Polli e marketing, le bugie della pubblicità sugli allevamenti intensivi

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Polli e marketing, le bugie della pubblicità alle quali non bisogna credere, come ha dimostrato l’inchiesta di Giulia Innocenzi trasmessa da Report. Scelta per quale occorre sottolineare la correttezza della RAI, che nonostante la Fileni sia un investitore importante, non ha censurato l’inchiesta sull’azienda. Una delle più importanti realtà fra i produttori italiani di polli destinati al consumo, impietosamente messa sotto accusa dalla trasmissione di Sigfrido Ranucci. Chi invece ne esce con le ossa rotte sono purtroppo i polli, ma anche l’azienda e gli organismi di controllo della sanità pubblica.

Il caso di Fileni è solo l’ultimo anello di una lunga catena di abusi che si verificano negli allevamenti intensivi, dove non si parla di singoli episodi di maltrattamento ma di azioni sistematiche. Non episodi di crudeltà costituiti da abusi dei singoli lavoratori, ma decisioni che dipendono dalle catene di comando di queste industrie della carne. Realtà economiche che possono permettersi anche di non rispettare la legge a causa di controlli poco efficaci, di un sistema che tollera anche permanenti carenze strutturali. Ben evidenziate da Report nell’inchiesta che presto diventerà materiale per l’intervento di qualche Procura.

Non bisogna pensare che siano solo i polli o solo Fileni a creare problemi: la realtà sta nel processo produttivo da quando si è trasformato da attività agricola in fabbrica di proteine. Che per definizione deve essere a basso costo, per far fronte a competitor sempre più agguerriti nel dividersi un mercato nel quale la qualità vale commercialmente meno del prezzo, che deve essere basso. Così un pollo da carne impiega per passare da pulcino a spiedino solo 40 giorni, che non possono diventare di più perché i polli non sarebbero più capaci di stare in piedi. La causa? Un petto troppo pesante, molto richiesto dal mercato, che dopo i 40 giorni li farebbe crollare a terra.

Polli e marketing, le bugie della pubblicità, la falsità delle immagini e le operazioni di greenwashing

La pubblicità racconta di polli che vivono come quelli della foto che illustra l’articolo: un falso che non esiste in alcun allevamento intensivo, neppure in quelli bio. Aggravato da una normativa che consente a un produttore di fare pubblicità alla linea bio anche se questa rappresenta una piccola quota della produzione del marchio. In questo modo il consumatore associa quello che, purtroppo, viene considerato solo un prodotto a una bella vita serena, passata all’aria aperta. Una forzatura fatta per nascondere la realtà di sterminati capannoni dove ogni 40 giorni tutti gli animali vengono abbattuti in contemporanea, dopo una vita in condizioni orribili.

Guardando con attenzione le campagne pubblicitarie delle grandi aziende ci si rende conto che il marketing lavora intensamente per modificare la percezione del consumatore. Eliminando gli animali da contesti scomodi, che non li vedano vivere su verdi praterie, per esaltare il solo prodotto. In questo modo il consumatore è portato a farsi meno domande sulla vita dei polli, ma anche sulla qualità di quello che mette sulla tavola. Così, sempre grazie al marketing, finisce che un’azienda come Fileni riesca a diventare sponsor del Jovabeachtour di Lorenzo Cherubini alias Jovanotti. Oggetto di mille critiche dagli ambientalisti anche per questa scelta.

L’azienda Fileni difende il suo operato dicendo che è tutto regolare, fatto secondo normative, senza commettere irregolarità di sorta. Probabilmente la parola fine la scriverà un tribunale, ma a giudicare dall’imbarazzo dimostrato dalle autorità che dovevano controllare sembra proprio che molte cose non andassero per il verso giusto. Le parole hanno sempre un peso, ma le immagini pesano anche di più e sono state viste da milioni di persone. Così, ancora una volta, con l’industria della carne a basso costo finisce alla gogna anche una sanità pubblica che cerca di nascondersi dietro un dito. Quando non sarebbe sufficiente neanche una quinta teatrale a dissimulare uno spettacolo impietoso.

