Suini uccisi e peste africana: ora bisogna mettere al sicuro i santuari, perchè non si ripetano i fatti accaduti nella struttura di Cuori Liberi a Zinasco. Una vicenda, quella dell’abbattimento degli animali, preceduta da scene di violenza non giustificabile, che hanno fatto il giro del mondo. Suscitando commenti e sentimenti controversi, fra quanti hanno ritenuto inevitabile l’abbattimento dei suini e chi lo ha ritenuto un abuso. Quello che è certo è che più di qualcosa non ha funzionato e alla fine, come sempre, a trovarsi in mezzo sono stati gli animali. Diventati innocenti oggetti o soggetti, a seconda del pensiero di chi li guarda, di una contesa che li ha sopraffatti.
Non scrivo quasi mai sotto la pressione della cronaca: preferisco aver il tempo di riflettere e di ordinare i pensieri. Così ho avuto modo di leggere i pareri di veterinari che giustificavano queste uccisioni per arginare la diffusione della PSA. Ma anche moltissime dichiarazioni diverse, sino a arrivare alla naturale contrarietà degli attivisti. Sicuramente il 20 settembre verrà ricordato come un giorno terribile per i suini dei santuari, che deve portare a fare delle riflessioni sulla normativa e sulla biosicurezza.
I suini uccisi erano animali da compagnia, non inseriti in un circuito di allevamento per carne, ma sempre suini che potevano ammalarsi (come è successo) e infettare. Se l’uccisione seguita all’irruzione sia davvero servita a arginare l’avanzata della PSE fatemi dire a chiare lettere che il mio pensiero è NO, non è servita. Non voglio entrare nel merito di tecnicismi, ma solo basare la mia opinione su quello che i filmati hanno mostrato. Un’azione lontanissima dalla biosicurezza che forse ha contribuito più a propagare il virus che non a fermarlo. Quindi una prova di forza inutile, violenta e insensata.
Suini uccisi e peste africana: quando un’azione di polizia sanitaria ottiene il risultato contrario
Non era necessario uno stratega militare per comprendere quanto quell’irruzione sarebbe stata controproducente rispetto allo scopo dichiarato. Un’autorità sensata avrebbe offerto un tavolo di trattativa, avendo la consapevolezza che i custodi degli animali non sarebbero restati, giustamente, a braccia conserte a attendere l’abbattimento dei loro suini. Invece è stato attuato il muro contro muro. Gesto sconsiderato, di chi rappresentando la sanità della nazione, sembrava più volersi vendicare per un torto piuttosto che esercitare un’azione di prevenzione. Facendosi accompagnare da poliziotti che di biosicurezza sanno certamente poco, ai quali la situazione è sfuggita di mano: secondo errore è stato creare una piccolissima ripetizione del G8 di Genova.
Gli animali dovevano essere comunque, in un modo o nell’altro, abbattuti? Forse, ma se anche così fosse certo non usando strategie così mal congeniate. Ora qualcuno, magari un magistrato che tanto sarà investito obbligatoriamente di questa vicenda. potrebbe investigare anche sulla mancanza di buone pratiche e su un uso/abuso della forza, in un contesto sbagliato sotto ogni punto di vista. Un uso della forza che mi lascia sgomento, non solo da persona che si occupa di diritti animali, ma da cittadino che vorrebbe guardare alle forze di polizia sempre e comunque con stima e fiducia. Certamente non con paura!
Facile dire che gli animalisti sono emotivi e non capiscono l’emergenza! Ma dall’altra parte della barricata il corto circuito è evidente
La speranza è che ora, per la giustizia in cui tutti vogliamo credere, ognuno trovi il suo giudice a Berlino. Perché se così non fosse, se questa vicenda venisse sepolta con volontà di oblio, sarebbe veramente vergognoso. Lo Stato ha dei doveri e chi ha gestito la piazza dello scontro di fronte a “Cuori Liberi” deve essere oggetto di serie valutazioni. Il 20 settembre sono stati abbattuti i maiali ma, purtroppo anche il buonsenso ne è uscito pieno di lacerazioni e ferite.
