Abbiamo bisogno di costruire orizzonti sereni, per poter vivere un futuro diverso

costruire orizzonti sereni

Dobbiamo riuscire a costruire orizzonti sereni, modificando il nostro stile di vita, ripensando al significato di collettività, rispetto e tutela dell’ambiente. Valori che in questi tempi stiamo riscoprendo, obbligati ad arrestare le nostre vite, costretti a pensare anche senza avere la voglia di farlo. Ormai ci sono pochi dubbi sul fatto che questo modello di sviluppo sia basato su concetti artificiali, costruiti, che non corrispondono al reale.

Costruire orizzonti sereni per il futuro significherà avere meno, a livello individuale, condividere di più, allargare i confini del nostro senso collettivo. Questo, seppur detto in poche parole rappresenta un obiettivo difficile da raggiungere: si tratta di imparare a respirare un’aria nuova, a riconsiderare i nostri bisogni. A comprendere che nessun modello basato sull’esclusione possa essere eticamente accettabile.

La famiglia umana, termine bellissimo nella sua inclusività, deve trovare la forza di ripensare stili di vita che non sono naturali, ma che ci sono stati imposti. Facendoci credere che i concetti principali che dovevano connotare la nostra esistenza fossero possedere, consumare e guadagnare. Secondo quei concetti che sono diventati un patrimonio collettivo delle società occidentali dopo l’immediato dopoguerra, nella seconda metà del secolo scorso.

Pensavamo di costruire orizzonti sereni, sino a che un piccolissimo virus ha spazzato le nostre stupide certezze

La miglior esemplificazione della realtà è sempre quella della piramide: sia che si parli della catena alimentare che della suddivisione della ricchezza. La piramide è un esempio chiaro, facile da comprendere, di una costruzione stabile dove il piccolo vertice preme con tutto il suo sottostante su una base. Proprio come accade per la suddivisione della ricchezza che l’economia ci ha imposto. Creando l’illusione che si trattasse di benessere, di equa condivisione dei vantaggi, scambiando beni di di consumo con cieca sudditanza.

Le ricchezze di questo pianeta sono in mano a una piccola, piccolissima, infinitesima parte della popolazione mondiale. Non c’è condivisione, non c’è equità, non vi è alcun rispetto dei bisogni delle persone, degli animali, del pianeta.

La ricchezza globale, in crescita tra giugno 2018 e giugno 2019, resta fortemente concentrata al vertice della piramide distributiva: l’1% più ricco, sotto il profilo patrimoniale, deteneva a metà 2019 più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone. Ribaltando la prospettiva, la quota di ricchezza della metà più povera dell’umanità – circa 3,8 miliardi di persone – non sfiorava nemmeno l’1%. Nel mondo 2.153 miliardari detenevano più ricchezza di 4,6 miliardi di persone, circa il 60% della popolazione globale.

Tratto dall’articolo “L’1% della popolazione mondiale due volte più ricco di 6,9 miliardi di persone” sul periodico del Terzo Settore VITA il 19/01/2020

Bisogna ripensare al modello di sviluppo, ma soprattutto ogni persona deve impegnarsi per il cambiamento

Forse ci voleva il coronavirus per far comprendere davvero le emergenze ambientali, per far smettere di considerarle come le paturnie di quattro ambientalisti invasati. Per far comprendere come Donald Trump fosse davvero un pericolo, con le sue politiche ambientali e con il negazionismo climatico. Replicato senza scrupoli negando anche le problematiche della pandemia che ora si è trasformata, per sua stessa ammissione nella Pearl Harbour degli Stati Uniti. Una tragedia che pagherà chi ha meno, anche negli USA.

Ora ci siamo accorti, anche se ancora non con il giusto grado di urgenza, come l’allevamento intensivo rappresenti un pessimo ciclo di produzione delle proteine: dannoso per la salute, per l’ambiente e estremamente sfavorevole secondo modelli matematici. Adesso che siamo confinati ci siamo resi conto che possiamo vivere senza consumare troppo e che il bene più prezioso sono libertà, affetti e abbracci.

