L’uccisione del cane di Partinico stimola violenza sulla rete, facendo partire il solito giro di insulti, minacce e commenti sconsiderati. Su una vicenda ancora dai contorni foschi, dove l’unica certezza sembra essere la morte di Ruth.
Un fatto gravissimo, finito in rete senza certezze, con un colpevole incerto ma sbattuto su tutti i social, con tanto di indirizzo di casa. Con i Carabinieri che sembra lo abbiano interrogato ma non indagato per maltrattamento, per mancanza di ragioni nonostante le foto.
Su questo episodio, che purtroppo non sarà il primo e neppure l’ultimo, si spera che facciano luce gli investigatori, in modo più coerente e corretto di quanto sta accadendo sulla rete. Dove i commenti ricordano i linciaggi sommari dei tempi del West, senza processo e senza prove. Si rispolvera la legge del taglione, si vorrebbe tornare a occhio per occhio, dente per dente.
La piazza virtuale, quella dei social, è ancora più violenta di quella reale di oggi, dove tutti assistono alle violenze ma nessuno interviene. I social sono stati trasformati in un’arena, purtroppo non meno violenta di chi abbia ucciso un cane inerme. Una comunità che non ha ancora capito che l’insulto, la minaccia e la ritorsione non sono una forma di giustizia. Sono la soddisfazione di un ego, uno sfogo forse malato causato da una giustizia spesso assente.
La giustizia sommaria, seppur solo invocata, fa rabbrividire
Ma fa rabbrividire ancora di più il fatto che un’accusa gettata in pasto ai social possa diventare una verità che, come in questo caso, sembra sia ancora da ricostruire. L’uccisione del cane di Partinico stimola violenza gratuita, senza riflessioni, ma solo di pancia.
Bisogna rivedere la macchina della giustizia, le leggi, la mancata garanzia che i responsabili di fatti efferati siano effettivamente condannati a pene severe. Le pene per chi si accanisce contro esseri indifesi devono essere aumentate, ma non ci sarà mai giustizia se i processi si celebrano dopo anni. La responsabilità però non è di chi delinque, ma di chi governa senza saperlo fare.
Chiunque abbia ucciso Ruth è una persona che deve essere sottoposta a misure di prevenzione, perché i crimini violenti denotano pericolosità sociale. Ma se dovessimo incarcerare o sottoporre a misure cautelari tutte le persone che incitano alla violenza sulla rete, bisognerebbe davvero trovare un nuovo pianeta.
Nei paesi dove è prevista la pena di morte i crimini non diminuiscono
Non è la pena capitale o l’ergastolo che eliminano i crimini peggiori, queste pene sono soltanto l’altro lato violento di una società che in parte ha fallito. Non previene, non educa, non riabilita, non interviene. Sono le società più ordinate e rispettose, quelle in cui la riabilitazione del condannato è importante, ad avere il tasso di criminalità più basso.
In Italia non siamo né ordinati né rispettosi e così, a molti, sembra che la violenza sia diventata, purtroppo, la cura di ogni male e non una patologia umana, dalla quale difendersi. Gli uomini fanno sugli uomini cose terribili e poi ci meravigliamo che questo accada anche sugli animali. Forse bisognerebbe farsi più domande per cercare possibili soluzioni, che non sono nei poteri del singolo cittadino ma delle istituzioni.
Da quanti decenni si parla di riforma della giustizia, di processi veloci e anche di modificare le norme che tutelano gli animali. Da quanto tempo i politici garantiscono che saranno modificate le norme, depositando progetti di legge che non arrivano mai in aula o in commissione?
Ci vogliono norme diverse, corpi di polizia attenti, un potenziamento dei Carabinieri Forestali che sono pochi ora e saranno ancora meno domani. Una verifica del rispetto delle norme da parte dei veterinari pubblici, troppe volte organismi immobili, ingessati che non tutelano il benessere degli animali.
Sicuramente è più comodo gettare la croce solo su chi commette un reato, incitando sui social al linciaggio, di quanto non sia comprendere che questa sarebbe un ulteriore forma di ingiustizia e per giunta anche sommaria. La rabbia è comprensibile, meno il rendersi poco conto che la violenza che stiamo allevando rischia di travolgerci. Stritolando la comunità umana in un abbraccio mortale.
