Cruciani ostenta gli agnelli morti coprendosi di ridicolo

Cruciani ostenta gli agnelli morti coprendosi di ridicolo

Cruciani ostenta gli agnelli morti coprendosi di ridicolo, con il solito gusto trash di una trasmissione, La zanzarache deve i suoi ascolti fondamentalmente al cattivo gusto e alla volgarità che il conduttore cavalca senza limiti.

Il gruppo del Sole 24ore, che naviga borsisticamente e non solo in acque agitate, non si preoccupa troppo di essere la voce di Confindustria quando si tratta di ascolti. Per questo anche un programma trash come La zanzara resta solidamente ancorato ai palinsesti. Dimostrando quanto ci sia bisogno di cultura e di crescita.

Non è certo la prima volta che Cruciani, dichiarato nemico di vegani e animalisti, assume posizioni estreme, conscio che questo modo di fare radio stimola quelle risse tanto care al pubblico che, inutile negarlo, segue lui e la sua spalla David Parenzo con incredibile passione. Non è un giornalista, in fondo ha comportamenti da imbonitore da mercato più che da conduttore, non è un uomo di satira, non è certamente un uomo di cultura però in questo paese mediocre vive. E vive bene, temo.

Cruciani ostenta gli agnelli morti coprendosi di ridicolo ma nel contempo stimola la crescita dell’audience. Questa Pasqua gli agnelli sono i trionfatori delle cronache, della politica, della televisione: se ne parla dappertutto grazie a un mutato sentire degli italiani, molto più attenti alla sofferenza animale.

Però sulla vita degli agnelli e sulle sofferenze che subiscono alla nascita, nei trasporti e nelle operazioni di macellazione che non rispettano troppo spesso la normativa, specie quando si devono macellare un numero elevato di animali, non specula solo la filiera produttiva e Giuseppe Cruciani. Ci giocano anche i politici, molti ponendosi sull’altro fronte della barricata, trasformandosi in testimonial delle campagne animaliste. Ci giocano i programmi televisivi che si inventano improbabili sfide fra pancia e etica, con scontri che fanno audience e una qualità talvolta molto discutibile.

Parlarne aiuta le persone a riflettere solo se questo avviene senza esasperazioni. Gli eccessi portano le persone a chiudere i canali di ascolto, a cambiare programma o pagina. Abbiamo necessità di informare sulla sofferenza ma non serve esaltarla. La presentazione della realtà non ha bisogno di enfatizzazioni drammatiche, di termini a effetto. Bastano le immagini delle inchieste e parole semplici. La sofferenza può essere descritta con parole pacate, anche se pesanti come pietre. Mi vengono in mente quelle, toccanti e indimenticabili di Primo Levi in Se questo è un uomo:

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.

Sulla sofferenza, umana e animale, non si può scherzare mai. Non si irride la paura, il dolore, la stanchezza e la morte. Mai e per nessun essere vivente. Il rispetto verso l’essenza della vita deve portare a comportamenti compassionevoli verso gli animali, anche se si è onnivori, in particolar modo se si è onnivori. Bisognerebbe almeno aver rispetto verso chi viene sacrificato per le necessità umane.

Cruciani ostenta gli agnelli morti coprendosi di ridicolo e lo fa in nome dell’audience e del profitto. Comunque la richiesta di carne di agnello è calata del 30%, un ottimo risultato.

L’infelice Pasqua degli agnelli

 

Questa foto è di una campagna, realizzata dagli attivisti di un’associazione croata per la protezione degli animali (qui), contro la macellazione degli agnelli, realtà che raggiunge numeri incredibili a ridosso delle feste di Pasqua, spesso per tradizione e altrettanto per un malinteso senso della religione.

Ogni anno sulle tavole degli italiani finiscono centinaia di migliaia di agnelli, allevati e macellati spesso in violazione delle norme sul benessere animali, molti vengono importati da paesi che non sono in grado di garantire alcun rispetto delle norme di tutela poste a garanzia di quei diritti, pochi, che sono riconosciuti agli animali. Da questo deriva l’infelice Pasqua degli agnelli.

