Il Manifesto per un animalismo democratico scritto da Simone Pollo è un saggio interessante, che pone sul tavolo diversi quesiti. Domande che da tempo animano l’animalismo in Italia, ma non solo, in tutte le sue variegate componenti. In effetti intorno al riconoscimento dei diritti agli animali non umani si sono create differenti correnti di pensiero. Alcune molto radicali, che mettono sullo stesso piano i diritti degli animali umani e non umani, altre più portate a lottare per ottenere una riduzione progressiva del danno. Mosse dalla consapevolezza che un cambiamento della società, imposto, sia difficile da poter realizzare.
Il saggio si fonda sul presupposto che tutti i cambiamenti debbano ruotare intorno alla condivisione democratica. Che non deve essere assoluta, ma ampiamente riconosciuta nella società come valore positivo. L’autore, che insegna bioetica all’Università La Sapienza di Roma, ha scritto questo trattato scientifico, ricco di riferimenti e citazioni, per far riflettere su un possibile percorso. Che non porta a un riconoscimento generalizzato di diritti, ma pone alla base un concetto chiaro: i cambiamenti avvengono quando la società é pronta a riceverli.
I diritti degli animali, specie quelli che comporterebbero cambiamenti molto radicali, devono crescere nella coscienza collettiva. Che secondo il suo autore non può riconoscere, oggi, una parità di considerazione fra i diritti degli uomini, spesso negati, e quelli degli animali. Confutando, ad esempio, che i camion carichi di animali da macello possano essere equiparabili ai vagoni piombati che trasportavano i deportati della Shoa.
Il Manifesto per un animalismo democratico è un libro che farà discutere, e molto, le varie anime del movimento animalista
Simone Pollo non può certo essere accusato di aver cercato scorciatoie, né linguistiche, né di pensiero, esponendo la sua teoria sino ad arrivare alle conclusioni. Queste ultime si possono poi più o meno condividere, ma hanno il pregio di essere molto stimolanti per la crescita del dibattito su questi temi. Ponendo un confine che certo resta difficile da travalicare: se la società non è pronta a riconoscere determinati valori come universali, questi non potranno essere assimilati tramite imposizione.
Prima di arrivare a un mondo virtuosamente vegano sarà necessario modificare idee e abitudini. Un percorso che non sarà breve. Al di là delle imposizioni pratiche che verranno dal pianeta, questa evoluzione non potrà essere compiuta interamente nel giro di qualche decennio. Diversa è invece la possibilità di affermare, già ora, diritti in altri settori. Realizzando cambiamenti anche normativi, su obiettivi oramai largamente condivisi. Come l’abolizione della caccia e lo sfruttamento degli animali nei circhi.
Un testo che scava all’interno di concetti e definizioni, arrivando a scardinare paradigmi che rappresentato luoghi comuni.
Un bracciante miseramente pagato e senza protezioni sindacali può a buon diritto essere considerato come ridotto in schiavitù, anche se di fatto nessuno ha la sua proprietà giuridicamente riconosciuta. Per converso, un cane che vive in una famiglia, circondato di affetto e cure, ed è di fatto considerato un membro di quella stessa famiglia non è uno schiavo solo per il fatto che per la legge è di proprietà di un essere umano.
Tratto da Manifesto per un animalismo democratico
Il riconoscimento dei diritti degli animali deve essere considerato l’ineludibile punto di arrivo di una società democratica
E’ innegabile il divario fra i diritti desiderabili, che si vorrebbero vedere riconosciuti agli animali, e quelli reali, che spesso si fermano subito dopo la loro enunciazione. Considerando peraltro che gli animali non hanno possibilità di poterli difendere in modo autonomo. Realtà assimilabile, secondo l’autore, a quella delle minoranze umane così scarsamente rappresentate da aver necessità di trovare dei difensori, per poter ottenere ascolto.