Contro gli allevamenti intensivi i primi a schierarsi sono i cittadini che non li vogliono a casa loro

Secondo la leggenda del mercato i residenti sono grati a chi gli impianta un’industria sotto casa, contribuendo a dare benessere alla comunità. Nella realtà invece le persone si schierano, contestano gli allevamenti, impugnano le autorizzazioni, denunciano le inadempienze, si lamentano per la puzza. Preoccupandosi anche per la loro salute perché secondo gli studi la più probabile nuova pandemia arriverà proprio da una mutazione dell’aviaria. E gli allevamenti intensivi che concentrano centinaia di migliaia di polli, in ambienti angusti, rappresentano il posto ideale per far prosperare i virus.

Jovanotti aveva definito chi lo criticava un eco terrorista, chissà che nel frattempo abbia avuto modo di fare qualche nuova riflessione. Dopo le inchieste di Sabrina Giannini per Indovina chi viene a cena, trasmissione messa in onda sempre dalla RAI, che si è battuta per denunciare quanto poco ecologico fosse il tour. Dopo la trasmissione di Report che ha dato un’immagine non proprio rassicurante del buono e bio! Del resto che un allevamento intensivo stia all’ambiente come Attila alla pace nel mondo è cosa nota. Che però ancora oggi qualcuno cerca di nascondere sotto un tappeto sempre più piccolo.

Difendere i diritti degli animali significa, anche, difendere i diritti dell’uomo perché se non si cambia il paradigma alimentare basato sulle proteine animali non se ne esce. Questa non è più, da tempo, un’esagerazione dei cosiddetti animalisti ma una preoccupazione, oramai diventa un vero e proprio allarme, dell’intero mondo scientifico. Specie quando non messo sotto contratto dalle aziende che ogni anno nel mondo allevano 25 miliardi di polli, tanto per dare un’idea del business.

Danno ambientale e sofferenza animale non spaventano il governo

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Danno ambientale e sofferenza animale sembrano essere secondari per il ministro Francesco Lollobrigida, anzi quasi del tutto inesistenti. Rispetto ai pericoli derivanti dagli alimenti sintetici, a dire del titolare del nuovo dicastero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Che dopo l’infelice uscita sui predatori, come orsi e lupi, ha rinfocolato le polemiche con un’altra dichiarazione a effetto. Affermando che non ci sarà il via libera a nessun cibo sintetico, fino a che ci sarà questo governo.

Poi si scopre che di sintetico c’è solo la brutta sintesi fatta dal ministro, che decisamente confonde il significato del termine, calcolando che il riferimento è al latte (umano) che si sta riproducendo in laboratorio. Ma la coltivazione delle cellule non ha proprio nulla di sintetico, come spiega la Treccani venendo come sempre in soccorso della nostra lingua italiana. Bellissima ma dannatamente vituperata.

Sintetico: In chimica, di sostanza ottenuta per sintesi, non proveniente dall’elaborazione di organismi animali o vegetali (talora sinon. di artificiale): gomma s., resine s.; materiali s., ecc. Fibre s., in senso lato, tutte quelle preparate dall’uomo e, in senso più stretto, solo quelle ottenute con processi di polimerizzazione o di policondensazione di sostanze semplici, provenienti da materie prime quali frazioni petrolifere, gas naturale, carbon fossile, mentre si dicono artificiali quelle ottenute dalla trasformazione di prodotti polimerici naturali (cellulosa, proteine, ecc.).

