La violenza su persone e animali sembra in crescita, secondo quel che si legge sulle cronache dei media

violenza su persone e animali

La violenza su persone e animali, scorrendo le cronache dei giornali, sembra essere in costante aumento. Difficile non mettere questo fenomeno in relazione con il momento che stiamo vivendo, ricco di ansie, paure e problemi, anche pratici, che possano scatenare in troppi casi la violenza.

Difficile dire se quanto appare nelle cronache dei giornali sia un dato reale, che corrisponda a un’effettiva crescita degli episodi di violenza. L’unica certezza è che i soggetti violenti, qualunque sia la motivazione che libera questa carica devastante, rappresentano un pericolo per i più fragili. Per quanti hanno meno possibilità di difendersi, di poter chiedere aiuto.

Occorre interrogarsi quanto sia gusto che questi comportamenti vengano amplificati sotto il profilo mediatico, oppure ignorati lanciando lavorare le istituzioni preposte. Se a ogni violenza la rete funziona da cassa di risonanza, seppur critica, il rischio è che questa visibilità porti a comportamenti emulativi. In persone evidentemente instabili, come dimostrano spesso i loro profili social.

La percezione della violenza su persone e animali deve servire a mantenere alta la guardia

Dovremmo ritenerci tutti impegnati e protagonisti di una battaglia globale contro la violenza. Un contrasto che può essere messo in atto anche modulando i nostri comportamenti, il modo di comunicare, a cominciare proprio dai social. Usando toni pacati, cercando di stimolare confronti e non alimentando scontri. Dobbiamo contribuire al fatto che diventi chiaro a tutti che la violenza sia un comportamento socialmente inaccettabile. Da rifiutare e da combattere anche quando sia soltanto verbale.

La scelta delle immagini, delle parole, può fare una grande differenza. Proprio come lo può fare svolgere un ruolo di cittadinanza attiva, denunciando ogni episodio del quale si viene a conoscenza. Bloccando e segnalando tutti i profili social che usano contenuti o forme verbali violente nei confronti di persone e animali. La società è il prodotto dei comportamenti degli individui che la compongono, quindi sta a ognuno di noi fare la differenza.

Cani, falchi tigri e trafficanti

Nei momenti di grande difficoltà collettiva abbiamo bisogno di avere attenzioni che scavalchino la nostra cerchia di affetti, le nostre relazioni, per arrivare a un numero più vasto di persone. Anche quando i comportamenti violenti mettono a dura prova la nostra sensibilità e le nostre emozioni.

Le acque scure e agitate di Yulin parlano di indifferenza nei confronti della sofferenza animale e umana

sofferenza animale e umana

Troppe immagini violente per raccontare la sofferenza animale e umana possono essere controproducenti. Rischiano di allontanare molte persone, impedendogli di capire, ma anche di scatenare emulazioni in persone instabili che pensano in questo modo di avere visibilità. Sono tante le crudeltà messe in atto, ma per contrastarle occorrono che si concretizzino simultaneamente due condizioni: leggi efficaci e una reale presa di coscienza accompagnata dalla conoscenza del nostro essere viventi.

In questi giorni è stato riaperto in Cina il Festival di Yulin, dedicato al consumo di carne di cane. Un’usanza avversata, giustamente, in Occidente, che non capisce come si faccia a mangiare carne di cane. Esattamente come gli anglosassoni e i nordici non capiscono come si faccia a mangiare, anche in Italia, il cavallo. Ogni anno deve sempre essere l’ultimo per una festa crudele, non perché si tratti di cani, ma per come sono ammassati, trasportati, torturati. Ma sembra che la fine di questa mattanza non arrivi mai.

Una scelta davvero incomprensibile quella del governo cinese e non soltanto per le proteste degli animalisti. Consentire una manifestazione come questa, in tempi di Covid19 non è solo anacronistico ma rappresenta un pericolo per la salute pubblica. I cani non sono vettori del virus ma mercati umidi e i macelli, specie a cielo aperto, agevolano la sua diffusione. Come è avvenuto in un macello in Germania, è successo nuovamente in un wet market di Pechino e potrebbe scatenarsi domani a Yulin.