Un libro da leggere con attenzione, visto che pur avendo un testo molto scorrevole tratta argomenti etici complessi, con un angolo di visione alternativo e mai banale. Una promessa che già traspare chiaramente nel titolo. Annunciando da subito e in modo chiaro come il riconoscimento dei diritti debba passare dalla democrazia. Come è stato per l’abolizione della schiavitù umana.
Cani, falchi, tigri e trafficanti è libro del quale non farò, per evidenti ragioni, la recensione. Volevo però raccontarvi come nasce questo progetto che abbraccia la mia vita, come persona che si è occupata di animali, da quando aveva solo 16 anni. Il mio impegno è iniziato proprio negli anni di piombo, in tempi difficili per l’Italia, che con i loro misteri non ci hanno mai lasciato del tutto. Creando un paese con molti, troppi, punti interrogativi che non hanno mai trovato risposta.
Quelli erano periodi in cui l’attenzione per i diritti degli animali, diversi da cani o gatti, si stava affacciando sul proscenio culturale della nostra società. Dando corpo alle richieste di una maggior protezione della fauna, si è rivoluzionato il suo status giuridico, trasformandola da res nullius (cosa di tutti) a bene pubblico. Nel 1977 fu promulgata la legge 968 che, fra le altre cose, stabilì che la fauna era un bene dello Stato.
Una legge che diede protezione a lupi e orsi, eliminò il concetto di animali nocivi, vietò l’uso di veleni, trappole e reti. Un vero balzo in avanti rispetto al vecchio testo unico che era del 1939, in pieno periodo fascista e a un passo dalla Seconda Guerra Mondiale. Negli stessi anni il fascismo sciolse tutte le associazioni, comprese quelle zoofile. Che furono fatte confluire nell’Ente Nazionale Fascista per la Protezione degli Animali, divenuto nel 1979 un’associazione privata di volontariato nella quale ho sempre militato.
La tutela dei diritti degli animali prese vita proprio negli anni settanta, per arrivare all’oggi con i suoi fallimenti
Furono tempi di grande fermento sociale e di grande attivismo. Un periodo dove l’impegno e la passione erano riconosciuti come un valore vero. Purtroppo le premesse non arrivarono sempre a trasformarsi dapprima in promesse e poi in realtà e il cammino per la tutela degli animali era ancora un sentiero impervio e pieno di ostacoli. Ma qualcosa era stato smosso, piccoli e grandi passi in avanti erano stati fatti.
Cani, falchi, tigri e trafficanti parte proprio da quegli anni per camminare nel tempo sino ad arrivare ai giorni della pandemia, a raccontarne le possibili origini. Parlando di un rapporto distorto con gli animali, dove sfruttamento e eccessi continuano purtroppo a fare danno. Da questa volontà di ripercorrere questi anni, in buona parte usando le indagini come partenza della narrazione, nasce il progetto del libro. Scritto con Paola d’Amico, giornalista del Corriere della Sera.
Raccontando, come in un libro giallo ma composto rigorosamente da storie vere, fatti e misfatti commessi a danno degli animali. Ma anche azioni che ne hanno salvati, che sono servite a modificare le impostazioni delle norme e le interpretazioni della magistratura. Modificando, anche se in modo ancora insufficiente, l’attenzione dell’opinione pubblica sui diritti negati.
Cani, falchi, tigri e trafficanti ha una prefazione di Cristina Cattaneo, medico forense umano
Qualcuno potrebbe stupirsi, ma uomini e animali da sempre sono uniti da un comune destino. Quello di vivere sul pianeta, ma anche quello di subire violenze e maltrattamenti. Atti che capita di vedere molto frequentemente a chi come Cristina Cattaneo, fa l’anatomo patologo. Impegnata da anni in casi scabrosi e importanti, che ha riconosciuto il tratto d’unione fra uomini e animali.
Molti di noi hanno già varcato la soglia verso la comprensione che la sofferenza e il “sentire” animale sono degni della stessa attenzione che quelli umani. Diversi sono gli articoli clinici e scientifici dell’ambito neurologico ed etologico che ormai supportano questa tendenza. Gli animali non umani sono per certi versi i più deboli della nostra società, sono i senza voce, e proprio per questo deve essere ancora più forte la spinta a tutelarli in particolare rispetto al crimine e alla violenza.