Proprio ora che stanno scomparendo, anche per l’epidemia, i nostri anziani : gli ultimi testimoni di una storia diversa, che non avrà più cantori, che rischia di essere dimenticata. Racconti di vite che non erano fatte per il consumismo, che avevano conosciuto la fame, quella vera, e la perdita della libertà.

Riprendiamoci la storia finché siamo in tempo, recuperiamo la nostra umanità, fermiamoci a pensare prima che sia davvero troppo tardi. Ce lo chiedono le giovani generazioni ed è un debito che dobbiamo onorare, ora, senza altri ritardi. Una salute, un mondo con uomini e animali non umani.

Nessuna notte è infinita, non lo è quella polare e non lo sarà la notte del coronavirus

Nessuna notte è infinita

Nessuna notte è infinita, non lo è quella polare e non lo sarà la notte del coronavirus. La storia della nostra specie ce lo ha già insegnato molte volte, per cause naturali, per cause indotte come questa o per l’arroganza che ci ha portato, da sempre, a iniziare guerre. Siamo una specie tanto intelligente quanto troppo spesso imprudente, insolente e aggressiva. Che spesso cerca leader sempre più arroganti del necessario, capaci di negare l’esistenza dei cambiamenti climatici o di ritenere di poter sfruttare il pianeta senza limiti.

Da troppo tempo le persone hanno preferito delegare, piuttosto che agire. Questo comportamento ha frammentato sempre di più il tessuto sociale, la connessione con l’ambiente e ci ha reso più individualisti. Ma come i gatti che dividono la vita con noi, abitando nelle nostre case, non riusciamo a dimenticare il nostro istinto, da dove siamo venuti. Di quando eravamo cacciatori raccoglitori, di quando abbiamo iniziato a essere comunità.

La nostra specie ha avuto la fortuna di crescere, di prosperare e di avere individui speciali, che avrebbero potuto tracciare una via meno consumistica, ma più solida e concreta. Uomini che amiamo prendere come esempio, dei quali ci ricordiamo spesso soltanto nei momenti di difficoltà. Persone capaci di mettere in gioco la loro vita per aiutare gli altri, uomini che hanno scelto di battersi per il loro branco, per la loro famiglia umana, che comprendeva individui che non avevano mai conosciuto.

Nessuna notte è infinità e questa sarà meno terribile se la vivremo davvero insieme

Ora non è il momento di recriminazioni e conflitti, di fare distinguo e critiche. Dividere non cambierà i problemi causati dagli errori, unirsi aiuterà a superare una situazione come questa, che mai prima d’ora la maggioranza della popolazione aveva vissuto. Un tempo che non deve andare sprecato, un isolamento che deve farci riflettere, una sofferenza che deve anche costruire, non solo mettere in ginocchio.

Abbiamo bisogno di convertire la rabbia e la paura in qualcosa di utile. Provando a fare qualcosa di diverso che lamentarci, criticare e disperarci, magari solo perché siamo costretti a restare in casa. Possiamo provare a usare questo tempo per capire, per aiutare, per essere solidali e per informarci. Questo mondo così difficile sta dimostrando grandissimi slanci, da parte dei medici, dei soccorritori, del mondo del volontariato. Ma anche dei semplici cittadini che usano i social per rassicurare, per far passare il tempo a chi magari è solo, per coordinare gli aiuti.

Difficile poter prevedere quando sarà possibile tornare alla normalità. Ma la cosa più importante ora è ricostruire il senso di comunità, essere grati ai tanti uomini e donne che con abnegazione e spirito di sacrificio, ci hanno aiutato. Ma anche diventare consapevoli della necessità di essere protagonisti di un cambiamento. Dopo questa pandemia dobbiamo essere capaci di svoltare pagina.

La cosa peggiore che può capitare? Che tutto torni come prima, senza avere insegnato nulla

I morti di questo periodo, la solitudine del nostro essere soltanto uomini, la paura che ci ha fatto sentire indifesi di fronte a un piccolissimo virus devono lasciare un segno. Ora abbiamo bisogno di non sentirci soli, di sentirci comunità, di cantare dai balconi per sentirci uniti e soprattutto vivi. Ma non basterà.

