Combattimenti fra cani: sgominata gang ma occorre potenziare la normativa sul maltrattamento

Combattimenti fra cani: sgominata gang che operava nel Nord Italia per arrivare a far combattere i cani fino in Serbia. Dove sembra non essere così difficile aggirare i divieti in materia, dove queste lotte avvengono con regolarità. Lo rivela un’inchiesta condotta dalla Procura di Sanremo, che scoperchia un calderone fatto di maltrattamenti, droghe e sostanze proibite e complicità. Senza poter scordare il solito fiume di denaro che scorre sempre alimentato dai cimini contro gli animali.
L’indagine è stata condotta dalla Squadra Mobile della questura di Imperia ben sette anni fa, come rivela un articolo pubblicato in questi giorni su La Stampa. Un tempo davvero lungo che rischia di non lasciare spazio a condanne definitive. Il tempo trascorso dalla commissione dei reati, che finiranno sul tavolo del GUP di Imperia il 17 aprile, rischia di vanificare lo sforzo investigativo. Calcolando i tempi per la prescrizione di molti reati introdotti dalla riforma, che impedirà quasi certamente che possano arrivare al terzo grado di giudizio.
Reati molto gravi, con una serie di aggravanti, che sono costati indicibili sofferenze agli animali impiegati nei combattimenti. Si va dall’associazione per delinquere al maltrattamento di animali, dal falso al divieto di combattimento e all’uso di sostanze dopanti. Questa non è la prima indagine che avviene sul territorio italiano che vede la definizione di una rete criminale che arriva nei paesi dell’area balcanica. Il fenomeno, pur essendo riservato a un pubblico molto ristretto, muove grandi interessi economici. Legati ai profitti derivanti dalle scommesse clandestine. Gestite da organizzazioni mafiose che usano i combattimenti fra animali per fare soldi facili, con rischi limitati.
Combattimenti fra animali, la gang sgominata rischia molto poco visto il tempo trascorso e le normative in vigore
La notizia dell’udienza davanti al GUP di Imperia Anna Bonsignorio ha suscitato abbastanza scalpore sui media. I fatti sono molto gravi e il numero delle persone coinvolte nei combattimenti clandestini, individuati dalla Polizia di Stato, è rilevante. Ma questo probabilmente non basterà per ottenere davvero giustizia. In alcuni casi l’assenza di condanne potrebbe consentire a figure professionali, come i veterinari coinvolti, di continuare il loro lavoro come se nulla fosse successo.
Chiunque si sia interessato di combattimenti fra animali ha un’idea ben precisa di quanto questi eventi siano cruenti. Ci si indigna per molti maltrattamenti, terribili, ma probabilmente si fatica a comprendere le violenze a cui viene sottoposto un cane da combattimento. A partire dall’addestramento, al potenziamento della muscolatura per arrivare alla desensibilizzazione al dolore, a un’aggressività incredibile nei confronti dei conspecifici. Grazie a sevizie, botte, collari elettrici, antidolorifici e sostanze dopanti.
Questa violenza, subita dal cane senza possibilità di difesa, può essere tollerata e vissuta solo da una persona priva di scrupoli, di empatia e della minima compassione. Criminali che sono feccia umana, che non provano pietà nei confronti di uomini e animali, a loro volta dopati dall’adrenalina dei combattimenti e delle scommesse, dei soldi che scorrono a fiumi, come se trafficassero droga. Uomini che hanno una grande capacità criminale, imprenditoriale e organizzativa, che denota un’intelligenza messa al servizio del malaffare, sulla quale bisognerebbe fare delle riflessioni.
Organizzare, fiancheggiare o assistere a combattimenti criminali è un segnale di pericolosità sociale da tenere sotto stretto controllo
Nei crimini contro gli animali il legislatore, sino ad oggi, ha punito il reato ma non ha pensato alla necessità di misure di controllo. Per tutelare la società da persone capaci di commettere reati violenti, con crudeltà che non possono essere sottovalutate solo perché commesse su animali. Uomini, che come sembra poter accadere in questa inchiesta, restano mostri a piede libero, non sottoposti a misure di prevenzione e di interdizione. Che sarebbero previste se il legislatore avesse contezza dell’argomento.
La violenza è spesso soggetta a pesi e misure diverse, a seconda dei luoghi, delle vittime e dei contesti, senza spesso preoccuparsi che il problema è la “qualità” e nn il soggetto verso la quale è rivolta. Chi è disponibile ad assistere a un combattimento all’ultimo sangue fra cani, non è un bullo di periferia, ma una persona priva di valori morali tanto da compiacersi di fronte alla violenza. I latrati, l’odore del sangue, gli occhi… Queste persone sono potenzialmente pericolose, vanno assoggettate a misure di prevenzione come l’obbligo di firma e di dimora, il divieto di possedere e svolgere lavori con soggetti fragili come minori, diversamente abili, anziani, animali. Per sempre o almeno sino a quando un giudice non valuti l’efficacia di un serio percorso riabilitativo.
Lo dice la scienza, lo suggerirebbe il buon senso per tutelare uomini e animali. Chi sevizia un animale non compie un reato minore, ma mette in atto un crimine efferato, grave e pericoloso. Per questo occorre cambiare la normativa, ribaltare la visione comune che normalmente si ha nei confronti dei reati violenti ai danni degli animali. Per atti molto meno gravi, sotto il profilo della reale pericolosità sociale, sono stabilite misure di prevenzione importanti, ora occorre che in questo novero di misure vengano fatti rientrare anche i reati violenti verso gli animali. Senza sconti, senza possibilità di prescrizione.