L’indifferenza nei confronti della sofferenza animale e umana è davvero un fatto insopportabile

Mai come quest’anno il Festival di Yulin è stato capace di coagulare critiche che provengono da schieramenti che non sono solo quelli dei difensori degli animali. Un fatto che sembra non aver turbato particolarmente le autorità di Pechino, che hanno vietato il commercio di specie selvatiche per uso alimentare e hanno elevato il cane a animale da compagnia. Copiando nei contenuti quanto avviene in occidente, ma non volendo ancora applicarlo a questa sagra tradizionale.

Una cosa incomprensibile per un regime che non si è mai fatto troppi scrupoli nel reprimere, anche nel sangue, tutte le manifestazioni che potessero mettere in dubbio l’autorità centrale. Un esercizio muscolare che non si applica al Festival di Yulin, nonostante il consumo di carne di cane riguardi anche in Cina una percentuale davvero piccola di persone. Nonostante i numerosi appelli fatti in tutto il mondo e le critiche, anche feroci, di giornalisti, intellettuali e uomini di spettacolo.

Molti commenti nei social sostengono che a Yulin fanno una volta all’anno quello che in Europa succede ogni giorno nei macelli

Difficile poter dar torto al ragionamento sotto il profilo della logica, quando bovini e suini, che non saranno cani ma hanno comunque dei diritti minimi riconosciuti dalle leggi, sono trattati come cose. In nome del profitto e in paesi che si ritengono molto più sensibili e attenti ai diritti degli animali di quanto lo siano i cinesi. Non nascondiamo alle nostre coscienze e, soprattutto, alle nostre intelligenze cosa avviene in troppi allevamenti intensivi e nei macelli.

Non sposiamo nemmeno insulti, invettive e auguri di morire presto ma con atroci sofferenze lanciate dai più oltranzisti. La nostra specie non è tutta uguale, non abbiamo comportamenti identici solo per appartenenza. Non siamo leoni: nel bene e nel male siamo in grado di fare delle scelte, speculando sull’intelligenza e l’empatia di alcuni comportamenti. E possiamo decidere di non mangiare gazzelle o di farlo solo una volta ogni sei mesi.

Abbiamo il potere di ragionare non solo sulla necessità del comportamento, ma sull’opportunità etica di metterlo in atto. Che certo non è poco. La capacità di organizzare un ragionamento dovrebbe portarci a valutare gli individui e non le masse: se guardiamo queste possiamo essere spesso portati a pensare che non ci sia possibilità di redenzione.

Prima di diventare un mare siamo individui, con capacità di ragionamenti e sensibilità molto diverse

Ma prima di diventare parte di quelle acque scure siamo goccioline pensanti, capaci di individualità nei ragionamenti, di avere comportamenti virtuosi, ma anche di capire che solo la cultura fa davvero la differenza. La sensibilità è figlia del sentire e del considerare, della separazione dalla pura necessità di sopravvivere. Quel comportamento che spesso giustifica i peggiori comportamenti umani.

Se vogliamo difendere i diritti cerchiamo di avere comportamenti che ci distinguano dalla massa, spesso brutale in azioni e giudizi. Il compito di chi è in grado di partecipare e provare empatia e quello di imparare a trasmetterla e non quello di augurare la peggior sofferenza a chi l’empatia non ha ancora capito da cosa nasca, come possa vivere in tutte le anime.

Un invito alla riflessione fatto attraverso un’immagine evocativa, senza bisogno di essere sanguinolenta e truculenta. Abbiamo bisogno di persone che leggano e raccontino, non che chiudano gli occhi di fronte a un’ostentazione della sofferenza.

Ultradestra difende corrida in Spagna

Ultradestra difende corrida

Coma mai l’ultradestra difende la corrida in Spagna? Forse lo si può capire guardando i risultati ottenuti dal partito nazionalista VOX. Alle recenti elezioni il partito di Santiago Abascal ha raddoppiato i seggi, ben 52, difendendo anche la corrida. Non solo questa ovviamente ma anche tutti i valori tipici delle formazioni nazionaliste, andando a intercettare gli strati più sofferenti della popolazione. E forse anche quelli con minor cultura e sensibilità.