La famiglia umana è una e deve essere solidale, capace di scavalcare le differenze. Dobbiamo evitare che le notti diventino sempre più lunghe e che la Terra sia sempre più inospitale per l’uomo. Occorre fermare il riscaldamento globale, per aumentare l’equità sociale e la giustizia climatica. Bisogna creare un modello di distribuzione delle ricchezze e di uso delle risorse più etico e responsabile. E potremo farcela, solo se ci sapremo tenere per mano.

Nessun dolore, nessuna sofferenza, per quanto grande lascia soltanto ferite, ma crea anche opportunità. Sta a tutti noi decidere se scegliere di coglierle, essendo capaci di trasformare paura e sofferenza in energia vitale collettiva. Non esistono gli “altri”, esistiamo noi come realtà collettiva e l’ambiente come bene da condividere.

Mi piacciono gli umani e difendo gli animali non umani

umani e difendo gli animali

Mi piacciono gli umani e difendo gli animali non umani, da abusi, maltrattamenti o semplice insensibilità. Pensare che la chiave di volta, o meglio di svolta, sia quella dell’estinzione della nostra specie mi fa inorridire. Una cura peggiore del male, un non senso tante volte gridato ai quattro venti da chi lo invoca come unica soluzione.

Gli animali non umani non sono migliori di noi, sono semplicemente creature differenti da noi. Quando qualcuno sostiene il contrario credo lo faccia perché l’emotività ha preso il sopravvento, impedendo un ragionamento sereno. Gli animali non umani sono esseri senzienti, possono provare sentimenti, soffrono per dolore e a causa delle condizioni di vita, ma non sono uomini. Non migliori, non peggiori, soltanto diversi.

Fra umani e non umani si possono creare ponti comunicativi fantastici, rapporti particolari che sono fonte di un piacere intenso, molto spesso reciproco, ma talvolta univoco e non bidirezionale. Come quando imponiamo agli animali non domestici la nostra compagnia, tenendoli in gabbia, facendogli condurre una vita innaturale.

Noi animali umani siamo diversi, per questo abbiamo delle responsabilità

Probabilmente non siamo capaci di accettare che nell’animo umano esista il bene assoluto e il suo opposto, la capacità di donare la propria vita ma anche quella di rubare le vite degli altri. E forse non lavoriamo abbastanza per strappare molti uomini a un’esistenza che esalta la loro componente peggiore. Non abbiamo, forse, ancora compreso che l’educazione al rispetto, la cultura, l’equità sociale e il bilanciamento fra diritti e doveri rappresentano l’unico percorso possibile per una società migliore.

Spesso molti, quando falliscono i rapporti fra umani, si rifugiano in quelli con gli animali, che non prevedono discussione, critica e confronto. Si immergono in un rapporto che non è completo, ma anestetizza il dolore della privazione, la sofferenza dell’insuccesso nelle relazioni fra simili. Vedendo negli altri umani la causa dell’infelicità e attribuendo agli animali un valore salvifico, terapeutico. Spesso ricevendo molto da questo rapporto, senza chiedersi troppo se costi e benefici siano equamente ripartiti fra animali umani e non umani.

Il riconoscere gli animali non umani come esseri viventi diversi ci deve portare a considerare i nostri doveri verso di loro, ma anche quelli verso i nostri conspecifici. Non ci si può commuovere per un cucciolo maltrattato e restare distaccati dalla sofferenza di un altro uomo, di un bimbo, di un vicino di casa. Non si deve ritenere che gli animali siano migliori degli uomini per la loro assenza di crudeltà, di avidità, di corruzione. Gli animali non hanno questi difetti proprio in virtù del loro essere differenti: non una scelta quindi ma bensì una condizione.