La violenza genera violenza e questo è un concetto che non va dimenticato. E anche pubblicare foto drammatiche stimola al ritorno ai tempi dei gladiatori, non convince e può creare emulazione. In una società malata di like e di visibilità, purtroppo piena di webeti.
Il rispetto salva i viventi dalla violenza non le buone intenzioni, che lastricano da sempre l’inferno. Per donne, bambini e animali. Le persone non vogliono giornate mondiali, solo provvedimenti reali perché le chiacchiere dovrebbero stare a zero. Sono decenni che se ne parla, ma in concreto mancano le azioni.
Non saranno le panchine rosse o i segni di rossetto sui visi a salvare le donne, gli animali, le categorie fragili dalla violenza. Smettiamola con i luoghi comuni: le buone intenzioni non hanno mai fermato la violenza.
Serve educare le persone al rispetto, dovuto a tutte le creature viventi. Occorre crescere i bimbi con un’idea precisa di quanto sia sbagliata violenza e prevaricazione. E quanto su questo fronte occorra un impegno vero, reale fatto di provvedimenti concreti non di retorica, è sotto gli occhi di tutti.
Contro la violenza occorrono atti concreti
Basta confondere il momento dell’evento, dell’evocazione con la necessità di provvedimenti. Concreti e tangibili. La violenza non è un virus, non è contagiosa ma è una patologia purtroppo presente. Creata da cattivi esempi e alimentata da mancate azioni. Alimentata da falsi miti e combattuta spesso solo a parole.
La violenza origina da famiglie violente, dove viene praticata senza distinzione su bambini, donne e animali. E’ figlia di una società violenta dove il rispetto dell’altro viene negato, nella pratica e nella realtà. A cominciare dai tribunali, dove riti bizantini consentono a troppi di non essere puniti. Dove mancano le misure di cautela reale.
Certo bisogna insegnare alle donne a difendersi, mentre gli animali sono costretti a subire, spesso come bimbi e anziani che sono le componenti più fragili di ogni società (leggi qui). In realtà però è lo Stato che dovrebbe affermare la giustizia e che dovrebbe impegnarsi per difendere vita e diritti dei più fragili. Ma questo troppe volte non avviene, occorre smettere di negarlo per ripartire.
Troppe segnalazioni restano sulle scrivanie di persone pagate per tutelare i cittadini: per impreparazione, per sottovalutazione, per carenza di mezzi, per leggi con troppi formalismi. Ma forse il motivo diventa quasi poco importante, di fronte al dilagare di questa marea fatta di privazioni, minacce, percosse, con le mille sfumature della paura, che vanno dal timore al terrore.
Sono anni che diciamo che osservando i comportamenti verso gli animali si potrebbero capire molte cose, del salto di specie tipico dei violenti, degli animali da usare come ponte per entrare nel cuore delle vittime. Spesso le vittime diventano tali proprio per proteggere i più deboli ai quali vogliono bene. Un comportamento tipico delle donne. Con i figli, con gli animali e lo dicono le cronache, non le chiacchiere. (leggi qui)
Servono più risorse, più operatori formati e più strutture di accoglienza. Servono anche meno chiacchiere e giornate, perché alle vittime di violenza, di qualsiasi specie siano, interessa poco vedere migliaia di persone con un baffo di rossetto, se poi non sapranno a che santo votarsi nella pratica.
Resta solo la paura, il terrore, di un bambino raggomitolato nel buio, solo con la sua paura, forse senza nemmeno il conforto di un orsetto di peluche. Se è molto importante avere le leggi adeguate per aumentare le possibilità di una repressione efficace è altrettanto importante avere organi di controllo attenti.
La violenza porta la società dentro un tunnel senza uscite, imbottigliando spesso uomini e animali in un comune destino. Nonostante la leggenda racconti che esiste una violenza buona, quella contro l’oppressione, la realtà è differente.
La nostra società, forse alimentata da un momento socio economico particolare, forse anche grazie al contributo dei social, sembra stia diventando sempre più incline a attuare comportamenti violenti.