Dalla prefazione di Cristina Cattaneo
Tutelare gli animali è un atto che non può prescindere dall’avere le stesse attenzioni per gli uomini. Non ci può essere rispetto per i diritti dell’uno escludendo i diritti dell’altro. In anni passati scrivendo, indagando, soccorrendo sono arrivato ad avere una certezza granitica su questo argomento. Una certezza che non mi consente di tollerare razzismo, violenza e indifferenza. Che sono la chiave di tutti i mali che affliggono la nostra società.
Il cammino da percorrere è molto ancora e spero che Cani, falchi, tigri e trafficanti possa essere una piccola pietra d’inciampo
Dopo un tempo così lungo speso su questi temi e in parte anche per i diritti umani, posso sperare che la mia attività possa essere un piccolissimo tassello di un grande disegno. Un puzzle che parla di diritti degli animali, di equità climatica, del diritto alla felicità ma anche del dovere di garantire l’accesso all’acqua pulita. Per un mondo più equo, più sostenibile, in grado di garantire un futuro alle prossime generazioni.
Con lo stesso sentire, che ci accomuna, ha partecipato al progetto Paola D’Amico, giornalista e amica da molti anni con la quale ho condiviso l’organizzazione di convegni, la sensibilizzazione dei lettori e l’amore per la verità. Che talvolta è molto più dolorosa e sofferta di una bugia, ma ha il grande pregio di essere vera, non verosimile e di sensibilizzare.
Troppe ipotesi sul Covid19, sulla sua origine, rischiano di spostare l’attenzione delle persone dall’emergenza ambientale verso ipotesi più o meno fantasiose. Come la possibilità che questo virus sia stato costruito in laboratorio e sia sfuggito dal controllo degli scienziati. Teorie da spy story che possono essere utili a chi non intende agevolare un cambiamento dell’attuale modello economico.
La situazione economica e sanitaria risulta essere davvero molto complessa, generando paure e ansie nei cittadini in tutto il mondo . Che non trovano una classe politica in grado di dare fiducia, nella quale poter riconoscere la capacità e la rassicurante determinazione di saper contrastare la pandemia. La politica ora sembra stia facendo calcoli elettorali più che scelte basate sulla realtà, senza avere il coraggio di indicare con chiarezza un percorso di periodo.
Come esempio succede al presidente Trump, che con le elezioni a novembre, si preoccupa di non indebolire la sua fragile posizione personale, piuttosto che contrastare con forza l’epidemia. Arrivando a minacciare di licenziare il virologo che non condivide i possibili scenari di ripresa delle attività ipotizzati dal presidente americano. Trump per difendere la sua politica economica ha sempre negato cambiamenti climatici, problematiche ambientali, sino a minimizzare anche i pericoli del Covid19.
Troppe ipotesi sul Covid19 disorientano l’opinione pubblica e questo pone un’ipoteca sul post pandemia
Questo momento può rappresentare un’opportunità oppure una catastrofe. Comprendendo che il problema sia stato causato da errati comportamenti umani questo tempo potrà trasformarsi un vantaggio. Se al rallentamento dei contagi la parola d’ordine sarà quella di far ripartire l’economia a tutti i costi questo, invece, potrebbe diventare un doppio flagello. Ignorando il messaggio e continuando nella devastazione ambientale.
Disorientare l’opinione pubblica può rendere un pessimo servizio alla collettività. Che deve premere per far partire una nuova economia di transizione basata su concetti di tutela dell’ambiente e della condivisione delle risorse. Coinvolgendo l’intero pianeta in un processo di cambiamento senza precedenti.
