Le sagre degli uccelli sono la rappresentazione pubblica di un’inutile forma di crudeltà e la crudeltà inutile dovrebbe essere vietata per legge: si può disquisire per ore su tutte le tematiche legate ai diritti degli animali, ma su questo assunto sono convinto che tutte le persone pensanti siano d’accordo.
Condannare alla prigionia, ma anche alla dannazione perpetua, creature che hanno avuto in sorte il dono del volo credo che sia la peggiore forma di una crudeltà inutile, quasi una sottile vendetta dell’uomo verso creature tanto piccole, capaci però di fare quello che rappresenta il nostro massimo sogno di libertà: volare. Quasi è come se l’uomo, nella sua impotenza di non riuscire a volare, prima in alcun modo e ora non senza l’ausilio di mezzi meccanici, avesse voluto nel corso dei secoli impossessarsi del popolo migratore, imprigionarlo, rinchiuderlo, privarlo del volo, magari accecarlo per poter meglio godere del suo canto e della bellezza dei suoi colori, in una meschina nèmesi compiuta da un essere tanto potente, ma incapace di volare. Questo a voler fornire una visione da tragedia teatrale di quella che invece è una reale tragedia per centinaia di migliaia, milioni di uccelli canori prigionieri nel mondo, alla base della quale non c’è neppure un pensiero così articolato ma solo un ragionamento basato su tre fattori: divertimento umano, indifferenza verso la sofferenza, denaro.
In agosto si celebra a Sacile (PN) la più conosciuta sagra degli uccelli d’Italia e forse d’Europa, una delle più antiche se non la più antica: 742 anni di tradizione, che fanno quasi 7 secoli e mezzo di crudeltà. La sagra degli osei, contestata a ragione e con metodo da #nosagraosei , è una manifestazione dove migliaia di uccelli, provenienti da contesti che vanno dall’allevamento al bracconaggio puro, vengono esposti, commerciati, esibiti in gare di canto, rigorosamente in gabbiette dove i poveri animali volanti possono al massimo effettuare qualche svolazzo, più frequentemente solo qualche saltello. Dietro questo smisurato amore che li lega ai loro padroni, nel senso più bieco del termine, e sempre e solo secondo gli stessi padroni, si nasconde però un fiume di danaro, illecito, defiscalizzato, senza tasse: quello dell’allevamento amatoriale che porta nelle tasche di molti allevatori migliaia di euro ogni anno, senza che su questa sofferenza lo Stato incassi nemmeno un centesimo di tributi. Nessuno dichiara vendite, solo scambi, cessioni a titolo gratuito, prestiti e tutte le accezioni lessicali che non implicano la parola guadagno, che ricondurrebbero l’allevamento amatoriale alla questione tassazione, che potrebbe e dovrebbe far scattare le antenne della Guardia di Finanza. Ma si sa che nel nostro paese sulle passioni, anche quelle più inconfessabili, si è sempre disposti a chiudere un occhio e poi uccellatori, commercianti, cacciatori, allevatori e chi più ne ha più ne metta, votano, specie in Friuli Venezia Giulia e Veneto, dove pochi sono i politici che si sono messi, da sempre, contro i cacciatori. Resiste il bravo ex-deputato europeo Andrea Zanoni, ma non è stato rieletto e da politico serio non certo ha abbandonato la lotta, riuscendo a entrare in Consiglio Regionale.
Il fatto di tenere gli uccelli in gabbia è una tradizione secolare, forse millenaria, alla quale però sarebbe giusto ora dire basta, per la sua inutilità, per la crudeltà che comporta e perché se la guardassero, le Procure, con occhio lucido, senza il filtro delle tradizioni e delle passioni che tutto giustificano, si renderebbero conto che forse è anche un atto illecito. La costruzione giuridica non è poi tanto ardita, considerando che l’articolo 544 ter del Codice Penale recita: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, (…) sottopone (un animale) a sevizie o a comportamenti (…) insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.” Non vi è dubbio che si possa ritenere un atto crudele o comunque non necessario tenere un uccello in gabbia, privandolo della libertà di volare e che questa privazione sia una condizione “insopportabile” per la sua natura di animale volante, che fa del volo una necessità primaria, quello che per noi umani è il cammino. Non può ritenersi come fattore esimente il piacere che ne deriva per l’uomo, né che questo fatto sia compiuto da secoli: diversamente saremmo nell’obbligo di considerare lecite una serie di attività umane che forniscono piacere ed esistono da sempre, ma che sacrificano esseri fragili ad un bieco desiderio distruttivo, come avviene per la pedofilia. E’ sempre così facile dimostrare la crudeltà dell’uomo facendo esempi sui suoi simili, purtroppo, da mettere in conto la necessità di una riflessione.
Credo che il popolo volante e migratore non debba subire più le gabbie: non per amore (finto), non per denaro, ma liberi in cielo, viene da dire parafrasando un poeta come Fabrizio De André.