Juan Carrito torna a Roccaraso, dopo 18 giorni dalla sua traslocazione sul massiccio della Majella

Juan Carrito torna Roccaraso
Foto Parco Nazionale della Majella

Juan Carrito torna a Roccaraso, lasciando i boschi in cui aveva passato buona parte dei giorni trascorsi in montagna dopo la sua traslocazione. Una possibilità che tutti temevano, una realtà che era vista come molto probabile. Dopo aver passato alcuni giorni in montagna, comportandosi da orso e nutrendosi del cibo a disposizione e non dei rifiuti, Carrito ha ripreso la strada di Roccaraso. Troppo forte il condizionamento subito, che ora gli esperti stanno valutando se sia possibile far regredire.

Ora più che mai sul futuro di questo giovane orso si addensano nubi nere, foriere di una captivazione che potrebbe diventare permanente. L’orso, con il suo comportamento indotto, sta galoppando dall’essere un animale confidente verso il diventare un orso problematico. Che non riesce a stare lontano dagli ambienti urbani, che si sono dimostrati un irrinunciabile fast food. Ma un orso, anche se di indole pacifica, resta sempre un orso e non può convivere con gli uomini all’interno di un centro abitato.

Ora si prevede una nuova cattura, con la quarta sedazione in pochi mesi, e il suo ricovero probabilmente presso il centro di Palena. Una struttura del Parco della Majella dove era stato già ospitato prima dell’ultimo trasferimento in montagna. Con lo scopo di essere sottoposto a un programma di rieducazione, che sembrava essere già stato messo in atto, prima della smentita dell’ente parco. Un percorso difficile, ruvido e pieno di incognite.

Juan Carrito torna a Roccaraso e questo rappresenta la conferma della potenza del condizionamento da rifiuti

In Trentino un orso come Carrito sarebbe già stato catturato o abbattuto, mentre in Abruzzo stanno facendo più del possibile per un futuro diverso. Ma è evidente che la buona volontà non è sempre sufficiente per ottenere il risultato sperato. Specie quando parliamo di animali intelligenti, con un comportamento alterato da una lunga teoria di errori commessi dagli uomini. Qualcuno potrebbe pensare che non si possa impiegare così tanto tempo e risorse per risolvere un problema che riguarda un solo orso. Una chiave di lettura sbagliata.

Gli orsi marsicani appartengono a una sottospecie, un unicum endemico di questa zona e per questo importantissimo. La popolazione è composta da un numero basso di esemplari, che per ragioni etologiche, faticano a disperdersi sul territorio. Per questo il rischio che questa sottospecie possa scomparire, scendendo sotto il numero minimo di esemplari, è più che concreto. Una ragione per la quale non è possibile pensare di poter rinunciare anche a un solo orso.

Una situazione che avrebbe dovuto portare a comportamenti più responsabili delle istituzioni e degli stessi cittadini e turisti. Invece nonostante i tavoli in in Prefettura e le continue sollecitazioni dei Parchi coinvolti nella tutela dei marsicani, troppe questioni sono rimaste senza risposta. La prima e la più importante resta sempre quella della messa in sicurezza dei rifiuti. Una carenza di troppe amministrazioni comunali che non hanno voluto investire su questo con progetti e risorse. Dal Trentino all’Abruzzo corre un filo rosso di inadempienze e sottovalutazioni che hanno causato problemi seri. Non solo agli orsi ma a tutte le specie selvatiche.

Juan Carrito dovrebbe diventare il simbolo che riunisce tutti gli errori commessi dagli uomini

Il ritorno di Carrito a Roccaraso è il risultato di un cocktail di ingredienti avvelenati, che nemmeno gli sforzi dei due Parchi nazionali coinvolti sono riusciti a mitigare. Eppure l’impegno profuso è stato davvero molto, ma non è bastato a scongiurare il peggio. I parchi non hanno potere impositivo sulle amministrazioni, hanno bisogno di avere la loro collaborazione e questa è mancata. Possono invece porre divieti e limitazioni nelle aree che amministrano per residenti e turisti, ma non possono mettere un Guardia Parco a ogni svolta di strada.