Ora bisogna lavorare per un cambiamento della norma, che dia maggiori garanzie agli animali dei santuari. Fissando regolamenti seri per la biosicurezza, visto che detengono animali di specie uguale a quelli d’allevamento per usi alimentari. Non potendo dimenticare quindi che anche queste strutture, pur di recente normate in modo diverso e non più considerate allevamenti, detengono suini, bovini, caprini, etc. . Realtà che sono sempre e comunque soggette alla vigilanza del Servizio Sanitario Nazionale, che forse già poteva e doveva dare prescrizioni.
Un successo raggiunto oggi grazie alla tenacia e alla costanza del Nucleo di Polizia Giudiziaria della Polizia Stradale di Bergamo, che ha fatto tutto quello che era necessario per arrivare a questi arresti. A cominciare dalle intercettazioni telefoniche alle quali era sottoposta la famiglia del Vigani, che hanno fatto emergere comportamenti molto gravi. Che hanno dimostrato la piena consapevolezza degli indagati nel portare avanti condotte delittuose, con il fine di realizzare illeciti guadagni. Grazie al solito rodato meccanismo di cuccioli importati dall’Est Europa, tolti in giovane età alle madri e importati con documenti contenenti dati alterati. Uno schema operativo visto mille volte, ma complesso da individuare e da riconoscere, specie da un organo di controllo come la Polizia Stradale, che normalmente si occupa di altri tipi di reato.
Invece, con la volontà di conoscere come funzionano i traffici, gli uomini della Stradale hanno fatto come Pollicino, ricostruendo tassello dopo tassello come avveniva il traffico, come individuare i documenti falsi e ipotizzare le violazioni commesse. Potendo così portare al pubblico ministero le prove necessarie per mettere sotto controllo i telefoni, un’attività investigativa indispensabile per acquisire prove non discutibili. Come la frase acquisita agli atti “…il cane deve essere messo in braccio al bambino così si affeziona e lo compra di sicuro“. Poco importa se poi i cuccioli muoiano dopo pochi giorni e i bambini si ritrovino assaliti dal dolore . Causato dall’ingordigia di quanti su questi traffici non solo campano ma pure si arricchiscono.
Indagando sulla tratta dei cuccioli la Polizia Stradale ha raccolto sessanta querele da parte degli acquirenti truffati
Conosco bene il fenomeno della tratta dei cuccioli, come saprà chi segue il blog, e ho conosciuto anche Vigani e il Roccolino. Un commerciante capace di fare lo slalom attraverso le maglie della giustizia, passando indenne attraverso sequestri e denunce. Grazie a una giustizia troppo lenta, che molte volte assicura non l’assoluzione ma la certezza della prescrizione, garantendo non solo impunità ma anche i guadagni. Come dimostra il caso dell’indagine finita in prescrizione a Monza, con restituzione dei cani al Vigani. Che alla fine li vendette ai custodi, guadagnando ancora soldi.
In Europa ogni anno il commercio legale e quello illegale movimentano circa 8 milioni di cuccioli. Il traffico illegale di cuccioli importati dai paesi dell’Est con documenti falsi copre più della metà di questo mercato della sofferenza. Vendendo cani pagati intorno ai cento euro, che nel giro di poche migliaia di chilometri moltiplicano il loro valore anche di trenta/quaranta volte. Più redditizio del traffico di droga, ma infinitamente meno rischioso. Un traffico dove la domanda non la creano i tossicodipendenti, ma le persone che comprano cani come fossero un complemento d’arredo.
Ho inseguito questo fenomeno per trent’anni e se agli inizi gli acquirenti erano inconsapevoli oggi non è più così. Le persone sanno o comunque potrebbero sapere con qualche piccola ricerca. Ma sono convinti che sul web si facciano ottimi affari e non si accorgono di essere fiancheggiatori dei criminali, che per giunta li truffano. Vendendo a prezzi da capogiro cani che non sono di razza, ma solo somiglianti: in fondo dei “bastardi” senza colpa ma meno sani dei meticci. Gli incroci fortificano ed è per quello che i meticci sono più sani dei cani della tratta dei cuccioli, incrociati mille volte fra consanguinei. Per questo bastardo è bello, anche se è un termine che oggi è ritenuto politicamente scorretto.