La corrida per molti spagnoli è un simbolo identitario della cultura del paese, una tradizione che non può essere abbandonata. Ma se questo fosse vero lo è altrettanto il fatto che moltissime persone sono contrarie a queste forme di violenza. Questo avviene soprattutto nelle città e fra gli strati sociali a maggior scolarizzazione. Dimostrando che la cultura spesso rappresenta un ottimo vaccino contro la violenza.

Nel 2013 il parlamento catalano, le Cortes, avevano vietato lo svolgimento delle corride in Catalogna, regione da tempo alla ricerca di un’autonomia sempre più rafforzata, sino a sfociare nell’indipendenza. Nel 2016 però la Corte Costituzionale spagnola ha annullato il divieto sancito dal parlamento catalano. E le corride, seppur sottotono, sono riprese.

Il destino dei tori e delle corride passa dalla politica

Vox, il partito nazionalista di ultradestra, ovviamente contrario all’indipendenza catalana, ha usato anche la corrida come strumento di convincimento, facendo leva sull’orgoglio nazionale. La corrida sarà anche una tradizione, come lo erano i giochi con i gladiatori contro i leoni ai tempi di Roma, ma oramai è fuori dal tempo. E contrasta con la sensibilità dei popoli europei.

Non c’è bisogno di essere animalisti militanti per essere contrari a questa mattanza crudele, non ci può essere giustificazione per una tradizione tanto barbara. Non si può e non si dovrebbe mai guardare la violenza con indifferenza e la corrida è peggio di un macello a cielo aperto. Gronda sangue e sofferenza come, peraltro, molte altre feste tradizionali spagnole.

Inevitabilmente scatta una riflessione sull’empatia che è certo sentimento opposto e contrario alla crudeltà, ma anche alla semplice indifferenza. La politica, fra i suoi compiti, dovrebbe avere anche quello di far crescere cultura e rispetto per il prossimo, per aumentare quei valori che portano a una civiltà armonica. Occorrerebbe rifuggire da ogni violenza, mentre questi tempi ci raccontano purtroppo esattamente il contrario.

Ma se i macelli avessero i vetri davvero avremmo una società vegana?

Forse no, nonostante quello che pensava il grande Lev Tolstoj. Sembra un paradosso certo, che però potrebbe nascondere qualcosa di vero, di pericoloso, qualcosa che è sempre vissuto fra le pieghe dell’animo umano. La fascinazione verso la violenza, quel demone che agita la volontà di sopraffazione, di dominio, di potere. Quello che porta una parte della nostra specie a non provare rimorso per comportamenti terribili.

Forse qualcuno potrebbe comprare i biglietti per assistere allo spettacolo. Forse per una componente ancora minoritaria ma da non sottovalutare, potrebbe essere un momento in grado di trasmettere emozioni forti a cervelli anestetizzati da finti miti.

In fondo la violenza è palpabile in questo secolo, è diventata una connotazione sempre più presente nella nostra società. Forse per questo anche la corrida costituisce un argomento politicamente interessante per convincere gli elettori. Forse solletica quella voglia di sangue e arena che oggi pare vada di moda in buona parte della popolazione di quest’indecisa Europa.

Ci sono comportamenti sui quali sarebbe una buona cosa intervenire drasticamente, ci sono forme di accanimento e tortura che non possono lasciare il posto all’indifferenza. Assistere con partecipata emozione ai patimenti di un toro non è una manifestazione culturale, solo la dimostrazione che “il sonno della ragione genera mostri”.

Violenza sugli animali annulla l’empatia

violenza sugli animali annulla l'empatia

La violenza sugli animali annulla l’empatia ed è una cattiva palestra di vita.

Dove il piacere di spegnere un’esistenza fa diventare normale un comportamento non auspicabile in un’adolescente.

Una ragazzina di 13 anni, Aryanna Gourdin, americana, è diventata una star nella cerchia dei ricchi cacciatori che girano il mondo in cerca di trofei e la bestia nera di chi difende i diritti degli animali.

