Cani liberi dalle catene: uno studio racconta la sofferenza degli animali costretti a stare sempre legati

Cani liberi dalle catene che limitano i loro movimenti, che li riducono a oggetti per fare la guardia. Senza tenere conto delle sofferenze che le costrizioni permanenti causano ad animali sociali, che vogliono avere rapporti. Uno studio esamina a tutto tondo la realtà nazionale ma non solo, per cercare di contribuire al cambiamento. Un cane non è un oggetto, avere un cane non deve essere considerato un diritto, ma deve essere considerato nell’ottica di una condivisione di vita e bisogni. Eppure i cani tenuti a catena, segregati sui balconi o nei giardini, privati dei rapporti e della possibilità di esplorare il territorio sono tantissimi.
Nel rapporto realizzato da Green Impact con la collaborazione di Save The Dogs è stata fatta una fotografia di un fenomeno molto discusso quanto diffuso. Non soltanto in Italia ma in tutto il mondo, perché il cane è stato visto per molto tempo come uno “strumento” da utilizzare per fare la guardia alle proprietà. Senza preoccuparsi troppo della sofferenza, senza valutare se una catena, oltreché un vincolo, possa costituire un maltrattamento. Le tradizioni, anche le peggiori, sono sempre dure da cambiare e i cani tenuti a catena non fanno eccezione.
I cani sono animali sociali, hanno necessità di stabilire un contatto con chi li detiene, devono potersi muovere liberamente. Sentono il bisogno di socializzare con i loro simili, di potersi comportare secondo le loro necessità etologiche. Costituite dall’insieme dei comportamenti naturali, quelli che noi fin troppo spesso rifiutiamo di assecondare, per egoismo o per ignoranza. L’isolamento costituito da una vita passata a catena diventa così una condanna, una sofferenza causata dalla condizione che li obbliga a una vita vuota. Piena soltanto di costrizioni e di una noia senza fine.
Cani liberi dalle catene e dalle cattive condizioni di custodia che costituiscono un vero e proprio maltrattamento
Il primo rapporto sui cani a catena in Italia e nel mondo, non si limita a fotografare le differenti normative in vigore, in Italia e altrove, ma indica chiaramente i motivi che rendono il fenomeno inaccettabile. Partendo proprio dall’analisi dei bisogni dei cani e dalle alterazioni comportamentali provocate dallo stare a catena per lunghi periodi. Le gabbie, siano costituite da una catena, da un fossato o dalle sbarre rappresentano sempre una fonte di sofferenza, specie quando questa limitazione ha carattere permanente.
In Italia la normativa è a macchia di leopardo, anche perché questa materia è lasciata al governo delle singole Regioni e della loro politica. Rientrando nella normativa di carattere sanitario, piuttosto che in quella effettivamente legata al benessere degli animali. Che dovrebbe essere osservato e compreso con una visione più olistica e integrata di quanto spesso non riesca a vedere e ad attuare la sanità veterinaria pubblica.
Da un punto di vista culturale, vedere cani o altri animali legati a una catena o a una corda ci crea imbarazzo, soprattutto perché lo facciamo nei confronti di creature con le quali condividiamo la nostra vita. Nella maggior parte dei casi, si tratta di amici, non soltanto in senso generale (“i migliori amici dell’uomo”), ma in senso letterale, perché questi cani sono effettivamente membri di un dato gruppo di esseri umani.
Ádám Miklósi, Professore di Etologia presso l’Università Eötvös Loránd (Budapest, Ungheria) – (Tratto dal rapporto)
Liberare i cani dalle catene fisiche, senza tralasciare i necessari cambiamenti di visione sui diritti degli animali
Un cane, al pari qualsiasi altro essere vivente, ha dei diritti che dovrebbero essere giudicati inalienabili. Proprio come quelli che in via teorica riconosciamo o dovremmo realmente riconoscere ai nostri simili. Eppure oggi le conoscenze, ma anche il progresso culturale e morale, avrebbero dovuto condizionare i nostri comportamenti. In modo molto più positivo di quanto sia avvenuto nella realtà di ogni giorno.
I diritti degli altri, intesi come soggetti diversi dalla “nostra” comunità umana, fanno fatica ad affermarsi in quanto il riconoscimento dei diritti fa crescere il nostro carico di doveri. Questo avviene sia nei confronti delle persone che per gli animali, ai quali riconosciamo diritti variabili a seconda della specie: maggiori ai cani, molto minori ai maiali. Questi diritti ad assetto variabile non sono però sufficienti neanche a garantire il benessere degli animali a noi più vicini, come i cani. Per questa ragione ogni progetto, ogni studio che conduca sulla via della conoscenza è del rispetto deve essere considerato fondamentale.
Occorre liberare i cani dalle catene fisiche, ma anche da quelle invisibili che li tengono comunque lontani da noi -la loro comunità- e dai loro simili. Per far accadere questa piccola ma importante rivoluzione abbiamo necessità di comprendere che la convivenza impone sacrifici a tutti, ma anche momenti di gioia pura. Diversamente basta fare un passo indietro, decidendo che un antifurto è meno impegnativo di un cane, che un’ora di palestra è più comoda di passeggiate ad orari. Nessuno deve sentirsi obbligato a condividere la sua vita con un animale, ma anche nessun animale deve soffrire per la convivenza forzata con noi umani.
