Sterilizzare i randagi non basta per contenere i numeri del randagismo

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Sterilizzare i randagi non basta per sconfiggere il randagismo, può contribuire a contenere il numero dei randagi ma non a risolvere un’emergenza. Come avviene per tutti i fenomeni complessi una sola azione non può essere sufficiente a risolvere, servono strategie articolate e di lungo periodo. Diversamente i risultati saranno parziali e deludenti, in particolar modo quando gli sforzi fatti sul territorio non riescono a essere costanti nell’attività. La dimostrazione si è avuta durante la pandemia quando, per una serie di condizioni ben note, il numero delle sterilizzazioni si è ridotto, causando un’impennata nelle nascite.

L’incremento del numero di riproduttori, abbinato a una buona disponibilità di risorse alimentari che abbassa la mortalità, porta a un inevitabile aumento dei randagi. Quando questo accade, aumentando il numero di cani e gatti liberi sul territorio, di pari passo sale anche l’intolleranza di molti cittadini. Portando non soltanto a catture ma anche a spregevoli azioni contro i randagi. Azioni, anche illegali, che non risolvono il problema, ma che complicano non poco la vita degli animali di strada. Incolpevoli vittime di comportamenti umani irresponsabili.

Su questa problematica si sono create diverse visioni fra quanti si occupano di randagi. C’è chi dice che occorre convivere con le popolazioni di animali liberi, non accettando la loro sterilizzazione, chi vorrebbe metterli tutti al sicuro in strutture di custodia o in famiglie e chi, come il sottoscritto, ritiene la sterilizzazione un’azione necessaria, molto più utile della loro reclusione nelle strutture. Intorno al problema randagismo convivono, con grandi differenze operative e di visione, enti pubblici e singoli, volontari di associazioni e gestori privati di canili, veterinari del servizio pubblico e liberi professionisti. Creando una complesità di rapporti e sinergie operative tutt’altro che efficaci, se non in pochissimi e virtuosi casi.

Sterilizzare i randagi non basta, occorrono azioni di riduzione del commercio e lavorare per un cambiamento culturale

Il randagismo è un fenomeno complesso che si alimenta in diversi modi. L’esemplificazione più semplice è quella di paragonarlo un grande fiume, che non potrebbe essere tale se non avesse diversi affluenti. Immaginiamo la popolazione degli animali randagi, quelli che riescono a vivere la loro vita in autonomia senza aspettare aiuti umani, come se fosse il corso principale del fiume randagismo. La cui portata viene costantemente alimentata grazie al vagantismo degli animali padronali e semi padronali, lasciati liberi di girare sul territorio, ai randagi assistiti ma non sterilizzati, uniti agli abbandoni di soggetti adulti e di cucciolate indesiderate. Il gran numero di animali, fertili e riproduttivi, presenti sul territorio continua a produrre cucciolate e a ingrossare il fiume sempre più.

Spesso quando diciamo randagi il pensiero corre ai cani ma, a questo popolo di animali domestici senza casa, appartengono a buon titolo anche i gatti. Che ripercorrono con identiche motivazioni le strade che originano il fenomeno del randagismo canino, con uguali dinamiche di popolazione. La sola differenza sta nel dar vita a comunità meno problematiche e appariscenti: per taglia, comportamento e abitudini. Creando quindi qualche conflitto in meno, ma arrivando comunque, senza controllo riproduttivo, a una notevole possibilità di crescita sul territorio. Per questo in tutto il mondo sono operativi programmi di cattura, sterilizzazione e rilascio (TNR – Trap – Neuter – Release) che per essere utili devono raggiungere una parte importante della popolazione di randagi.

