Questa vicenda ha tenuto con il fiato sospeso molti sostenitori dei santuari, che rappresentano porti sicuri per questi animali, ma per i quali non esiste una normativa specifica. Il vuoto legislativo, che si spera venga colmato, fa si che un santuario diventi una sorta di ibrido fra un allevamento, improduttivo e un’abitazione con animali diversi dai soliti cani e gatti. Per non sbagliare i servizi veterinari pubblici hanno così decretato, mesi addietro, l’abbattimento di tutti i suidi presenti. Ritenuti possibili veicoli della peste suina africana, una malattia contagiosa e pericolosa per gli allevamenti, ma innocua per l’uomo.
Il provvedimento adottato il 2 agosto scorso e una serie di atti e delibere a corredo sono stati giustamente annullati dal TAR del Lazio. Che ha ritenuto scarsamente motivate le ordinanze di abbattimento, considerando peraltro che la struttura operava in regime di biosicurezza. Seguendo l’evoluzione di questa vicenda l’impressione che ne esce è quella di una sanità che opera secondo criteri discutibili. Basati più sulla tutela dei suoi dirigenti che non sul reale pericolo costituito dai suidi della Sfattoria degli ultimi. Peraltro, a distanza di mesi, se gli animali fossero stati contagiati avrebbero da tempo manifestato la malattia e potevano, comunque, essere testati per escluderlo
Con la Sfattoria degli ultimi il TAR fissa un punto fermo, immaginando che il Ministero della Salute non ricorra al Consiglio di Stato
Restano però aperte diverse questioni, come il ricorso agli abbattimenti preventivi, che non rappresentano un sistema efficace per fermare il contagio e la collocazione giuridica dei santuari. Strutture che devono essere svincolate dal concetto di allevamento, con una regolamentazione ad hoc, che stabilisca regole certe. Nell’interesse pubblico e degli animali che queste strutture private ospitano. Del resto il tentativo di fermare l’epidemia è complessivamente fallito in tutta Europa, tanto che dopo essere comparsa in Russia e Bielorussa intorno al 2010, ha piano piano invaso anche i paesi dell’Unione, Nonostante azioni di contenimento delle popolazioni di cinghiali, che non sono servite ad arrestarne l’avanzata, nemmeno in nazioni ad altissima densità di cacciatori.
I provvedimenti adottati dalle autorità sanitarie nei confronti dei suidi ospiti della “Sfattoria degli ultimi” sono stati un grande errore. Sotto il profilo della comunicazione, alimentando ostilità nei confronti della sanità pubblica, ma anche sotto il profilo di un ipotetico quanto improbabile risultato. L’EFSA, l’ente europeo che si occupa di sicurezza alimentare ha attuato una campagna di informazione sulle misure di prevenzione contro la peste suina. In tutto il materiale informativo, compreso questo video, si capisce con molta chiarezza quali e dove siano i potenziali rischi di diffusione e tutto ruota intorno alle attività fondamentali di biosicurezza.
Decidere l’abbattimento di animali sani in un’area privata che adotta misure di prevenzione del contagio è un controsenso. Calcolando che gli animali possono essere testati e che le cose più importanti sono quelle di non spostarli e di non farli entrare in contatto con i selvatici. L’ordinanza di abbattimento era quindi un provvedimento abnorme, che forse cercava di risolvere contrasti precedenti fra proprietà e autorità più che eliminare un rischio sanitario. Motivi per i quali, con certa probabilità, il TAR del Lazio ha stabilito che vi fosse una carenza di motivazioni: in sintesi l’autorità sanitaria aveva assunto un provvedimento sulla scorta di informazioni carenti o del tutto assenti.
La peste suina africana è avanzata inesorabilmente e la caccia potrebbe avere aiutato e non ostacolato la sua diffusione
In Italia ci siamo assuefatti ad avere un’amministrazione pubblica che travalica sistematicamente i confini della legittimità. Lo fanno le Regioni con i calendari venatori che, anno dopo anno, reiterano provvedimenti già cassati dai tribunali amministrativi, in cerca di consensi politici. Lo fanno le ASL e i veterinari pubblici quando decidono di attuare o non attuare in modo corretto le disposizioni di legge. E ancora lo fanno le amministrazioni quando cercano di forzare la mano per decidere in autonomia l’abbattimento dei predatori. Un sistema che sottrare risultati, sperpera denaro pubblico e mina la fiducia nelle istituzioni.
