Le motivazioni della caccia ai lupi sono sempre le stesse: entrano in contrasto con gli interessi di allevatori e cacciatori. Questi ultimi molto potenti negli Stati Uniti anche grazie al supporto dei produttori di armi. Il giudice che ha adottato questa decisione ha affermato che esistevano seri rischi per la popolazione dei lupi. Scampati all’estinzione proprio grazie alle misure di protezione. Una situazione molto simile a quella italiana, dove la ripresa della popolazione dei lupi, oramai ridotta al lumicino, ha coinciso con misure di tutela.
La realtà è che il lupo è un animale molto adattabile, resiliente, capace di grandi spostamenti sul territorio ma incapace di resistere alla pressione venatoria e al bracconaggio. Basti pensare a che cosa è accaduto nei primi anni del secolo scorso dove un’intensa persecuzione, avvenuta con ogni mezzo, aveva portato allo sterminio. Per ogni lupo morto veniva pagato un premio ai cosiddetti “lupari”, cacciatori che sbarcavano il lunario uccidendo predatori.
I lupi grigi tornano protetti, anche se l’amministrazione Biden si è schierata per far continuare la caccia
La situazione americana può essere presa come esempio di quanto determinate decisioni seguano più la politica che la scienza. La tutela ambientale passa anche attraverso i superpredatori come il lupo e già questo dovrebbe essere sufficiente per proteggerli. Gli attacchi dei lupi al bestiame pesano molto ma molto meno rispetto ai vantaggi che derivano dalla loro presenza. Eppure nel nostro paese, dove sono così evidenti i danni causati dalla caccia e dalle persecuzione dei predatori, continuano a levarsi richieste di aprire la caccia.
Ma non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire, di chi non si piega nemmeno di fronte alle spiegazioni date da esperti qualificati. Persone che non solo studiano il comportamento, ma valutano le positività che i predatori sono in grado di garantire all’equilibrio ambientale. Quando il mondo naturale è in equilibrio si creano le condizioni per aumentare la sua resilienza e per diminuire i rischi, anche sanitari, per l’uomo. Per questo è così importante far accettare il concetto di condivisione ambientale, che rappresenta l’esatto opposto di quanti vorrebbero vedere l’uomo padrone di tutto.
La tutela ambientale non deve essere soltanto un principio inserito in Costituzione, ma deve diventare una realtà culturale ben compresa
Occorre che la politica smetta di inseguire il consenso degli elettori e si occupi di amministrare il paese e il suo capitale naturale secondo coscienza, senza seguire la convenienza. Per farlo occorre anche iniziare un percorso culturale diverso, coerente con i principi di tutela dell’ambiente e, di conseguenza, di protezione del futuro delle future generazioni.
Abbiamo bisogno di uomini e donne coraggiose, coerenti, che antepongano ai loro interessi le necessità della collettività. Siamo già in ritardo, è stato già perso molto, troppo tempo e stiamo spesso percorrendo strade sbagliate. Ci sono argomenti che sarebbe auspicabile divenissero unitari, trasversali a tutte le forze politiche e la tutela dell’ambiente devono venire prima di ogni altro interesse. Una scelta che, al contrario di quanto affermano molti, contribuirebbe a far crescere la ricchezza dell’Italia e dell’intera Europa.
Costerebbe meno indennizzare i danni causati dagli animali selvatici di quanto costi, in modo strisciante, il dissesto della nostra politica ambientale. Spesso pensata e realizzata da persone prive di conoscenze e competenze, che non ascoltano i tecnici ma soltanto i sondaggi. Capaci di riproporre opere come il Ponte sullo Stretto, devastante sotto il profilo ambientale, oppure il nucleare pulito, che allo stato esiste solo nella fantasia di chi lo teorizza.
Trump svende l’Alaska, mettendo in atto l’ultimo colpo di coda prima di abbandonare la Casa Bianca. Sembra incredibile che dopo aver autorizzato la distruzione della foresta di Tongass, sempre in Alaska, voglia infliggere una nuova ferita all’ambiente. Probabilmente per compensare le industrie petrolifere che hanno sostenuto la campagna per la sua rielezione. Questa volta nel mirino presidenziale c’è un’altra importante area protetta dello stato: l‘Arctic National Wildlife Refuge.