Con la consapevolezza che al di là della provenienza del Coronavirus il problema siamo noi. I nostri stili di vita, i nostri consumi eccessivi, la mancata condivisione delle ricchezze prodotte. Se è vero che il latifondo per allevare bestiame sta distruggendo le foreste è vero anche che, spesso, la devastazione viene prodotta dalla fame. Nei paesi più poveri i contadini danno fuoco alla foresta per ottenere, in modo veloce, la possibilità di coltivare. Per praticare l’agricoltura di sussistenza che serve per sfamare le loro famiglie.
Il problema ambientale deve essere considerato a tutto tondo, per poter essere affrontato in modo efficace
Occorre far ripartire l’economia con il preciso intento di scardinare un sistema che non ha funzionato. Per creare stabilità economica e un benessere diffuso e condiviso, per perseguire interessi comuni. La natura e l’ambiente hanno una capacità molto grande di rigenerazione, ma non devono essere portate oltre il limite. Bisogna ascoltare le richieste che gli ambientalisti di tutto il mondo portano avanti da decenni.
Il tempo per essere rassicurati sul futuro del pianeta non è ancora questo. Ma tutti insieme, se lo volessimo, potremmo realmente cambiare il mondo. Con costanza e determinazione, con impegno e solidarietà. Sarebbe davvero meraviglioso impegnarsi in un progetto che renda il pianeta una casa comune.
Io voto alle Elezioni europee per combattere il verosimile che non è vero, ma anche le leggende che raccontano che i problemi italiani e europei sono lupi, orsi e migranti. Andrò a votare perché la democrazia è un valore senza prezzo, che richiede uno sforzo comune.
Io voto perché so che tutte le normative più importanti sulla tutela della fauna, degli animali da reddito e sulla difesa ambientale sono state fatte in Europa. Senza il baluardo europeo saremmo ancora senza depuratori, con le discariche, senza una tutela faunistica, che non sarà forse la migliore ma che è quella che ha costretto il nostro paese a piegare la testa sui roccoli e la cattura dei piccoli uccelli, solo per fare un esempio.
Io voterò perché ogni volta che in autostrada vedo un carro bestiame, un carro di maiali destinati al macello penso che, nonostante tutto, senza l’Europa sarebbe ancora peggio per loro, ma anche per noi. Io voto alle elezioni europee, certo con disagio nei confronti di una politica senza uomini di valore, ma penso che partecipare sia un dovere per un cittadino.
Voterò alle elezioni europee perché non credo al lupo cattivo
Non credo alle cose verosimili, come solo verosimile è la foto di questo articolo: certamente ben fatta ma falsa. Falsa anche se a prima vista sembra vera, falsa nonostante sia divertente. Come sono falsi tutti i luoghi comuni, quelli che alimentano la paura verso uomini e animali.
Quelli creati apposta per far credere che siamo in pericolo, sostituendo i rischi veri con altre situazioni dipinte come rischiose, facili da raccontare e ancor più facili da far credere alle persone.
Chi crede che la politica ambientale e la tutela degli animali sia importante potrà guardare cosa propongono i candidati al parlamento europeo. Magari valutando anche quelli proposti dalla campagna Vote for animals, che ha raccolto l’impegno di alcuni candidati all’Europarlamento, appartenenti a tutte le posizioni politiche.
Il problema dei diritti riguarda uomini e animali e non è credibile chi dice il contrario
Non si può definirsi animalisti e essere razzisti: sarebbe come voler difendere la fauna e i cacciatori, i diritti degli animali e il foie gras. Questo concetto mi appartiene come ho scritto in questo articolo (qui) e se qualcuno di chi mi legge non condivide il pensiero, può sempre smettere di frequentare questa pagina.
Il vero problema di questo secolo non sono i migranti ma i cambiamenti climatici, i danni causati dagli allevamenti intensivi, una distribuzione delle ricchezze profondamente ingiusta. Il problema di questo secolo sarà l’accesso all’acqua pulita, la riduzione dei consumi e la necessità di far crescere la conoscenza e la cultura.