Quattro dei veterinari sono finiti agli arresti domiciliari, mentre per altri due è scattata la sospensione dall’esercizio dell’attività. I reati ipotizzati a carico dei sei veterinari sono diversi e gravi:
accesso abusivo a sistema informatico
falsità ideologica commessa da pubblici ufficiali in atti pubblici,
ricettazione,
abuso d’ufficio
omissione di atti d’ufficio
contraffazione di sostanze alimentari
commercio di sostanze alimentari nocive
diffusione di malattie infettive animali.
Al macello quando i veterinari pubblici sono collusi finiscono animali di ogni provenienza, senza controlli
Il fatto ha coinvolto anche numerosi allevatori della Calabria in ben tre province. Facendo finire nei guai i responsabili di un macello autorizzato, che si comportava come un’attività clandestina. Grazie alle complicità garantite dai veterinari che avrebbero dovuto vigilare. Le colpe dei veterinari pubblici sono aggravate dal fatto, che oltre ad aver tradito l’etica professionale, si sono macchiati di reati gravissimi. Nonostante la loro qualifica di ufficiali di Polizia Giudiziaria.
Se è vero che in ogni settore delle attività di vigilanza e controllo vi possono essere delle mele marce è altrettanto vero che siano state tollerate sacche di inefficienza che hanno prodotto reati. Spostando sempre più in alto il confine fra lecito e illecito, fra benessere degli animali e maltrattamento. Contribuendo a rendere i maltrattamenti, non solo in zootecnia, come eventi accettabili. Arrogandosi il diritto, non previsto dalla normativa vigente, di essere gli unici soggetti deputati a poter definire come tale una situazione di maltrattamento.
I controllori devono essere indipendenti, separando i livelli fra le attività sanitarie da quelle che verificano il benessere animale
Il meccanismo perverso che si è creato ha reso le forze di polizia sempre più soggette al potere di controllo e di giudizio dei veterinari pubblici, figure utilissime ma non obbligatorie per individuare i maltrattamenti. Creando una situazione di sudditanza che ha contribuito a produrre nel tempo sacche maltrattamento agli animali, legittimate da un parere che anche i magistrati ritengono dotato di una valenza superiore a quello di chiunque altro.
Non si vuole criminalizzare una categoria che fa moltissimo nel suo complesso per il benessere e la cura degli animali. Ma che in troppe occasioni non ha saputo prendere provvedimenti veloci e severi contro chi ha chiuso gli occhi di fronte a situazioni anche vergognose. Un problema che riguarda gli ordini professionali nel suo complesso, spesso inclini a guadare con benevolenza il collega che sbaglia, potendo così dare vita a delle caste difficilmente scalfibili. In modo particolare quando si scelgono posizioni di garanzia verso soggetti che svolgono importanti compiti di vigilanza.
Da quel che risulta dalle cronache poche volte gli ordini dei veterinari hanno preso provvedimenti nei confronti di persone indagate per reati a danno degli animali. Motivando l’inazione con la necessità di arrivare alla definizione del procedimento penale che dimostri in modo inequivocabile la responsabilità dei soggetti. Dimenticando che il senso di un provvedimento di radiazione, sospensione o censura potrebbe essere riscontrabile anche sulla base di comportamenti moralmente riprovevoli, anche se non penalmente definiti. Per evitare un doppio quanto inutile processo, lasciando a questo punto l’adozione dei provvedimenti in capo alla magistratura ordinaria.