Qualche mese di carcere potrebbe essere un buon viatico per capire, ma chi traffica ha sempre ottimi legali
La parola fine però non la metteranno gli arresti fatti dai poliziotti della Stradale, ma le sentenze e questo è sempre il cuore del problema. Vigani, ancora una volta, l’ennesima, è innocente fino a prova contraria. Sino a quando la Corte di Cassazione non arriverà a rendere definitive le condanne, se ci saranno. Ma i reati contro le persone, contro gli animali e tutti quelli che comportano sofferenza a degli esseri viventi dovrebbero avere una corsia preferenziale. Con l’impossibilità di accedere alla prescrizione, perché questa tipologia di reato è grave, mina la coesistenza e denota l’assenza di empatia e il profilo sociopatico di chi li commette.
Il fallimento della giustizia è quando chi commette questi crimini li può reiterare una, due, tre volte senza mai pagare il prezzo. Dando l’idea alle forze di polizia che il crimine paga, ben più di quanto lo Stato paghi a loro di stipendio. Portandoli a non indagare su questi reati, così poco considerati il più delle volte, ma così gravi a conoscere davvero modus operandi e il danno causato, a cominciare dall’evasione fiscale per finire con i rischi sanitari. Come le nuove forme di cimurro e la rabbia, una zoonosi mortale per l’uomo.
Questo è il tema su cui bisogna lavorare per contrastare i crimini contro gli animali: formare e informare. Grazie alla formazione delle forze di polizia e degli organi di controllo su come contrastare i crimini contro gli animali, fornendo loro utili strumenti di lavoro. Strappando quel velo di pregiudizi che copre e nasconde questi reati, etichettandoli come minori. Occorre poi informare i cittadini dei rischi che corrono, delle sofferenze che causano, della malavita he finanziano. Sono queste le uniche strade per contrastare efficacemente un fenomeno diffuso e radicato come questo.
Animali e diritti: telecamere nei macelli obbligatorie in Spagna, che sarà così il primo paese dell’Unione Europea a dotarsi di questo strumento di controllo. Sono diversi anni che in tutta Europa e anche in Italia viene chiesta questa misura di sorveglianza nei macelli. Senza riuscire a ottenere che le molte promesse fatte dalla politica si traducessero in realtà. Il provvedimento varato dal governo spagnolo prevede, finalmente, che le telecamere siano obbligatorie per tutti i macelli, anche i più piccoli e persino in quelli mobili.
Le telecamere dovranno essere installate in ogni luogo ove vi sia presenza di animali vivi, sia per evitare maltrattamenti aggiuntivi che per monitorare i tempi di attesa. Per norma europea gli animali devono essere macellati nel minor tempo possibile. Evitando che una lunga permanenza nelle strutture dei macelli possa essere causa di ulteriori sofferenze. Questo provvedimento costituisce un passo avanti, anche se sottrae sofferenza ma non può risolvere i molti problemi dell’allevamento.
Il traguardo resta sempre quello di poterci liberare dalla dipendenza dalle proteine animali, anche grazie all’arrivo sul mercato della carne coltivata. Un passaggio quest’ultimo che sarà davvero epocale, nel momento che sarà possibile arrivare alla completa sostituzione della carne derivante dall’uccisione di animali. Nel frattempo ogni azione che porti a una riduzione delle sofferenze degli animali negli allevamenti e in tutte le fasi della produzione deve essere comunque accolta con grande soddisfazione. Come la drastica diminuzione dei consumi, per qualsiasi ragione avvenga.
Animali e diritti: con le telecamere nei macelli la Spagna compie un balzo in avanti, ma restano corride e feste religiose
Contraddizioni che appaiono per noi inconcepibili, per la violenza che è insita in manifestazioni come quelle del Toro de la Vega o nelle corride. L’Italia pur essendo ancora molto indietro nell’assicurare una tutela degli animali, spesso anche a causa di inerzie politiche e scarsi controlli, ha infatti da tempo previsto come reato moltissime forme di violenza agite nei confronti degli animali. Certo restano ancora consentite manifestazioni equestri come il Palio di Siena, sempre più contestato, o i circhi, ma la violenza gratuita sugli animali, seppur poco perseguita, è legalmente vietata.