In fondo, e non solo sui social, basta una piccola scintilla per dar fuoco alle polveri e come per magia arrivare a incendiare le anime delle persone. Talvolta per buone cause come la tutela degli animali, talvolta per pessime ragioni come il razzismo e altre per questioni che meriterebbero una maggior pacatezza, come la vita politica del nostro tormentato paese.
Il mito della forza non può essere usato per cercare consenso
Cercare il consenso attizzando la violenza è un gioco facile per chiunque sappia usare le parole. Stimolare lo scontro è sempre molto più immediato e semplice di quanto non lo sia cercare di produrre riflessioni, che quando entrano nella consuetudine comportamentale delle persone, però, portano a cambiamenti significativi. Al contrario dei fuochi appiccati dai piromani, che distruggono molto senza produrre nulla di positivo.
La violenza porta la società dentro un tunnel senza uscite, ci priva della capacità di lavorare per compiere azioni positive, relegandoci nell’angolo buio di quanti credono che alle ingiustizie si debba rispondere sempre in modo altrettanto aggressivo, attuando una sorta di legge del taglione di quest’epoca social.
Dove si leggono commenti che fanno rabbrividire, dove la violenza viene volutamente sbattuta in faccia alla gente, solo per provocare una reazione, contraria ma spesso purtroppo uguale nei modi e nei contenuti.
Scrivendo mi rendo conto che potrei ampliare di molto la platea dei miei lettori se avessi la voglia di scendere su questo terreno, perché sono più quelli che amano la polvere dello scontro verbale piuttosto che il tranquillo scorrere della riflessione.
Proporre la forca per chi commette violenze non serve a risolvere
Proponendo la forca per i bracconieri otterrei molti più lettori che non cercando di stimolare azioni positive. I post con immagini di animali squartati certo fanno più clamore, destano più attenzione e invogliano al commento. Il più delle volte con promessa di azioni terribili da mettere in atto contro i responsabili, con il coraggio tipico dei leoni da tastiera.
Ma i nostri odiatori professionisti dimenticano che spesso gli autori di azioni violente, crudeli, godono non solo della sofferenza che causano alle loro vittime ma anche dell’odio che riescono a suscitare con le loro azioni.
Con l’aggravante di creare una catena emulativa in soggetti deviati , sempre in attesa di trovare una ribalta mediatica, cosa che dovrebbe essere evitata. Si può raccontare la componente negativa della violenza anche senza mostrarla nei particolari, senza trasformare un post in una scena splatter.
Gettare un cane vivo da un ponte, per legarmi a un fatto di cronaca di questi giorni, è un fatto talmente grave che per suscitare attenzione e indignazione, che è diversa dalla violenza, non ha bisogno di mostrare una foto con un corpo straziato. Non serve, è inutile, non crea valore.
In questi giorni agitati politicamente ho letto cose davvero indegne, a 360 gradi e senza esclusioni di posizione. Dimostrando così che la violenza e l’aggressività, anche solo verbale, sono ugualitarie e diffuse su tutto il campione della nostra società.
Bisognerebbe depotenziare queste esplosioni che stanno dando vita alla creazione di una società sempre più irritabile, violenta, sopra le righe. Un posto dove ognuno non ha solo il diritto, sacrosanto, di avere un’idea ma anche il dovere di privare gli altri dal pensarla in modo diverso. A pena di minacce di morte e insulti.
Forse sfugge a quanti difendono i diritti degli animali, per citare una categoria che conosco e che è trasversale rispetto alla composizione sociale e politica, che pochi saranno i cambiamenti sino a quando non miglioreranno i rapporti fra gli uomini.
Non saranno mai riconosciuti maggiori diritti agli animali se prima non faremo pace con gli uomini. Esistono gerarchie logiche che non cambieranno sino a quando non migliorerà il livello culturale di questa società, quando avanzeranno rispetto e mutuo aiuto come criteri fondanti.
La rete è uno strumento fantastico, per scambiare opinioni, affetti, per raccontare punti di vista. Trasformarla in un campo di addestramento per gladiatori non servirà a migliorarci. Non esiste una violenza buona, al massimo esiste quella indispensabile che comunque rappresenta il peggior modo possibile di ottenere un risultato. Accettabile solo quando è davvero l’ultimissima strada da percorrere.
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