anche a rischio di alimentare i pericoli per la salute e l’estinzione di specie protette.
Lo spiedo di uccelli protetti in tempi di Covid parla di senso dell’impunità e di disprezzo di ogni regola
Tanto doveva essere l’idea di avere un consenso generalizzato, forte delle tradizioni di una delle aree più colpite dal bracconaggio, da far abbassare ogni cautela agli organizzatori. Non pensando che qualcuno potesse invece rimanere colpito da tanta arroganza, sino al punto di segnalarlo ai Carabinieri Forestali. Pochi dubbi infatti sul fatto che non si trattasse di un controllo di routine presso la mensa della Comunità montana della Val Trompia, ma di qualcosa di più mirato. Avvenuto in una regione come la Lombardia, che voleva riaprire la caccia ai cardellini.
Considerando che l’uccisione di specie protette è un reato che prevede pene risibili si può auspicare che siano i provvedimenti disciplinari quelli in grado di punire davvero questi fatti. Supera l’accettabile che dei dipendenti, pagati dalla collettività, si possano permettere di usare uffici pubblici per commettere reati. Uno di quei casi in cui il licenziamento sarebbe un provvedimento necessario e auspicabile.
Certo fa sorridere che le critiche maggiori verso l’episodio siano venute proprio dalla Lega, uno dei partiti che maggiormente ha promosso le peggiori modifiche delle leggi sulla caccia. Dimostrando, ancora una volta, come per la politica del Bel Paese ogni argomento si possa prestare, al di là di ogni convinzione, per fare speculazioni politiche. Che spesso passano sulla testa dei cittadini e quasi sempre sulla pelle degli animali.
Ovviamente il fatto ha provocato le proteste delle associazioni locali, da ENPA Brescia alla Lega Anticaccia.
Il traffico degli uccelli da richiamo non si ferma, non conosce soste nonostante le operazioni di polizia per contrastarlo. Se da una parte la magistratura non consente la riapertura dei roccoli per la cattura degli uccelli, dall’altra prospera il bracconaggio. Guadagni alti, rischi minimi e grande richiesta rendono questo reato appetibile per i ladri di natura.
In una recente operazione il Corpo Forestale della Provincia di Trento. coordinato dalla sostituta procuratrice Maria Colpani, ha compiuto una maxi operazione contro il traffico illecito di avifauna. Pullus Freedom, il nome dell’inchiesta, ha portato a 18 arresti, con oltre 50 persone indagate e 46 perquisizioni.
Con attività investigative messe in atto in diverse regioni, Trentino, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Campania e Toscana. Sono stati sequestrati oltre 20.000 uccelli, vivi e morti, molti dei quali provenivano dalla predazione dei nidi.
I richiami vivi di cattura sono venduti a caro prezzo
I bracconieri depredano i nidi, pur consapevoli dell’alto tasso di mortalità dei pulli, per l’elevato valore che i pulcini possono raggiungere. Basta metter loro un anello inamvibile e gli uccelli diventano legali, come se fossero nati in cattività. In questo modo chi li acquista, in caso di controllo, non avrà problemi. Mentre il bracconiere si sarà arricchito impoverendo l’ambiente.
Il bilancio dell’operazione parla di 20.000 uccelli sequestrati, la maggioranza dei quali morti, ma il danno inflitto al capitale naturale del nostro paese è molto più alto. Per ogni animale trovato in possesso dei criminali moltissimi altri sono stati già venduti, altri sono morti presso i compratori e sono incalcolabili i danni fatti in natura.
La vasta attività di contrasto ha scoperto un traffico illecito incredibile, che rappresenta solo la punta dell’iceberg: un business che svuota i nostri cieli e condanna gli uccelli selvatici a una insopportabile prigionia in gabbie minuscole. Per essere utilizzati come richiami vivi nella caccia da appostamento. La LAC, con tutte le associazioni protezioniste e ambientaliste, chiede da tempo di fermare questa crudele pratica legata al mondo della caccia. Con maggiori controlli e pene più severe.
I cardellini venduti illegalmente al mercato abusivo di Ballarò sono un esempio di quanto poca sia l’attenzione dello Stato nel far rispettare le regole, specie quando si tratta di animali. Resta però il grande dubbio: se lo Stato non riesce a battere un pugno di uccellatori, seppur delinquenti, riuscirà mai a far credere ai siciliani onesti che sia in grado di sconfiggere la mafia e la criminalità?
Ancora oggi, nel cuore pulsante del mandamento dell’Albergherìa, un quartiere centrale di Palermo, ogni settimana, ogni domenica, si tiene il famoso o forse sarebbe meglio dire il famigerato mercato di Ballarò dove, fra le tanti merci di provenienza illecita, gli uccellatori esibiscono il prodotto delle loro catture illegali: cardellini in primis ma anche fringuelli, fanelli, zigoli e verdoni senza dimenticare ovviamente tutte le altre specie canore. Ma Ballarò significa anche cani da combattimento, scuderie clandestine e un sottobosco popolato di malavitosi di vario calibro e natura.
