
In un mondo che si alimenta di fake news il pregiudizio fa più danni della realtà. Facendo percepire da troppi il lupo come un pericolo, basandosi anche sulla leggenda della sua reintroduzione, falsa ovviamente. Come falsa è quella che riguarda la sua pericolosità per l’uomo, considerando l’assenza di aggressioni dimostrate da oltre 150 anni. Purtroppo la favola di Cappuccetto Rosso e quelle create da certa stampa e dal mondo venatorio hanno alterato il modo di percepire il lupo.
Come è stato scritto e detto più volte il lupo, al pari di tutti gli altri animali, non è buono o cattivo. Fa soltanto la sua vita, quella per il quale l’evoluzione lo ha plasmato. Ponendolo al vertice della catena alimentare, che sin dai primordi è costituita da predatori e prede. Che sono restate in armonico equilibrio sino a quando noi uomini abbiamo smesso di essere cacciatori raccoglitori, molti millenni fa.
MirCo Lupo (Minimizzare l’Impatto del Randagismo canino sulla COnservazione del lupo in Italia) in questi anni si è occupato di studiare contrastare l’ibridazione fra lupi e cani. Un fenomeno preoccupante per il patrimonio genetico lupino. Che nasce da una pessima gestione del vagantismo dei cani di proprietà. Ora il progetto, che ha fatto molto per cercare di contrastare falsi miti ma anche di creare ponti fra le varie categorie interessate al problema, sta per terminare. Lasciando un vuoto di comunicazione e di divulgazione che dovrà essere riempito, in modo efficace e realistico.
Il pregiudizio dell’uomo che vede il lupo come pericoloso è duro a morire, mentre il bracconaggio imperversa
Secondo le stime dei ricercatori che hanno seguito in questi anni il progetto MirCO Lupo, gestito dal Parco nazionale dell’Appennino tosco Emiliano, il bracconaggio incide in modo pesante sulla popolazione del predatore, senza fortunatamente compromettere la sua esistenza. Il lupo è un animale adattabile, opportunista, intelligente e con grande mobilità sul territorio. Capace di avanzare se l’ambiente è favorevole, ma anche di ripiegare quando le condizioni non gli consentono scelta.
Lo ha già dimostrato nel dopoguerra, quando dopo essere stato perseguitato in ogni modo, anche mettendo taglie sulla sua testa che venivano incassate dai cosiddetti lupari, cacciatori pagati per sterminarli. In quegli anni bui per la specie il lupo si è rifugiato nelle foreste dell’Abruzzo e della Calabria, resiliente e paziente. Per poi tornare a colonizzare lo stivale. Quando l’abbandono della montagna e l’abbondanza di prede, che i cacciatori con ripopolamenti sconsiderati gli avevano messo a disposizione, avevano consentito la sua ripresa. Grazie anche alle misure di protezione che negli anni ’70 vennero garantite alla sua specie, da allora ritenuta particolarmente protetta.
Ora il lupo vive in pianura come in montagna e si avvicina all’uomo quando questo crea le condizioni favorevoli. Magari aprendo una mensa per il predatore, che essendo versatile bilancia volentieri la sua dieta fra prede e carogne. Approfittando delle carcasse degli animali che troppi allevatori smaltiscono illegalmente. Ma anche mettendo fine alla vita di animali morenti che vengono buttati ancora vivi nelle concimaie, per risparmiare sui costi di abbattimento e smaltimento. Pratiche illegali, certo, ma chi conosce questo mondo sa quanto siano diffuse.
Si stima che il bracconaggio incida sulle cause di morte dei lupi per una percentuale che varia dal 20 al 30%
Sulla base di queste stime, ancora imperfette, i ricercatori ritengono che che il rinnovamento della popolazione dei lupi avvenga mediamente ogni tre anni. Ma l’incidenza del bracconaggio è sottostimata: essendo reato uccidere i lupi spesso i bracconieri applicano la regola delle tre “S”: spara, scava, seppellisci. Sottraendo le prove sulle che testimonierebbero uccisioni illecite. Dimostrando che il pregiudizio dell’uomo è molto più pericoloso per il lupo, di quanto non lo sia il predatore per la nostra specie.
I tempi sono maturi per rivedere le necessità della comunicazione e guardare a ogni progetto come un singolo anello di una lunga catena. Comunicando l’importanza di vedere il nostro capitale naturale in modo olistico, interconnesso come in effetti lo è sul serio. Non serve la difesa di una specie se questa viene vista come una realtà a se stante. Occorre capire che l’ambiente deve essere mantenuto in equilibrio. Senza demandare la gestione alla politica e al mondo venatorio, troppo legati, troppo interessati, nel caso del lupo, a alimentare la paura verso i predatori.