Ritornando al parallelismo fra fiume e randagismo possiamo dire che senza gli affluenti, che continuano a portare nuova linfa vitale al fiume, in Italia il fenomeno del randagismo canino e felino si sarebbe grandemente e drasticamente ridotto. Ovviamente questa considerazione va modulata considerano il paese, l’antropizzazione e le contromisure attuate per contenere le problematiche, anche di natura sanitaria, del randagismo. Non si possono mettere a confronto paesi diversi, come ad esempio l’Europa e l’India o l’Italia e il Marocco per fare delle valutazioni complessive. Quello che è certo è che ovunque il numero dei randagi non è mai diminuito a seguito di catture, deportazioni e uccisioni.

I canili non risolvono il randagismo, cani e gatti liberi sul territorio devono essere la transizione verso un paese più civile

Per arrivare a una corretta gestione del randagismo occore compiere una profonda invesione di rotta, a cui devono contribuire tutte le componenti coinvolte, nessuna esclusa. Affrontando e guardando il problema con un occhio laico, che metta in fila non solo i soggetti coinvolti ma anche i tasti, e sono molti, che vanno toccati. Rispetto delle regole di convivenza, responsabilità nei confronti della collettività, preparazione, educazione e cooperazione. Questi potrebbero essere i cinque pilastri su cui fondare la costruzione del cambiamento. Consapevoli del fatto che se i randagi possono costituire (talvolta) un problema, cause e responsabilità della loro presenza sono solo umane.

Partiamo dal problema fondamentale, legato al rispetto delle regole. il Mahatma Gandhi sosteneva che la civiltà di un popolo sia misurabile da come vengono trattati gli animali. Io aggiungerei anche da come vengano gestiti i rifiuti. Sono sempre loro, infatti, i protagonisti dell’alterazioner dei nostri rapporti con gli animali, domestici o selvatici. Il cibo è uno strumento potente di condizionamento, di abituazione ma anche di sostentamento. I rifiuti per un animale rappresentano una fonte proteica low cost, ai quali accedono tutte le specie, dai lupi ai cani, dagli orsi ai gatti, per arrivare a ratti, cinghiali e cornacchie. Una certezza alimentare che li avvicina, con conseguenze indesiderate, ai nostri mondi.

Se ci fosse molta attenzione nella gestione dei rifiuti, rendendolo inavvicinabili per gli animali, i tanto temuti incontri pericolosi con i predatori sarebbero azzerati o quasi. Diminuirebbe anche la presenza di specie che consideriamo infestanti, come le cornacchie, e scenderebbe drasticamente anche quella di cani e gatti randagi. Questo punto attiene al rispetto delle regole da parte dei cittadini e all’intelligente lungimiranza, non così frequente, degli amministratori. I rifiuti attirano gli animali nei contesti urbani, vicino alle abitazioni, sui bordi delle strade e in mille altri luoghi. Generando inutili conflitti che potrebbero essere facilmente evitati, se solo lo si volesse veramente.

La sanità pubblica deve smettere di voltarsi dall’altra parte e i volontari devono essere preparati

La responsabilità nei confronti della collettività impone al legislatore e al servizio pubblico di mantenere quel che promette e di avere visione di periodo. Inutile ripetere da più di mezzo secolo il mantra che. per combattere il randagismo, mancano le risorse. Affermiamo invece che una politica miope non fa bene i conti e non mette risorse dove servirebbero, dimenticando di fare i conti di quanto costi, in termini economici alla collettività, questa scelta. Così le sterilizzazioni restano spesso un dovere scritto ma non agito, le assenze dei Servizi Veterinari pubblici contribuiscono a ingrassare i privati che gestiscono le strutture, e manca un piano di periodo che esuli dalla pura gestione sanitaria del problema, che spesso risult approssimativa quando si parla di animali.

Molte norme sono ferme alla metà del secolo scorso e quelle che le hanno innovate, come la legge 281/91, hanno affermato principi sacrosanti, senza concretizzarli tutti. Ancora una volta viene identificato il canile o il rifugio come strumento di risoluzione, ma in realtà in molti casi si tratta di intombare gli animali, proprio come si è fatto spesso con i rifiuti pericolosi. Buttati in luoghi inacessibili, per togliere di mezzo i primi e per levare dalle dalle strade i secondi. Spesso grazie a figure criminali che nei decenni hanno tratto enormi profitti da entrambe le attività. Grazie a strutture di reclusione per animali dove i termini benessere e etologia restano sepolti sotto appalti senza controllo.

