Allevamenti intensivi e benessere animale sono due realtà incompatibili fra loro

Allevamenti intensivi e benessere animale

Allevamenti intensivi e benessere animale sono due realtà incompatibili fra loro, nonostante gli sforzi fatti dal marketing e dalle aziende di settore. Attente e preoccupate per la sempre maggior attenzione che l’opinione pubblica ha nei confronti delle condizioni di vita degli animali e dei maltrattamenti che spesso sono costretti a subire. Tanto da attivarsi per proporre un’immagine di queste fabbriche di proteine molto diversa dalla realtà dei fatti.

cai falchi tigri e trafficanti

Tutto ruota intorno alla magica parola benessere, che può essere intesa in molti modi diversi. A seconda della preparazione di chi la utilizza e della capacità di corretta valutazione fatta dai consumatori. Che sono spesso indotti in errore, non conoscendo affatto i reali bisogni di un bovino, piuttosto che di un maiale. In questo modo tutto rischia di basarsi su un fattore estetico e di aspetto degli allevamenti. Dove tutto può essere pulito e ordinato, come nella foto, senza però rispettare le necessità degli animali.

Gli allevatori non sono tutti uguali, alcuni sono pessimi, maltrattano gli animali fisicamente, fanno vivere gli animali in condizioni indecenti e si preoccupano solo del profitto. Altri hanno stalle pulite e ordinate, dove gli animali vengono correttamente seguiti sotto il profilo della gestione. Senza subire maltrattamenti fisici, nei limiti previsti dalle normative che regolano il settore. Ma dall’assenza di maltrattamenti fisici al benessere reale degli animali ce ne corre molto. Proprio per le modalità legate alla produzione.

Allevamenti intensivi e benessere animale: il marketing racconta al consumatore molte favole

Una delle riviste del settore dell’allevamento bovino, Ruminantia, ha recentemente pubblicato un articolo per contestare inchieste americane fatte girare da Animal Equality. Definendole attacchi ideologici contro il mondo degli allevamenti e motivando il giudizio proprio sulle diversità da allevatore a allevatore.

Che ci siano in giro per il mondo allevatori stolti e crudeli non credo sia una novità. E’ parte della natura umana il fatto che accanto alle brave persone ci siano i delinquenti, ma strumentalizzare questi fatti per interessi personali è grave tanto quanto il maltrattamento degli animali.

Tratto dall’articolo di Alessandro Fantini su Ruminantia

Certo che i criminali esistono in ogni settore produttivo e su questa affermazione non ci possono essere dubbi. Ma anche chi rispetta le regole è soggetto a realizzare condizioni di allevamento che non sono in grado di poter garantire benessere agli animali, che molto spesso non hanno nemmeno la possibilità di calpestare un prato. Così per contrastare le visioni dell’opinione pubblica, sempre più contraria al maltrattamento degli animali, vengono creati progetti come “Stalla Etica”.

Il benessere degli animali è la possibilità di poter svolgere quanto appartiene al loro etogramma, senza dimenticare le 5 libertà

Il Centro di referenza nazionale sul benessere animale (CRENBA) istituito presso l’Istituto Zooprofilattico di Brescia ha dettato delle linee guida. Che possono essere riferibili al benessere inteso all’italiana. Ma non certo alla differenza esistente per gli anglosassoni fra welfare (benessere) e wellbeing (essere in equilibrio con il circostante), come descritto in un articolo di SIUA.

Gli allevamenti intensivi sono finalizzati all’ottimizzazione delle produzioni e gli intervento migliorativi proposti rappresentano soltanto un maquillage di una situazione drammatica. Che con il tempo e la regolamentazione del settore ha trasformato in legale una forma di maltrattamento molto sottile, ma certo non meno impattante sul benessere psicofisico degli animali. Questo non sulla base di una supposta antropomorfizzazione di esseri riconosciuti come senzienti, ma sulla trasformazione scenica di gravi carenze, fatte apparire come valori.

Consumare meno, allevare meno, allevare meglio. Questo dovrebbe essere il paradigma del futuro, che dovrebbe estendersi sino alla riduzione/eliminazione delle proteine animali che in un futuro non così avveniristico potrebbero essere “coltivate” in laboratorio. Una pratica sulla quale stanno riflettendo grandi realtà economiche, che stanno abbandonando gli allevamenti intensivi, ritenuti sempre più lontani dal principio di ecosostenibilità.