L’area protetta è stata istituita nel 1960 in una zona nord orientale dell’Alaska. Vasta 78.000 chilometri quadrati ospita una grande varietà di vegetazione tipica della tundra artica e molte specie animali. Lupi, orsi, caribù, moltissime specie di rapaci inseriti in un ecosistema ben preservato. Sino alla sconvolgente decisione del presidente Trump, che a pochi giorni dal suo trasloco dalla Casa Bianca, ha deciso di mettere in vendita le autorizzazioni alle trivellazioni.
Questa decisione non è casuale in quanto va in direzione contraria alle dichiarazioni del nuovo presidente Biden. Che si era detto fortemente contrario a concedere autorizzazioni per attività petrolifere nell’Artico. Con questa mossa a sorpresa Donald Trump ha probabilmente inteso ripagare i lobbisti petroliferi per il sostegno. Sapendo che per il nuovo presidente sarà più difficile invalidare le scelte già rese operative.
Ma se Trump svende l’Alaska alle società delle energie fossili questo sarà un duro colpo per l’ecosistema artico
L’idea del presidente più aggressivo nei confronti dell’ambiente della storia americana è quello di mettere all’asta le concessioni. Che renderanno utilizzabili per le trivellazioni oltre 6.000 chilometri quadrati dell’area protetta, con tutto quello che questo comporterà in termini ambientali. Una vera aggressione considerando la necessità di creare le infrastrutture che consentano l’effettiva attivazione delle trivellazioni.
Le compagnie petrolifere e del gas, guidate da Energy Transfer Equity, Koch Industries e Chevron, danno circa l’80% delle loro donazioni politiche a candidati repubblicani e conservatori. Il più grande beneficiario di gran lunga è Donald Trump, che ha ricevuto direttamente più di 2 milioni di dollari da questo settore nell’ultimo anno, esclusi i soldi incanalati attraverso comitati di azione politica segreti .
Tratto dall’articolo di Jonathan Watts pubblicato il 17/11/2020 su The Guardian
Un presidente che non si preoccupa del futuro del suo paese e dell’intero pianeta in un periodo come questo dovrebbe andare sotto processo. Specie quando appare chiaro che le scelte operate sono soltanto per esclusivo interesse personale, non certo per quello dei cittadini americani. Che per fortuna hanno scelto di mandare a casa The Donald.
L’attacco all’Arctic National Wildlife Refuge compromette una zona importante come l’Artico, già sofferente per i cambiamenti climatici
Per gli ambientalisti locali questa apertura alle industrie delle energie fossili è il peggiore degli incubi possibili. Come raccontano in un video (in inglese)
Ora bisogna solo sperare che qualcosa si frapponga nei piani dell’oramai ex presidente USA, impedendo che un’area naturalistica importante venga data in concessione ai petrolieri. Per ricercare nuovi giacimenti di quelle energie fossili che il mondo dovrebbe abbandonare al più presto, spostandosi verso le fonti rinnovabili.
Trump ancora contro l’ambiente, a pochi giorni da quella che il mondo ambientalista spera sia la sua uscita di scena come presidente degli Stati Uniti. Con un’azione irresponsabile ma anche inopportuna, considerando che arriva a pochi giorni dalle elezioni presidenziali. Messa in atto nel suo esclusivo interesse per raccogliere consensi, in un momento in cui i sondaggi lo danno come perdente.
Sotto il profilo ambientale Donald Trump è stato uno dei peggiori, se non il peggiore, presidente degli Stati Uniti. Secretando dati sulla tutela ambientale, negando i cambiamenti climatici e cercando di monetizzare l’ambiente senza seguire alcuna regola di buona gestione e prudenza. Invece di valorizzarlo per renderlo una risorsa permanente per gli americani e il mondo, ma autorizzando a sfruttarlo con una visione di corto periodo.
L’ultimo atto presidenziale, sperando che sia davvero quello finale, è stato quello di consentire lo sfruttamento della foresta di Tongass, in Alaska. Un’importante area naturale, situata in uno Stato scarsamente popolato, che era stata protetta nel 2001, al tempo del presidente Clinton. Quando l’emergenza ambientale era più lontana dal venir identificata come “LA” priorità. Eppure oggi, a pochi giorni dalle elezioni americane le cose sono cambiate.