Un animale non ruba per arricchirsi perché, giustamente, non conosce il denaro

Mentre non esistono animali migliori degli uomini, ma solo animali diversi per natura, esistono uomini migliori e uomini peggiori. Alcuni per scelta, altri per condizione: non si deve però cadere nel tranello del lupo, quello messo in atto dai cacciatori per convincere che questo predatore sia pericoloso. Una gran parte degli uomini, infatti, la potremmo mettere in una zona neutra: non pericolosi, non particolarmente altruisti, non attenti alla società ma comunque produttivi e dediti ai propri affetti. Quelli pericolosi sono tanti ma percentualmente pochissimi rispetto alla popolazione, mentre sono più numerosi quelli attenti ai bisogni altrui, alla solidarietà, alle esigenze sociali.

Alcune volte noi non vogliamo vedere quante persone positive, seppur con differenti valori, ci siano rispetto alla parte peggiore e in molti casi criminale della nostra società. Sono proprio queste persone che potrebbero fare la differenza, se si impegnassero nel fare qualcosa di sociale e non solo sulle tastiere dei social. La vita virtuale può rappresentare solo un prolungamento di quella reale, non la sua sostituzione.

E ricordiamo sempre cosa diceva San Filippo Neri: fate i buoni, se potete! E essere educati e non violenti anche sui social è uno sforzo che costa davvero poco e contribuisce a migliorare la nostra società. Con esempi, non soltanto con parole.

Coronavirus e animali, umani e non umani: cosa possiamo imparare?

Coronavirus e animali

Coronavirus e animali, umani e non umani: cosa possiamo imparare da questa situazione difficile, prevista ma non gestita bene dagli organi di informazione e anche in buona parte dalla politica? Le difficoltà dovrebbero non soltanto creare disagi, ma anche diventare fonte di insegnamento una volta che la tempesta è passata. Una lezione che noi animali umani facciamo molta fatica a recepire, specie quando l’emozione, la pancia, prevale sulla ragione. Come ha ampiamente dimostrato l’epidemia di coronavirus, quando il microscopico covid-19 ha messo a soqquadro le vite di tutti.

Nella nostra mente vivono paure ancestrali, facilissime da riattivare, che probabilmente risalgono a tempi lontanissimi durante il corso della nostra evoluzione. La nostra diffidenza verso i predatori, la paura che molti hanno nei confronti di lupi e orsi risale probabilmente ai tempi in cui l’uomo era ancora una preda. Molto prima di trasformarsi nel predatore meno selettivo e più pericoloso del pianeta.

I topi, tanto detestati dall’uomo, sono da sempre ritenuti veicoli di malattie, che attraverso i roditori potevano diffondersi rapidamente. Una per tutte la peste nera, che con il bacillo Yersinia pestis, causò la morte di un terzo della popolazione mondiale intorno alla metà del 1300. Ma erano altri tempi, dove le condizioni igieniche erano molto basse e non esistevano farmaci. Eppure oggi, nei tempi del coronavirus, un piccolo virus influenzale riesce a scatenare il panico, a far dare l’assalto ai supermercati.

Il coronavirus non è la peste medievale: bisogna essere attenti e responsabili ma non terrorizzati

Oggi l’umanità corre rischi ben maggiori a causa dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento, della scomparsa di molte specie animali e vegetali. Fattori che cambieranno il mondo in modo radicale, davvero drammatico, senza possibilità di individuare terapie per curare il male. Noi animali umani abbiamo impresso un’accelerazione troppo veloce ai cambiamenti, abbiamo preferito perseguire il profitto piuttosto che farci condurre dalla ragione. Abbiamo perso il senso di comunità, di bene collettivo e lo abbiamo fatto, spesso, proprio a danno degli altri animali.

L’italia è in testa alla classifica europea per quanto riguarda l’abuso di antibiotici negli allevamenti, non impiegati per curare gli animali malati ma come strumento di prevenzione delle malattie. Causate proprio dalle modalità con cui abbiamo consentito venissero fatti vivere gli animali degli allevamenti intensivi. Creando sofferenza a milioni di esseri viventi e un potenziale danno sanitario per la nostra specie. Fatti noti, che ogni anno causano la morte in Italia di 33.000 persone, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità. Eppure questo dato, che tradotto in numeri significa che ci sono 90 morti al giorno, non spaventa.