Le persone devono capire che in Italia ci costano più corrotti ed evasori di quanto, tutti insieme, non potranno mai costare migranti, predatori e cinghiali, come qualcuno pretende di farci credere. L’unica cosa che dobbiamo schiacciare sotto il tallone è l’intolleranza, accompagnata dall’egoismo e dal voler a tutti costi credere che il problema non siamo (anche) noi.
La violenza corre veloce sulla rete
Se si spendesse meno tempo a insultare e a aggredire sui social per dedicare questi minuti preziosi alla lettura di un buon libro l’Italia, probabilmente, sarebbe diversa. Si capirebbe con maggior facilità che non è importante il colore della pelle o la religione, mentre è indispensabile il rispetto delle regole, della civile convivenza. Per tutti!
Quando un paese non riesce a far rispettare le regole, quando manca la certezza della pena è più facile prendersela con supposti nemici, mentre bisognerebbe sapere ammettere il fallimento. Io voto perché voglio che il diritto prevalga sulla forza, che la violenza e l’indifferenza non conquistino la nostra società.
Io credo che i diritti dei deboli, di qualsiasi specie o razza siano, vadano affermati con forza. Credo anche, però, che chi non rispetta le regole e le leggi, al di là del colore della pelle, debba essere messo in condizioni di non nuocere alla maggioranza. Chi delinque ruba il futuro di tutti e questo è un concetto che deve essere universale.
Vi racconto perché non aderirò al movimento animalista e anche i motivi per cui credo che non sia da questo che possa passare la strada su cui basare un rapporto più etico con gli animali.
Opinioni personali, che possono divergere da quelle di tanti altri che come me gravitano nell’arcipelago, molto variegato, costituito da quanti si occupano dei diritti degli animali.
Questo movimento, di fatto un partito politico forse atipico ma con ambizioni da partito, vorrebbe essere la replica politica della precedente iniziativa di Michela Vittoria Brambilla di riunire sotto il suo vessillo le associazioni del settore. La Federazione Italiana Associazioni Diritti Animali e Ambiente (vedi qui)nacque nel 2012, raccogliendo i consensi delle organizzazioni più grandi e ramificate (ENPA, LAV, LnDC, OIPA) e di molte minori.
Questa adesione alla federazione non fu gradita da molti dirigenti locali e periferici delle associazioni, forse timorosi di essere fagocitati dalla federazione presieduta da Maria Vittoria Brambilla, nominata per acclamazione ma non scelta in una fase di discussione congressuale, come forse un mondo come quello delle associazioni avrebbe richiesto.
A sorpresa ma non troppo, dopo l’esperienza della federazione, LAV questa volta ha deciso di rimanere fuori dal Movimento Animalista con una dichiarazione precisa (leggi qui), non imitata da altre associazioni. L’arcipelago delle assciazioni, quando non schierato direttamente, lo ha fatto appoggiare a titolo personale da molti dirigenti nazionali e periferici, riversando nel Movimento animalista molti militanti di spicco.
Appare chiaro da subito che il movimento-partito voglia parlare soprattutto alla pancia degli elettori animalisti, convincendoli della validità di un programma che porta avanti cause importanti certo seppur monotematiche. Credo che la politica, invece, debba riuscire a governare un paese in tutti i suoi aspetti, con buon senso e ampiezza di sguardo, senza diventare una palude costituita da singole istanze, che seppur condivisibili, rischiano di non poter contribuire davvero a una crescita culturale e legislativa. La sconfitta dei Verdi in Italia, rimasti fuori dal parlamento, dovrebbe servire da monito a quanti si vogliano lanciare a testa bassa nell’agone delle prossime elezioni.
In Spagna il PACMA è si ancora fuori dal parlamento ma costituisce la prima forza extraparlamentare, con un programma molto vasto su temi che spaziano dai diritti umani, alla tutela dell’ambiente e degli animali. Un partito verde alla tedesca, senza i confini così stretti che sembra avere questo movimento che, valutando le immagini dell’ultima manifestazione romana, non pare in grado di coagulare grandi numeri. Diversa appare la capacità di coinvolgimento di cui è capace il PACMA , davvero eccezionale (leggi qui), riuscendo a portare in piazza 100.000 persone e non poche centinaia come avviene di solito in Italia.