Le azioni del presidente Trump sono ancora contro l’ambiente, nonostante manchino pochi giorni alle elezioni
La foresta di Tongass era stata protetta in modo quasi integrale, riconoscendole un grande valore naturalistico e di mitigazione ambientale. Erano stati posti sotto tutela oltre 58.000 acri di territorio, vietando costruzione di strade e abbattimento di alberi. In un ambiente che ospita la maggior popolazione di aquile calve conosciuta al mondo, ma anche orsi, lupi e salmoni selvaggi. Un patrimonio indispensabile alle comunità locali, che hanno visto crescere in modo rilevante l’ecoturismo.
La superficie arborea di Tongass assorbe l’8% di C02 del valore complessivo assorbito da tutte le foreste nazionali degli Stati Uniti. Avendo la maggior superficie boscata di ogni singola foresta americana, tanto da essere definita il polmone verde degli USA. Almeno sino al 28 di ottobre quando il presidente ha firmato un provvedimento che toglieva la protezione su Tongass. Autorizzando disboscamenti e costruzione di nuove strade per agevolarli. Con la maggioranza dei pregiati alberi abbattuti che prenderà la strada dell’Oriente.
“Tongass è l’Amazzonia americana”, ha detto in una dichiarazione Adam Kolton, direttore esecutivo dell’Alaska Wilderness League. “Questa mossa voluta dal presidente per eliminare le protezioni e le strade della foresta nazionale più grande e biologicamente ricca della nostra nazione è una calamità per il nostro clima, per la fauna selvatica e per l’economia delle attività ricreative all’aperto del sud-est dell’Alaska”.
Il provvedimento del presidente Trump è stato pubblicato il 28 ottobre, a una manciata di giorni dalle elezioni presidenziali
Uno statista deve prendere posizioni importanti per il futuro del suo paese. Mentre Donald Trump ha dimostrato di perseguire maggiormente i suoi interessi piuttosto che quelli del popolo americano. Il rischio che lo sfruttamento della foresta di Tongass inizi immediatamente, per impedire le attività legali o politiche che possano ostacolarlo, è molto concreto. Sono troppi, infatti, gli interessi economici che saranno generati da questo provvedimento.
La distruzione di un’ecosistema avviene sempre in tempi molto, molto più rapidi di quelli necessari alla sua ricostruzione. L’abbattimento di alberi per costruire strade forestali per la vendita del legname pregiato riuscirà a alterare gli equilibri di Tongass. E questo potrebbe succedere in tempi davvero molto brevi, con il rischio che molte specie animali perdano per sempre luoghi vitali per la loro esistenza. Una eventualità che evidentemente poco preoccupa il presidente Trump, sicuramente più preoccupato dalle se sorti personali in caso di mancata rielezione.
L’unica speranza per l’intero pianeta è che questi leader, che negano i cambiamenti climatici e contribuiscono a distruggere i loro paesi escano di scena. Da Donald Trump a Jair Bolsonaro, presidente del Brasile, questi presidenti rappresentano un grave pericolo non solo per le loro nazioni, ma per il futuro dell’umanità tutta.
Sono proprio le elezioni il pericolo per la fauna: gli animali infatti rappresentano uno strumento utile per avere consenso e il politico sa come mixare gli ingredienti. Negli Stati Uniti l’amministrazione Trump ha dichiarato di voler eliminare la protezione dei lupi nella quasi totalità degli stati della confederazione. Pur sapendo, per ammissione dello stesso servizio statale che si occupa di fauna, che il loro numero è stabile e non si prevedono incrementi.
Ma si sa che i predatori in ogni angolo del pianeta danno fastidio, molto fastidio, a due categorie: allevatori e cacciatori. Che in massima parte vivono fuori dai contesti cittadini sempre più ostili al presidente. Diventando così una merce di scambio per ottenere voti in cambio di promesse. Dimostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, che in tutto il mondo queste due categorie rappresentano un valore elettorale irrinunciabile.
Con buona pace delle organizzazioni che si occupano di tutela dell’ambiente e degli animali. Che continuano a presentare ricorsi, spesso vincenti, sino a quando il cambiamento delle leggi li mette all’angolo. Spesso, per fortuna degli equilibri ambientali, molte promesse, come le bugie hanno le gambe corte. Ma nel caso americano potrebbero mettere in forse una grande fetta della popolazione dei lupi, magistralmente descritti nel libro La saggezza dei lupi.