Difendere i diritti degli animali non è una patologia contagiosa

Difendere i diritti degli animali

Difendere i diritti degli animali non è una patologia contagiosa, non ha controindicazioni e non è un segno di instabilità. Né un eccesso di emotività.

La tutela dei diritti degli animali ha fondamentalmente due nemici: chi non vuole capire e chi esagera nei modi e nei concetti. I primi non vogliono comprendere per non cambiare, i secondi credono che l’insulto sia la chiave di volta.

Queste due categorie si auto alimentano vicendevolmente. La seconda contribuisce a stimolare la prevenzione dei detrattori dei diritti animali, mentre la prima stimola e alimenta invettive degli animalisti estremisti.

Ma operando come si fa con la grappa e tagliando i due estremi, che spesso si toccano, resta vivo il cuore del problema. Un centro importante fatto di conoscenze e di competenze, di studi scientifici e di considerazioni importanti, spalmate dal pratico al filosofico. Che non relega certo la tutela degli animali a un campo di battaglia per esaltati.

Del resto su qualsiasi tematica si confronti il consorzio umano finisce sempre che ci siano due opposti, caratterizzati spesso da emotività eccessiva e scarsa propensione verso la cultura. Non deve essere però la presenza delle frange estreme, spesso illogiche, a rendere meno importante la difesa dei valori.

Infatti sono proprio i valori dei quali bisognerebbe parlare, senza sminuire, senza esagerare, senza insultare. I valori sono il punto centrale su cui fanno perno le culture, il cardine su cui ruotano gli equilibri delle comunità e bisognerebbe fare il possibile, mai come ora, per cercare di tenerlo presente.

La difesa dei diritti degli animali, quelli non umani perché animali siamo tutti, è un dovere e questo dovrebbe essere facile da comprendere. La tutela dei diritti dei deboli, delle categorie fragili rappresenta uno dei punti importanti, fondanti di una civile e democratica convivenza. Senza difesa dei deboli prevarrebbe la legge del più forte, odiosa caratteristica comportamentale da zittire.

Se su questo punto fossimo tutti d’accordo, potremmo agevolmente condividere che questa tutela deve riguardare tutti. Tutti gli esseri viventi in grado di provare sofferenza ed emozioni. Negli uomini viene considerata la sofferenza psichica ed è considerata una violenza la deprivazione dei cicli vitali e dei rapporti sociali fra conspecifici. Come possiamo negare che questa sia violenza anche per gli animali?

Come mai sugli animali un diffuso sentire considera come maltrattamento solo una scudisciata, un atto violento ma non una privazione di rapporto? E ancora perché non viene considerato un maltrattamento tenere un animale in uno stato di perenne timore? Oppure in isolamento continuato come avviene per il vitello della foto?

Su questa base di mancata considerazione dei bisogni si fonda il giudizio che chi tutela i diritti degli animali sia un estremista, una persona psichicamente disturbata. Questo pregiudizio spesso colpisce l’intera categoria. Che è innegabile che al suo interno, come ogni comunità umana, abbia anche soggetti instabili ed estremisti. Che nulla tolgono al dovere di tutelare i diritti degli animali.

La strada di liquidare chiunque si occupi di difendere i diritti degli animali, con vari gradienti e molte sfumature, come un soggetto quantomeno eccessivo è diventata la scorciatoia per sminuire un concetto. Se chi porta avanti una battaglia è un esagitato, la sua battaglia è priva di valori in quanto esasperata nei concetti come il difensore nei comportamenti. Ma non è così.

Bisogna però lavorare molto per tenere ai margini e isolare quanti contribuiscono solo a ridicolizzare queste battaglie di civiltà, con modi, considerazioni e comportamenti decisamente inappropriati. Non ci sono animali migliori delle persone e viceversa, ci sono soltanto esseri viventi differenti, non sovrapponibili, ma tutti meritevoli di tutele.

Così come non è vero che tutti gli uomini si debbano estinguere, ma è vero che se non cercheranno di ragionare gli uomini, tutti gli uomini al di la delle loro qualità personali, rischieranno di arrivare molto vicino all’estinzione. Ma questo è altro discorso.

Una società rispettosa, informata, educata e formata da individui consapevoli è l’unica via per migliorare il mondo. Le altre rischiano di essere facili scorciatoie che illudono, ma non risolvono i problemi. Specie quelli delle componenti più deboli, degli ultimi nei diritti che sono poi i primi nel disagio.

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