Fonte: Dizionario Treccani

Danno ambientale e sofferenza animale non sono né sintetici, né artificiali e rappresentano un pericolo per la salute

La dichiarazione fatta dal ministro in un question time al Senato ha velocemente fatto il giro delle agenzie di stampa, che ne hanno dato grande rilevo. Lasciando a bocca spalancata molte persone impegnate nella tutela ambientale e nella difesa dei diritti degli animali, che appare chiaro non rientrano nelle priorità di questo esecutivo. Che ritiene evidentemente più pericolosa la coltivazione di cellule per creare cibo, rispetto ai danni prodotti dagli allevamenti di animali, che non solo inquinano il mondo, ma mettono in pericolo la salute umana. Dimenticando che una parte dei cibi che oggi rappresentano un’alternativa alle proteine animali sono di origine vegetale.

Nella difesa dell’agricoltura a tutto tondo, che rappresenta un bacino importante di consensi per l’attuale governo, il ministro pare aver dimenticato, oltre alle emissioni climalteranti degli allevamenti, anche tutto il resto. Dal consumo eccessivo di acqua alla deforestazione, dalla trasformazione di proteine vegetali in alimenti per gli animali d’allevamento, sottraendole all’alimentazione degli esseri umani. E se le preoccupazioni sono per i potenziali danni alla salute umana conviene che non dimentichi pesticidi, erbicidi, fertilizzanti e tutto il campionario di sostanze, sintetiche e pericolose, che finiscono nei nostri piatti.

Difficile vedere in questa difesa corporativa a tutto tondo qualcosa che vada nella giusta direzione, che dovrebbe avere il duplice obiettivo di non inquinare e di dare cibo a 8 miliardi di esseri umani. Se il mondo occidentale continuerà ad affamare il resto del pianeta, senza preoccuparsi davvero del clima, lo costringerà a intraprendere, più prima che poi, la più grande e spaventosa ondata migratoria della storia umana. Un fatto che preoccupa da tempo le Nazioni Unite, ma che non scalfisce la fiducia incrollabile nell’agricoltura italiana di Lollobrigida.

La tutela ambientale e la riduzione della nostra impronta ecologica sembrano venire dopo alle questioni economiche

Nascondere la rilevanza del problema ambientale, che appare sempre molto sfumato nei discorsi governativi, non rassicura affatto. Se la questione economica è fondamentale nel breve termine quella ambientale sarà mortale nel medio termine. Senza possibilità di ritorno, una volta che si supereranno le Colonne d’Ercole costituite da un innalzamento eccessivo della temperatura. Lasciando così molti italiani increduli nel dover valutare importanza e competenza, pericoli e convenienza.

La priorità di questo paese non è la rottamazione delle cartelle esattoriali o l’innalzamento al tetto del contante. La priorità è quella di smetterla di baloccarsi con i tatticismi politici e di imboccare la via della tutela ecologica. Senza provvedimenti assurdi come il cercare di trovare consenso grazie alle autarchiche trivellazioni. Che probabilmente potranno produrre risultati solo quando l’estrazione del gas sarà del tutto inutile e inopportuna. Come non è certamente una priorità il ponte sullo Stretto, che andrebbe a insistere su un’area ad elevata sismicità e di grande importanza ecologica. Senza portare vantaggi ai siciliani, che si dovranno sempre confrontare con le scarse infrastrutture.

Ministro Lollobrigida dia una speranza a questo paese, cerchi di impegnarsi per rendere l’agricoltura sempre più sostenibile, incentivando il consumo delle proteine vegetali e non la loro conversione, sfavorevole, in proteine animali. Riduca il carico degli inquinanti, vieti l’uso degli antibiotici distribuiti a pioggia in zootecnia, contribuisca a valorizzare scelte forse impopolari ma sicuramente indispensabili. Diversamente il problema non sarà quello di fermare lo sbarco dei migranti, ma la responsabilità morale e politica di non aver saputo impedire le motivazioni che li fanno salire sui barconi.

