Lupi, volpi e sciacalli vanno visti come la cura per un paese dove la vera malattia è la caccia

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Lupi, volpi e sciacalli andrebbero visti come la cura per ricreare un equilibrio pesantemente condizionato dagli interventi umani. Non rappresentano un pericolo dal quale difendersi, ma soltanto il rimedio naturale a una gestione umana malfatta e imperfetta. Considerando che gli interventi in questo specifico settore risultano essere condizionati da interessi, talvolta economici, talvolta legati all’aspetto ludico. Un fattore che dovrebbe essere considerato con attenzione.

Cani falchi tigri e trafficanti

Ogni giorno siamo costretti a leggere sui media continui allarmi derivanti dalla presenza dei lupi o dall’espansione degli sciacalli dorati. Con pochissime isolate eccezioni che tentano di riportare la questione nel corretto binario. La diffusione di questi allarmi è utile soltanto a creare confusione nell’opinione pubblica, senza aggiungere qualcosa alla conoscenza. Eppure da secoli non si registrano aggressioni dei lupi alle persone, eppure nonostante questo si trovano notizie di bambini in pericolo a causa dei lupi.

Il continuo bombardamento di notizie contro i predatori ingenera insicurezza in quanti poco sanno di natura. creando così inconsapevoli alleati del fronte venatorio. La cosa fondamentale per chi diffonde queste notizie è stimolare la paura verso certi animali, in modo da avere minori oppositori quando se ne chiede l’abbattimento. Una strategia poco opportuna, ma sicuramente vincente: l’uccisione di un animale pericoloso suscita meno compassione nelle persone. Diventa quasi un fatto ineluttabile.

Lupi, volpi e sciacalli non rappresentano un pericolo, ma se non se ne comprende l’importanza saranno sempre al centro di campagne d’odio

Per capire questo basta pensare a cosa hanno costruito nel nostro inconscio secoli di pregiudizi, di luoghi comuni assurti al ruolo di verità. I maiali sono animali sporchi, i topi fanno schifo e portano solo malattie, come sono pericolosi tutti gli animali che strisciano. Se dovessimo valutare queste credenze sotto il profilo scientifico le definiremmo tranquillamente fake news, eppure oramai sono quasi impossibili da sradicare. Facendo sì che la nostra empatia verso gli animali venga suddivisa per specie. Molta verso cani gatti, meno verso cinghiali e nutrie, quasi nulla verso quelli che sono destinati a finire nel piatto.

Questa suddivisione oltre che essere immotivata è ingiusta, perché porta a comportamenti spesso crudeli. Come quelli che la quasi totalità delle persone mette in atto con i topi, usando strumenti terribili. Tavolette che incollano il povero roditore fino a farlo morire di inedia, veleni che causano lente emorragie interne, per dar tempo alle vittime di uscire all’aria aperta senza imputridire nelle cantine. Se questi comportamenti venissero messi in atto sui gatti si griderebbe allo scandalo. Mentre sui tipo suscitano solo indifferenza.

Il pericolo, reale o supposto che sia, ha facile presa sulle persone. Poche cercano di capire se sia vero, pochissime si soffermano a cercare di capire quanto certi animali siano utili. Basta che un lupo predi un cane lasciato incustodito che la maggior parte delle persone faccia il tifo per il povero cagnolino. Senza far pensare che il vero responsabile della sua morte sia il proprietario. Che lo ha fatto vagare incustodito, oppure lo ha legato nel cortile della cascina o lo ha chiuso fuori casa senza preoccuparsene.

L’informazione sensazionalistica ha facile presa sulle persone, come dimostrano di sapere bene i titolisti dei giornali

Eppure chi si occupa di fauna sa bene quanto siano importanti tutti i predatori per il mantenimento dell’equilibrio. Il lupo, per esempio, è considerato il miglior argine alla diffusione della peste suina, ma certo questo i cacciatori di cinghiali non lo raccontano. Ne possono dirlo gli allevatori che magari lasciano i maiali allo stato semi brado, agevolando incroci fra maiali e cinghiali, ma anche la diffusione della malattia. Queste informazioni vengono tralasciate anche da chi le notizie dovrebbe verificarle, da quanti deontologicamente dovrebbero fare informazione.