Lo sanno bene i cronisti dell’agenzia GeaPress, da anni impegnata sul fronte dell’informazione in campo ambientale e sugli animali, che ha lavorato molto sul fenomeno Ballarò, su questa sorta di Stato dentro un altro Stato che il secondo riesce talvolta a rintuzzare, mai a contenere definitivamente.Oggi la notizia che il Ministero dell’Ambiente abbia chiesto lumi alle forze di polizia su cosa intendano fare per contrastare il mercato di Ballarò e il commercio illecito di fauna, frutto di attività di bracconaggio. Ministero certamente più preoccupato dell’apertura di una procedura d’infrazione della Comunità Europea che non per la vendita di fauna in sé o per gli inevitabili maltrattamenti. Già perché l’Europa da tempo tiene l’Italia sotto osservazione, per usare un eufemismo, per le carenze nella sua attività di tutela della fauna e di repressione del bracconaggio.
Leggi spuntate, controlli assenti e qualche volta addomesticati, tempi della giustizia lunghissimi, scarsità di strumenti operativi e una cronica assenza di volontà politica fanno sì che a Palermo, ma non solo a Palermo visto che anche le altre città siciliane e quelle campane rappresentano il crocevia del traffico di avifauna protetta. Proprio grazie a questa situazione si creano le ragioni per le quali si possa mantenere negli anni, nei secoli, la presenza di attività illegali che hanno per giunta la sfrontatezza di essere tali alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti. Comportamenti che la tolleranza, inaccettabile, trasforma da atti illeciti in problemi di ordine pubblico: un mercato come Ballarò, con migliaia di persone che lo visitano, si trasforma in uno stormo di storni attaccati da un rapace ogni volta che arrivano i (pochi) controlli, con persone che scappano da tutte le parti e una difficoltà di tutelare l’incolumità di quanti, ignari, pensano di andare a visitare un fenomeno di costume o di altri che, invece, vanno a comprare con serenità merce rubata, animali bracconati e così via.
Questa nostra Italia punisce con sanzioni ridicole i bracconieri in quanto sono contigui e spesso, molto spesso, sovrapposti ai cacciatori; così, per non alienarsi simpatie e voti di questi ultimi, si finisce per proteggere tutti, consentendo di saccheggiare impunemente la natura, di maltrattare gli animali, spesso accecandoli per farli cantare meglio. Piccoli batuffoli di piume che pesano pochi grammi, privati della libertà, maltrattati, accecati solo per il piacere di sentirli cantare.
Ogni tanto polizia, carabinieri e anche polizia locale, senza dimenticare i forestali, si mettono di traverso per contrastare quanto avviene a Ballarò ma queste attività, seppur dovute, non intaccano il fenomeno del malaffare perché ogni domenica il mercato è lì, con i suoi traffici e con i suoi uccellatori. Non ci vorrebbe molto per stroncare questo mercato abusivo ma l’impressione è quella di un paese che purtroppo viaggia ancora a rilento nel far rispettare la legalità: in fondo quel sottobosco potrebbe forse essere utile a molti con le sue contraddizioni, i suoi rapporti, le informazioni che si possono captare in certi ambienti, utili magari per contrastare altri reati, ritenuti più gravi.
L’agenzia di stampa GeaPress ha pubblicato un interessante lavoro sul bracconaggio nell’isola, sulla storia di Ballarò, sulle sue sacche di illegalità note a tutti e contrastate da pochi, raccontando gli interventi e i periodi in cui il contrasto a questo fenomeno è stato più elevato. Un contributo informativo e di formazione non secondario, perché per combattere certe realtà bisogna prima conoscerle, capire i meccanismi e le logiche, avere contezza del modus operandi dei trafficanti di natura. La sintesi sul bracconaggio realizzata da GeaPress si intitola “Uccellagione, in Italia e il caso Palermo“ e lo potrete chiedere inviando una mail .
Quello che appare ogni giorno più chiaro è che la vera priorità di questo paese sia la riforma della giustizia, che deve essere tale e non restare un sostantivo chiuso nei libri e nelle aule giudiziarie, se poi è nella pratica avulso da ogni realtà. Bisogna modificare e snellire le procedure, dare meno importanza ai riti e più alle prove, dare garanzie che non si trasformino in scappatoie che garantiscano poi sempre i peggiori, avere pene certe e eseguibili.
Una giustizia che non riesce a far giustizia è il peggior modo di gestire e di amministrare le regole che presiedono la convivenza civile.
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