Animali e diritti: le telecamere entrano nei macelli in Spagna, ma restano molte le contraddizioni, proprio come in Italia

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Animali e diritti: telecamere nei macelli obbligatorie in Spagna, che sarà così il primo paese dell’Unione Europea a dotarsi di questo strumento di controllo. Sono diversi anni che in tutta Europa e anche in Italia viene chiesta questa misura di sorveglianza nei macelli. Senza riuscire a ottenere che le molte promesse fatte dalla politica si traducessero in realtà. Il provvedimento varato dal governo spagnolo prevede, finalmente, che le telecamere siano obbligatorie per tutti i macelli, anche i più piccoli e persino in quelli mobili.

Le telecamere dovranno essere installate in ogni luogo ove vi sia presenza di animali vivi, sia per evitare maltrattamenti aggiuntivi che per monitorare i tempi di attesa. Per norma europea gli animali devono essere macellati nel minor tempo possibile. Evitando che una lunga permanenza nelle strutture dei macelli possa essere causa di ulteriori sofferenze. Questo provvedimento costituisce un passo avanti, anche se sottrae sofferenza ma non può risolvere i molti problemi dell’allevamento.

Il traguardo resta sempre quello di poterci liberare dalla dipendenza dalle proteine animali, anche grazie all’arrivo sul mercato della carne coltivata. Un passaggio quest’ultimo che sarà davvero epocale, nel momento che sarà possibile arrivare alla completa sostituzione della carne derivante dall’uccisione di animali. Nel frattempo ogni azione che porti a una riduzione delle sofferenze degli animali negli allevamenti e in tutte le fasi della produzione deve essere comunque accolta con grande soddisfazione. Come la drastica diminuzione dei consumi, per qualsiasi ragione avvenga.

Animali e diritti: con le telecamere nei macelli la Spagna compie un balzo in avanti, ma restano corride e feste religiose

Mentre da una parte la Spagna ha compiuto un grande balzo in avanti, per eliminare inutili sofferenze nei macelli, dall’altra resta al palo sui maltrattamenti agli animali. Dimostrando che una parte del paese è nel futuro, mentre un’altra è ancora ferma a riti medioevali, con feste simili a sacrifici pagani e con la corrida. Un paese con una sensibilità e un’attenzione ai diritti degli animali che marcia a corrente alternata: stessi animali, diritti diversi. Si tutelano quelli destinati al macello e si torturano, con maltrattamenti atroci, le stesse specie nel corso di manifestazioni popolari e feste religiose.

Contraddizioni che appaiono per noi inconcepibili, per la violenza che è insita in manifestazioni come quelle del Toro de la Vega o nelle corride. L’Italia pur essendo ancora molto indietro nell’assicurare una tutela degli animali, spesso anche a causa di inerzie politiche e scarsi controlli, ha infatti da tempo previsto come reato moltissime forme di violenza agite nei confronti degli animali. Certo restano ancora consentite manifestazioni equestri come il Palio di Siena, sempre più contestato, o i circhi, ma la violenza gratuita sugli animali, seppur poco perseguita, è legalmente vietata.

Altro tasto dolente sono le attività come allevamenti, trasporti di animali vivi e macelli dove si dovrebbe fare molto di più, ma quando ci sono in ballo interessi economici le cose cambiano. Nonostante gravissimi fatti di cronaca, basati su inchieste che continuano a svelare reati e maltrattamenti compiuti a danno degli animali. Queste situazioni non sono considerate lecite, semplicemente vengono troppo spesso coperte con omissioni o favoreggiamenti. Situazione ben diversa è quella che accade in Spagna durante le feste religiose dove torturare gli animali è un comportamento considerato normale, giustificabile.

La politica italiana promette di migliorare le condizioni di vita degli animali e di far crescere i loro diritti: solo promesse elettorali?