La voglia di natura mai come in questi anni ha portato i turisti a rifugiarsi nelle aree protette, ma questa pressione non porta sempre risultati positivi. Aiuta l’economia del territorio ma conduce anche a eccessi, a ricerche di facili guadagni, cercando di attirare gli animali selvatici per farli vedere, fotografare. Senza porsi troppe domande, senza saper prevedere i danni che da questi comportamenti potevano derivare. Ora molti sono in pena per la sorte di Juan Carrito, ma se non impariamo a rispettare prescrizioni e divieti questa storia purtroppo si ripeterà.

Con la bella stagione le invasioni del territorio degli animali selvatici saranno all’ordine del giorno. Troppe persone non rispettano l’obbligo di restare sui sentieri, di non lasciare in giro rifiuti, di non alimentare gli animali selvatici. Anche prescrizioni banali, come quelle di tenere i cani al guinzaglio, sono viste con fastidio perché per troppi andare a camminare nei boschi significa di poter godere di tutte le libertà. Senza i vincoli imposti dalla città. Un errore che causa danni enormi e che può essere evitato solo se si è educati a rispettare la natura che ci ospita.

Cinghiali a Roma, non votano ma sono al centro dello scontro elettorale

cinghiali a Roma

Cinghiali a Roma che scorrazzano per le strade della capitale, con un piccolo branco molto disciplinato che irrompe nella campagna elettorale. Volendo metterla sul ridicolo si potrebbe dire che abbiamo dei problemi da porci, con candidati che dovrebbero avere soluzioni da sottoporci. Purtroppo la questione dei cinghiali in città inizia con video che diventano virali, ma finisce con fucilate che sono sempre letali. Come se non ci fosse soluzione a un problema davvero annoso.

Un problema che non si può risolvere a fucilate, perché questo sistema è molto facile, veloce e crudele, ma comunque non è risolutivo. Certo Roma o Torino non sono Calcutta, dove le vacche sacre vagano senza problemi, ma bisogna fare considerazioni più articolate. Considerando che sono decenni che gestiamo la problematica solo con i fucili, ma nulla si risolve. Di chi è la colpa? La responsabilità principale è dei cacciatori, che hanno introdotto cinghiali balcanici anni fa, più grandi e più prolifici.

Ma non sarebbe giusto dire che la colpa sia solo loro. Una responsabilità rilevante ce l’hanno gli amministratori delle città, che no riescono ad avere una gestione corretta dei rifiuti. Che per noi sono solo scarti, ma che per i cinghiali, e non solo per loro, rappresentano una fonte di cibo varia e di facile reperibilità. Non ultimi ci sono i cittadini, che confondono i cinghiali con i tre porcellini, di disneyana memoria, alimentandoli talvolta nelle aree urbane e suburbane. Pratica vietata, ma anche molto usata anche nel mondo venatorio per tenere i cinghiali “in zona” in attesa di potergli sparare.

Cinghiali a Roma, ma anche in altre città e la causa è sempre la stessa: disponibilità di cibo

La storia dei cinghiali a Roma è un evento abbastanza recente, mentre non lo è l’annosa vicenda della gestione dei rifiuti nella capitale. Una questione che avvelena i romani e che dura da decenni, causata da amministratori che hanno fatto i loro porci comodi, richiamando i suini veri. Il risultato, incredibile, è che per cercare di risolvere il problema si sono continuate a percorrere le stesse strade. Per rifiuti l’esportazione in regioni vicine ma anche all’estero, per evitare che la città si trasformi in una discarica a cielo aperto, per i cinghiali un colpo di fucile.

Dopo un tempo lunghissimo appare evidente che entrambe le soluzioni siano fallimentari. Quando i problemi si ripetono con una sequenzialità matematica occorre pensare a qualcosa di diverso, per risolverli. Sapendo che le discariche sono un disastro, sotto il profilo ambientale, e che i cinghiali più vengono abbattuti e più si alza il loro tasso riproduttivo. Su questi argomenti, che in particolare a Roma stanno condizionando la campagna elettorale i candidati balbettano soluzioni senza averle. E la sindaca Raggi denuncia la regione per la mancata gestione degli animali.

Le scene di degrado che riempiono e hanno riempito giornali e telegiornali non sono una colpa dei cinghiali. Se i cassonetti non vengono svuotati i cittadini depositano i rifiuti in giro, talvolta gli danno fuoco, creando problemi di sicurezza e sanità pubblica ben più seri. E i candidati a sindaco di Roma non sanno bene che pesci prendere, come si capisce leggendo l’articolo pubblicato sul Sole 24ore. Quel che è certo è a tutti appare comodo poter deviare il focus della problematica dalla pessima gestione dei rifiuti ai cinghiali. Che diventano un facile capro espiatorio.

