Cani randagi dalla Siciliaalla Calabria, sono le scorie di un randagismo mai gestito, stoccati in canili che vincono gli appalti sulla base dei costi. La gestione dei randagi deve costare il minimo possibile, poco importa se questi animali non avranno futuro. I canili gestiti secondo le logiche della maggior economicità sono un danno per tutti: per i cani e per chi paga. Una permanenza che difficilmente sarà interrotta da un’adozione, perché spesso questi cani soltanto mantenuti in vita, senza preoccuparsi del loro benessere. Così con il tempo non avranno alcuna reale possibilità di trovare una casa.
Per questo definirli “scorie del randagismo” risulta essere tanto triste quanto appropriato. La storia inizia ancora una volta in Sicilia, terra martoriata da una pessima gestione del randagismo che dura da sempre. Una parte dei cani custoditi in una struttura di Messina, il canile Millemusi, finiranno in Calabria, a Taurianova, in un ricovero amministrata da un commissario perché il titolare si trova in carcere. Un indizio abbastanza preciso che definisce i profili di quanti si occupano di mantenere in vita questi animali. Che non significa renderli adottabili e tantomeno garantire il loro minimo benessere.
Saranno più di un centinaio i cani che attraverseranno forzatamente lo Stretto, mentre altri 320 animali, resteranno al canile Millemusi. Con un costo stimato per l’amministrazione pubblica, per un solo anno, di un milione e centoventicinquemila euro. Una cifra enorme, che non servirà a garantire il benessere degli animali, con un affidamento che dura solo 12 mesi. Al prossimo appalto i cani potranno nuovamente essere spostati, secondo criteri di convenienza. Una situazione che ha fatto infuriare animalisti e politica, che poco se non nulla potranno fare per impedire il trasferimento, dopo tre bandi annullati.
Cani randagi dalla Sicilia alla Calabria, animali sempre in viaggio ma difficilmente per avere una vita migliore
Questa ennesima situazione di pessima gestione del randagismo dimostra come per il cancro del malaffare e dell’inazione politica non sembra esserci cura. Dopo trent’anni dalla promulgazione della legge 281/91, che ha vietato l’abbattimento dei randagi, la questione del randagismo è sempre ferma al palo nel centro/sud Italia. Nei canili del nord la situazione nel tempo è migliorata, anche se non completamente risolta a causa del randagismo di ritorno: cani trasferiti dal Sud al Nord, spesso con criteri molto approssimativi, come è stato più volte scritto su questo blog e come emerge da questa diretta.
Continuando ad avere questo approccio al fenomeno del randagismo appare evidente che il problema non sarà mai risolto, eppure ci sarebbero molte opportunità nel cambiare metodo. Con modalità che possano garantire maggior benessere agli animali, diminuire sensibilmente i costi per le amministrazioni pubbliche e interrompere il flusso di denaro verso soggetti di dubbia moralità. Certo i sistemi ci sarebbero, ma la politica dovrebbe fare un passo indietro e affidarsi a persone competenti, che da tempo dicono che i canili non sono la soluzione. Inascoltati, quasi sempre, nonostante i risultati ottenuti con qualche Comune virtuoso. Come successo a Vieste grazie al progetto “Zero cani in canile” di Francesca Toto.
I cani sono le vittime talvolta anche delle scelte politiche fatte dalle associazioni che si occupano di tutelarli
Nel frattempo i cani restano in mezzo a una contesa che poche volte trova soluzione. Diventano vittime inconsapevoli di differenze e distinguo, di politiche poco attente delle amministrazioni che, specie al Sud, pensano di poter risolvere tutto ingabbiano i cani, un po’ come nascondere la polvere sotto il tappeto. Nel frattempo non si vedono all’orizzonte significative modifiche legislative sui temi del commercio degli animali, della loro sterilizzazione e del possesso responsabile. Così il rischio è che il randagismo si perpetui ancora per decenni e che sia usato dalla mala politica per elargire favori.