Ma se sono le elezioni il pericolo per la fauna significa che c’è ancora poca cultura ambientale
La consapevolezza talvolta è un dono, ma il più delle volte è la vetta di un processo cognitivo che porta a conoscere le proporzioni di una problematica. Che si può raggiungere informandosi, leggendo testi seri e non seguendo le tante fake news che popolano la rete. Ma se dovessimo dare una sembianza animale al politico potremmo affermare che si tratti molto spesso di una volpe, capace di usare l’astuzia per arrivare al risultato. E il risultato è ben visibile.
Con una campagna elettorale che viene fatta sui social, con un numero limitato di caratteri, che hanno però grande poter evocativo e in qualche modo convincono. Sarà per questo che anche gli animali, e la loro gestione, rappresentano una fetta importante nel parterre delle argomentazioni. Poter riaprire la caccia ai lupi in ogni Stato americano rappresenta proprio una di queste enunciazioni, che potrebbero anche non realizzarsi.
La spiegazione dell’amministrazione Trump è netta. “Vogliamo solo essere sicuri di proteggere anche altre specie”, ha detto Skipwith. “Quando ci si intromette in una causa, dopo che si è avuto un tale successo, si sottraggono risorse alle specie che ne hanno più bisogno”. “In ogni caso non prevediamo che il lupo grigio si espanda ancora, indipendentemente dalla protezione federale”, ha continuato Skipwith.
Barriere con serpenti e alligatori per fermare immigrazione alla frontiera con il Messico. Questo l’ultimo pensiero del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che vorrebbe far realizzare fossati lungo tutta la frontiera, per scoraggiare l’immigrazione. Ne da notizia l’agenzia ANSA in un suo articolo pubblicato sul sito online.
Al di la delle farneticazioni alle quali ci ha abituato Trump, che ogni giorno alza il tono delle sue affermazioni, sarebbe opportuno spendere due parole sulle barriere fisiche che si vogliono mettere ai confini. Un’idea insensata per fermare le migrazioni umane, una scelta pericolosa nei confronti dell’ambiente.
Creando separazioni artificiali e così impattanti sul territorio si da origine infatti a grandi difficoltà anche allo spostamento degli animali terrestri. Che si trovano impediti nei loro movimenti, da un confine fisico innaturale, artificioso. Una situazione pericolosa per gli ecosistemi, basati su un’interdipendenza fra tutte le specie che li abitano. E gli animali, si sa, non conoscono i confini politici e, per loro fortuna, nemmeno i polveroni sollevati dagli uomini.
Le barriere creano grossi danni alla fauna, come già si è visto in Africa
L’Australia è il continente nel mondo che ha creato le barriere più lunghe, arrivando a separare l’Australia del Sud dal resto del paese, con una recinzione di 5.600 chilometri. Pensata per evitare sconfinamenti dei dingo, visti come pericolosi per gli allevamenti. Mentre un’altra barriera contro i conigli, lunga per oltre 3.300 chilometri è stata eretta nell’Australia Occidentale.
Barriere, come quella pensata da Trump che vuole usare gli alligatori per fermare immigrazione, risultano essere impenetrabili per la grande maggioranza dei mammiferi terrestri. Limitando non solo i movimenti locali ma anche le grandi migrazioni, come accade in Africa.
Botswana e Zimbabwe sono stati separati all’inizio di questo secolo con una barriera lunga 500 chilometri, ufficialmente per difendere gli animali d’allevamento del Botswana. Il paese africano temeva infatti il contagio dell’afta epizootica da parte degli animali dello stato vicino, da sempre instabile e molto più povero.
Solo l’idea dell’uso di alligatori per fermare immigrazione fa orrore
Continuare a utilizzare barriere e separazioni fisiche per dividere il pianta a nostro piacimento è un problema reale, del quale si parla molto poco, ma che ha creato già tantissimi problemi. Nonostante gli studi della comunità scientifica l’opinione pubblica è poco informata su questo argomento. Articoli però possono essere trovati su giornali online indipendenti, che hanno affrontato il problema come The Conversation.
Se gli umani riusciranno sempre, in un modo dell’altro, a superare le recinzioni fisiche, anche pagando un tributo in vite umane molto alto, per gli animali è diverso. Secondo gli studi l’impossibilità di attraversamento delle barriere fisiche per i mammiferi ha comportato ricadute anche su molte popolazioni di uccelli. Infatti questi ultimi, pur potendo volare sopra le recinzioni si sono ritrovati a dover vivere in ambienti profondamente modificati.
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