La grande bugia del benessere animale viene raccontata ogni giorno, il più delle volte a sproposito, abusando della buona fede di chi ascolta. Potrebbe sembrare un concetto radicale, estremista, ma nella realtà non è così. Vengono definite condizioni di benessere, specie per quanto riguarda gli animali destinati alla produzione di alimenti, realtà incompatibili con i più elementari bisogni. Cercando di convincere il consumatore che questa sia una situazione veritiera.
L’assenza di maltrattamenti fisici, una vita trascorsa in ambienti decorosamente puliti non rappresentano condizioni sufficienti. Il benessere di un essere vivente è più complesso e ricco di significati dell’esistenza in vita. Il concetto vale per gli uomini ma anche per gli animali, che hanno necessità uguali, pur nella nella diversità, per sentirsi in una una condizione di equilibrio. Eppure mai come in questi anni si sta cercando di dar credito a una grande illusione: il benessere animale. Misurato non secondo le necessità di bisogni specie specifici, ma quasi sempre sull’assenza di maltrattamenti fisici.
Secondo queste valutazioni stanno bene anche gli animali dei peggiori zoo e parchi tematici, quelli che stanno in gabbia nelle nostre case, quelli che mangiamo. Potrebbero stare bene anche gli orsi rinchiusi a Casteller, se solo disponessero di qualche metro quadro in aggiunta. Ma tutto questo può essere considerato solo come una grande illusione, una manipolazione della realtà oggettiva, filtrata attraverso concetti non veritieri o semplicemente falsi. Che spesso permeano le leggi che regolamentano le condizioni di vita degli animali non umani.
La grande bugia del benessere animale trova in Italia la sua apoteosi, con tanto di enti certificatori
Al fine di assicurare un livello crescente di qualità alimentare e di sostenibilità economica, sociale e ambientale dei processi produttivi nel settore zootecnico, migliorare le condizioni di benessere e di salute degli animali e ridurre le emissioni nell’ambiente, è istituito il «Sistema di qualità nazionale per il benessere animale», costituito dall’insieme dei requisiti di salute e di benessere animale superiori a quelli delle pertinenti norme europee e nazionali, in conformità a regole tecniche relative all’intero sistema di gestione del processo di allevamento degli animali destinati alla produzione alimentare, compresa la gestione delle emissioni nell’ambiente, distinte per specie, orientamento produttivo e metodo di allevamento
Estrapolato dall’articolo 224 bis del decreto rilancio
Se qualcun mai potesse pensare che il testo dell’articolo possa essere applicabile solo alle produzioni bio e agli animali allevati liberi al pascolo si sbaglia. Possono ottenere le certificazioni anche gli allevamenti di suini della bassa Padana e le vacche degli allevamenti intensivi. Purché la produzione avvenga nel rispetto delle previsioni del disciplinare. Così, come al Monopoli, si ritorna in prigione senza passare dal via, come dichiarano molte associazioni. Il problema è certo nei contenuti, forzati però dall’abuso dei termini: più che di benessere animale bisognerebbe parlare di “animali allevati seguendo le previsioni normative”. Concetto sicuramente meno rassicurante, ma decisamente più onesto.
Le operazioni di greenwashing che illudono i consumatori e le necessità di riformare la sanità veterinaria
«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» dice il giovane Tancredi al Principe di Salina nel Gattopardo. L’esemplificazione pratica è quella di dare una forma illusoria al cambiamento, certificando un benessere che non esiste, e non solo negli allevamenti di animali da reddito. Il benessere è uno stato molto più articolato da quello normalmente inteso, che racchiude la possibilità di ogni animale di vivere una vita secondo le sue esigenze, specie specifiche. I tecnici racchiudono questa situazione nella frase “possibilità di svolgere il proprio etogramma”.
Sarebbe forse troppo pretendere il diritto alla felicità, ma certo bisognerebbe almeno avvicinarsi al dovere della verità. Eliminando semplificazioni che ingannano l’opinione pubblica e non migliorano certo la vita degli animali. Per questo sembrerebbe opportuno arrivare a una multidisciplinarietà anche nel servizio sanitario pubblico, non lasciando soltanto ai veterinari la valutazione sul benessere. I tempi sono maturi per ottenere l’ingresso di etologi, biologi e altre categorie che possano dare valutazioni molto più articolate. Senza scartare nemmeno la psicologia laddove studia le relazioni fra uomo e animale.
Non lasciamo che le lobby degli allevatori e di chi guadagna, seppur lecitamente, dalle attività commerciali con animali, siano in grado di influenzare le decisioni sugli standard di benessere reale. Grazie anche a campagne informative basate sulle più avanzate tecniche di marketing, che riescono a ingannare i consumatori. Lo dobbiamo agli animali, lo dobbiamo alle nostre coscienze.
E’ stato sequestrato per maltrattamenti un allevamento di cani a Trecastelli, nelle Marche. Il N.I.P.A.F. dei Carabinieri Forestali di Ancona, ha eseguito un sequestro preventivo disposto d’urgenza dalla Procura del capoluogo marchigiano. Il provvedimento è stato già convalidato dal GIP ed è stato eseguito con l’ausilio delle guardie del WWF locale e di altre associazioni.
I militari che hanno operato il sequestro della struttura e degli animali si sono trovati di fronte una situazione di maltrattamento e di degrado. Nell’allevamento, ben conosciuto nella zona, erano presenti più di 850 cani, fra cuccioli e riproduttori tenuti in condizioni di maltrattamento. I cani erano quasi tutti di piccola e taglia, appartenenti alle razze più richieste dal mercato.