Abbattere l’orso M62 è una scelta che sigilla il fallimento doloso di un progetto pagato dalla collettività

Abbattere l'orso M62

Abbattere l’orso M62, un fatto che pare ineluttabile, pone il sigillo dell’amministrazione trentina sul fallimento del progetto di reintroduzione degli orsi. Forse non sotto il profilo della conservazione della specie, considerando che la popolazione ha avuto un incremento, ma sulla gestione complessiva. Sulla totale assenza di misure preventive per ridurre i conflitti e sull’informazione ai residenti per costruire consenso, anziché stendere praterie d’odio.

Cani falchi tigri e trafficanti

Per fare una valutazione serena del fallimento occorre separare i diversi piani che lo compongono, cercando di non cadere nella trappola emotiva della simpatia. Sicuramente in questa vicenda è difficile non sentirsi accanto all’orso, a tutti gli orsi, privati del loro territorio, costretti in un grande recinto dal quale faticano a uscire. Vessati da amministrazioni che prima li hanno voluti e poi li hanno usati come strumento politico per ottenere consensi. Ma se il ragionamento seguisse questa strada potrebbe essere facilmente etichettato come sentimentalismo o animalismo estremo.

Nella storia di questo progetto se qualcuno ha cavalcato l’emozione non sono stati certo gli animalisti, ma quelli che hanno usato l’argomento orsi, e predatori in generale, per fomentare la popolazione. Suonando la grancassa dell’allarmismo, del populismo più becero che vuole il Trentino dei trentini e chiama alle armi contro le scelte nazionali. Inventando pericoli inesistenti, ben prima che si manifestino e diventino reali. Un piano di comunicazione ben strutturato e pensato per raccogliere voti, per nascondere sotto il tappeto le inefficienze.

Abbattere l’orso M62 metterà la pietra tombale sulla convivenza, agitando lo spettro di pericoli imminenti

Il Trentino non è una terra emersa di recente, che ha cambiato panorama e orografia del territorio. Il Trentino è da sempre terra molto antropizzata, con un’agricoltura che ha coltivato ogni spazio coltivabile a mele e vigneti, con uno sviluppo turistico che ha fatto costruire piste da sci su ogni crinale. Con infrastrutture che hanno tracciato sul territorio un reticolo di ostacoli insormontabili per gli animali, limitandone gli spostamenti e mettendo in pericolo anche la circolazione stradale.

Per non parlare della caccia, che viene vista come un’attività immodificabile e intoccabile. Ma anche per l’allevamento negli alpeggi, da troppo tempo lasciati incustoditi per contenere i costi e aumentare i guadagni. Un’agricoltura drogata dalle sovvenzioni europee, senza le quali sarebbe più che in ginocchio. Altro che lupi, altro che orsi. In questo racconto, che ritengo obiettivo e difficilmente contestabile, si introduce il LIFE che ha portato a reintrodurre dalla vicina Slovenia gli orsi.

Non voglio far credere di essere un esperto, cerco solo di seguire un filo conduttore neutro, fatto di osservazioni e ripulito dall’emotività. Gli orsi sloveni non erano destinati a fare del Trentino un santuario per gli orsi, ma dovevano ripopolare il territorio centro orientale dell’ arco alpino. Questo fatto è accaduto? No! La motivazione pare essere nel comportamento dei plantigradi, che specie per quanto riguarda le femmine sono poco inclini a spostarsi sul territorio. Un comportamento denominato “filopatria”, cioè la tendenza a restare nei territori dove sono nate.

I lupi attraversano l’intero stivale e colonizzano sempre nuovi territori, ma gli orsi non lo fanno

Se guardiamo il comportamento e la capacità di dispersione dei lupi e lo mettiamo in relazione con quello degli orsi, siamo facilmente in grado di capire la differenza. I primi sono partiti per la riconquista dalle terre centro meridionali, dove si erano acquartierati per superare le persecuzioni, arrivando alle Alpi per poi collegarsi con le popolazioni francesi. Gli orsi non hanno raggiunto il Trentino dalla Slovenia. Ce li abbiamo dovuti mettere, trasportandoli. Eppure si trovavano a un tiro di schioppo, e mai paragone fu più appropriato, purtroppo.

