Non far riprodurre gli animali è un comportamento responsabile che serve a contenere il randagismo. Canino e felino. Decidere di condividere la propria vita con un animale significa prendersi la responsabilità del suo benessere. Questo anche quando la scelta di farlo è dettata da motivi di utilità.
Chiunque abbia un animale domestico deve considerarsi non solo come il suo tutore, ma deve essere responsabile anche delle scelte che riguardano la riproduzione. Che incidono sulla vita di altri animali ma anche sulla società, in termini di costo e non solo.
Le strutture di accoglienza per cani e gatti sono sempre piene, il randagismo non decresce: per questo ogni cucciolo che nasce rappresenta un problema. Se verrà adottato da amici e conoscenti del proprietario sottrarrà inevitabilmente un posto per gli ospiti forzati di canili e gattili. Se nascerà in strada andrà ad alimentare il randagismo con tutto quello che questo comporta.
I proprietari devono capire l’importanza della sterilizzazione
Il proprietario di un cane o gatto maschio, non sterilizzato, lasciato libero di vagare sul territorio deve essere visto come corresponsabile del randagismo, alimentato proprio dagli animali padronali, specie maschi, lasciati liberi di girare e ingravidare tutte le femmine in calore che trovano sul loro cammino.
Chi ha una femmina in genere è più attento, per non portarsi il problema delle nascite dentro casa, ma troppo spesso si legge di cuccioli uccisi o abbandonati, con un comportamento crudele e due volte irresponsabile. Spesso dimenticando che abbandonare gli animali domestici è un reato, al pari di maltrattarli o ucciderli
Qualcuno obietta che questo comportamento del cane o del gatto sia naturale, considerando che ogni animale ha come scopo principale della sua esistenza quello di riprodursi, di perpetuare la specie. Affermazione ineccepibile sotto il profilo evolutivo e scientifico, ma decisamente contestabile, sotto il profilo etico e del buon senso, quando parliamo di cani e gatti. E anche di uomini.
Gli esseri umani infatti non sono animali diversi da quelli non umani e l’istinto riproduttivo è identico nella stragrande maggioranza dei soggetti in età fertile. Mitigato da scelte che bilanciano interessi pratici (redditi, lavoro, carriera) con altri posti in relazione alle proprie possibilità non soltanto economiche ma legate al tempo, alla solidità di un rapporto e a molti altri fattori.
Diffondere la cultura della sterilizzazione
Più aumenta il livello di scolarizzazione e cultura e più diminuisce, in genere, il numero di figli. Per scelte forse egoistiche ma, nella maggior parte dei casi, anche per ragioni pratiche non secondarie. Certo gli umani hanno a disposizione un vasto numero di soluzioni, compresa la sterilizzazione chirurgica, e normalmente optano per quelle meno invasive.
Cani e i gatti che vivono con noi non hanno possibilità di ragionare su questo genere di questioni, ma noi che siamo i loro tutori, che possiamo elaborare pensieri complessi, non solo possiamo ma dobbiamo farlo.
Abbiamo il dovere morale di impedire che i comportamenti istintivi dei nostri animali si traducano in uccisioni, maltrattamenti, sofferenze, costi per la collettività. Senza dimenticare i danni collaterali.
Quando cani e gatti randagi diventano troppi rischiano di finire avvelenati, subiscono maltrattamenti oppure possono rinselvatichirsi, causando danni anche alla fauna. In alternativa vengono rinchiusi a vita in strutture spesso fatiscenti che non sempre danno a questi animali possibilità di essere adottati.
Non far riprodurre gli animali domestici è un dovere
Altri trascorrono una misera esistenza per strada, in particolar modo i cani, che sono sicuramente gli unici animali domestici a tutto tondo. I più fortunati, ma non sono certo la maggioranza, vengono adottati da interi rioni o dai volontari, che pur lasciandoli in strada li sterilizzano e garantiscono loro cibo e cure, quando necessarie.
Non si possono più giustificare nascite di cuccioli, nemmeno se si ha la possibilità di sistemarli, almeno sino a quando le strutture d’accoglienza non saranno vuote e il randagismo sarà solo un ricordo. Non come ora, dove il numero di animali che canili e gattili ospitano spesso supera la capienza possibile: per legge, per buonsenso e per poter garantire il benessere degli animali.
Per questo molte organizzazioni propongono che la sterilizzazione diventi obbligatoria, almeno per tutti gli animali meticci e non solo per i randagi, ma anche per cani e gatti di proprietà. Un provvedimento giustificato da un’emergenza che diversamente non si riesce nemmeno a contenere.
La geografia delle soppressioni dei cani racconta degli uomini perché fornisce dati interessanti su quanto la loro gestione, in senso complessivo, sia influenzata da fattori come attenzione e educazione, piuttosto che dalla disponibilità economica.
Mi è stato suggerito un interessante studio condotto da Andrew Rowan e Tamara Kartal, entrambi appartenenti alla Humane Society, una delle maggiori organizzazioni che si occupano di protezione degli animali negli Stati Uniti e non solo.
Questo studio rivela come l’evoluzione del costume, l’accresciuta educazione e sensibilità abbiano contribuito a ridurre in modo drastico il numero delle soppressioni di cani indesiderati nei rifugi degli Stati Uniti.