Un partito che si ponga obiettivi tanto settoriali come quello animalista e che per giunta risulti politicamente schierato, in modo chiaro seppur ufficialmente trasversale, credo non abbia grandi possibilità di affermarsi, con il rischio di trascinare le organizzazioni animaliste in una politica che potrebbe rivelarsi suicida. Grandi e piccole organizzazioni segnate da scelte partitiche, ben differenti da quelle politiche.
Decisamente più opportuno sarebbe stato cercare di prendere il meglio del capitale umano delle associazioni provando a farlo inserire nei vari partiti come candidature indipendenti, consentendo così una disseminazione importante pur senza avere una connotazione partitica precisa che potrebbe rivelarsi dannosa.
In un periodo in cui la politica dei vecchi partiti ansima e affanna, non essendo più riconosciuta dai cittadini, e dove anche i nuovi partiti perdono pezzi di elettorato come un vascello alla deriva,schierarsi politicamente, per un’associazione, rischia di rappresentare un danno e non un vantaggio. Senza voler essere la Cassandra di turno per questo vi racconto perché non aderirò al movimento animalista.
Oggi come oggi, con un probabile sbarramento al 4%, è molto concreta, se non certa, la possibilità di restare fuori dal parlamento e, se così fosse, con il rischio di fare la figura degli utili idioti che si sono buttati a sostegno di una parte politica, senza però ottenere alcun vantaggio per la causa dei diritti degli animali. Una strada in salita, percorsa apparentemente nel nome della tutela degli animali che rischia invece di confinarli in un recinto, fatto di partiti e non di diritti.
Un’avventura che non ritengo giusto sostenere. Le associazioni devono restare apartitiche per poter svolgere il loro ruolo, fondato anche sull’equidistanza dalle varie forze politiche, per non rischiare di essere ritenute schierate. Un’associazione deve potersi sedere al tavolo con tutti, senza che l’appartenenza politica debba costituire un intralcio che potrebbe rendere molto più complicate le trattative su qualsiasi argomento.
Per amore di verità bisogna dare atto che molte delle iniziative politiche realizzate a favore degli animali, dal Regno d’Italia in avanti, sono state in gran parte portate avanti dalla destra, con l’unica sicura eccezione della caccia dove il disastro è purtroppo condiviso fra tutte le forze parlamentari e regionali, a seconda delle stagioni della politica. Forse questo dovrebbe e potrebbe essere un buono spunto di riflessione da cogliere per la sinistra e non solo. Anche in un momento come questo, molto liquido, dove gli schieramenti tradizionali sembrano svaniti e parlare di destra e sinistra può far sorridere.
La politica si impossessa dei diritti animali e li porta nel recinto di un partito, dando vita a un movimento animalista schierato, declinato all’interno di una forza politica, un po’ troppo costretto per essere portatore di valori trasversali.
I grandi valori etici non si possono ingabbiare e mai come in questo caso il termine è appropriato, visto che parliamo di animali. La diffusione dei valori all’interno della società civile non ha e non dovrebbe, secondo il mio pensiero, avere un colore politico. Non hanno colore i diritti delle categorie fragili e non devono avere un partito di riferimento, salvo che non si occupi eminentemente di quel tipo di argomenti. Posto che l’idea di un partito animalista possa davvero essere una buona idea e non lo credo, non ora in Italia.
Peraltro se ogni argomento, ogni istanza portatrice di valori etici dovesse essere utilizzata per dar vita a un soggetto politico si rischierebbe di dar corpo a un mostro, a un vaso di Pandora senza coperchio che certamente non porterebbe a migliorare la politica di questo paese e forse nemmeno la sua società. Sarebbe più opportuno che i soggetti che si occupano degli argomenti etici più importanti di questo periodo, come lo sono i diritti degli animali, certamente in buona compagnia dei troppi diritti umani promessi sulla carta ma negati nella realtà, cercassero di disseminarsi nelle istituzioni, senza necessità di schierarsi o di agglomerarsi in un partito o movimento politico ad hoc.