A questo fatto, noto, bisogna aggiungere che per le ragioni espresse in precedenza, il territorio del Trentino rappresenta per gli animali una trappola da cui è difficile uscire, in assenza dei corridoi faunistici. Complicando gli spostamenti dei selvatici: una carenza che rappresenta un problema e non agevola la mobilità, non solo delle femmine di orso già poco inclini ai viaggi. E già questo è il primo punto fallimentare sotto il profilo dell’efficacia del progetto.

Gli orsi, voluti prima ma osteggiati quasi subito, gettano scompiglio fra gli allevatori, abituati a lasciare gli animali nelle malghe incustodite. Senza protezioni adeguate, senza recinti elettrici che siano effettivamente in grado di difendere gli animali dai predatori. Ma la politica non vuole dire agli allevatori che i tempi sono cambiati, che per l’equilibrio naturale bisogna convivere e condividere. Gli amministratori cavalcano la protesta e così gli originari padroni del territorio vanno limitati, imprigionati, abbattuti.

Costa meno fatica fomentare l’odio che progettare la convivenza

Non solo la realtà del periodo e la necessità di ricreare un equilibrio vien rifiutata, ma anche i rifiuti vengono lasciati alla mercé della fauna selvatica, orsi compresi. E sono proprio i rifiuti la causa della classificazione dell’orso M62 come problematico. La mancanza dei cassonetti per la raccolta dei rifiuti, studiati e testati per non essere accessibili agli orsi, rappresenta per i plantigradi un’attrattiva molto forte. Come già successo con il fratello di M62, l’orso M57 tuttora detenuto a Casteller per aver avuto una scaramuccia con un umano, proprio vicino ai cassonetti dei rifiti.

Solo in queste settimane la PAT sta tentando di nascondere vent’anni di ritardi, mettendo nuovi contenitori, spesso nemmeno idonei a impedire l’accesso degli orsi ai rifiuti. Quindi se un orso si avvicina troppo ai centri urbani per questo motivo ritengo che dovrebbero essere classificati come problematici solo gli amministratori che hanno causato il problema.

Colposamente hanno agevolato comportamenti indesiderati, al pari degli allevatori che lasciano gli animali incustoditi. Per coprire ritardi e inefficienze, ma anche per evitare critiche sulle condizioni di cattività degli orsi, si decide che sia meglio abbattere quelli problematici. Una scorciatoia, che prevede la scelta di affrontare le critiche che esploderanno ma che, complice anche l’estate, dureranno probabilmente meno di quelle causate dalla carcerazione. Dire cosa sia meglio effettivamente per gli orsi, fra morte e prigionia a vita, è davvero difficile. Sicuramente la scelta migliore sarebbe lasciarli nei boschi.

Quale futuro per la pacifica coesistenza fra uomini e animali

Quando si è deciso di abbattere l’orso M62 è stato sancito il fallimento della convivenza, della possibilità di creare le condizioni per tutelare umani e animali nel loro insieme. Secondo una visione olistica della gestione ambientale e faunistica. Un danno che potrebbe essere irreparabile. Causato non dagli orsi ma da amministratori incapaci di assolvere ai loro compiti. Che seppur con diverse appartenenze politiche hanno mantenuto comportamenti ricchi di analogie.

Difficile poter prevedere cosa succederà dopo quest’ultima decisione, difficile anche credere che ci saranno prese di posizione a livello nazionale. Forse sarà brutto pensare che un orso conti poco rispetto al governo, di cui la Lega è parte, ma bisogna anche guardare la realtà delle cose. In politica nulla avviene per caso e non sarà certo Matteo Salvini a fare pressioni su Fugatti perché si fermi.

La coesistenza tanto sbandierata, la necessità di seguire politiche realmente di tutela dell’ambiente, di arretramento della presenza umana da molte aree naturali, al momento in Italia è come una quinta teatrale. Nasconde la realtà e non promette nulla di buono per il futuro.

Consumare meno, fare scelte responsabili

Consumare meno

Consumare meno è il fulcro su cui poggia il cambiamento per difendere l’ambiente, che deve passare necessariamente attraverso un cambiamento culturale. Da decenni ci insegnano a vivere con un consumismo sfrenato e così quello che per anni è stato il combustibile, tossico, dell’economia ora ci presenta il conto.