Altro tasto dolente sono le attività come allevamenti, trasporti di animali vivi e macelli dove si dovrebbe fare molto di più, ma quando ci sono in ballo interessi economici le cose cambiano. Nonostante gravissimi fatti di cronaca, basati su inchieste che continuano a svelare reati e maltrattamenti compiuti a danno degli animali. Queste situazioni non sono considerate lecite, semplicemente vengono troppo spesso coperte con omissioni o favoreggiamenti. Situazione ben diversa è quella che accade in Spagna durante le feste religiose dove torturare gli animali è un comportamento considerato normale, giustificabile.
La politica italiana promette di migliorare le condizioni di vita degli animali e di far crescere i loro diritti: solo promesse elettorali?
Probabilmente le promesse, come sempre accade, hanno un elevato tasso di probabilità di restare tali. Animali e clima sono bandiere troppo spesso agitate per raccogliere voti, contando sul fatto che molti amanti degli animali siano, purtroppo, più emotivi che riflessivi. Credendo spesso a chi le promette più grosse, dimenticandosi poi di lavorare davvero per trasformare le promesse in risultati concreti. Così si spacciano disegni di legge come conquiste, ordini del giorno presentati nell’uno o nell’altro ramo del parlamento come vittorie storiche. E nulla cambia mai per davvero, perché in effetti gli animalisti hanno la memoria corta.
Una spiegazione più che plausibile di questo comportamento l’ha data Giorgio Parisi, premio Nobel per la fisica nel 2021, parlando di mancati provvedimenti sul clima. Illustrando in una lunga intervista a Repubblica, con concetti semplici, la pochezza della nostra classe politica.
Elettori e eletti sono quindi corresponsabili sui mancati provvedimenti?
Occorre davvero dividere in modo equanime le responsabilità fra politici e elettori? La risposta non può che essere affermativa, visto che sono proprio gli elettori che hanno fatto avanzare una classe politica spesso incolta, becera e populista. Proprio come accade per i bambini, i politici nel corso di questi decenni hanno continuato a alzare l’asticella delle promesse vuote e non hanno quasi mai dovuto pagarne la colpa. I bambini ai quali si consente troppo diventano maleducati mentre i politici diventano arroganti e fanfaroni. Dimostrando in più una parallela crescita del loro ego e della capacità di banalizzare questioni complesse. Il risultato è di fronte agli occhi di tutti, almeno di chi li tiene aperti.
Siamo noi cittadini che abbiamo consentito alla politica di esprimere il peggio, smettendo di esercitare il controllo sulla delega data. Pensando che se il paese va verso lo sfascio, culturale e economico, sia molto meglio barricarsi nel salotto di casa propria, magari agitandosi soltanto sui social. Una deriva che colpisce duro in Italia e che spesso ha contagiato non solo i partiti ma anche i corpi intermedi. Che sono passati dall’essere un utile stimolo a cercare di inseguire proprio chi dovrebbe essere in grado di rappresentare i cittadini.
Eppure è noto che una società migliore è creata dal livello culturale e dall’educazione civile dei suoi componenti. Per questo lo stimolo a questo processo di crescita, in tema di tutela ambientale e crescita dei diritti animali, dovrebbe essere il primo obiettivo di tutte le realtà sociali che si occupano di operare in questi settori. Invece l’impressione è che, anziché promuovere la crescita culturale che spesso non è compito popolare, sia privilegiata l’attività di raccogliere consensi, di guadagnare visibilità. Un po’ come ha recentemente dimostrato l’improbabile legame fra il WWF e il Jova Beach Party.
Quella del canile di Trecastelli è storia di maltrattamenti di animali causati dai gestori, ma consentiti da mancati controlli e da spiacevoli connivenze. Una storia ordinaria purtroppo con frequenti ripetizioni in varie parti del paese, nella quale i colpevoli pagheranno sempre troppo poco. Se e quando arriveranno a essere condannati in modo definitivo questo accadrà grazie agli altri reati contestati, piuttosto che per maltrattamento di animali. Le pene per chi maltratta e la considerazione verso questo reato portano purtroppo a facili prescrizioni.