Per contro anche i volontari devono fare la loro parte, cercando di essere protagonisti preparati del cambiamento, e non soltanto comparse emotive che seguono l’istinto. Senza essere in grado di fare scelte, di confrontarsi con la politica, di conoscere il settore dove hanno deciso di impegnarsi. Difendono una categoria che non può protestare, ma a maggior ragione devono essere interpreti delle reali esigenze. Smettendo di pensare che la salvezza dei randagi sia nei box dei canili. Per fortuna (dei randagi) non sono tutti così e fra loro ci sono attivisti che sanno il fatto loro, spesso in perenne lotta con le componenti animaliste più emotive.

Saranno educazione e rispetto a sconfiggere il randagismo, non norme scarsamente applicate

Educazione e divulgazione sono i migliori strumenti per ottenere un reale cambiamento: quando la società riconoscerà davvero il diritto al benessere degli animali e la necessità etica di avere comportamenti responsabili. Attraverso questo progresso culturale si arriverà alla riduzione del commercio di animali come pet, si comprenderà il dovere di essere responsabili nella gestione di cani e gatti. Si chiuderanno le porte a una serie di comportamenti dannosi che oggi sono ritenuti normali. Le leggi servono a correggere le devianze della collettività, non sono uno strumento per educare una società a essere rispettosa dei diritti altrui.

Continuare a invocare nuove norme serve più alla politica, che continua a agitarle senza renderle mai concrete e soprattutto attuate. Quando mancano i controlli, se non viene percepita la gravità dei comportamenti è difficile ottenere sia il cambiamento che la puntuale applicazione. Il percorso culturale è più lento della promulgazione di un decreto, ma è più efficace in quanto permanente, una volta entrato nel comune sentire. Il commercio di pelli e pellicce non è crollato per legge, ma è la consapevolezza delle persone che fa sentire in difetto i pochi che ancora le indossano. Una strada senza ritorno, un cambiamento culturale sempre più diffuso.

In attesa che la cultura cambi ognuno è chiamato a avere comportamenti rispettosi, a cercare di farsi promotore di una cultura che parli di rispetto, di convivenza, di condivisione delle risorse. Avendo la consapevolezza che sia sempre meglio l’uso pacato della conoscenza, piuttosto che il ricorso all’aggressività data dall’ignoranza, che quando non ha sufficienti argomenti usa la prevaricazione per convincere, Perdendo così ogni possibilità di essere credibili.

Il randagismo si combatte con l’educazione delle persone al possesso responsabile degli animali

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Il randagismo si combatte con l’educazione delle persone al possesso responsabile degli animali, che si deve tradurre nella volontà di gestirli mettendo in atto comportamenti responsabili. Troppo spesso si ritiene che il randagismo sia un fenomeno inevitabile, come se fosse una componente naturale insita nella comunità umane. Ma se questa idea poteva avere un fondamento agli inizi del secolo scorso in Europa e ancora ora in determinate aree geografiche del mondo, in Italia adesso è solo una vergogna da cancellare. Il randagismo, canino e felino, esiste solo a causa della cattiva, quando non pessima, gestione degli animali domestici.

Le mancate attenzioni che troppe persone dimostrano verso questo problema sono alla base di un fenomeno complesso, che ha una capacità rigenerativa proporzionale alle nostre omissioni. Avere un cane oppure un gatto non è un obbligo ma è frutto di una decisione, che quando presa alla leggera, senza pensare troppo, crea danni. Agli animali che spesso conducono una vita di stenti, alla collettività che paga il danno economico che deriva da comportamenti sbagliati che generano un effetto moltiplicatore. Capace in poco tempo di riportare il numero degli animali randagi a una costante rigenerazione che compensa morti e malattie.

