Secondo l’organizzazione internazionale le future pandemie saranno più ravvicinate, causeranno maggiori danni economici di quanto ne stia provocando quella di Covid-19. Avendo uno scenario che prevede un costante innalzamento della curva della mortalità. Una realtà apocalittica, che può essere interrotta solo modificando il nostro modello di sviluppo economico. Un discorso ripetuto oramai sino alla nausea ma che pochi sono davvero disponibili ad ascoltare,
Quella di Covid-19 è almeno, secondo l’organizzazione internazionale, la sesta pandemia che ha colpito il pianeta. A partire dalla famosa “Spagnola” del 1918. Questo significa che già nel passato in poco meno di un secolo si sono realizzati pericoli sanitari dovuti a virus presenti negli animali selvatici. Con i quali la nostra espansione senza freni e i danni ambientali che abbiamo causato ci hanno portato a vivere in modo sempre più ravvicinato.
Ma se una pandemia tira l’altra quella di Covid-19, per una serie di condizioni si sta rivelando un vero tsunami
Del resto basta pensare a quanto gli ultimi cento anni abbiano modificato il nostro modo di vivere, gli spostamenti, le produzioni, gli allevamenti e i consumi. Un secolo che ha stravolto, con una velocità impressionante causata dalla rivoluzione industriale, le abitudini e gli stili di vita dei cosiddetti paesi sviluppati. Che hanno utilizzato questo “potere” economico per sfruttare sempre più i paesi in via di sviluppo. Impedendo di fatto che questo avvenisse in modo armonico dando vita a società democratiche.
L’economia e l’alta finanza hanno accentrato in mano a pochissime persone la ricchezza, e il potere che da questa deriva sfruttando sempre più l’ambiente e le risorse naturali. Credendole, stupidamente, infinite e capaci di autorigenerarsi, ma così ovviamente non è stato. Questa sovra valutazione della resilienza ambientale, della capacità di resistere alle aggressioni ha portato a sottovalutare grandemente i pericoli.
Come quelli stimati dagli scienziati che hanno più volte lanciato allarmi, rimasti perennemente inascoltati o quasi. perché ci siamo lasciati convincere. Abbiamo abdicato al buon senso in cambio di vantaggi materiali apparenti, lasciandoci trasformare da persone in consumatori. Che consumano tutto, molto spesso senza nemmeno rendersene conto: salute, antibiotici, veleni, ambiente, risorse di altri.
Il rischio di pandemia può essere notevolmente ridotto riducendo le attività umane che guidano la perdita di biodiversità, da una maggiore conservazione delle aree protette e attraverso misure che riducono lo sfruttamento insostenibile delle regioni ad alta biodiversità. Ciò ridurrà il contatto tra fauna selvatica, bestiame e esseri umani e aiuterà a prevenire la diffusione di nuove malattie, afferma il rapporto.
Tratto dal rapporto IPBES su biodiversità e pandemie
Sarà per questo che i ragazzi che hanno organizzato il Mock Cop26 non sono disponibili ad aspettare che i governi decidano cosa fare. Ne va della vita di tutti, ma per loro c’è in gioco il futuro delle loro vite e iniziano a capire che devono battersi con tutte le loro forze per arrivare al cambiamento. Forse loro avranno più lungimiranza di quanta ne abbiano avuta i loro genitori.
Per contrastare il cambiamento climatico servono cittadini informati, disposti a perdere un po’ di tempo per farsi un opinione reale su cosa sta succedendo. Per capire quanto sia importante agire occorre avere una corretta percezione della realtà, che non sempre coincide con quanto racconta l’economia. Il vero antidoto contro gli errori commessi parte dalla consapevolezza che nulla sia facile, ma che molto sia indispensabile.
In questa fetta di mondo, che ci piaccia o meno, viviamo consumando molto più di quanto ragionevolmente ci si possa permettere. Per farlo stiamo “mangiando” le risorse che sarebbero di altri, che potrebbero non poterne disporre ma, proprio a causa dei cambiamenti climatici. I paesi più industrializzati stanno usando più acqua, più cibo, più terra di quanta ne dispongano in realtà. Questo nei decenni passati era meno evidente di oggi e l’equità della divisione delle risorse non è mai stato un tema che abbia avuto troppi appassionati.
