Nessuna notte è infinita, non lo è quella polare e non lo sarà la notte del coronavirus. La storia della nostra specie ce lo ha già insegnato molte volte, per cause naturali, per cause indotte come questa o per l’arroganza che ci ha portato, da sempre, a iniziare guerre. Siamo una specie tanto intelligente quanto troppo spesso imprudente, insolente e aggressiva. Che spesso cerca leader sempre più arroganti del necessario, capaci di negare l’esistenza dei cambiamenti climatici o di ritenere di poter sfruttare il pianeta senza limiti.
Da troppo tempo le persone hanno preferito delegare, piuttosto che agire. Questo comportamento ha frammentato sempre di più il tessuto sociale, la connessione con l’ambiente e ci ha reso più individualisti. Ma come i gatti che dividono la vita con noi, abitando nelle nostre case, non riusciamo a dimenticare il nostro istinto, da dove siamo venuti. Di quando eravamo cacciatori raccoglitori, di quando abbiamo iniziato a essere comunità.
La nostra specie ha avuto la fortuna di crescere, di prosperare e di avere individui speciali, che avrebbero potuto tracciare una via meno consumistica, ma più solida e concreta. Uomini che amiamo prendere come esempio, dei quali ci ricordiamo spesso soltanto nei momenti di difficoltà. Persone capaci di mettere in gioco la loro vita per aiutare gli altri, uomini che hanno scelto di battersi per il loro branco, per la loro famiglia umana, che comprendeva individui che non avevano mai conosciuto.
Nessuna notte è infinità e questa sarà meno terribile se la vivremo davvero insieme
Ora non è il momento di recriminazioni e conflitti, di fare distinguo e critiche. Dividere non cambierà i problemi causati dagli errori, unirsi aiuterà a superare una situazione come questa, che mai prima d’ora la maggioranza della popolazione aveva vissuto. Un tempo che non deve andare sprecato, un isolamento che deve farci riflettere, una sofferenza che deve anche costruire, non solo mettere in ginocchio.
Abbiamo bisogno di convertire la rabbia e la paura in qualcosa di utile. Provando a fare qualcosa di diverso che lamentarci, criticare e disperarci, magari solo perché siamo costretti a restare in casa. Possiamo provare a usare questo tempo per capire, per aiutare, per essere solidali e per informarci. Questo mondo così difficile sta dimostrando grandissimi slanci, da parte dei medici, dei soccorritori, del mondo del volontariato. Ma anche dei semplici cittadini che usano i social per rassicurare, per far passare il tempo a chi magari è solo, per coordinare gli aiuti.
Difficile poter prevedere quando sarà possibile tornare alla normalità. Ma la cosa più importante ora è ricostruire il senso di comunità, essere grati ai tanti uomini e donne che con abnegazione e spirito di sacrificio, ci hanno aiutato. Ma anche diventare consapevoli della necessità di essere protagonisti di un cambiamento. Dopo questa pandemia dobbiamo essere capaci di svoltare pagina.
La cosa peggiore che può capitare? Che tutto torni come prima, senza avere insegnato nulla
I morti di questo periodo, la solitudine del nostro essere soltanto uomini, la paura che ci ha fatto sentire indifesi di fronte a un piccolissimo virus devono lasciare un segno. Ora abbiamo bisogno di non sentirci soli, di sentirci comunità, di cantare dai balconi per sentirci uniti e soprattutto vivi. Ma non basterà.
La famiglia umana è una e deve essere solidale, capace di scavalcare le differenze. Dobbiamo evitare che le notti diventino sempre più lunghe e che la Terra sia sempre più inospitale per l’uomo. Occorre fermare il riscaldamento globale, per aumentare l’equità sociale e la giustizia climatica. Bisogna creare un modello di distribuzione delle ricchezze e di uso delle risorse più etico e responsabile. E potremo farcela, solo se ci sapremo tenere per mano.
Nessun dolore, nessuna sofferenza, per quanto grande lascia soltanto ferite, ma crea anche opportunità. Sta a tutti noi decidere se scegliere di coglierle, essendo capaci di trasformare paura e sofferenza in energia vitale collettiva. Non esistono gli “altri”, esistiamo noi come realtà collettiva e l’ambiente come bene da condividere.