Quanti pensano che il principale strumento con cui curare la piaga del randagismo siano le strutture come canili e rifugi, coltivano un illusione che non avrà successo. Il canile, per il randagismo canino ad esempio, è soltanto il punto di arrivo del problema, che anziché tradursi in una speranza di una esistenza diversa spesso si concretizza in una triste prigionia a vita. Un luogo frequentemente gestito da persone che hanno trovato nel randagismo una fonte di reddito che non conosce crisi, almeno sino quando non si chiuderanno i rubinetti che alimentano la sorgente.

Il randagismo si contrasta solo con l’educazione al rispetto e alla legalità

Canili che ospitano migliaia di cani che ogni giorno riempiono il salvadanaio della criminalità, svuotando quello della collettività. Spesso grazie all’inerzia degli enti pubblici, che trincerandosi dietro la mancanza di risorse, dimenticano quante ne vengono sperperate per tenere gli animali imprigionati. Dimenticandosi le problematiche di ogni genere che sono la naturale conseguenza di una convivenza non gestita: sanitarie, economiche, ambientali e di sofferenza per gli animali. Eppure basterebbero pochi comportamenti diligenti per arrivare, in modo incruento e in pochi anni, a una drastica riduzione del randagismo.

Primo presupposto è che ognuno capisca di dover essere responsabile dei problemi causati dagli animali con cui vive, per utilità o per piacere. Una responsabilità basata su due presupposti, entrambi della massima importanza, il primo di ordine morale e il secondo legato agli obblighi legali. L’educazione di una comunità al rispetto degli animali e delle regole contribuisce a rafforzare il senso civico, a tutto vantaggio dei suoi componenti. Iscrizione di cani e gatti in anagrafe, sterilizzazione e cura sono tre doveri, che quando si traducono in comportamenti virtuosi, rappresentano uno strumento vincente per contrastare il randagismo.

Una necessità in una situazione emergenziale come quella italiana, specie al Sud, dove i canili traboccano di animali indesiderati e le strade sono affollate di animali randagi, che sopravvivono grazie all’empatia e alla compassione di molti. In questo contesto sterilizzare gli animali di proprietà, nel senso largo del termine, per evitarne la riproduzione dovrebbe essere incentivato e considerato un dovere. Superando i luoghi comuni che raccontano della necessità, per una femmina di cane o di gatto, di fare almeno una cucciolata e gli stereotipi machisti che non verrebbero la castrazione dei maschi, senza parlare dell’illusione che tutti i nuovi nati saranno sistemati benissimo.

La mancata sterilizzazione di cani e gatti è la sorgente del randagismo, in una realtà costituita da poche adozioni responsabili e tanti cuccioli indesiderati

“Tanto i cuccioli li piazzo subito” è la risposta più frequente data da chi rifiuta di far sterilizzare i propri animali, che magari sono anche lasciati liberi di vagare incustoditi sul territorio. Certo sistemare un cucciolo è più facile che far adottare un animale più cresciuto, anche perché un cucciolo intenerisce maggiormente, ma quando cresce? Quando il tenero batuffolo di pelo diventa un animale con tutte le sue esigenze oppure è diverso, per taglia o carattere da quello che si credeva, quanti saranno disponibili davvero a condividere la vita con lui?

Così finisce che nelle aree meno urbanizzate gli animali prendono la via della strada, andando ad aggiungersi a quelli già presenti sul territorio. Continuando a riprodursi senza controllo, falcidiati dalle malattie ma sempre in grado di far crescere il numero dei randagi. Una catena di eventi coincatenati che non ha ancora consentito di battere il randagismo, anche grazie a una serie di carenze legislative, di mancati controlli e di mancate sterilizzazioni da parte del servizio veterinario pubblico. Proprio quest’ultimo avrebbe dovuto rappresentare il perno su cui fa girare l’intera attività di contrasto al randagismo, ma purtroppo non è stato così.