Serve un cambiamento del modo di pensare, delle modalità di agire perché é necessario fare cultura, diffondendo messaggi intelligenti che aumentino le informazioni di quanti sono sensibili alla causa degli animali. Non ci può essere vero amore quando non vi è conoscenza, educazione, formazione e rispetto. Non è possibile continuare a credere che basti toccare le corde delle emozioni, parlando di pelosetti e adozioni del cuore, per essere davvero utili alla causa dei diritti degli animali. Una nuova cultura deve percorrere il paese da Nord a Sud, capace di raccontare alle persone quanto sia importante e giusto comprendere i bisogni e riconoscere i diritti degli animali.
Pensare di ribaltare le politiche economiche sul randagismo, passando da una gestione che non produce effetti a un effettivo contrasto del fenomeno. Capace di trasformare centinaia di milioni spesi ogni anno senza ottenere risultati in un investimento di periodo, capace di arginare in modo significativo il problema. Percorrendo una strada di cambiamento che sarebbe tanto auspicabile in un periodo come questo. Dove le risorse economiche sono poche e andrebbero canalizzate in modo intelligente.
Del resto volenti o nolenti per i randagi si spendono molti soldi, senza contare quel valore non misurabile dato dalla sofferenza che molti animali subiscono. Per mancanza di cure idonee, per essere confinati in spazi spesso inadatti o semplicemente per dover passare una vita in strada, che non è certo l’ideale per animali domestici.
Il costo economico del randagismo non dovrebbe essere calcolato solo sulle spese di mantenimento degli animali nelle strutture sanitarie o nei rifugi, ma nel suo complesso. Costituito dagli indennizzi in caso di morsicature o incidenti stradali, dai rimborsi agli allevatori per gli attacchi al bestiame e dall’impatto sulla fauna selvatica.
Le attuali politiche economiche sul randagismo alimentano spesso il malaffare e la criminalità
Visto che non saranno i canili o altre strutture di ricovero a risolvere il problema, non potendo arginare le riproduzioni indesiderate che stanno a monte del fenomeno, occorre mettere in campo scelte più coraggiose. Obbligando la sterilizzazione dei cani meticci di proprietà e di tutte quelle razze che una volta entrate in un canile difficilmente riescono a trovare adozione. Come accade per la maggioranza dei molossoidi. Obbligo che dovrebbe essere esteso a tutti i cani e i gatti che abbiano possibilità di vagare liberi, indipendentemente dalla razza.
Vietando la pubblicizzazione e la vendita di cani, gatti e di animali in genere sulla rete. Prevedendo che i negozi di animali possano proporre solo cani e gatti provenienti da rifugi, come sta avvenendo in molte parti del mondo. Intensificando i controlli sull’anagrafe canina, formando e creando persone che possano replicare le funzioni degli ausiliari del traffico. Controllando e sanzionando maggiormente i proprietari che non abbiano provveduto a iscrivere i cani e gatti nelle anagrafi regionali.
La possibilità di accogliere nella propria vita un animale non dovrebbe essere considerato come un diritto per tutti, ma come il risultato di un percorso. Per evitare che acquisti di impulso, regali non richiesti e nemmeno voluti siano poi la causa di futuri abbandoni o di ingressi nei rifugi. Una persona davvero motivata nella decisione di vivere con un animale non si fermerà certo di fronte all’obbligo di seguire qualche lezione formativa. E se così non fosse allora vorrà dire che le motivazioni non erano quelle giuste.
Chi non ha mai avuto un cane o un gatto dovrebbe essere formato, senza possibilità di acquisti o adozioni al buio
Capita di leggere spesso sui social di cani che vengono adottati sulla rete e che una volta a destino vengono rifiutati dai nuovi proprietari. Appare evidente che qualcosa non abbia funzionato da ambo le parti: affidi fatti male, decisioni prese senza ponderazione. In mezzo, strattonato come uno straccio, resta però il cane con tutto quello che questo comporta. Eppure se le persone fossero formate prima, dovessero impegnarsi per poter tenere un animale, si potrebbero evitare tante situazioni subite dagli animali.
Animali non voluti, cani che vivono sul terrazzo o rinchiusi sempre in giardino senza mai uscire. Animali adottati come passatempo per i bambini e poi, al primo intoppo considerati solo come un problema. Sono tantissime le situazioni dove le condizioni di custodia non costituiscono un giuridicamente maltrattamento, ma sono lontane dal benessere psicofisico di un animale. E se è vero che un’adozione è sempre una speranza per un animale chiuso in un rifugio, è altrettanto vero che questa possa trasformarsi in una condanna.