I virus non hanno le gambe, ma gli uomini han messo le ali e grazie al trasporto aereo hanno reso il mondo davvero piccolo. Dimenticando spesso che in questo modo tutto diventa connesso in tempo reale, anche il trasferimento dei virus da un continente all’altro. L’enorme mondo di qualche secolo fa si è ridotto di dimensioni, e noi siamo aumentati incredibilmente di numero.
La globalizzazione ha trasformato le distanze, il nostro modo di vivere. Ma già prima del suo avvento avevamo iniziato a mettere in atto comportamenti sconsiderati. Violentando l’ambiente, riducendo lo spazio a disposizione degli animali con i quali abbiamo iniziato ad avere rapporti sempre più stretti. Senza preoccuparci di valutare le conseguenze, senza capire che il mondo che una volta era quasi infinito, stava diventando così piccolo da dover cambiare modello di sviluppo.
La pandemia di coronavirus ha dimostrato in tutta la sua tragica evidenza quanto la Terra si sia, metaforicamente, ristretta. Quello che una volta poteva avere un senso, in raffronto alle nostre capacità di spostamento, ora sembra averlo perduto. Il coronavirus è passato dalla Cina all’Europa con una velocità tanto prevedibile quanto del tutto imprevista. Sembra un concetto paradossale, ma non è così: certo che era prevedibile, addirittura inevitabile ma nonostante questo non è successo. Un errore di valutazione planetario.
Conviviamo con i virus da quando il nostro rapporto con gli animali si è fatto più stretto
Addomesticare vacche e buoi, nella notte dei tempi, ci ha messo in contatto con una malattia molto pericolosa: la peste bovina, causata da un virus che nelle sue mutazioni successive è diventato il morbillivirus. Con tutte le conseguenze che questo nuovo ospite ha causato alla nostra specie e non solo. Decisamente altri tempi, altre problematiche, ma anche altra mobilità dei virus, che non hanno mai avuto gambe se non le nostre e quelle degli animali. Oppure le ali degli uccelli.
Mentre lavoravamo per far diventare il mondo sempre più piccolo, rendendolo di fatto un grande condominio, nel quale gli stati potrebbero essere paragonabili alle scale di un complesso residenziale. Cambiando radicalmente il nostro rapporto con animali e ambiente. Passando dall’allevamento operato con metodi da agricoltori agli allevamenti intensivi. Creando così ambienti malsani, pieni di patologie che abbiamo tentato di controllare con uso dissennato di antibiotici. Usando farmaci e sistemi che hanno aumentato le rese al prezzo di grandi sofferenze per gli animali e di enormi danni ambientali.
Abbiamo invaso senza criterio l’ambiente naturale, e in particolare le foreste, distruggendo il polmone verde del pianeta ma anche accorciando le distanze fra uomo e fauna. Che da sempre conviveva con alcuni virus, come nel caso del coronavirus, senza averne un grande pregiudizio. Ma se dovessimo paragonare un virus a un animale potremmo dire che si tratta di una specie opportunista. Capace di fare molto velocemente quello che da sempre cercano di fare, con alterni successi, tutti gli esseri viventi: riprodursi e adattarsi ai cambiamenti.
L’uomo ha la conoscenza, ma la natura ha la potenza di creare sinergie incredibili che gli umani sottovalutano
E così, attraverso l’invasione delle foreste, il più grande bacino di biodiversità del nostro pianeta, l’uomo è entrato in competizione, ma anche in coabitazione, con molte specie selvatiche. Con tutto il loro corredo di virus e di patogeni di vario genere. Realtà che non è solo degli animali non umani, ma rappresenta la replica di quanto accaduto nel Nuovo Mondo all’arrivo dei conquistadores. Che portarono malattie nuove, annientando intere popolazioni, con la trasmissione da uomo a uomo.
Il coronavirus probabilmente deriva dai pipistrelli, che possono essere stati gli involontari vettori del contagio. Così il virus, si è adattato, facendo il salto di specie e trasformandosi in un patogeno dagli effetti devastanti per l’uomo. Questa potrebbe essere la sintesi, che inevitabilmente passa anche dal bushmeat, l’abitudine di mangiare animali selvatici senza controllo e dai wet markets. Luoghi di smercio di carni senza alcun controllo sanitario.