Siamo nati al caldo, con le vetrine piene di cibo, con i negozi che ci offrivano le banane in dicembre, cresciuti senza farci troppe domande. In fondo perché chiedersi troppe cose, quando non serve se non a rovinarsi l’umore. Se c’erano carestie o alluvioni l’occidente era sempre in prima linea per aiutare, ma non troppo e non in modo strutturale, la regione in crisi. le comunità locali. Senza chiedersi se le cause potevano magari dipendere da noi, dai nostri comportamenti.
Ora iniziamo a percepire il pericolo dei cambiamenti climatici, ma l’economia non si arrende
In questi tempi stiamo iniziando a capire l’importanza di contrastare il cambiamento climatico: non è più possibile far finta di nulla, non possiamo nascondere, ancora una volta, lo sporco sotto il tappeto. Questa consapevolezza che sta crescendo non piace molto a chi manovra le leve dell’economia: una piccolissima percentuale di persone che detiene, e gestisce, la ricchezza del pianeta. Anche quando la Terra brucia, si allaga, getta le persone nella disperazione e distrugge in un attimo ambiente e animali. Come accade in Australia, fatta percepire come un mondo lontano, diverso dal nostro, dove queste cose non possono succedere. Raccontando che l’Europa si sta mobilitando e sta diventando green! Ma stiamo davvero andando nella giusta direzione o stiamo facendo solo un’operazione di maquillage, un trucco chiamato greenwashing?
Leggendo giornali e pubblicità la svolta è iniziata, il cambiamento è dietro l’angolo e deve solo crescere e prendere vigore. La realtà è molto diversa e molto meno ottimistica di quello che ci racconta il marketing. Di tutte le bugie che i vengono raccontate per non far decrescere i consumi. Nulla di quello che produciamo è davvero green, nulla di quello che acquistiamo è esente dal produrre CO2 e l’anidride carbonica, insieme al metano, è uno dei gas maggiormente responsabili dell’effetto serra.
Il cambiamento climatico si contrasta diminuendo i consumi, mangiando meno carne, decarbonizzando
Tutte le altre scelte rappresentano un palliativo, un piccolo miglioramento ma non il cambiamento necessario. Sicuramente meglio che nulla, piccoli passi importanti ma non risolutivi, che le aziende ci vendono, invece, come la via maestra da percorrere. Un’azienda recupera la plastica, un’altra usa filati rigenerati, altre ancora usano plastiche riciclate o eliminano i componenti più inquinanti per rassicurare i consumatori. Ma questo non sarà sufficiente se non diminuiamo i consumi, se non contrastiamo gli allevamenti di animali e se non facciamo tutto il possibile per eliminare la dipendenza dalle energie fossili.
Queste ultime sono le maggiori responsabili della produzione di gas serra, ma su queste energie vivono economie di aree enormi del pianeta: Australia, America, Medio Oriente, ma soltanto per fare gli esempi più noti. Per capire quanto questo sia vero basti pensare all’accoglienza entusiasta ricevuta in borsa da Saudi Aramco, compagnia saudita che si occupa solo di petrolio. Così come è sufficente vedere i risultati deludenti della COP25, dove l’egoismo di pochi finirà per mettere in ginocchio tantissimi. Il primo effetto di questo disastro sarà l’innalzamento dei mari, che darà luogo a fenomeni migratori che nemmeno possiamo immaginare.
Per questo bisogna usare l’unico antidoto possibile contro queste bugie, contro l’indifferenza: la cultura, l’informazione indipendente, il non fidarsi delle prime fonti che troviamo sul web. Il tempo è poco, il problema è gigantesco, il cambiamento non darà mai risultati immediati. Mai come in questa circostanza occorre smettere di essere sudditi e diventare cittadini responsabili.
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