Gli ordini hanno il dovere di reprimere i comportamenti deontologicamente inopportuni
Questa ipotesi non è frutto di una visione distorta, ma è contenuta negli atti fondativi degli ordini stessi. E nelle regole che gli stessi veterinari riconoscono come importanti e cogenti:
Il potere disciplinare degli Ordini comporta, per il Consiglio degli stessi, il dovere di vigilanza sull’attività professionale degli iscritti all’Albo,compresi i revisori dei conti, al fine di assicurare e garantire il corretto e retto esercizio della professione. Connesso al potere disciplinare è lo svolgimento di un procedimento amministrativo contenzioso a carattere sanzionatorio, denominato procedimento disciplinare. In tale procedimento, particolare rilievo assume l’accertamento dell’osservanza delle norme deontologiche, tanto da potersi affermare che la stessa potestà disciplinare degli Ordini è in funzione della tutela delle norme che attengono al comportamento degli Iscritti all’Albo. Nel procedimento disciplinare l’ente professionale assume, oltre alla figura di giudice, anche quella di parte, in quanto il comportamento del professionista contra legem, viene ad essere in contrasto con i fini che l’ente persegue
Tratto dal Manuale di Gestione degli Ordini dei Medici Veterinari edito da Veterinari Editori
L’ultima considerazione attiene alle catene di comande della sanità pubblica, ivi compresa quella veterinaria, troppo spesso soggette a condizionamenti della politica. Che troppo spesso, come si è più volte dimostrato nel corso degli ultimi decenni, si preoccupa più della lealtà verso chi attribuisce l’incarico che non dei meriti professionali dell’incaricato. Per questo bisognerebbe rivedere completamente il complesso normativo che mescola controllori e controllati, se si vogliono evitare storture più volte indagate.
Canili lager in Calabria, di chi sono le responsabilità? Non è difficile individuarle perché i canili sono strutture soggette a autorizzazioni e controlli da parte del servizio veterinario pubblico e dei Comuni. Che come avviene fin troppo spesso latitano, omettono, dimenticano ma però saldano le fatture per servizi malamente prestati.
Lasciando gli animali in condizioni di vero e proprio maltrattamento da quanto si può leggere sulle cronache dei giornali locali. Dettagli impietosi di vite consumate dall’ordinaria burocrazia, da omissioni nei controlli e da una criminalità che certo non si preoccupa delle sofferenze.
Canili che gestiscono la custodia degli animali in convenzione con i Comuni o con aziende partecipate, come sembrerebbe nel caso del canile Metauria, che si trova fra Gioia Tauro e Rosarno. Sequestrato dai Carabinieri Forestali, anche su impulso della locale sezione di ENPA.
I canili lager in Calabria esistono perché qualcuno ha chiuso gli occhi
Le notizie su strutture che detengono animali in condizioni di degrado, dagli allevamenti ai canili, si inseguono ogni giorno sui giornali. Riguardano casi che vengono individuati dalle Alpi allo Stretto di Messina, con frequenza davvero inquietante.
Con l’aggravante, per quanto riguarda i canili, che non solo si trovano in quelle condizioni a causa di colpevoli omissioni, ma che ricevono ugualmente soldi pubblici. Quattrini dei cittadini che anziché essere usati per combattere il randagismo alimentano i conti correnti di criminali. Che parrebbe, in questo caso, che abbiano fatto morire gli animali di stenti.
Inutile gridare che bisogna inasprire le pene per chi maltratta gli animali: occorre modificare le leggi e prevedere, ad esempio che chi ha mancato nei controlli sia incriminato. Non per omissione di atti d’ufficio ma per concorso nei reati, che non possono essere certo circoscritti al solo maltrattamento. Pene effettive, misure di prevenzione, interdizioni anche perpetue servirebbero più di pene magari esemplari, ma non effettive.
Troppe omissioni, troppi interessi e poche sanzioni
Bisogna colpire tutta la filiera che ha consentito di compiere il reato terminale: il maltrattamento di animali arriva infatti al termine di una serie di attività di verifica. Fatte malamente o non fatte, eseguite in modo superficiale o, peggio, attuate con connivenza.
Occorre valutare gli appalti nella loro interezza, cercando di evidenziare criticità e responsabilità individuali: quelle che hanno consentito di arrivare alla commissione del reato. Solo in questo modo si potrà arrivare a responsabilizzare gli organi di controllo, che devono avere la schiena dritta e il coraggio di denunciare.
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