Il contrasto della cattiva informazione è molto complesso, quasi una battaglia persa. Conviene forse investire tempo e risorse per fare buona informazione. Per tentare di aumentare la diffusione della conoscenza, quella non viziata da interessi e pregiudizi. L’ambiente ha un grande bisogno della presenza dei predatori. Una necessità scientificamente dimostrata e incontestabile. Lupi, volpi e sciacalli sarebbero i migliori dottori per curare le patologie causate dall’eccessiva diffusione di altre specie.

Se ogni persona informata cercasse di condividere le informazioni corrette, fermando le condivisioni di quelle fasulle, sarebbe già un grandissimo aiuto. Un passo avanti che aumentando la conoscenza, aiuta la tolleranza e migliora la convivenza.

Caccia in Sicilia bloccata nuovamente sino al 2 ottobre dal TAR di Catania

Caccia in Sicilia bloccata

Caccia in Sicilia bloccata dal 13 settembre al 2 ottobre, dopo la nuova ordinanza del Tribunale amministrativo di Catania. Il nuovo stop è stato imposto dopo che l’assessore regionale, che si era visto bloccare il precedente atto lo aveva sospeso. Riproponendo un nuovo calendario per aggirare l’ostacolo. Una manovra molto disinvolta, sia sotto l’aspetto giuridico che politico. Le associazioni ambientaliste hanno così impugnato nuovamente il calendario e il TAR lo ha bloccato per la seconda volta.

cani falchi tigri e trafficanti

Il comportamento arrogante della regione non deve essere piaciuto al presidente del TAR di Catania, che ha nuovamente disposto la sospensiva. Ora sarebbe opportuno che ci fosse un’attivazione della magistratura ordinaria, per valutare il comportamento dell’assessore. Inaccettabile sotto il profilo della buona gestione delle istituzioni. Un gesto plateale che è servito a far sparare qualche giorno prima del 2 ottobre, data indicata da ISPRA per l’apertura della caccia. In una regione che è stata devastata dagli incendi.

Difficile insegnare il valore del rispetto della legge se la politica si comporta in questo modo. Disprezzando le decisioni della magistratura al solo scopo di agevolare i cacciatori. Fortunatamente questa ulteriore pronuncia del tribunale amministrativo dovrebbe aver messo un punto fermo. Caccia vietata sino al 2 ottobre.

Caccia in Sicilia bloccata, con la politica che scivola sull’arroganza

La morale di questa vicenda lascia comunque l’amaro in bocca. In un paese che ha spesso ha amministratori troppo disinvolti per poter restare al loro posto. Con una classe politica che raramente paga il conto della cattiva amministrazione, degli interessi e dei favori. Politici disposti a passare sopra legge e buon senso pur di essere rieletti, trasformando in commedia una tragedia come gli effetti degli incendi e la siccità. L’Italia non potrà fare passi in avanti sino a quando gli elettori non pretenderanno candidati e programmi basati sul rispetto della legalità e dell’interesse comune.

Questa piccola battaglia di legalità è stata vinta, ma la caccia avrebbe dovuto restare completamente chiusa quest’anno. Per tutelare la fauna, per mettere nella giusta considerazione un’attività che è soltanto un gioco, di pochi, che danneggia un bene collettivo.

Uno stop all’allevamento dei leoni in Sudafrica per scopi commerciali: danneggia la specie

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Uno stop all’allevamento dei leoni in Sudafrica, che avviene per scopi commerciali e non per ragioni legate alla conservazione sembra imminente. Pochi lo sanno ma i grandi felini sono spesso allevati per scopi poco nobili. Che come avviene spesso quando si tratta di animali non sono etici ma molto, molto redditizi. I leoni iniziano a produrre denaro poche settimane dopo la loro nascita, grazie a una rete di sfruttamento tanto estesa quanto dissimulata, talvolta anche dietro iniziative benefiche. Ma se la scelta dovesse essere attuata potrebbe riguardare anche molte altre specie allevate, come i rinoceronti.

Cani falchi tigri e trafficanti

I cuccioli di leone sono infatti offerti in pasto a turisti, spesso ricchi quanto sprovveduti, in finti santuari che raccontano di operare nella conservazione. Facendo così allevare i cuccioli a volontari paganti, che non sospettano di essere i protagonisti delle fasi iniziali di uno sfruttamento crudele. Che finirà soltanto grazie alla pallottola di un cacciatore che potrà sparare, sempre a pagamento, al re della foresta. Ma per comprendere quanto questo turpe mercato possa rendere bisogna fare alcuni passi indietro rispetto alla fucilata.