Non si muore solo a causa di un uso improprio degli antibiotici

I 90 morti giornalieri causati da patologie che non possono essere curate dagli antibiotici, uniti alle 208 morti premature al giorno causate dall’inquinamento, secondo l’agenzia ambientale europea, sono un dato importante. Che riguarda persone di ogni età, che non trova possibilità di cura. Eppure media, politici e amministratori pubblici non sembrano particolarmente attenti a far suonare i giusti campanelli d’allarme.

Da qui il pensiero che l’antidoto a questo mondo che si alimenta di paura sia uno e uno soltanto: la cultura, la diffusione di informazioni che ci facciano essere almeno consapevoli. Invece di essere cittadini siamo diventati noi, che forse vorremmo chiudere i circhi, le scimmiette ammaestrate di quel grande circo che è stato messo in piedi dall’economia. Che ci vuole far credere che la soluzione non sia la decarbonizzazione ma che basti lo sforzo comune messo in campo da ENI con Silvia. Ridicolo!

Allevamenti intensivi, wet markets e traffici di animali sono fra le cause della diffusione di malattie

Se non proviamo a mettere in atto oggi azioni che possano cambiare il nostro modello di sviluppo rischiamo che, in un futuro prossimo, non ci sia più tempo. Le persone devono sapere che non moriranno di covid-19, ma moriranno per aver permesso ad altri di scegliere per loro. La specie umana potrebbe scomparire. Per non essersi preoccupata per tempo dell’emergenza vera: quella climatica e ambientale.

Con il passare del tempo abbiamo alterato le nostre percezioni, pensando che la conoscenza non fosse importante, che la società e le regole fossero un orpello inutile. Per costruirci recinti fatti di “noi” e non di “loro”, di micromondi artificiali, falsi, sperando che ci difendessero. Un’assurdità in un mondo globalizzato, dove oramai sappiamo che una scelta fatta nell’altro emisfero avrà ripercussioni anche da noi. E infatti il coronavirus è probabilmente partito dalla Cina e ha avuto origine nei cosiddetti “mercati umidi”, dove vengono vendute carni di animali di ogni specie.

Sarebbe troppo facile però prendersela con i cinesi, come purtroppo è già successo. Dobbiamo essere consapevoli che per comprendere gli errori bisogna considerarli tali. Ma non tutti viviamo nello stesso XXI secolo, in termini di conoscenza, progresso culturale e stili di vita. Sarebbe un grosso sbaglio se ci ritenessimo migliori, siamo soltanto diversi nei comportamenti, che nemmeno in Occidente sono privi di errori e di orrori.

Il coronavirus ci ha insegnato che abbiamo bisogno di politiche europee in un mondo globalizzato

Mentre qualcuno pensa ancora di ritornare agli Stati nazionali, senza rendersi conto che in un mondo globalizzato questo sia un impossibile controsenso, l’Europa politica è lontana dall’essere un’entità unitaria. L’emergenza coronavirus ci dovrebbe aver fatto capire l’importanza di avere comportamenti omogenei a livello europeo. Mentre in italia siamo, addirittura, con una sanità frammentata a livello regionale anche durante le emergenze.

Come riusciremo a difendere uomini e animali dalle sfide che bussano alle nostre porte, se ognuno cercherà di difendere i propri interessi e non quelli collettivi? Saremo capaci di modificare stili di vita e regole, per affrontare le sfide che questo secolo ci ha già messo sul tavolo? Saremo così intelligenti da capire che non è il capitale a fornire ossigeno, che non può impollinare i fiori, che non è dentro un’economia rapace che si troverà una chiave di salvezza?

Vediamo quale sarà l’insegnamento che ci lascerà questa vicenda a livello planetario, e in quanto tempo faremo la scelta se agire o dimenticare. Cercando di non farci divorare il futuro da paure eccessive e da irresponsabilità collettive. Covid-19 è una tempesta creata in un bicchiere d’acqua, dove l’energia che l’ha generata si chiama psicosi collettiva.

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