Nella realtà è soltanto un’adolescente cresciuta in un mondo violento, dove pietà e compassione sono concetti sconosciuti e già per questo si dovrebbe parlare di una vittima.

La violenza sugli animali annulla l’empatia e per questo non si può considerare normale il comportamento di questa adolescente, non nuova a episodi analoghi (leggi qui). Questa giovane è il prodotto di una famiglia nella quale ha respirato, sin da piccola, un’aria intrisa di violenza, sangue e uccisioni.

La caccia, come tutte le attività che implichino la morte di un altro vivente, è una pratica violenta e su questo non ci può essere opinione contraria anche da parte di chi la caccia la esercita. Ma per i cacciatori è diverso e la giovane ragazza, che gira il mondo facendo safari con il padre e il fratello, è diventata una star (leggi qui) .

La violenza sugli animali non dovrebbe essere mai mostrata come un comportamento positivo e apprezzabile, di cui potersi vantare, tanto meno a una giovane in formazione. Un’adolescente che sta completando quel processo di crescita che la porterà nel mondo adulto. La nostra società è caratterizzata da violenza dilagante, che urlata o agita produce risultati pessimi.

Secondo studi oramai consolidati gli adolescenti che hanno assistito a episodi di violenza nei confronti degli animali li metteranno a loro volta in atto, in una spirale di brutalità che troppo spesso dagli animali passa alle persone, compiendo il cosiddetto salto di genere. Forse bisognerebbe impedire, anche sotto l’aspetto giuridico, che un giovane possa essere esposto ad assistere o esercitare violenze contro gli animali. Violenze che restano tali seppur attuate in attività considerate legali come la caccia. Non bisogna infatti mai dimenticare che la violenza sugli animali annulla l’empatia.

Gli adolescenti di oggi sono i pilastri della società del prossimo futuro e non è davvero auspicabile contribuire a creare una società più violenta di quanto non lo sia già oggi. Per questo andrebbero sempre guardati con grande attenzione da parte della polizia giudiziaria e della magistratura i crimini messi in atto contro gli animali, scientificamente considerati come possibili segni precursori di violenze nei confronti anche degli esseri umani (leggi qui) .

Sotto un diverso angolo di lettura quindi la storia di Aryanna Gourdin potrebbe essere quella di una vittima, cresciuta in una famiglia che anziché trasmettergli valori come l’importanza del rispetto e l’empatia l’ha trasformata in un’adolescente indifferente nei confronti della sofferenza e della violenza. Un danno che potrebbe essere irreversibile nel suo processo di crescita.

 

 

Maltrattamento animale gronda sangue e violenza ma va sbattuto in faccia?

Maltrattamento animale gronda sangue

Il maltrattamento animale gronda sangue e violenza nelle sue forme più crudeli.

La continua sovraesposizione di questa realtà non credo rappresenti un aiuto per la crescita dei diritti degli animali, nonostante like e condivisioni.

Anzi potrebbe rappresentare la peggior strada per coinvolgere l’opinione pubblica in un percorso di crescita.

Certo le immagini sono la prima forma di comunicazione che colpisce l’immaginazione, prima del testo, prima di uno slogan.

Siamo parte di una società veloce che troppo spesso non legge, non indaga il nesso fra immagine e contenuto di un articolo e, purtroppo, come inevitabile conseguenza, rischia di non recepire il messaggio che si vuol trasmettere.

Certo qualcuno potrebbe obiettare che è la foto, la copertina, che fa vendere il giornale proprio in virtù dell’emotività che suscita in un pubblico magari distratto. Questo è vero ma con con alcuni limiti. Uno dei quali è rappresentato dall’esposizione della violenza, spesso senza un motivo che non sia quello di colpire l’emotività, di parlare alla pancia. Dimenticando che conquistare la testa delle persone è più difficile ma più efficace, molto ma molto più efficace in termini di risultato atteso.

Per scelta non pubblico mai immagini violente, pur conoscendo discretamente i meccanismi che presiedono alla comunicazione, pur sapendo che il numero di like e condivisioni passa anche, se non esclusivamente, dall’immagine che indigna, dal toro che inginocchiato in agonia versa il suo sangue sulla sabbia di una delle tante arene.