I cuccioli, come detto, vengono allevati con il biberon dai turisti, che in questo modo li imprintano, rendendoli confidenti nei confronti dell’uomo. Una volta cresciuti questi leoni vengono ceduti a organizzazioni che organizzano passeggiate, in riserve private, accompagnati dai grandi felini. Animali resi mansueti da imprinting e addestramento che diventano le comparse di quelle che dovrebbero essere, solo in apparenza, passeggiate per un turismo rispettoso.

Lo stop all’allevamento dei leoni in Sudafrica è al momento soltanto una raccomandazione

Il governo del paese africano è attento a non danneggiare il vero turismo naturalistico, che in periodi pre pandemia rappresentava una fetta molto importante per l’economia. E che ora si spera possa riprendere in tempi medio brevi. Per questo ha incaricato una commissione di esperti per predisporre un piano in grado di offrire alla green economy una nuova e miglior immagine. Senza intaccare comunque l’attività venatoria che rappresenta sempre una parte importante del PIL.

La caccia rende al Sudafrica una cifra enorme, stimata in 345 milioni di dollari. Pagati prevalentemente da ricchi americani che amano cacciare nelle riserve i cosiddetti “big five“. Animali iconici come leoni, leopardi, elefanti, rinoceronti e bufali. Dei quali il Sudafrica detiene una parte consistente delle popolazioni dell’intero continente. Naturalmente solo all’interno di parchi nazionali e riserve private, perché la fauna in Sudafrica è tutta contenuta in enormi aree recintate.

Se in Italia alleviamo fagiani, lepri e pernici in Africa si allevano animali più possenti come i leoni, con identico scopo seppur ancora meno etico che nel nostro paese. Da anni queste attività sono naturalmente oggetto di moltissime polemiche, tenute sino ad oggi scarsamente in considerazione proprio grazie al fiume di denaro che generano. Ma solo poche persone le conoscono nel nostro paese che spesso ha un’idea dell’Africa molto romantica, ma non più così reale.

Fra il falso e il vero la terza via è quella più pericolosa: tutto quello che viene fatto apparire come verosimile

La conservazione è un’attività importante, da privilegiare, specie quella fatta sul posto e non negli zoo. Che solo in casi molto particolari hanno una reale importanza nella reintroduzione di animali in natura, per l’impossibilità di avere aree naturali adatte alla protezione delle specie. Ma la peggior conservazione è quella finta, proposta e venduta ai turisti senza una reale ricaduta nella tutela di specie e ambiente. Un travestimento usato anche in Europa, dove molti zoo giustificano la loro esistenza motivandola con la tutela della biodiversità.

Ma queste bugie hanno le gambe corte, come ha dimostrato qualche anno fa la disinvoltura con cui venivano abbattuti gli animali negli zoo. Per essere rimpiazzati da esemplari più giovani e quindi più graditi al pubblico, che non intende pagare il biglietto per vedere animali che non siano nel fiore degli anni. Una realtà crudele che viene spesso ignorata a causa della cattiva informazione. Per questo è importante che l’opinione pubblica sia informata si quanto avviene: non si può credere alle pubblicità degli zoo pensando che ovunque gli animali siano protetti e tutelati.

Un discorso molto complesso che non può essere sintetizzato in poche righe, ma che meriterebbe di essere affrontato esaminando tutte le sfaccettature. Con grande attenzione e senza soffermarsi soltanto alla valutazione delle apparenze.

Manifesto per un animalismo democratico: un viaggio filosofico all’interno delle battaglie per i diritti degli animali

Manifesto per un animalismo democratico

Il Manifesto per un animalismo democratico scritto da Simone Pollo è un saggio interessante, che pone sul tavolo diversi quesiti. Domande che da tempo animano l’animalismo in Italia, ma non solo, in tutte le sue variegate componenti. In effetti intorno al riconoscimento dei diritti agli animali non umani si sono create differenti correnti di pensiero. Alcune molto radicali, che mettono sullo stesso piano i diritti degli animali umani e non umani, altre più portate a lottare per ottenere una riduzione progressiva del danno. Mosse dalla consapevolezza che un cambiamento della società, imposto, sia difficile da poter realizzare.