Probabilmente le promesse, come sempre accade, hanno un elevato tasso di probabilità di restare tali. Animali e clima sono bandiere troppo spesso agitate per raccogliere voti, contando sul fatto che molti amanti degli animali siano, purtroppo, più emotivi che riflessivi. Credendo spesso a chi le promette più grosse, dimenticandosi poi di lavorare davvero per trasformare le promesse in risultati concreti. Così si spacciano disegni di legge come conquiste, ordini del giorno presentati nell’uno o nell’altro ramo del parlamento come vittorie storiche. E nulla cambia mai per davvero, perché in effetti gli animalisti hanno la memoria corta.

Una spiegazione più che plausibile di questo comportamento l’ha data Giorgio Parisi, premio Nobel per la fisica nel 2021, parlando di mancati provvedimenti sul clima. Illustrando in una lunga intervista a Repubblica, con concetti semplici, la pochezza della nostra classe politica.

I politici sempre più spesso hanno uno orizzonte di pochi anni, quelli del loro mandato, non intraprendono azioni di lungo termine i cui risultati rischiano di essere inutili per la rielezione. E il clima è uno degli argomenti che ha pagato questa scarsa lungimiranza politica. Però è vero anche che finora gli elettori non si sono fatti molto sentire. Hanno votato anche loro in base ai propri interessi di breve periodo. Dunque la responsabilità è sia dei politici che degli elettori: se questi ultimi non fanno in modo che sia conveniente per i partiti fare una politica climatica, i politici non la attueranno certo in modo spontaneo”.

Elettori e eletti sono quindi corresponsabili sui mancati provvedimenti?

Occorre davvero dividere in modo equanime le responsabilità fra politici e elettori? La risposta non può che essere affermativa, visto che sono proprio gli elettori che hanno fatto avanzare una classe politica spesso incolta, becera e populista. Proprio come accade per i bambini, i politici nel corso di questi decenni hanno continuato a alzare l’asticella delle promesse vuote e non hanno quasi mai dovuto pagarne la colpa. I bambini ai quali si consente troppo diventano maleducati mentre i politici diventano arroganti e fanfaroni. Dimostrando in più una parallela crescita del loro ego e della capacità di banalizzare questioni complesse. Il risultato è di fronte agli occhi di tutti, almeno di chi li tiene aperti.

Siamo noi cittadini che abbiamo consentito alla politica di esprimere il peggio, smettendo di esercitare il controllo sulla delega data. Pensando che se il paese va verso lo sfascio, culturale e economico, sia molto meglio barricarsi nel salotto di casa propria, magari agitandosi soltanto sui social. Una deriva che colpisce duro in Italia e che spesso ha contagiato non solo i partiti ma anche i corpi intermedi. Che sono passati dall’essere un utile stimolo a cercare di inseguire proprio chi dovrebbe essere in grado di rappresentare i cittadini.

Eppure è noto che una società migliore è creata dal livello culturale e dall’educazione civile dei suoi componenti. Per questo lo stimolo a questo processo di crescita, in tema di tutela ambientale e crescita dei diritti animali, dovrebbe essere il primo obiettivo di tutte le realtà sociali che si occupano di operare in questi settori. Invece l’impressione è che, anziché promuovere la crescita culturale che spesso non è compito popolare, sia privilegiata l’attività di raccogliere consensi, di guadagnare visibilità. Un po’ come ha recentemente dimostrato l’improbabile legame fra il WWF e il Jova Beach Party.

Vacche e guerra in Ucraina: gli allevatori minacciano di abbattere gli animali per i rincari, un paradosso informativo

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Vacche e guerra in Ucraina, gli allevatori minacciano di dover abbattere gli animali a causa dei rincari e della mancanza di forniture di mangimi. Una notizia che rimbalza fra i vari TG, dimenticando di sottolineare che negli allevamenti intensivi gli animali hanno sempre vita corta e sofferta. Considerando che non hanno pascolo, vivono in capannoni, sul cemento e sono alimentati quasi sempre con derivati del mais, che oramai provengono in gran parte dai paesi dell’Est Europa. In particolare proprio dall’Ucraina, ma anche dall’Ungheria e da molti altri Stati.

