Con la condanna dei responsabili della società Green Hill di Montichiari, noto allevamento di beagle per la sperimentazione, a pene variabili fra i 12 e 18 mesi si è chiuso il processo di primo grado a Brescia per i maltrattamenti inflitti agli animali: il Tribunale ha emesso una sentenza “storica”, che per la prima volta in Italia ha condannato per maltrattamento i responsabili di un allevamento di cani destinati alla sperimentazione. Allevamento di una notissima società americana, la Marshall, che non solo alleva animali per la sperimentazione, ma vende furetti coperti da brevetto in tutto il mondo e produce e distribuisce alimenti e altri prodotti destinati agli animali da compagnia. Un vero paradosso di quelli che solo l’economia è capace di creare.
Il Tribunale ha giudicato corretto e probatorio l’impianto accusatorio del pubblico ministero Ambrogio Cassiani e per questo ha condannato ad un anno e sei mesi Ghislane Rondot, co-gestore di Green Hill 2001 della Marshall Bioresources e della Marshall Farms Group, e Renzo Graziosi, veterinario. Un anno anche al direttore dell’allevamento Roberto Bravi. Il reato contestato è stato il 544 bis del Codice Penale, che punisce l’uccisione senza necessità degli animali, fatto ampiamente provato e che ha riguardato la morte di più di 6.000 cani di razza beagle, un numero incredibile.
Oggi è il momento dei festeggiamenti per tutte le associazioni protezionistiche che si sono impegnate nella vicenda e anche per le migliaia di persone che hanno mantenuto alta l’attenzione su Green Hill, talvolta con azioni che hanno travalicato i limiti della legge in nome di un bene superiore, la vita di alcuni cuccioli. Sicuramente questa è una vittoria cercata, fortemente voluta e combattuta e segna un confine dal quale difficilmente si potrà tornare indietro. Ancora un piccolo, grande, passo in avanti nell’ambito della tutela dei diritti degli animali.
Resta solo il retrogusto amaro causato da questa sentenza, per una serie di motivazioni che vanno dalla mitezza delle pene alle omissioni nei controlli, dall’assenza fra i condannati di quanti avevano doveri di controllo alle sanzioni accessorie davvero miti (30.000 Euro di risarcimento alla LAV e divieto di allevamento di cani per due anni per i condannati). Questa condanna è purtroppo l’ennesima dimostrazione di come le normative poste a tutela della sofferenza animali siano armi spuntate, senza potere di deterrenza, con sanzioni irrisorie rispetto al profitto ricavato dalla commissione del reato. Questa sentenza riguarda più di 6.000 cani, in prevalenza riproduttori, uccisi senza rispetto se malati o non utili alla produzione di nuovi cuccioli da destinare alla sperimentazione e le morti accertate, esattamente 6.023, riguardano un lasso temporale di 4 anni, dal 2008 al 2012.
Ipotizziamo per difetto che i 6.000 cani abbiano generato, per difetto, nei 4 anni in esame solo 4 cuccioli a testa (un solo parto): si arriverebbe così a 24.000 cuccioli, nati per essere venduti alle realtà che li usavano per la sperimentazione. Sempre per difetto diamo a questi cani un valore molto basso, sono invece animali allevati con standard molto elevati connessi all’impiego nella ricerca, di 100,00 Euro, e otteniamo un valore complessivo stimato di 2.400.000 Euro. Certo da questo vanno tolte spese, imposte e quant’altro, ma una cosa balza all’occhio chiara: la differenza fra 2,4 milioni di Euro e 18 mesi di carcere, 30.000 Euro di risarcimento alla LAV e il pagamento delle spese legali. Una differenza che racconta che il crimine paga, che la legge non costituisce un deterrente, al massimo un fastidio, una difficoltà, un sassolino nell’ingranaggio.
La legge che punisce il maltrattamento di animali ha pene troppo basse, non ha potere di deterrenza e soprattutto non fa differenze fra i crimini contro gli animali commessi da privati cittadini, per i quali 15.000 Euro di multa oltre le spese legali possono costituire un deterrente se effettivamente pagati, e da realtà commerciali, di allevamento, imprenditoriali per le quali questo tipo di sanzione è inutile. Bisogna ottenere che le pene siano inasprite in modo considerevole per i reati commessi durante l’esercizio di qualsiasi tipo di attività imprenditoriale e impedire che le pene comminate possano essere sospese, al massimo le pene detentive vanno convertite in denaro ed essere immediatamente esigibili. Solo in questo modo ci potrà essere una reale tutela nei confronti degli animali oggetto di maltrattamento in quanto il vero potere sociale di una legge non è solo nella pena, ma nel potere di deterrenza che questa pena costituisce. La legge deve fare paura ai delinquenti, non deve essere vista come una piccola tassa che, se e quando scoperti, si aggiungerà alle altre e probabilmente resterà anche questa non pagata.