Fatta la sintesi, seppur in modo molto semplificato, quello che resta è una lezione per il futuro, che non deve essere visto come lontano, ma che dovrebbe partire da domani. Cambiando il nostro modo di rapportarci con il pianeta. Comprendendo che quanto sembrava essere un problema solo per gli ambientalisti si è trasformato prima in epidemia e poi in pandemia. Mettendoci in ginocchio con un banale schiocco di dita.
Se vogliamo avere un futuro dobbiamo costruirlo in un modo diverso e, per farlo occorre ripensare, riflettere e rispettare il pianeta
Questa situazione può trasformarsi in un’opportunità, se la sapremo cogliere, oppure può rappresentare l’ultima chiamata, l’ultimo avviso per un cambiamento. Il pianeta senza esseri umani vivrà ugualmente, gli esseri umani se continueranno su questa strada rischieranno di non avere un futuro, sicuramente di non averne uno sereno.
Dobbiamo capire che il pianeta deve essere rispettato e che probabilmente non è più tempo di lasciare la gestione delle risorse naturali in mano ai singoli governi. Serve un governo globale, almeno sotto il profilo ambientale, messo in atto nell’interesse non di questo o quello Stato ma dell’umanità e della biodiversità. Senza ripensare, riflettere e rispettare rischiamo di perdere la scommessa più grande per la nostra specie. Non serve infatti salvare il pianeta, occorre cambiare sistema per salvare il futuro degli uomini.
Coronavirus e animali, umani e non umani: cosa possiamo imparare da questa situazione difficile, prevista ma non gestita bene dagli organi di informazione e anche in buona parte dalla politica? Le difficoltà dovrebbero non soltanto creare disagi, ma anche diventare fonte di insegnamento una volta che la tempesta è passata. Una lezione che noi animali umani facciamo molta fatica a recepire, specie quando l’emozione, la pancia, prevale sulla ragione. Come ha ampiamente dimostrato l’epidemia di coronavirus, quando il microscopico covid-19 ha messo a soqquadro le vite di tutti.
Nella nostra mente vivono paure ancestrali, facilissime da riattivare, che probabilmente risalgono a tempi lontanissimi durante il corso della nostra evoluzione. La nostra diffidenza verso i predatori, la paura che molti hanno nei confronti di lupi e orsi risale probabilmente ai tempi in cui l’uomo era ancora una preda. Molto prima di trasformarsi nel predatore meno selettivo e più pericoloso del pianeta.
I topi, tanto detestati dall’uomo, sono da sempre ritenuti veicoli di malattie, che attraverso i roditori potevano diffondersi rapidamente. Una per tutte la peste nera, che con il bacillo Yersinia pestis, causò la morte di un terzo della popolazione mondiale intorno alla metà del 1300. Ma erano altri tempi, dove le condizioni igieniche erano molto basse e non esistevano farmaci. Eppure oggi, nei tempi del coronavirus, un piccolo virus influenzale riesce a scatenare il panico, a far dare l’assalto ai supermercati.
Il coronavirus non è la peste medievale: bisogna essere attenti e responsabili ma non terrorizzati
Oggi l’umanità corre rischi ben maggiori a causa dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento, della scomparsa di molte specie animali e vegetali. Fattori che cambieranno il mondo in modo radicale, davvero drammatico, senza possibilità di individuare terapie per curare il male. Noi animali umani abbiamo impresso un’accelerazione troppo veloce ai cambiamenti, abbiamo preferito perseguire il profitto piuttosto che farci condurre dalla ragione. Abbiamo perso il senso di comunità, di bene collettivo e lo abbiamo fatto, spesso, proprio a danno degli altri animali.
L’italia è in testa alla classifica europea per quanto riguarda l’abuso di antibiotici negli allevamenti, non impiegati per curare gli animali malati ma come strumento di prevenzione delle malattie. Causate proprio dalle modalità con cui abbiamo consentito venissero fatti vivere gli animali degli allevamenti intensivi. Creando sofferenza a milioni di esseri viventi e un potenziale danno sanitario per la nostra specie. Fatti noti, che ogni anno causano la morte in Italia di 33.000 persone, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità. Eppure questo dato, che tradotto in numeri significa che ci sono 90 morti al giorno, non spaventa.