Partendo dal presupposto che nessun essere vivente potrà mai avere un’impronta ecologica zero, nemmeno volendo, la via obbligata può essere solo quella di ridurre consumi e risorse impiegate. Coinvolgendo tutta la società, senza creare elite di pensiero che diventano ostacoli giudicanti a un’evoluzione positiva.

Occorre ridurre il consumo di carne, per l’ambiente, gli animali e la salute. Gli allevamenti, specie quelli intensivi, rappresentano l’esatto opposto di un ciclo virtuoso. Troppa acqua, troppe proteine usate nel circolo dell’allevamento, troppa sofferenza per gli animali che sono coinvolti in questo ciclo. Insomma troppo di tante cose in un ciclo produttivo da rivedere in modo assoluto.

L’obiettivo deve essere la riduzione dei consumi, da raggiungere nel minor tempo possibile, senza sperare o attendere un mondo vegano o vegetariano. Che probabilmente potrebbe arrivare troppo tardi o, magari, non arrivare affatto. Non possiamo più permetterci la ricerca del bene assoluto, senza percorrere prima la via della riduzione del danno.

Consumare meno significa produrre meno rifiuti, anche fra quelli riciclabili

L’economia circolare rappresenta un sistema virtuoso per gestire le materie prime e le risorse, ma non è la soluzione se non c’è riduzione dei rifiuti. Occorre allungare la vita dei materiali, non pensare che tutto quello che viene indicato come riciclabile sia privo di impatto.

Le plastiche non sono davvero tutte riciclabili e non tutte danno identico risultato. Vanno differenziate e avviate al riciclo dai cittadini, ma molte di loro non si trasformeranno mai in prodotti diversi. Una parte finirà incenerita, sperando che questo avvenga solo negli impianti autorizzati.

Il riciclo comporta comunque un dispendio energetico, l’utilizzo di risorse e l’emissione di agenti inquinanti. Questo vale anche per la carta, che certo è un materiale dotato di ottime prerogative di riciclaggio , che però sono comunque molto onerose in termini di impiego di acqua e risorse.

Il tentativo quindi è quello di sottrarre, limitando i consumi, eliminando i materiali monouso in plastica (strada che sarà ancora lunga), cercando anche di rinunciare al superfluo. Come cambiare smartphone una volta ogni anno, vedendo la tecnologia non come una risorsa ma come uno status symbol da esibire.

Compito dei governi è invece quello di mettere in campo tutte le misure per impedire che i prodotti abbiano un’obsolescenza programmata, che li fa rompere dopo un lasso di tempo predeterminato dal produttore.

Dobbiamo allungare la vita alle cose e acquisire consapevolezza

Istituzioni e cittadini devono fare la loro parte, insieme, per arrivare a una transizione intelligente, meno traumatica possibile. Che passa inevitabilmente da sacrifici, grazie anche a una consapevolezza acquisita da parte di ognuno. Piccole rinunce e modifiche nello stile di vita, se collettive, possono produrre grandi risultati.

Dobbiamo essere attenti, non lasciarci ingannare dalle sirene dell’industria: certo un bicchiere di carta è migliore di uno di plastica monouso, però l’obiettivo deve essere arrivare a ridurre il monouso in ogni settore e in qualsiasi materiale. Compresi quelli compostabili, che spesso lo sono solo in impianti industriali.

Abbiamo necessità che migliori la consapevolezza nella gestione dei rifiuti, nel riciclo e nel non abbandono, specie nell’ambiente. Sul pianeta siamo miliardi: si pensi a che risparmio si potrebbe arrivare se nei paesi industrializzati ogni abitante riducesse il suo consumo di plastica, anche di soli 10 grammi pro capite.

Dobbiamo convincerci che tutte le soluzioni passano dall’individuo e mai dal solo collettivo: ognuno di noi è fondamentale come lo è ogni atomo in un elemento. Il nostro agire salva, cambia, modifica destini. Basti pensare a quanti maiali in meno entrerebbero nei macelli, se solo ogni onnivoro riducesse del 20% il suo consumo di salumi.

Tutti noi siamo artefici del cambiamento e insieme dobbiamo cercare di non mandare in frantumi il pianeta. Abbiamo il dovere di assicurare il futuro, su un pianeta che nonostante tutto è pur sempre uno scrigno di meraviglie che non abbiamo ancora visto per intero.

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