Un dato che, se ce fosse ancora una volta necessità, conferma che soltanto educazione e l’incremento della sensibilità potranno liberare anche il nostro paese dal fenomeno del randagismo. Senza necessità di uccidere, ovviamente.
I dati americani infatti fanno ben sperare: nel 1973 negli Stati Uniti furono uccisi 13,5 milioni di animali indesiderati, presenti in canili e gattili, mentre il 25% della popolazione canina del tempo era vagante per strada. Non veri e propri randagi ma animali vaganti, quindi anche di proprietà. Il vagantismo ancora oggi è in Italia una delle grandi cause del randagismo, proprio per la pessima abitudine di lasciare liberi e non sterilizzati i cani di proprietà, specie nelle zone rurali.
La soppressione dei cani parla del rapporto con gli uomini
Nel nostro paese abbiamo due fattori che incidono pesantemente sulla gestione degli animali di proprietà: l’ignoranza, che porta a considerare gli animali con scarso rispetto e quindi senza occuparsi/preoccuparsi delle problematiche che derivano da una riproduzione incontrollata e il mancato rispetto delle leggi.
Se la legge obbliga a identificare i cani con il microchip una parte rilevante della popolazione evita di farlo, non si pone il problema derivante dal’obbligo, supportata in questo dagli scarsi controlli che, in tutti i settori, hanno allevato un menefreghismo dilagante. E qui entra in gioco l’educazione e il senso civico, doti per le quali nel nostro paese non brilliamo. (leggi qui)
Negli Stati Uniti, alla metà degli anni ’80, quindi soltanto dieci anni dopo il dato sulle soppressioni indicato in precedenza, il numero degli animali abbattuti nei canili era sceso a 7,6 milioni di animali. Un dimezzamento avvenuto in un tempo davvero breve, pur restando enorme il numero di animali, che vanno però ovviamente rapportati alla popolazione americana. In Italia, quando la soppressione nei canili era ancora legale, sono stati centinaia di migliaia gli animali soppressi ogni anno.
L’incremento delle adozioni, delle sterilizzazioni e una maggior attenzione verso i diritti degli animali ha ulteriormente ridotto questo fenomeno, che pur avendo numeri ancora rilevanti rispetto ad altri paesi come quelli del Nord Europa, appare in drastico calo.
Nel solo 2005 i dati parlano di oltre 11 milioni di animali sterilizzati presso strutture private, contro solo una cifra poco superiore ai due milioni di interventi praticati da enti pubblici. Un dato che dimostra la maggior attenzione dei cittadini e anche una maggior consapevolezza sulle responsabilità individuali.
Le amministrazioni pubbliche fanno la loro parte con campagne informative e aiutando, tramite vaucher, i cittadini per le sterilizzazioni, che avvengono anche con l’impiego di cliniche mobili. Queste cliniche sono purtroppo ancora osteggiate in Italia, dove non è stata attuata ancora una vera liberalizzazione delle professioni, compresa quella dei veterinari.
Realtà che porta a ordini professionali chiusi a riccio a difesa dei diritti dei loro iscritti.Il rapporto eutanasia/abitanti dimostra inoltre come questo, negli USA, sia inferiore negli stati del nord e maggiore in quelli del sud.
L’eterno problema del randagismo
Un dato che rapportato al randagismo è la fotocopia di quanto avviene in Italia, per giunta con motivazioni abbastanza simili: scarsa attenzione ai diritti degli animali accompagnato da un grande numero di animali vaganti. Per questo la geografia delle soppressioni dei cani racconta degli uomini, come quella di non essere responsabili dei propri animali.
Nel New Jersey il numero di cani abbattuti è diminuito del 90% dagli anni ’70 al 2014. Calcolando la rigidità delle strutture americane sui tempi di permanenza dei cani indesiderati nei rifugi questo è un dato davvero incoraggiante. Consiglio comunque di leggere l’intero articolo comparso sulla rivista Animals (leggi qui)in quanto fornisce chiavi di lettura interessanti sulla questione dei cani indesiderati.
Con le debite differenze dovute al fatto che da noi esiste randagismo e animali vaganti, mentre negli Stati Uniti questo fenomeno è decisamente meno diffuso a causa dell’efficienza americana che porta a rimuovere rapidamente i randagi e ai tantissimi sequestri operati ogni anno per maltrattamenti o cattive condizioni di custodia, lo studio fornisce spunti interessanti per la risoluzione del problema.
Il cronico problema del randagismo da noi è infatti in grandissima parte dovuto a una non gestione delle problematiche legate agli animali di proprietà e alla loro riproduzione, allo scarso rispetto delle regole e alla cronica esiguità dei controlli. Abbiamo sostituito le eutanasie con gli incanilamenti (leggi qui), spesso a vita, senza purtroppo raggiungere i successi, in termini di contrasto al problema toccati dagli americani.
Ma fra le cause non possiamo nemmeno tralasciare quella causata da ignoranza sul problema e insipienza di molti amministratori pubblici e sindaci. Che, anziché preoccuparsi contrastare il fenomeno del randagismo, preferiscono adottare campagne di incentivi economici nel tentativo di svuotare i canili. Senza comprendere che i cani fatti uscire dalla porta rientreranno, come si suol dire, dalla finestra. In una giostra senza fine.
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