Molti sostengono che bisognerebbe diventare vegani, altri solo vegetariani e altri ancora sembrano ignorare il problema: quasi nessuno però riesce a restare indifferente di fronte alla foto di un agnellino che sta per essere sacrificato. Il nostro cervello non percepisce probabilmente solo l’animale, ma vede il cucciolo, la tenerezza e la gioia di un essere vivente che si è appena affacciato alla vita.

Nello stesso modo il nostro cervello al supermercato vede un pezzo di carne, una braciola, una costoletta; non vuole vedere altro e non vuole percorrere il percorso a ritroso, attività che peraltro non sarebbe difficile. La costoletta appartiene a un corpo intero, che prima di essere ucciso, spesso malamente, privato della pelliccia, strappato alla madre e trasportato magari per giorni era un agnello vivo, con la stessa espressione di quello della foto.

Noi non vogliamo ragionare su quello che ci addolora, abbiamo imparato che gli agnelli si chiamano così quando sono vivi, quando in chiesa si dice “ecco l’agnello di Dio”, senza pensare però che è stato fatto per essere brutalmente ucciso. Quando facciamo la spesa tutti gli animali si trasformano in alimenti e molto spesso non si cerca neanche di fare delle scelte: per scegliere è necessario riflettere e se pensiamo troppo, poi, siamo costretti a cambiare i nostri comportamenti.

Credo che alcune scelte comportino, anche alle persone che mangiano carne, sacrifici minimi, accettabili: non mangiare cuccioli, eliminare dalla tavola gli animali derivanti da allevamenti intensivi, privilegiare il consumo di alimenti bio, ridurre il consumo di carne. Si tratta solo di avere comportamenti consapevoli, piccoli passi verso un cambiamento di rotta che ci porti a non vivere da dissociati: commuoverci per  l’agnello guardando la fotografia per poi comprarlo poco tempo dopo al supermercato.

La Pasqua per i credenti è una festa, lasciamo che questa sia una festa per tutti, che non costi il massacro di centinaia di migliaia di cuccioli. In fondo basta davvero poco. 

Agnello no, vitello si, cane no, maiale si: la differenza fra amiamo e mangiamo.

 

Agnello no, vitello si, cane no, maiale si: come tutti gli argomenti etici anche quello che riguarda il nostro rapporto con gli animali attraversa i due poli opposti delle possibili visioni.

Argomento sempre destinato a sollevare polemiche fra i variegati schieramenti che vanno dai vegani a chi vorrebbe, per paradosso, potersi cibare anche di un esemplare di  una specie in estinzione.

Come ogni anno nel periodo che precede la Pasqua si moltiplicano gli appelli a non consumare carne di agnello, o capretto, che per un malinteso senso religioso è diventata una portata tradizionale del pranzo pasquale: questa richiesta spalanca le porte a polemiche roventi fra chi la ritiene ipocrita, in quanto legata al solo consumo di agnello, e chi sostiene invece sia una visione etica, con moltissime posizioni intermedie che arrivano fino al veganesimo. In queste mille opinioni e comportamenti alimentari ci sono onnivori che mangiano tutte le carni, ma non possono accettare di cibarsi di cavallo o di cane, altri che non mangiano il coniglio ma non disdegnano il pollo e via così in un infinito mix di opinioni. Credo però che quasi tutti i carnivori non sappiano, e non vogliano sapere, cosa significhi l’allevamento intensivo degli animali, il loro trasporto che può durare giorni, la convulsione presente in un macello, specie durante i periodi di maggior consumo, che è situazione ben diversa dall’asettica costoletta che si compra nel banco carni del supermercato. Una piccola porzione di un tutto, che non commuove più e non stimola l’empatia.

