
Scegliere di convivere con gli animali selvatici non rappresenta soltanto un’opzione, ma una necessità per il mantenimento degli equilibri. Un comportamento che deve essere attuato per tutelare la fauna, ma certamente non solo per questo motivo. La creazione di un rapporto armonico con la natura è inevitabilmente la via maestra per tutelare la nostra sopravvivenza. Se non arriviamo a comprendere l’importanza della convivenza rischiamo di non avere un futuro, sicuramente di non averlo sereno. Un errore che sconteranno le nuove generazioni.
Orsi, e lupi, rappresentano un banco di prova per una rivoluzione culturale, che non può più anteporre gli interessi umani a ogni altra considerazione. Rappresentano una sfida, quanto lo è sempre stato il rapporto in generale con i predatori. Per questo il cambiamento di passo può prendere avvio proprio da questo rapporto conflittuale da molto, troppo tempo. Iniziare con le situazioni più problematiche rappresenta un buon viatico per una risoluzione molto più ampia dei problemi ambientali. Per evitare che i cambiamenti siano ancora una volta di facciata e non contemplino soluzioni che mirino al cuore delle questioni sul tavolo.
Quando si parla di convivenza occorre ricordare la biunivocità del termine: convivere significa dividere spazi e diritti, creando situazioni armoniche. L’idea che questa situazione possa essere basata sul predominio degli interessi umani rappresenterebbe un errore irrimediabile. Abbiamo bisogno di reinventare un mondo nel quale la nostra specie non pensi di poter risolvere costantemente i problemi creando conflitti. Lo abbiamo fatto con gli uomini, quasi mai riuscendo a raggiungere gli scopi prefissati, lo facciamo da sempre con il regno animale.
Scegliere di convivere con gli animali selvatici significa avere la volontà di restituire territori
Con il piano di #GenerationRestoration è stato chiesto a livello mondiale di restituire alla natura circa un terzo delle terre emerse e degli oceani. Per quanto riguarda le terre non possiamo pensare di restituire e rigenerare solo quelle improduttive, ma dobbiamo fare valutazioni più ampie. Che devono comprendere soluzioni intelligenti, prive di pregiudizi, sulla condivisione dei territori. Fino a poco prima dell’inizio della sesta estinzione di massa l’uomo era abituato a difendere le sue proprietà dagli altri animali, con recinti, vigilando sugli animali al pascolo. Poi dalla difesa l’uomo è passato all’attacco e con ogni sistema possibile ha provato a sterminare i predatori.
Abbandono delle campagne, diversificazione dello sfruttamento della montagna, intensificazione degli allevamenti intensivi e delle popolazioni di prede hanno consentito nuove ricolonizzazioni del territorio. Unitamente alla messa in atto di progetti di ripopolamento, come quello avvenuto per gli orsi in Tentino. Mentre il ritorno del lupo è stato graduale e del tutto spontaneo. Ma dal tempo della riconquista dei territori con lupi e orsi sembra essersi aperto un conflitto permanente che non ha né vinti, né vincitori.
Il bracconaggio, gli investimenti stradali e le altre azioni che minano la convivenza con i carnivori non riescono, per fortuna, a mettere seriamente in pericolo le popolazioni. Questi animali godono di un livello di protezione, che seppur minimo, non consente più le stragi di un tempo. Quando tutti i predatori erano considerati nocivi e potevano essere uccisi con ogni mezzo e in ogni tempo. Ora però servono strategie nuove e diverse, non basate su abbattimenti e catture ma sulla restituzione di territori e sulla difesa delle aree sfruttate dall’uomo. Ma anche sulla diffusione delle attività di prevenzione, per evitare che i nostri errori nella gestione delle risorse alimentari, diventino una causa di conflitti.
Il Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ha delegato la problematica all’ISPRA
Secondo un recente articolo comparso sull’Adige il ministro Cingolani ha lasciato la questione degli orsi trentini, ma non solo, in mano ai tecnici dell’ISPRA. Gli stessi che avevano già contribuito in modo rilevante alla gestione dei carnivori, ottenendo risultati non sempre lusinghieri, specie per quanto concerne le questioni degli orsi trentini. Dando, ad esempio, una valutazione positiva alla struttura del centro di Casteller, dove sono stati rinchiusi tutti gli orsi sopravvissuti alle catture. Una realtà oggetto di forti critiche non solo delle associazioni di protezione degli animali ma anche da parte dei Carabinieri della CITES, mandati a fare un’ispezione dall’allora ministro Sergio Costa.
Secondo quanto riportato dall’organo di stampa il ministro Cingolani ha proposto all’amministrazione del Trentino la creazione di una grande area recintata per la custodia degli orsi problematici. Dichiarando che l’idea degli abbattimenti degli orsi lo faccia inorridire. Mentre saperli in questo momento rinchiusi, senza reali motivi, nel centro di Casteller in condizioni di maltrattamento non pare suscitare le stesse emozioni rispetto agli eventuali abbattimenti. Senza considerare che per un orso di cattura la prigionia possa essere anche peggiore della morte.
Io ho un background un po’ diverso anche per origine professionale. A casa ho gatti, pappagalli, cani. A me gli animali piacciono moltissimo, ma mi rendo conto che in questi casi trovare un equilibrio fra la salvaguardia dell’animale, che ha diritto alla sua libertà, e la sicurezza delle persone è molto complesso. Mi dicevano al mio Dipartimento che la soluzione che è stata trovata è buona, quindi spero che sia buona. Io penso che la prima cosa è garantire che non ci siano rischi per le persone. Dall’altra, però, anche agli animali va creato un habitat più ampio dove siano liberi di muoversi, ma con la sicurezza per noi bipedi che ci viviamo intorno.
Dichiarazioni attribuite al ministro Roberto Cingolani pubblicate sull’Adige nell’articolo linkato.
Prima di progettare nuovi centri di detenzione sarebbe molto meglio investire in prevenzione
Se si vogliono trovare dei rimedi efficaci occorre modificare le politiche, considerando che quelle attuali hanno dato cattivi risultati. Senza essere riuscite a incidere sul problema. Sarebbe quindi necessario creare una to do list, basata sulle priorità reali e non su quelle elettorali. La prima delle quali è la messa in sicurezza dei rifiuti su tutto il territorio frequentato dagli orsi, con una zona di rispetto di almeno una decina di chilometri. Il secondo punto da attuare è la creazione di corridoi faunistici sicuri, per consentire alla fauna di potersi spostare. Il terzo e non meno importante sono le campagne di informazione, che devono essere efficaci e capillari.
Tutti sanno che nel progetto originario gli orsi liberati in Trentino avrebbero dovuto ripopolare l’intero arco alpino. Un’ipotesi che è restata tale anche per l’assenza dei corridoi faunistici. Un progetto dovrebbe prima attuare le necessità preliminari e, solo dopo averlo fatto, dovrebbe essere avviato. Per evitare che tutte le attività non portate a termine rappresentino un ostacolo insormontabile all’effettiva realizzazione, nonostante i molti fondi impegnati dalla Comunità Europea e, dunque, dalla collettività. Ma così non è stato.
Gli errori di percorso costituiscono una mina difficile da disinnescare, capace di far saltare in aria tutti i progetti di tutela ambientale e faunistica. Se riusciremo a comprendere gli errori del passato, chiamandoli con il loro nome, avremo migliori possibilità di non ripeterli in futuro. Gestendo i progetti di convivenza secondo modalità realistiche e possibili.