Vedete questa è la descrizione di una fine crudele e violenta, ma va pensata nello scrivere, per stimolare compassione e non repulsione, e compresa nel leggere, per capire che ci sono comportamenti indegni compiuti dall’essere umano. Ma questa descrizione non porta like quanto l’immagine splatter, quella che non si può guardare.

L’immagine del toro in agonia durante la corrida ottiene moltissimi apprezzamenti, molte condivisioni e questo potrebbe indurre a pensare che, se è così, questa sia la strada giusta, quella che va diritta al cuore, che colpisce la pancia, che fa ribollire il sangue degli amanti degli animali.

Così si stimolano le reazioni dei più emotivi che, purtroppo, troppo spesso sproloquiano lanciando invettive terribili nei confronti dei responsabili, arrivando a invocare morte e sofferenza anche ai parenti prossimi, senza comprendere il danno causato, la repulsione rispetto a una causa invece meritevole di grande attenzione.

Non sempre amore e equilibrio danzano sullo stesso palcoscenico, non sempre buone cause e capacità di convincere abitano le stesse parti del nostro cervello. Così spesso chi difende i diritti degli animali pensa che l’insulto sia un’arma vincente, fantastica, infallibile per giungere al risultato. Temo sbagliando.

Sono profondamente convinto invece che l’insulto, l’invettiva verso l’avversario, il mostrare sempre sangue e arena coagulino si un gran numero di persone, ma sempre le stesse, quelle che in questo cerchio hanno deciso di abitare in permanenza, dimenticando che la difesa dei diritti passa attraverso la diffusione della cultura e alla capacità di coinvolgere, non  da quella di escludere.

Questo tempo presente è sempre più quello delle contrapposizioni, dove troppo spesso gli schieramenti si ritrovano soltanto al loro interno, si riconoscono e si riconvincono di quanto li ha già convinti, escludendo chi sta fuori, chi non ha capito, chi non è fra gli unti dal signore.

In fondo l’uomo ha sempre avuto bisogno di avere un nemico per giustificare la sua rigidità nel ragionamento. In questo modo però si giunge a una ghettizzazione non solo degli argomenti ma anche dei risultati sperati, che non sono quelli di ricevere attenzione da chi è già attento alla necessità di tutelare le categorie fragili, a prescindere dalla loro specie, di difendere l’ambiente e la biodiversità.

Abbiamo bisogno di raggiungere l’altra parte di pubblica opinione: quella non informata su certi argomenti, quella che magari vorrebbe conoscere ma detesta l’aggressività di immagini e contenuti. Il mondo vuole forse capire, ma non si convincerà se la contesa fra bene e male si concentra, per fare soltanto un esempio, in una lotta senza quartiere fra vegani e onnivori.

Ritornando alle immagini, alla violenza esibita, all’incapacità di raccontare o suscitare attenzione senza il supporto di foto spesso terrificanti, temo che questa scelta porti soltanto alla creazione di recinti che rassicurano gli uni ma escludono gli altri.

Lo scopo di chi si propone di formare e informare è invece diverso, non bilanciato dai like ma dalla possibilità, non così remota se si riesce a coltivare un pubblico, di dare informazioni a chi non vuole vedere un fiotto di sangue, un animale straziato,

Un pubblico che non vorrebbe nemmeno che questa violenza esistesse, che conosce lo stesso il mostro che abita in noi e vorrebbe contribuire a combatterlo, senza però aver bisogno di vedere sempre sangue e arena.

Certo il discorso potrebbe allargarsi se guardiamo le campagne di comunicazione, spesso basate su immagini che colpiscono, più motivate dallo spingere i sostenitori a contribuire alla buona causa che non a informare. Un motivo che renderebbe auspicabile un cambiamento di direzione, un incremento dell’empatia. In fondo anche questo è marketing e non si può credere che il mondo sia fatto solo di anime belle.

Tutto costa e il sostegno è importante, quando è speso bene e con attenzione. Senza però dimenticare la necessità di contribuire all’evoluzione della specie. La nostra.

 

 

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