Naturalmente è difficile poter affrontare un tema così complesso in un articolo però è possibile almeno tentare di spiegare, in estrema sintesi, perché non si debba alimentare il commercio degli agnelli e cosa comporti soddisfare un picco di domanda, in termini di sacrificio dei diritti degli animali, anche quelli minimi.

Voglio pensare, al di là delle diverse convinzioni, che la stragrande maggioranza delle persone che mangiano carne non possano accettare i gratuiti maltrattamenti inflitti agli animali: sono proprio queste persone il principale target di questo breve articolo. Ricevendo informazioni corrette potrebbero infatti fare delle scelte differenti, che non rappresentano il bene assoluto, ma almeno una riduzione del danno.

Le più grandi fonti di sofferenza degli agnelli si possono infatti identificare in due fattori: i lunghi trasporti e le condizioni di macellazione, che nei periodi di picco della richiesta scendono sotto i requisiti minimi, quelli che dovrebbero essere garantiti a tutti gli animali da macello. Per dare un’idea più precisa nel 2014 l’Italia poteva far fronte con la propria produzione di agnelli al 26% della richiesta: questo significa che il 74% della carne di ovicaprini presente sul mercato viene importata. I numeri degli animali vivi che arrivano dai paesi della CE sono, purtroppo, molto significativi, quasi  700.000* unità, come dimostra questa tabella:

Import di animali vivi per paese di provenienza

gen-giu 2013
gen-giu 2014
capi
capi
var%14/13
Quota 2014
Animali vivi
547.543
665.952
22%
100%
–    Ungheria
271.048
333.085
23%
50%
–    Romania
59.568
144.415
142%
22%
–    Francia
97.367
70.871
-27%
11%
–    Spagna
53.324
34.488
-35%
5%
–    Slovacchia
28.064
34.388
23%
5%
–    Polonia
27.290
18.000
-34%
3%
–    Bulgaria
509
17.975
3431%
3%
–    Austria
2.640
3.485
32%
1%
–    Irlanda
2.160
2.726
26%
0%
–    Paesi Bassi
66
2.553
3768%
0%
–    Germania
3.875
2.246
-42%
0%

*Fonte dati: ISMEA – Istituto servizi per il mercato agricolo alimentare

Solo nell’aprile 2014, nonostante una flessione rispetto all’anno precedente, sono state acquistate in Italia quasi 8.000 tonnellate di carne ovicaprina e aprile è risultato essere il mese in cui il consumo, sempre secondo i dati di ISMEA, è sempre più del doppio rispetto alla media degli altri mesi dell’anno: Pasqua è causa di un’impennata brusca dei consumi di agnello. Questo comporta che migliaia di animali siano trasportati, con viaggi estenuanti e carichi di sofferenza e stress verso il nostro paese.

Petizione 8hours

Una delle tante campagne fatte per sostenere la petizione 8hours

Il secondo grande fattore di incremento nella sofferenza degli animali è proprio legato all’aumento della richiesta che comporta la necessità, nei macelli, di un brusco aumento della produttività: per farlo si sacrifica quel minimo di attenzioni che dovrebbero essere garantite agli animali, come dimostra questo filmato inchiesta realizzato dall’associazione Essere Animaliche volutamente non inserisco nella pagina a causa della violenza delle immagini che contiene, inadatte a un pubblico sensibile ed ai minori, ma che consiglierei di vedere a quanti non riescono ad accettare di trascorrere una Pasqua senza agnello in tavola.

 

Anche le persone meno rispettose della sofferenza animale comprenderanno, infatti, che più diminuisce il consumo della carne di agnello nel periodo di Pasqua e meno sofferenze saranno causate dai trasporti e dalle condizioni di macellazione.

Una scelta di sensibilità, un’assunzione di civile responsabilità. Sicuramente non la fine della sofferenza per gli agnelli, però un piccolo passo verso comportamenti più attenti, una strada che possono e dovrebbero percorrere anche quanti consumano carne. 

 

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