La storia del canile di Trecastelli, sequestrato nel gennaio del 2021, è la replica di vicende già viste, che si ripetono puntualmente con le stesse modalità. Un allevamento autorizzato per detenere 71 cani arriva a custodirne più di 800, dieci volte tanto il consentito. Se qualcuno si chiedesse come possa succedere una situazione tanto abnorme la risposta è davvero molto facile: chi doveva controllare, ancora una volta, non lo ha fatto. Per disinteresse, per interessi, per non dover affrontare un problema complicato, per connivenze con i titolari. Storie ordinarie, frequenti, che quasi mai portano a sanzioni che servano da deterrente.
Il Comune di Trecastelli, in provincia di Ancona, all’ultimo censimento contava poco più di settemila residenti, non certo una metropoli. In questi piccoli centri tutti conoscono vita, morte e miracoli di tutti e gli organi di controllo presenti sul territorio avrebbero dovuto essere informati su cosa accadeva nella struttura. Eppure sembra non esser stato così o forse tutti sapevano ma nessuno aveva voglia di intervenire, non sapendo come togliere le castagne dal fuoco. Nel frattempo però, in tutto questo, ci sono stati centinaia di animali detenuti, per anni, in condizioni orribili.
Il canile di Trecastelli è una storia di maltrattamenti ripetuti, sui quali sarebbe stato opportuno intervenire molto prima
Le omissioni, colpevoli e dolose, hanno portato a uno dei più grossi casi di disastro sanitario, in ambito veterinario, avvenuti nella Regione Marche e non soltanto. I gestori del canile risulta che abbiano importato illegalmente cani dall’Est Europa, con tutti i rischi sanitari connessi. Rendendosi anche responsabili di aver fatto scoppiare un focolaio di brucella canis, zoonosi trasmissibile all’uomo. Un caso al momento unico in tutta Europa che aveva portato, nel giugno del 2020, al blocco sanitario del canile. Senza che fossero adottati provvedimenti per migliorare le condizioni di vita dei cani.
Ora dopo le indagini svolte dalla Procura sono emerse varie responsabilità, anche molto gravi, che hanno portato alla richiesta di rinvio a giudizio per i proprietari dell’allevamento. Che si trovano in buona compagnia, considerando che risultano coinvolti anche il comandante della Polizia Locale, insieme a veterinari pubblici e privati. Con un costo per l’amministrazione regionale che ad oggi sembra aver superato il milione e mezzo di euro, per mantenimento e cura degli animali in sequestro. Un disastro annunciato per i cani che sono transitati in questi anni dall’allevamento, ma anche per le casse pubbliche e per le associazioni coinvolte. Che hanno dovuto intervenire per cercare di aiutare gli animali e trovare, quando possibile, adozioni.
Servirà questa lezione per far comprendere la necessità di interventi tempestivi sui maltrattamenti e contro i traffici di animali?
Probabilmente la risposta è no, considerando i precedenti e consultando le cronache di molti altri episodi analoghi di traffici e maltrattamenti. Che hanno riguardato non solo i canili, ma tutti i settori ove vi fosse presenza di animali e quindi sottoposti a vigilanza veterinaria. Se da una parte è vero che la sanità pubblica si trova in grande crisi, dall’altro appare evidente che il meccanismo dei controlli si inceppi troppo spesso. Le origini di questo problema vanno cercate (anche) altrove. Per esempio nel fallimento del sistema di controllo sulle attività dei veterinari pubblici, anche grazie a una catena di comando con troppe figure “politiche” ai vertici.
Quando i veterinari ufficiali non fanno carriera “solo” per meriti, ma anche per sponsorizzazioni del politico di turno il sistema va in crisi. E con lui tutto quello che la sanità pubblica veterinaria deve presidiare. Una vigilanza che riguarda gli animali ma soprattutto la tutela della salute umana. Se naufraga il sistema dei controlli veterinari si mette in pericolo l’intera collettività. Lo indica il criterio “OneHealth” che ci vede tutti, uomini e animali, sulla stessa scialuppa, visto che la barca pare essere affondata già da tempo. La politica partitica ha avvelenato i pozzi, da quando ha deciso di non scegliere fra i migliori i suoi dirigenti, ma spesso solo fra i più vicini. Mortificando chi lavora con passione, restando indipendente dalla politica.