Il servizio pubblico doveva rappresentare il tratto di unione fra la prevenzione delle zoonosi, il reale contenimento del randagismo canino e felino e una corretta valutazione del benessere animale. Invece appare evidente che qualcosa non ha funzionato, lasciando proliferare canili gestiti in condizioni indegne, limitando le sterilizzazioni a numeri risibili, non riuscendo a garantire il benessere degli animali. Unica certezza è che quello che doveva essere una funzione importantissima, messa al servizio di popolazione e animali, spesso si è trasformata in un potere senza controllo, che risponde soltanto a se stesso. Per restare in tema, il classico gatto che si morde la coda.

Il futuro della lotta al randagismo in tempi di pandemia non sarà roseo

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La lotta al randagismo in tempi di pandemia è difficile prevedere che possa dare risultati migliori di quelli di questi anni. Dove la battaglia è stata persa per mancanza di visione e di fondi. Credendo che tutto potesse passare dal meccanismo dei canili, piuttosto che da massicce campagne di sterilizzazione, anche dei cani di proprietà. Se le risorse economiche erano scarse prima, difficile pensare che possano aumentare ora. In un paese che non ha ancora cominciato a “pesare” realmente le macerie del terremoto economico causato dal Covid19.

Il lockdown di primavera potrebbe portare a un baby boom, e non solo per gli umani, ma anche per i randagi. Con le sterilizzazioni dei servizi veterinari pubblici che sono andate avanti a singhiozzo, a buona volontà. Con associazioni e privati che hanno avuto un sacco di limitazioni negli spostamenti e con le oggettive difficoltà delle strutture veterinarie. Senza dimenticare che durante questo periodo certo qualcuno avrà approfittato per scaricare sul territorio qualche cucciolata.

Il futuro del randagismo non sarà roseo perché anche il terzo settore, il volontariato, dovrà fare i conti con una crisi che diminuirà le risorse. Difficile donare in un paese che si trovava in crisi economica già prima della pandemia. E che ora non ha certezza di futuro, stretto fra epidemia e economia fatta a brandelli. Questa situazione, che era stata ampiamente prevista, tanto da richiedere un mai attuato piano di emergenza per contrastare le pandemie, rischia di avere grandi ripercussioni. Non solo sul randagismo ma sulla tutela dell’ambiente.

La lotta al randagismo in tempi di pandemia non sarà facile, ma nemmeno la tutela dell’ambiente

La pubblicità sembra comunicare che sia arrivato il tempo per fare grandi cose, ma poco di concreto si vede all’orizzonte per tutelare l’ambiente. Difficile anche scorgere segni di una maggior consapevolezza da parte dell’opinione pubblica su questi argomenti. Se la valutazione dovesse passare dal senso di responsabilità che fotografano alcune immagini, sullo smaltimento di mascherine e guanti, si potrebbe tranquillamente dire che il futuro sarà plastico. Nel senso di pieno zeppo di altri rifiuti plastici abbandonati in giro.

Il rischio che pandemia e economia diventino le priorità di questo immediato futuro, dove per ottenere una ripartenza tutto potrebbe passare in secondo piano, è più che concreto. Un possibilità che bisogna impedire a ogni costo: fare un salto all’indietro nella tutela di animali e ambente sarebbe un grande problema: non abbiamo più tempo per rimandare scelte e comportamenti virtuosi.

Occorre che l’economia riparta con una direzione ecosostenibile, che vengano messe in cantiere operazioni che vadano in una direzione nuova, virtuosa e sepre più attenta. Devono essere previsti piani di efficientamento energetico, di riduzione drastica delle energie fossili e di incremento di quelle rinnovabili, di tutela ambientale e valorizzazione delle risorse naturali. Di un paese meraviglioso che potrebbe vivere solo delle sue bellezze ambientali e della sua storia.