Un falso problema quello della macellazione di animali che comunque sono destinati a quello, dopo essere sfruttati negli allevamenti intensivi. Occorre spostare il focus sui modelli di produzione che sono incompatibili con il benessere animale e anche con quello umano, considerando tutti i vari aspetti. La guerra, oltre a sbatterci in faccia con la cruda realtà dei fatti di cosa siamo capaci, scoperchia anche molti vasi di Pandora che abbiamo fatto finta di non vedere. Cercando di tenerli serrati per non rendere palese che la globalizzazione sarebbe stata un vantaggio per pochi e un problema per molti.

Ora che le guerre non sono più lontane, in aree economicamente marginali oppure molto lontane, il nostro sistema scopre e rivela tutte le sue fragilità. Che non riguardano solo l’agricoltura e gli allevamenti ma l’intero sistema economico che abbiamo creato. Basato non sulla sostenibilità ma sul profitto: non conta quanto costa in termini ambientali ma quanto è il risparmio sotto il profilo economico nell’immediato. Grazie a questo meccanismo sono nate filiere impensabili, capaci di far viaggiare animali vivi per mezza Europa, sballottandoli senza necessità sui camion in ogni stagione. Alimentandoli non con l’erba, motivo per cui sono universalmente conosciuti come erbivori, ma con il mais, ucraino e non.

Vacche, guerra in Ucraina e allevatori: il momento di ripensare le filiere in un mondo che non sarà mai più lo stesso

Questa guerra ha segnato un punto di non ritorno, ha messo a nudo una serie di scelte sbagliate, sia sotto il profilo economico ed energetico che ambientale. Ha evidenziato come la globalizzazione abbia reso molto più vulnerabili le economie. Che dipendono da forniture che arrivano anche da paesi molto lontani con costi energetici e ambientali inaccettabili. Sperando che questo conflitto termini e che lo faccia nel minor tempo possibile occorrerà poi riflettere sulla fragilità delle nostre certezze.

Bisognerebbe avere, almeno, la capacità di sfruttare questo disastro per creare condizioni di vita diverse, più rispettose sotto il profilo ambientale, più lungimiranti per le necessità energetiche e più eque sotto il profilo sociale. Abbiamo dovuto constatare, in modo ruvido, come pochi giorni di guerra In Europa facciano traballare le economie, che si sono rivelate più fragili del previsto. In una manciata di ore si è arrestata la ripresa dopo la pandemia, si sono bruciati ingenti capitali in borsa e già si dice che non ci saranno risorse sufficienti per rendere effettiva la transizione ecologica.

Questa guerra rischia di essere un disastro umanitario che non colpisce solo le parti in conflitto ma l’intero pianeta. Non solo per i rischi di un allargamento del conflitto, ma per i ritardi che sarà capace di imprimere sulla lotta ai cambiamenti climatici, già temporalmente in grande ritardo. Bisogna impedire che conflitto e crisi umanitaria possano diventare il paravento dietro il quale nascondere la mancata attuazione delle misure di contrasto ai cambiamenti climatici.

La guerra in Ucraina ci ha dimostrato l’affetto profondo che ci lega ai nostri animali, anche in situazioni terribili come questa

Colpisce vedere persone che hanno perso tutto, che si sono dovute allontanare dalle famiglie e dalle case, affrontando viaggi incredibili, attraverso un paese distrutto, eppure con i loro animali al seguito. Qualsiasi cosa pur di non abbandonarli e così treni, pullman e rifugi hanno sempre qualche ospite a quattro zampe. Una presenza che rassicura, un affetto che non chiede e non giudica, c’è e basta. Come sempre succede nei rapporti con gli animali.