Non si muore solo a causa di un uso improprio degli antibiotici
I 90 morti giornalieri causati da patologie che non possono essere curate dagli antibiotici, uniti alle 208 morti premature al giorno causate dall’inquinamento, secondo l’agenzia ambientale europea, sono un dato importante. Che riguarda persone di ogni età, che non trova possibilità di cura. Eppure media, politici e amministratori pubblici non sembrano particolarmente attenti a far suonare i giusti campanelli d’allarme.
Da qui il pensiero che l’antidoto a questo mondo che si alimenta di paura sia uno e uno soltanto: la cultura, la diffusione di informazioni che ci facciano essere almeno consapevoli. Invece di essere cittadini siamo diventati noi, che forse vorremmo chiudere i circhi, le scimmiette ammaestrate di quel grande circo che è stato messo in piedi dall’economia. Che ci vuole far credere che la soluzione non sia la decarbonizzazione ma che basti lo sforzo comune messo in campo da ENI con Silvia. Ridicolo!
Allevamenti intensivi, wet markets e traffici di animali sono fra le cause della diffusione di malattie
Se non proviamo a mettere in atto oggi azioni che possano cambiare il nostro modello di sviluppo rischiamo che, in un futuro prossimo, non ci sia più tempo. Le persone devono sapere che non moriranno di covid-19, ma moriranno per aver permesso ad altri di scegliere per loro. La specie umana potrebbe scomparire. Per non essersi preoccupata per tempo dell’emergenza vera: quella climatica e ambientale.
Con il passare del tempo abbiamo alterato le nostre percezioni, pensando che la conoscenza non fosse importante, che la società e le regole fossero un orpello inutile. Per costruirci recinti fatti di “noi” e non di “loro”, di micromondi artificiali, falsi, sperando che ci difendessero. Un’assurdità in un mondo globalizzato, dove oramai sappiamo che una scelta fatta nell’altro emisfero avrà ripercussioni anche da noi. E infatti il coronavirus è probabilmente partito dalla Cina e ha avuto origine nei cosiddetti “mercati umidi”, dove vengono vendute carni di animali di ogni specie.
Sarebbe troppo facile però prendersela con i cinesi, come purtroppo è già successo. Dobbiamo essere consapevoli che per comprendere gli errori bisogna considerarli tali. Ma non tutti viviamo nello stesso XXI secolo, in termini di conoscenza, progresso culturale e stili di vita. Sarebbe un grosso sbaglio se ci ritenessimo migliori, siamo soltanto diversi nei comportamenti, che nemmeno in Occidente sono privi di errori e di orrori.
Il coronavirus ci ha insegnato che abbiamo bisogno di politiche europee in un mondo globalizzato
Mentre qualcuno pensa ancora di ritornare agli Stati nazionali, senza rendersi conto che in un mondo globalizzato questo sia un impossibile controsenso, l’Europa politica è lontana dall’essere un’entità unitaria. L’emergenza coronavirus ci dovrebbe aver fatto capire l’importanza di avere comportamenti omogenei a livello europeo. Mentre in italia siamo, addirittura, con una sanità frammentata a livello regionale anche durante le emergenze.
Come riusciremo a difendere uomini e animali dalle sfide che bussano alle nostre porte, se ognuno cercherà di difendere i propri interessi e non quelli collettivi? Saremo capaci di modificare stili di vita e regole, per affrontare le sfide che questo secolo ci ha già messo sul tavolo? Saremo così intelligenti da capire che non è il capitale a fornire ossigeno, che non può impollinare i fiori, che non è dentro un’economia rapace che si troverà una chiave di salvezza?
Vediamo quale sarà l’insegnamento che ci lascerà questa vicenda a livello planetario, e in quanto tempo faremo la scelta se agire o dimenticare. Cercando di non farci divorare il futuro da paure eccessive e da irresponsabilità collettive. Covid-19 è una tempesta creata in un bicchiere d’acqua, dove l’energia che l’ha generata si chiama psicosi collettiva.
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