Cani falchi tigri e trafficanti

Il saggio si fonda sul presupposto che tutti i cambiamenti debbano ruotare intorno alla condivisione democratica. Che non deve essere assoluta, ma ampiamente riconosciuta nella società come valore positivo. L’autore, che insegna bioetica all’Università La Sapienza di Roma, ha scritto questo trattato scientifico, ricco di riferimenti e citazioni, per far riflettere su un possibile percorso. Che non porta a un riconoscimento generalizzato di diritti, ma pone alla base un concetto chiaro: i cambiamenti avvengono quando la società é pronta a riceverli.

I diritti degli animali, specie quelli che comporterebbero cambiamenti molto radicali, devono crescere nella coscienza collettiva. Che secondo il suo autore non può riconoscere, oggi, una parità di considerazione fra i diritti degli uomini, spesso negati, e quelli degli animali. Confutando, ad esempio, che i camion carichi di animali da macello possano essere equiparabili ai vagoni piombati che trasportavano i deportati della Shoa.

Il Manifesto per un animalismo democratico è un libro che farà discutere, e molto, le varie anime del movimento animalista

Simone Pollo non può certo essere accusato di aver cercato scorciatoie, né linguistiche, né di pensiero, esponendo la sua teoria sino ad arrivare alle conclusioni. Queste ultime si possono poi più o meno condividere, ma hanno il pregio di essere molto stimolanti per la crescita del dibattito su questi temi. Ponendo un confine che certo resta difficile da travalicare: se la società non è pronta a riconoscere determinati valori come universali, questi non potranno essere assimilati tramite imposizione.

Prima di arrivare a un mondo virtuosamente vegano sarà necessario modificare idee e abitudini. Un percorso che non sarà breve. Al di là delle imposizioni pratiche che verranno dal pianeta, questa evoluzione non potrà essere compiuta interamente nel giro di qualche decennio. Diversa è invece la possibilità di affermare, già ora, diritti in altri settori. Realizzando cambiamenti anche normativi, su obiettivi oramai largamente condivisi. Come l’abolizione della caccia e lo sfruttamento degli animali nei circhi.

Un testo che scava all’interno di concetti e definizioni, arrivando a scardinare paradigmi che rappresentato luoghi comuni.

Un bracciante miseramente pagato e senza protezioni sindacali può a buon diritto essere considerato come ridotto in schiavitù, anche se di fatto nessuno ha la sua proprietà giuridicamente riconosciuta. Per converso, un cane che vive in una famiglia, circondato di affetto e cure, ed è di fatto considerato un membro di quella stessa famiglia non è uno schiavo solo per il fatto che per la legge è di proprietà di un essere umano.

Tratto da Manifesto per un animalismo democratico

Il riconoscimento dei diritti degli animali deve essere considerato l’ineludibile punto di arrivo di una società democratica

E’ innegabile il divario fra i diritti desiderabili, che si vorrebbero vedere riconosciuti agli animali, e quelli reali, che spesso si fermano subito dopo la loro enunciazione. Considerando peraltro che gli animali non hanno possibilità di poterli difendere in modo autonomo. Realtà assimilabile, secondo l’autore, a quella delle minoranze umane così scarsamente rappresentate da aver necessità di trovare dei difensori, per poter ottenere ascolto.

Un libro da leggere con attenzione, visto che pur avendo un testo molto scorrevole tratta argomenti etici complessi, con un angolo di visione alternativo e mai banale. Una promessa che già traspare chiaramente nel titolo. Annunciando da subito e in modo chiaro come il riconoscimento dei diritti debba passare dalla democrazia. Come è stato per l’abolizione della schiavitù umana.