Persone che arrivano ai confini dell’Europa, quella che al momento almeno è zona sicura, e trovano associazioni che si occupano anche di animali. In Romania Save The Dogs, si è attivata immediatamente per cercare di dare aiuto ai profughi con animali e non solo. Chi si occupa di animali, infatti, non è mai insensibile alle sorti degli uomini, alle loro tragedie. Chi conosce il dolore di esseri senzienti diversi da noi, non può restare indifferente di fronte ai patimenti dei suoi simili.

In questo momento nel paese invaso manca di tutto, per gli uomini e per gli animali. Per questo è importante aiutare, ma occorre sempre fare attenzione a chi donare fondi. Bisogna scegliere organizzazioni serie, che facciano quello che promettono. Diversamente il rischio è quello di disperdere risorse importanti, in un momento davvero difficile.

Oche e Foie Gras: l’alimentazione forzata è compatibile con il benessere animale secondo il Parlamento Europeo

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Oche e Foie Gras: secondo il parlamento europeo l’alimentazione forzata delle oche è compatibile con il benessere degli animali. Con questa decisione l’assemblea plenaria ha contraddetto gli stessi valori espressi in precedenti votazioni, chiedendo l’uniformità della legislazione. Una volta tanto l’Italia ha posizioni più avanzate di quelle comunitarie, avendo vietato da tempo questa pratica, pur senza vietare la commercializzazione del prodotto.

Ritenere che l’alimentazione forzata di un animale possa in qualche modo essere compatibile con il suo benessere è un’alterazione della realtà incapace di trovare spiegazione. Una pratica crudele che si può equiparare, senza paura di poter essere smentiti, alla tortura. Una condizione di allevamento contraria a ogni possibile declinazione del termine “benessere”, considerando altresì che lo scopo di questa pratica è quella di provocare una malattia. Il fegato di oche e anatre, costretto a un superlavoro, finisce per ingrossarsi e diventare steatosico, pieno di grasso.

Stiamo assistendo a una deriva pericolosa sui diritti minimi che dobbiamo riconoscere agli animali, dove le affermazioni di principio non trovano riscontro nella realtà delle pratiche consentite. Soltanto poter ritenere che l’ingozzamento sia attività che non alteri il benessere psicofisico di un animale rappresenta un’alterazione della realtà e delle conoscenze. Un’affermazione così grave da far destare più di una preoccupazione. Una decisione che manda nel dimenticatoio, oltre alle più banali conoscenze di etologia, anche le 5 libertà minime che dovrebbero essere assicurate negli allevamenti.

Oche e foie gras stanno al benessere animale quanto un macello sta alla difesa della vita

La produzione di una preparazione alimentare, destinata peraltro a una nicchia di consumatori disponibili a pagare a caro prezzo la sofferenza di un animale, non può essere il presupposto per una giustificazione. Si tratta di accontentare un capriccio a scapito di continue sofferenze e maltrattamenti che dovranno essere subiti da anatre e oche. In contraddizione con quelle azioni minime di tutela che sono accordate alle specie animali che non finiscono nei piatti delle persone.

Pare evidente che questa contraddizione abbia superato ogni limite di coerenza, di rispetto e anche di buon senso. Dimostrando che il Parlamento Europeo non ha alcuna conoscenza su cosa significhi la reale declinazione del benessere animale. Avvicinando un concetto eticamente e etologicamente rilevante alla difesa d’ufficio di una pratica che rappresenta soltanto un’inaccettabile tortura. Non c’è benessere nella vita degli animali obbligati a subire azioni lesive, senza poter condurre una vita che riconosca i diritti minimi di poter mettere in atto i comportamenti naturali.

Se questa decisione non sarà modificata rappresenterà una ferita, inguaribile, inferta al rispetto che è dovuto agli animali. Senza poter essere difesa in alcun modo considerato che non si tratta di un comportamento necessario, ma della banale soddisfazione. Ora la speranza è che almeno l’Italia mantenga la barra dritta e continui a vietare l’alimentazione forzata degli animali per produrre il foie gras.

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