Certo guardando il neonato Movimento Animalista sembra di poter dire che la scelta operata sia stata davvero molto più sottile: non un partito autonomo basato sulla tutela dei diritti animali ma una lista di supporto, un satellite di un partito, attratto dalla sua gravità ma libero di ruotare intorno al corpo storico. Forse più un’operazione politica che una scelta di campo, anche se la presenza di Maria Vittoria Brambilla, a fianco di un rinnovato Silvio Berlusconi rincuora molti. Ma non convince chi scrive.
Avrei preferito vedere la creazione di una rete trasversale di politici vecchi e nuovi che, indipendentemente dai loro partiti, si impegnassero nel portare avanti iniziative concrete per la tutela dei diritti degli animali e dell’ambiente. Senza un tornaconto elettorale ma semplicemente convinti del fatto che la tutela dei deboli, umani e non umani, e del patrimonio ambientale debba essere un impegno non solo meritevole ma doveroso, obbligatorio, imprescindibile. Con associazioni che fungano da supporto per questi politici, fornendo loro materiale e impostazioni su come e perché combattere certe battaglie.
La storia dei Verdi in Italia penso avrebbe dovuto fornire spunti di riflessione a molti: movimento prima, partito poi nel quale avevo partecipato ai primi momenti spostandomi rapidamente. Una parabola ascendente con una caduta precipitosa anche a causa di qualche scandalo. Penso che la cosa più difficile nel fare politica, e anche la vita di un’associazione è fatta di politica, sia quella di mantenere sempre in primo piano l’obiettivo, di valorizzare le risorse e di contribuire alla crescita culturale della società. Diversamente, quando, e se, si diventa solo parte di un apparato l’elettore non ci crede più e condanna un partito, come successo ai Verdi più o meno arcobaleno, dall’essere una speranza a divenire uno dei tanti soggetti destinati a restare a guardare. Fuori dal parlamento.
Forse questa operazione messa in campo dal Movimento Animalista ha avuto un pregio: far capire agli altri partiti, a tutti gli altri partiti, che determinati temi devono restare sempre al centro dell’azione politica, proprio per la loro importanza, per il nostro futuro e perché la loro declinazione nelle scelte politiche contribuirebbe a rendere migliore la nostra società. Ma avrà anche l’inevitabile difetto di dividere le associazioni animaliste, il mondo del volontariato che tanto fa per animalismo e ambientalismo, composito e trasversale rispetto alla politica.
Questa è la vera occasione perduta: non sono gli animalisti a essere attrattivi per la buona politica ma bensì è l’animalismo a essere attraente per i partiti, che sfilano a chi si occupa di tutelare gli animali il primato della tutela dei loro diritti, dando un colore preciso al movimento animalista appena fondato. Ma bisogna essere realisti e non illudersi né abbassare la guardia: persone, movimenti, associazioni e partiti, vanno giudicati sui fatti concreti, sulle attività che si sono effettivamente realizzate, non sulle tante proposte destinate a restare, per un motivo o per l’altro, nel cassetto delle promesse non mantenute o in quello dei sogni non realizzati.
Specialmente in politica le persone tendono a confondere i progetti di legge presentati, anche in periodi dove per ragioni oggettive non hanno alcuna possibilità di essere discussi, con le leggi approvate Questo avviene anche grazie alla gran confusione creata dai social e non solo da loro.
Difficile piacere a tutti, però sempre meglio avere e prendere una posizione chiara piuttosto che spellarsi le mani per un progetto troppo partitico, come già qualcuno ha fatto. Il consiglio ai naviganti, e ai futuri elettori, è di formarsi e informarsi sempre, specie in un mondo dove molto di quello che appare è soltanto un’illusione mediatica. Intanto la politica si impossessa dei diritti animali.
La politica usa gli animali non li difende (leggi qui)
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