In questo tempo le risorse economiche vanno misurate e utilizzate con responsabilità, senza concedere nulla al malaffare

Pensando alla lotta al randagismo e ai soldi spesi e in buona parte buttati, dove si potrebbero fare stime per qualche miliardo di euro. Denaro che spesso è andato a ingrassare il malaffare e le mafie, con fiumi di soldi che hanno arricchito molti, senza ottenere un risultato reale per gli animali. In un tempo come questo il primo risparmio dovrebbe essere compiuto grazie a una gestione oculata delle risorse. Per evitare che questa crisi di dimensioni spaventose ci costringa al suolo per sempre, in un paese che ha ancora a terra le macerie di terremoti di decenni.

Per cambiare occorre impegno collettivo, smettere di demandare tutto alla politica, ragionare con il proprio cervello. Cercando di separare la verità dalle mille bugie e falsità, smettendo di trovare scuse per una scarsa propensione a svolgere azioni utili per la comunità nel suo senso più ampio. Questa dovrebbe essere la chiave che apre il lucchetto che da decenni ha chiuso la catena che imbriglia la società italiana. Fatta di pigrizia verso il sociale, disillusione ma anche da molto di più di un solo pizzico di egoismo.

Parco del Gargano combatte randagismo e ibridazione fra cani e lupi

Parco del Gargano combatte randagismo

Il Parco nazionale del Gargano combatte randagismo e ibridazione fra cani e lupi con un nuovo progetto, che punta a coinvolgere le varie realtà presenti sul territorio. Promuovendo la sterilizzazione dei cani vaganti e diffondendo i criteri di una gestione responsabile del vagantismo canino. Mettendo in campo azioni concrete per contrastare comportamenti irresponsabili.

Per poter realizzare il progetto l’ente parco si propone di creare una sinergia fra istituzioni, associazioni di volontariato e comunità locale. Mettendo in campo anche tutte le risorse necessarie per incentivare le buone pratiche, come la sterilizzazione. Il randagismo, oltre a essere una fonte di problemi per i cani, rappresenta anche un pericolo per i lupi. Che, quando convivono sullo stesso territorio con i cani, possono dar vita a fenomeni di ibridazione.

Il presidente del parco, Pasquale Pazienza, ha già tracciato una road map da seguire nei prossimi mesi per attuare concretamente il progetto. Coinvolgendo le forze di polizia che controllano il territorio, con in testa i Carabinieri Forestali, e le associazioni animaliste, ambientaliste e di protezione civile. Con il coinvolgimento indispensabile dei Comuni che ricadono nei confini del parco, che devono fare la loro parte.

Per combattere il randagismo occorre creare grandi sinergie

Appare oramai chiaro che non si possa contrastare efficacemente il randagismo operando su territori di piccole dimensioni, lasciando in mano solo ai Comuni la risoluzione del problema. Una delle principali cause del randagismo ha origine dalla mancata gestione dei cani di proprietà, lasciati liberi di vagare su un vasto territorio senza essere sterilizzati. In questo modo si moltiplicano gli accoppiamenti indesiderati e le nascite e su questo occorre far sensibilizzazione.

L’ente parco si è ispirato al progetto creato da Zero cani in canile e lo ha rimodulato secondo le esigenze di un territorio prevalentemente agricolo. Individuando una serie di azioni che messe in campo simultaneamente dovrebbero essere in grado di produrre i risultati attesi. Mettendo in atto informazione, formazione, sterilizzazioni e controlli.

Un gruppo di lavoro presso l’ente parco funzionerà da cabina di regia, per coordinare gli interventi nei diversi Comuni e per la creazione di gruppi operativi sul territorio. Attività necessaria per pianificare campagne di sensibilizzazione verso i cittadini, ma anche preso le aziende degli allevatori che operano all’interno del parco, per illustrare i progetti di sterilizzazione. Successivamente si passerà alla fase operativa che prevede l’avvio delle operazioni di sterilizzazione, con controlli sul territorio messi in campo dalle forze di polizia.