Occorre evitare che la collettività subisca i costi, gli animali le sofferenze, di scelte sbagliate. Occorre educare le persone alla responsabilità e al rispetto. Facendo informazione e usando i fondi risparmiati per mettere un vero freno al randagismo. Che non può essere attuato solo con strutture di ricovero.
La vita di un cane randagio è sempre molto difficile, specie nei paesi in cui non tutti li rispettano e il loro numero è grande: a Mumbai si stima possano vivere 250.000 cani randagi e questa, probabilmente, è una stima per difetto.
Certo noi vediamo foto, filmati e leggiamo quotidianamente notizie sui randagi del mondo, compresi i nostri che pochi non sono, specie nelle regioni del sud Italia, ma forse non siamo mai riusciti ad immaginarci davvero cosa possa significare, per un cane, essere un randagio in una megalopoli, spesso ostile. Ci sono riusciti i filmakers che hanno realizzato un corto per l’associazione di tutela degli animali indiana “World For All Animal Care & Adoptions”, che è stato girato in soggettiva, usando una videocamera che riprende dall’altezza degli occhi di un randagio, che gira per Mumbai. Questo filmato non ha causato danno a nessun cane, ovviamente, e le scene più fastidiose sono soltanto finzioni sceniche, capaci però di trasmettere in un modo “emozionante” la vista del mondo con gli occhi di un randagio, una realtà sulla quale ci dovremmo soffermare più spesso, nel modo corretto. Il randagismo si può combattere, non è un fenomeno inarrestabile ma è solo un problema mal gestito. Ogni attività di sensibilizzazione è quindi la benvenuta, sperando che possa arrivare a un momento, in Italia come a Mumbai, dove si possa inaugurare un “museo del randagismo”, per celebrare le problematiche di un un fenomeno estinto per sempre.
Purtroppo ci stanno abituando alla politica dell’ineluttabile, dei fatti che possono solo accadere, delle realtà immodificabili, dei cattivi amministratori che non pensano agli animali e all’ambiente. Ricordiamoci però che in ogni parte del mondo c’è qualcuno che si è rimboccato le maniche e ha dimostrato di voler e saper fare molte cose, che vanno in direzione contraria e sono utili proprio per contrastare questo pensiero. Senza dimenticare che purtroppo, anche nei settori più etici, ci sono sempre “i furbetti del quartierino”, quelli che sugli animali speculano passando per salvatori, ma sono pochi e loro si che vanno stanati con grande pervicacia.
Il governo ha stabilito che per il triennio 2015/2017 stanzierà al capitolo 5340 (Finanziamento interventi in materia di animali di affezione e prevenzione randagismo) la cifra complessiva di 929.000 euro, vale a dire 310.000 euro l’anno. Una briciola inutile; si potrebbe dire, senza tema di smentita, soldi buttati al vento per manifesta inutilità. (altro…)
Il randagismo non è un fenomeno invincibile, ma è il frutto di una serie di errori umani nella gestione degli animali, di omissioni delle pubbliche amministrazioni, di leggi incomplete e inadeguate, di cattive logiche amministrative e di scarsa conoscenza. Il randagismo si può ridurre, contrastare e battere. In modo scientifico, non solo emotivo.
Su molte cose il nostro Paese sembra essere più votato alla rassegnazione che all’azione e questo ci porta spesso a considerare problematiche come quella del randagismo, una piaga che ha grandi proporzioni in Italia, come realtà con le quali sia necessario convivere, ma così non è.
Il randagismo ha delle origini conosciute, è un fenomeno indagato, studiato da organizzazioni mondiali come l’OIE (World Organization for Animal Health), contro il quale sono state da tempo elaborate delle strategie, purtroppo ignorate, disattese, sconosciute anche a chi si occupa di animali, certamente a moltissimi amministratori locali. Il mancato rispetto delle leggi esistenti in materia (poche) e l’assente valutazione del rapporto costi/benefici da parte delle pubbliche amministrazioni ha colpevolmente causato che il fenomeno “randagismo” raggiungesse numeri incompatibili con un paese davvero civile e minimamente attento ai problemi degli animali.