Carocci Editore – brossura – 124 pagine – 12,00 Euro

Non finisce un capriolo ferito, bracconiere condannato per maltrattamento di animali

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Capriolo ferito, bracconiere condannato per maltrattamento di animali, per la mancata uccisione con un colpo di grazia. La Cassazione ha ritenuto corretta la sentenza della Corte di Appello di Torino, che aveva condannato il bracconiere. Che oltre ad aver cacciato illegalmente i caprioli aveva omesso di porre fine alla sofferenza di uno di loro. L’animale ferito era stato poi trovato nel cassone di un fuoristrada, ancora scalciante, durante un controllo per reprimere caccia di frodo in Valle d’Aosta.

cai falchi tigri e trafficanti

I reati venatori commessi, essendo contravvenzioni, erano stati invece giudicati prescritti a causa del troppo tempo trascorso dai fatti. La punizione del bracconiere era quindi arrivata soltanto per il reato di maltrattamento del capriolo. Una sentenza importante che ribadisce l’obbligo di evitare agli animali sofferenze inutili ed evitabili. Indicando così l’invalicabilità di un confine, che potrà essere utilizzata anche in altri casi analoghi. In tutti i casi in cui il cacciatore o il bracconiere non dimostrino pietà verso l’animale ferito.

Ancora una volta il maltrattamento di animali viene applicato anche per sanzionare le condotte illecite in ambito venatorio. Ribadendo il principio che la non punibilità prevista per le leggi speciali resta limitata ai comportamenti previsti come leciti. Superati i quali torna a essere prevalente la legge ordinaria.

Un capriolo ferito e un bracconiere condannato per aver omesso di dare il colpo di grazia

La Corte di Cassazione ha ribadito, confermando diverse pronunce, che anche i settori come caccia, pesca, trasporti e macellazione, pur godendo di un quadro normativo specifico, devono restare entro i confini delle leggi speciali. Ritenendo illegittima la sofferenza animale quando determinata da insensibilità o crudeltà. Porre fine alle sofferenze di un animale, quindi, non è soltanto un dovere morale, ma rappresenta un comportamento dovuto, apprezzabile giuridicamente.

(…) la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi qui enunciati e con motivazione immune da censure di illogicità, ha ritenuto sussistente il reato di maltrattamenti di animali sul rilievo che all’animale era stata inflitta una non necessaria e inutile sofferenza conseguente alla mancata uccisione con un colpo di grazia che, se prontamente intervenuto, avrebbe impedito ulteriori sofferenze all’animale, avendolo rinchiuso, ancora in vita, all’interno del cassone del veicolo che lo trasportava sottoponendolo a sevizie insopportabili.

Sentenza della Corte di Cassazione 29816/20 – Terza Sezione Penale

Rimane il nodo della pena che resta davvero esigua per comportamenti di questo genere. Solo quattro mesi di reclusione che, nella sentenza, la Suprema Corte ha ordinato alla Corte d’Appello di Torino di rivedere. A causa dell’assenza di motivazioni sulla mancata concessione della trasformazione in pena pecuniaria, che erano state omesse nella sentenza.

La prescrizione dei reati contravvenzionali in materia di caccia mina l’effetto delle sanzioni, già risibili nell’entità per rappresentare un deterrente

Quale che siano le motivazioni, difficili da affrontare in modo compiuto in un articolo, le frequenti estinzioni del reato per prescrizione sono un danno per la collettività. Essendo inaccettabile che, a seconda della velocità della macchina giudiziaria, dei cavilli e degli orpelli, ma anche dell’abilità dei difensori nel trovare motivi di rinvio, i processi si concretizzino in veri e propri nulla di fatto. Pagati da tutti i contribuenti, che oltre a non vedere condannati i responsabili, sosterranno con le loro tasse i costi di una giustizia zoppa.

Ascoltando le dichiarazioni sembrerebbe che nessuna delle parti in causa vorrebbe che questo succedesse. Ma sappiamo anche quanto le parole siano, talvolta, in disaccordo con il reale pensiero di chi le pronuncia. Se è giusto e sacrosanto che un cittadino non debba restare indagato a vita e altrettanto giusto che si arrivi a ottenere la certezza della pena. Per tutto quello che le norme prevedono come reato, che quando non trova effettiva punizione diventa solo una parola astratta, un concetto vuoto che non sarà capace di portare benefici alla nostra società.

In fondo molti pensano che sia inutile essere cittadini rispettosi, considerando che fra prescrizioni, amnistie e indulti per molti reati spesso non esiste reale punizione. Se non quella accessoria, rappresentata dalla parcella del legale che ha difeso gli indagati. Ma le sanzioni dovrebbero avere un altro fine: punire il responsabile del reato e ristorare la collettività del danno prodotto. Senza far credere al malfattore che basti poco per rimanere impuniti. Mantenendo magari il diritto di poter andare nuovamente a caccia, legalmente, con una licenza di caccia nel taschino del gilet.

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