Senza trascurare una campagna informativa nelle scuole, che preveda il coinvolgimento attivo dei ragazzi. Sensibilizzazione e educazione dovranno coinvolgere anche i turisti che ogni anno visitano il Parco nazionale del Gargano. Ora occorre attendere per poter valutare il risultato di una pianificazione che, sulla carta, sembra avere tutti i requisiti per poter raggiungere buoni risultati.

Meno spreco di denaro pubblico con azioni contro il randagismo

azioni contro il randagismo

Meno spreco di denaro pubblico con azioni contro il randagismo, in un tempo in cui il risparmio dovrebbe essere una priorità. Invece si continuano a impiegare soldi della collettività per mantenere animali ex randagi, senza incidere sul fenomeno. Richiudendoli in strutture dalle quali molti di loro non usciranno mai.

Fra le tante opzioni per risparmiare fondi pubblici la lotta reale al randagismo sembra un’opzione mai presa davvero in considerazione. Una rassegnata accettazione dei costi provocati da una non gestione del problema. Contributi dati spesso a organizzazioni che lucrano sulla sofferenza degli animali, senza risolvere la questione.

Eppure basterebbe sterilizzare a tappeto gli animali domestici per impedire quel costante afflusso di cucciolate casalinghe, di animali non desiderati e non piazzabili, che vanno a alimentare il randagismo. Bisognerebbe limitare lo sconsiderato possesso di animali non sterilizzati, lasciati liberi di vagare e di riprodursi.

Le azioni contro il randagismo non sono mai inserite nei programmi

I politici si lamentano spesso dei costi che il fenomeno genera, ma poi si dimenticano di tradurre le doglianze in provvedimenti. Forse consapevoli del fatto che potrebbero essere impopolari: molti dicono di amare gli animali, ma poi se li si obbligasse a sterilizzare i propri potrebbero salire sulle barricate.

Si sta continuando a non mettere un freno agli allevamenti, alle importazioni di cuccioli, legali e illegali, dai paesi dell’Est. Permettendo che cani e gatti siano in libera vendita nei negozi di animali, tollerando che vengano venduti cuccioli solo apparentemente di razza, senza intervenire quasi mai. Consentendo frodi che producono fiumi di denaro spesso esentasse.

Permettendo che gli animali siano venduti in “saldo” durante il black friday, proprio come fossero smartphone. Dimenticando così che gli acquisti di impulso rappresentano la prima causa degli abbandoni. Non mettendo in atto azioni che stimolino il possesso responsabile.

Senza sterilizzare e limitare il commercio di animali non si combatte il randagismo

Dobbiamo arrivare a stabilire che il possesso di un animale non sia un diritto, spesso privo di reali doveri. Non è possibile continuare a acquistare animali nei negozi senza avere la minima idea di quale siano gli impegni, i doveri e le implicazioni. Bisogna impedire che qualcuno prenda un animale per diletto pensando di poterlo tenere sempre chiuso sul balcone o dentro una gabbia.

Certo queste idee non sono popolari, non incontrano il favore di tantissimi padroni (e mai termine è usato in modo più appropriato), che ritengono di sapere già tutto quel che serve per il benessere dei loro animali. In un rapporto univoco e unilaterale, dove viene considerato spesso solo il vantaggio emotivo provato da chi possiede l’animale.

Quante azioni si potrebbero mettere in atto per tutelare gli animali se venissero abbattuti i costi del randagismo, se si pretendesse un possesso responsabile? Smettendo di affermare che gli animali sono esseri senzienti, per poi trattarli alla stessa stregua di una lavatrice. Ci sarà pure un politico coraggioso che faccia un progetto di legge per la sterilizzazione obbligatoria degli animali di proprietà, per un obbligo di identificazione di tutti gli animali da compagnia, vietando la libera vendita nei negozi. Oppure no?

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