Non passa giorno. quando le associazioni denunciano e la magistratura fa il suo lavoro, che non vengano accertate situazioni terribili per gli animali. Pericolose anche per la salute umana, ma troppo spesso seppellite sotto omissioni e convenienti valutazioni da parte di chi è pagato per vigilare. Un circolo vizioso che va spezzato, ricordando a tutti gli organi di controllo e ai pubblici ufficiali che segnalare un reato è per loro un obbligo. Prevedendo pene ben più severe delle attuali per chi consenta, agevoli o non persegua fatti gravi come questi.
Canile di Trecastelli Il servizio dei Carabinieri trasmesso dal TG3 delle Marche
Il cinodromo di Maserada sul Piave, non ancora ufficialmente inaugurato, è un progetto fuori dal tempo, che non tiene conto dei cambiamenti culturali della società. Da tempo in tutto il mondo sono in corso battaglie per arrivare alla chiusura di queste strutture, spesso con successo, mentre questo piccolo comune del trevigiano procede al contrario. Con l’aiuto insospettato di ENCI che per 15 anni gestirà la struttura. Un vero controsenso per un ente che dovrebbe avere a cuore non solo le razze ma anche il benessere degli animali.
Le corse dei cani sono un retaggio del passato; in Italia dove gli ultimi due cinodromi, a Roma e Napoli, si sono chiusi alla fine degli anni ’90, dopo la cessazione di tutti gli altri impianti. Una volta le corse dei cani erano eventi sui quali si poteva scommettere, un’attività che ora non è più possibile praticare legalmente, contrariamente a quanto avviene per i cavalli. Ci si interroga quindi sulle motivazioni che hanno convinto il sindaco di Maserada e la sua giunta a dare vita a questo progetto, che accontenta solo un piccolo numero di appassionati.
Ben sapendo che dietro le competizioni con gli animali si possono celare maltrattamenti, comportamenti scorretti e un giro di scommesse clandestine. L’impianto, che doveva essere inaugurato il 12 giugno, con una giornata di corse, non è stato ancora aperto al pubblico. Ufficialmente in quanto non sarebbe stato ancora ultimato. Ma le motivazioni potrebbero essere anche altre.
Il cinodromo di Maserada sul Piave fa infuriare le associazioni che si occupano di difendere i diritti degli animali
Si è attivato anche Andrea Zanoni, già deputato e ora consigliere della Regione Veneto. Che in un comunicato stampa dice che “si tratta di uno scempio che vede distruggere un prato stabile ad alta valenza ambientale. In un’area tutelata dal Piano faunistico venatorio e di collegamento con l’adiacente sito di Rete Natura 2000 delle Grave del Piave. Soprattutto l’intervento dell’agronomo Claudio Corazzin è stato illuminante, evidenziando come il Piano di assetto territoriale stabilisca che nell’area del Parabae sia vietato realizzare nuovi sentieri e vadano invece protetti e ampliati i prati stabili”.
Un pasticcio che rischia di finire prima in un esposto alla Corte dei conti e che potrebbe finire anche per interessare la magistratura ordinaria. Qualcosa in effetti sembra non funzionare nel progetto e il continuo crescendo di polemiche ha messo questa decisione sotto i riflettori della cronaca. Andranno chiarite le motivazioni che hanno portato il Comune di Maserada a investire una somma ingente in un impianto di questo tipo.
Il Club del levriero difende a spada tratta l’impianto di Maserada, sostenendo che si tratti solo di un circuito per appassionati della razza
La corsa dei levrieri, infatti, prevede un addestramento del cane, che viene condizionato a inseguire una sorta di lepre finta. Un comportamento che è parte dell’istinto predatorio di questa razza, ma che viene amplificato e modellato. Come avviene per i rapaci usati nella falconeria. Cani addestrati a correre dietro una finta lepre, impregnata di odori che la fanno individuare come preda. Un mondo, questo del racing, destinato a piacere più ai padroni che non ai cani.
Senza poter escludere che in questa realtà molto di nicchia, si possa nascondere un giro di malaffare, costituito dalle scommesse clandestine. Che come sempre accade sono in grado di stimolare i peggiori comportamenti umani. E’ ora che qualcuno indaghi a fondo sulle motivazioni che hanno portato l’amministrazione ad accontentare un piccolo numero di privati. Usando fondi che avrebbero potuto essere impiegati per aiutare l’intera comunità di Maserada.
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