Persuadere sui diritti animali passa dalla capacità di comunicare concetti positivi che costituiscano uno stimolo alla riflessione per chi ascolta.
Senza dover trovare per necessità un nemico, una delle modalità più sbagliate per dare una giustificazione all’aggressività verbale. Insultare e aggredire sono comportamenti che dimostrano la mancanza di argomenti per contrastare, in modo razionale, le azioni che giudichiamo negativamente.
Spesso si ha l’impressione che qualcuno creda che l’insulto abbia un reale potere punitivo nei confronti del responsabile, del nemico di turno.
Leggendo certe affermazioni è impossibile non pensare all’effetto boomerang, cioè a quanto l’insulto lanciato per liberare la rabbia o per avere un momento di affermazione verbale (più urlo, in senso figurato, più mi dimostro coraggioso) si ritorca contro chi l’ha pronunciato e questo sarebbe il minore dei mali.
Il vero rischio è quello di danneggiare organizzazioni e persone che si occupano della difesa dei diritti animali cercando di stimolare attenzioni e riflessioni e che, invece, possono venire confusi e assimilati agli haters, gli odiatori, rendendoli così invisi a una parte dell’opinione pubblica.
L’insulto è liberatorio solo per chi lo lancia ma intossica gli altri
L’ultimo bersaglio che sarà colpito dai cosiddetti effetti collaterali della violenza verbale sarà proprio il soggetto che questi odiatori professionisti e compulsivi dichiarano di voler tutelare: gli animali e l’affermazione dei loro diritti.
Per fare un esempio concreto potremmo andare a cercare sulla rete un po’ di post scritti su un veterinario piemontese, cacciatore, che dopo essere salito alla ribalta delle cronache a causa dei suoi safari in Africa, comparsi qualche mese prima, ha avuto un incidente durante una battuta di caccia sulle Alpi, dove ha trovato la morte.
Su questo incidente mortale è partita una catena infinita di commenti di plauso per il decesso, di insulti postumi (inutili), di festeggiamenti per la ritrovata giustizia. Insomma uno spettacolo triste, che non dovrebbe neanche passare per l’anticamera del cervello di chi vuol difendere i diritti dei deboli e degli oppressi.
Con questo modo di porsi, così scomposto e in fondo altrettanto violento, temo che anche persone che sono sempre state contrarie alla caccia si sentano altrettanto in contrasto con chi, in nome della stessa avversità contro il mondo venatorio, auspica che tutti i cacciatori facciano una brutta fine.
Lanciare anatemi o maledizioni non serve a cambiare il mondo
Muoiano fra atroci sofferenze e possano essere graziati solo grazie alla benevolenza di qualche divinità che potrebbe conceder loro una morte improvvisa e indolore. Le regole della comunicazione insegnano che le persone possono essere persuase più efficacemente spiegando loro i danni che la caccia produce, in Italia e non solo, piuttosto che individuando il nemico di turno per riempirlo di insulti.
Quando mi dissocio da certi comportamenti, quando dico che la riduzione del danno deve essere il primo obbiettivo, poi si potrà lavorare per arrivare a cambiamenti più importanti del comportamento collettivo, spesso vengo osteggiato dall’ala più movimentista del variegato universo dei difensori dei diritti degli animali.
Quelli che vorrebbero che l’unica possibilità fosse un mondo con pari diritti fra uomini e animali, ipotesi affascinante ma allo stato difficilmente raggiungibile.
Un mondo che non si preoccupa della sorte di un buon 50% della popolazione mondiale, che vive in condizioni di povertà e privazione, senza accesso all’acqua pulita, potrà diventare grazie a uno schiocco di dita radicalmente diverso?
Un mondo dove secondo Oxfam 62 persone detengono il 50% della ricchezza mondiale e dove l’1% della popolazione è più ricco del restante 99% potrà avere un senso di equità così sviluppato? Direi di no.
Chi si occupa di diritti degli animali deve forse comprendere come sia più importante non dare argomenti per essere trattati come fanatici da Cruciani alla trasmissione “La zanzara” di Radio 24, piuttosto che far poi presidi sotto l’emittente per protestare contro le stupidaggini che il conduttore dice a proposito dei diritti degli animali.
Certo sentire in radio che se muore un cacciatore qualcuno gioisce perché c’è un assassino in meno in giro non aiuterà l’evoluzione dei diritti degli animali, non li farà avanzare di un solo millimetro.
Temo che questo un po’ lo sappiano molti di quelli che agitano volutamente le acque, diventando protagonisti di una violenza verbale che si auto alimenta all’interno di uno stesso gruppo ideologico. L’esatto contrario del significato del meglio costruire ponti (di comunicazione) che ergere muri (per fare i leader all’interno di perimetro molto ristretto).
Esistono persone, naturalmente in ogni contesto sociale, che hanno fatto della necessità di avere un nemico da combattere una ragione di vita ma anche, più praticamente, una modalità attraverso la quale giustificare le proprie azioni, fingendo che siano fatte per tutelare una causa, un obiettivo, un diritto mentre nella realtà sono soltanto armi di distrazione di massa.
Io credo, forse sbagliando, che l’unico mezzo per tutelare i diritti di chi ne ha meno sia quello di cercare di fornire spunti di riflessione, promuovendo la conoscenza e la crescita culturale.
Bisogna far crescere la curiosità nel voler capire le dinamiche che presiedono determinate scelte. Più importante far comprendere come viene allevato un pollo in un allevamento intensivo piuttosto che cercare di imporre a diventar vegetariani a colpi di dogmi.
Chi conosce sceglie, chi viene obbligato subisce, chi viene aggredito non ascolta alcun ragionamento.
Condivido e sottoscrivo! E’ la qualita’ dei sostenitori delle cause che puo’ influire sulla riuscita piuttosto che la quantita’.