Questo comportamento ha agevolato speculazioni sulla pelle dei cani e sull’intera comunità, ha visto il sorgere di canili lager, spesso volutamente invisibili agli organi di controllo che non vogliono vedere per non dover cercare soluzioni, ha fatto nascere un infinito business sul randagismo, in molti casi accertati finito in mano ad organizzazioni criminali. Quel che peggio è che tutto questo è avvenuto senza ottenere alcuna significativa contrazione del randagismo canino nel nostro paese e un miglioramento della situazione del Sud Italia, nonostante gli sforzi di associazioni e privati cittadini.
Se al nord del paese la situazione non è rosea come si vorrebbe far credere al sud ha raggiunto proporzioni tale da costringere molti cittadini a dar vita ad attività spontanee e spesso non coordinate, realizzate con l’intento di strappare gli animali da condizioni di vita inaccettabili nei canili. Queste azioni rappresentano un momento di speranza per molti cani, ma anche talvolta un problema, come scrivevo in un precedente articolo dal titolo “Le staffette dei cani dal sud al nord: aiuto o maltrattamento?”, che ha dato il via a più di una polemica, spesso per libere interpretazioni che andavano oltre al testo, stravolgendone il senso.
Togli gli animali dalla strada: sterilizzali.
Non sempre però la pubblica amministrazione commette errori e quando opera in concerto con tutti quelli che devono essere gli attori nella gestione del problema randagismo. Da questo nascono idee e lavori da valorizzare come il progetto realizzato dalla Provincia di Grosseto, con una serie di istituzioni, come l’università di Roma, ma anche di organizzazioni che pur avendo posizioni antitetiche, come le associazioni protezionistiche e quelle venatorie, si siedono a un tavolo per cercare di ottenere un risultato.
Il lavoro si intitola “Piano strategico provinciale per la riduzione del randagismo canino” (per scaricarlo cliccare sul titolo) ed è la dimostrazione che quando le volontà e le abilità si uniscono si riesce sempre a sviluppare lavori di grande rilievo, che fra l’altro hanno costi di attuazione davvero ridotti e grandi potenzialità di riuscita, se messi correttamente in atto sul territorio. Il randagismo si può combattere.
Certamente è presto e non ci può essere valutazione dei risultati però si possono giudicare le metodiche, le proposte e l’analisi fatta: la valutazione complessiva di questo progetto, a mio modesto parere, è assolutamente buona. Ora bisogna sperare in una rapida attuazione e attendere i dati del monitoraggio. Sicuramente queste sono attività di medio/lungo periodo i cui risultati arriveranno dopo anni, ma se messe in atto seriamente non vi può essere dubbio sul successo.
Questo piano, con difficoltà minime, potrebbe essere rivisitato e riproposto a tutte le amministrazioni che si trincerano dietro l’impossibilità di combattere il randagismo, ma andrebbe letto con attenzione anche a tutte quelle realtà non pubbliche che tanto magari fanno, alcune volte senza avere nessuna base tecnica per incidere realmente sul problema.
Il futuro che vorremmo è senza canili ed è per questo che dobbiamo lavorare, in modo serio, perché cambiare si può e dipende da ognuno di noi. Proviamo a stilare una breve lista di quello che dovrebbero fare tutti i cittadini responsabili:
identificare con microchip il proprio cane e anche il proprio gatto;
sterilizzare i propri animali, in modo particolare se sono liberi di uscire senza controllo, e non farli riprodurre;
adottare gli animali nelle strutture, salvandoli da una vita infelice, anziché comprarli;
non adottare mai un animale per un impulso emotivo: l’emozione passa e l’animale resta, con i suoi costi, le sue necessità ed esigenze. Meglio pensarci bene prima che disfarsene dopo;
gestire con attenzione i rifiuti nelle zone dove vi è presenza di randagi e comunque nelle zone non urbane e rurali;
pretendere che le leggi in materia siano fatte rispettare (questa è l’azione più faticosa, ma più sono le persone che lo chiedono, più quelle che sono ben informate e più facile sarà ottenere un risultato);
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