Il numero degli animali sequestrati, a questa puppy mill nostrana, rende molto bene l’idea di quanto valga il il mercato dei cuccioli. Ma anche di quanto ci siano carenze nei controlli periodici che dovrebbero essere assicurati dai servizi veterinari pubblici. Considerando che la struttura era ben nota per precedenti episodi, che avevano portato a una drastica ma non rispettata limitazione del numero di cani. Che avrebbero dovuto essere, secondo notizie di stampa, non più di una sessantina.
Come mai viene sequestrato per maltrattamenti un allevamento di cani solo dopo anni di continue violazioni?
I cani oggetto del provvedimento di sequestro sono risultati, in gran numero positivi alla brucellosi del cane. Una zoonosi che potrebbe essere trasmessa anche all’uomo, fortunatamente in pochi casi e con lievi conseguenze. La patologia era stata già rilevata in precedenza all’interno dell’allevamento e per questo erano state emesse delle ordinanze. Evidentemente non rispettate dai titolari, con conseguente pregiudizio per gli animali ma anche con possibili rischi per la salute umana.
Una situazione nota, che peraltro per il numero di animali presenti non poteva passare inosservata. Resta quindi aperta la solita questione relativa ai controlli. Che non hanno fermato in tempo la crescita esponenziale di una struttura che, probabilmente, avrebbe dovuto essere già chiusa da tempo. Consentendo invece la detenzione in condizioni di maltrattamento e la commercializzazione di cuccioli malati.
All’interno dell’abitazione dei proprietari, all’interno dell’allevamento, sono stati rinvenuti ben 270 cuccioli, molti dei quali tenuti in gabbiette da trasporto. Una situazione inaccettabile che ha portato poi alla denuncia di 5 persone, sia per maltrattamento di animali che per il mancato rispetto delle ordinanze. La speranza ora è che la Procura possa svolgere indagini a tutto tondo, per capire cosa non abbia funzionato anche nel meccanismo dei controlli. Un fatto che sicuramente ha consentito ai commercianti di realizzare ingenti quanto illeciti guadagni.
Quando i profitti degli illeciti sono molto alti e le sanzioni per chi maltratta sono molto contenute delinquere è vantaggioso
Da quello che si può sapere l’ipotesi di reato nei confronti degli allevatori è quella di detenzione in condizioni incompatibili, punita dall’articolo 727 del codice penale. Un reato di natura contravvenzionale, che prevede una sanzione esigua, rispetto ai guadagni, e ha soprattutto un tempo di prescrizione più breve di un delitto. Un condizione che molte volte rende inevitabile che i procedimenti si estinguano per intervenuta prescrizione. In un paese come il nostro dove i tempi della giustizia non sono mai brevi. E un reato prescritto fa cadere ogni possibilità d confisca, perché è come se non fosse mai stato commesso.
Un’ultima annotazione riguarda sempre anche il numero degli animali coinvolti: più questo cresce e più diventa complessa la gestione di un sequestro. Per questo i controlli dovrebbero essere maggiori in tutti i luoghi ove si allevano animali, per impedire che il loro numero diventi uno scudo che protegge i malfattori. Un’attività concretamente realizzabile se venissero garantiti maggiori mezzi e uomini ai Carabinieri Forestali, che sono purtroppo in numero insufficiente rispetto ai loro compiti e alle necessità.
Galline senza possibilità di fuga dai maltrattamenti, grazie a allevatori senza scrupoli, controlli assenti o inefficaci.
Norme che non hanno il giusto potere deterrente, con danni per animali e consumatori.
Ancora un’inchiesta sulle condizioni degli allevamenti di polli, ancora immagini che mostrano il girone dantesco in cui sono costrette a vivere le galline ovaiole di un allevamento italiano realizzate da Animal Equality.
Le immagini mostrano galline costrette a vivere in condizioni inumane, senza avere quasi possibilità di movimento, in un ambiente malsano, in gabbie dal fondo di rete che rende difficile e doloroso anche solo il dover mantenere la stazione eretta. In contrasto con le normative nazionali, europee che si occupano di tutelare gli animali negli allevamenti e che hanno imposto regole per le galline ovaiole.
Questo allevamento non solo è una fabbrica di maltrattamenti per le galline ovaiole che vi sono rinchiuse ma si trova in condizioni igieniche tali da meritare di essere immediatamente chiuso. Le condizioni ambientali sono terribili e non possono essere nascoste durante i controlli periodici che dovrebbero essere condotti dal servizio veterinario delle ASL, a tutela di animali e consumatori.
Però ancora una volta è dimostrato che il sistema non funziona: non importa sapere se per distrazioni e/o collusioni, per scarsità di personale o per insipienza ma quello che dovrebbe essere chiaro al ministro della salute è che queste situazioni, costanti, vanno ben oltre il tollerabile.
I servizi pubblici che presidiano il territorio, dai servizi veterinari ASL alla Polizia Locale, dal disciolto Corpo Forestale ora inglobato nei Carabinieri alle unità che vigilano sulla sicurezza e salubrità dei luoghi di lavoro, non possono essere sempre all’oscuro di tutto. Bisogna rivedere la lista delle priorità, modificare il metodo, migliorare il risultato finale.
Le condizioni in cui vivono le galline ovaiole, al pari di quelle di molti altri animali negli allevamenti intensivi, sono attuate soltanto per ottimizzare il profitto di chi alleva, senza riguardo per animali e nemmeno per i consumatori, troppe volte ignari di quanto si nasconde dietro il pacchetto di uova che acquistano al supermercato.
Il mercato che impone di ottenere prodotti a prezzi sempre più bassi e in quantitativi sempre più alti, per soddisfare le esigenze di un mercato alimentare malato, continua a essere la causa di maltrattamenti agli animali che si riverberano anche sulla salute dei consumatori: farmaci, batteri, antibiotici e altre sostanze patogene sono solo alcune delle componenti tossiche del nostro cibo.
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