Ambiente e animali, politici e futuro di un paese con la memoria corta, con poca voglia di impegnarsi per il cambiamento. Finita questa pessima campagna elettorale fatta più di scontri che di programmi ci siamo risvegliati in un paese diverso. Che può non piacere a molti ma che è frutto di libere elezioni in uno Stato al momento democratico, unica certezza in un’epoca che pone più interrogativi che soluzioni. Nella quale i cittadini non votano per delusione, lasciando però che quelli che votano decidano anche per loro. In un momento particolarmente difficile, in cui il futuro degli uomini è appeso a un filo invisibile, che li lega al pianeta.
Sui temi come la difesa dell’ambiente e dei diritti degli ultimi, animali e esseri umani, si è sentito poco e, quasi sempre, quello che si è sentito non ha convinto. Nulla convince più in questo paese, disastrato da un punto di vista di tutela del territorio, cementificato oltre il sostenibile e in fondo amministrato come se il pianeta fosse cosa nostra. Dove “cosa nostra” ha un significato ambivalente: di un possesso umano senza limiti e di una gestione ambientale spesso criminale, dove gli interessi di pochi prevalgono sui diritti di molti.
Difficile stare tranquilli quando un candidato della coalizione dei vincitori dichiara candidamente che per adesso il suo partito si occupa solo di cani e gatti. Per la tutela della fauna c’è tempo e si farà in un secondo momento. Un’idea davvero poco lungimirante perché se dovessimo procedere per priorità, con intelligenza, ci preoccuperemo prima degli animali selvatici e poi di quelli domestici. L’equilibrio dell’ambiente, indispensabile, si basa sulla biodiversità e la tutela degli animali selvatici non può essere rimandata. Esprimendo concetti semplicistici, da scuole dell’obbligo, buoni per prendere voti, pessimi per difendere la nostra stessa esistenza.
Ambiente e animali, politici e futuro: quattro parole che sembrano difficili da coniugare in una frase che sia rasserenante
La tutela degli animali selvatici viene posposta, rispetto a quella dei nostri beniamini, solo per miopia? Sarebbe bello poterlo pensare, perché in fondo fa meno paura lo sprovveduto del cinico. Ma non è così perché dietro a questo concetto c’è un calcolo, un fattore di moltiplicazione dei voti che ha due protagonisti più che probabili: cacciatori e allevatori, che non hanno mai tolto il loro appoggio ai politici che li hanno difesi. In questo momento se gli abitanti dei boschi si comportassero come gli uomini, probabilmente, ci sarebbero lunghe file di orsi e lupi alla frontiera. In cerca di asilo.
Ci sarà tempo per dibattere sui tanti errori delle forze politiche fatti in questa orrenda campagna elettorale. Cadrà qualche testa, e non è nemmeno difficile immaginarsi quali politici finiranno estinti come i dodo, ma i cittadini non devono temere le idi di marzo della politica. Devono temere qui comportamenti pericolosi che rallenteranno la tutela ambientale, che non privilegeranno la difesa della biodiversità, del capitale naturale.
Torneranno i banchetti a base di zampe d’orso? Si cercherà di rimettere sullo spiedo tutti i piccoli uccelli canori? Si dirà che il nucleare e il gas sono davvero energia pulita? Di questo, anche di questo, dovranno da domani preoccuparsi tutti i cittadini, al di là della loro posizione politica, del loro voto di protesta o di proposta. Forse dovranno anche rivedere la convinzione che tutto sia delegabile, che ci si possa disinteressare del circostante. Alla politica, alla cattiva politica che non conosce colore, ma della quale conosciamo il sapore, amaro, abbiamo delegato sin troppo. Non dimentichiamo, cerchiamo di ricordare.
Animali in Costituzione, un’occasione sprecata per arrivare a un reale cambiamento di passo, frutto di compromessi politici che hanno diluito la parte relativa alla loro tutela. Il nuovo testo della Costituzione rappresenta un progresso, purtroppo non così evidente come era stato da più parti auspicato. I commenti entusiastici fatti per l’inserimento di animali e ambiente in Costituzione dovrebbero tener conto anche di questo aspetto non secondario. La destra e in particolare la Lega, si è sempre opposta all’inserimento di un riferimento chiaro e univoco sulla tutela degli animali.
Il testo che è stato aggiunto all’articolo 9 della Carta Costituzionale recita che la Repubblica “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Quindi praticamente un comma che non aggiunge diritti, rappresentando soltanto una presa d’atto di quel che già avviene. Un tono e un testo decisamente molto meno incisivi di quello relativo alla tutela dell’ambiente. Eppure una dichiarazione d’intenti così scarna, quasi irrilevante se non fosse che per la prima volta si parla di animali nella Costituzione, ha fatto esplodere un tifo da stadio. Ingiustificato.
La Germania è stato il primo paese europeo che ha inserito i diritti degli animali in Costituzione. Lo ha fatto vent’anni fa con un testo decisamente più efficace di quello appena approvato dal nostro parlamento. Aggiungendo al paragrafo in cui si parla “dell’obbligo dello Stato a rispettare e proteggere la dignità degli esseri umani” tre sole parole inequivocabili “e degli animali”. In questo modo la dignità degli esseri umani è stata equiparata a quella degli animali, un passo davvero fondamentale.
Inserire gli animali in Costituzione è stata un’occasione sprecata: per cambiare davvero e non ci sarà una seconda occasione
Le modifiche costituzionali non si fanno tutti i giorni. Appare evidente che non sarà mai messo in moto un procedimento di modifica solo per ridare la giusta dignità agli animali. Quantomeno non in tempi brevi e non se la questione animale sarà l’unico argomento per fare un’integrazione. Quello che davvero stupisce è il quasi unanime plauso delle molte sigle che si occupano di tutelare i loro diritti. Che per una modifica di questa portata avrebbero dovuto protestare, non plaudire a favore del lavoro del parlamento.
“La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali” costituisce un’integrazione alla Carta Costituzionale priva di ogni valore. In particolare se pensiamo che le prime norme poste a tutela degli animali nel nostro paese risalgono alla seconda metà dell’800, esattamente al 1859, dove nel codice penale già si proibiva di incrudelire sugli animali in luogo pubblico. Quando poi entrò in vigore il Codice Zanardelli, nel 1890 restando in vigore sino al 1930 il maltrattamento di animali aveva uno specifico Capo proprio su questo tema. Allora l’Italia aveva dimostrato una sensibilità molto spiccata, considerando i tempi, che si concretizzava in atti concreti.
L’articolo 491 del Codice Penale Zanardelli, del 1890, recitava “Chiunque incrudelisce verso animali o, senza necessità li maltratta ovvero li costringe a fatiche manifestamente eccessive è punito con ammenda (…). Alla stessa pena soggiace anche colui il quale per solo fine scientifico o didattico, ma fuori dei luoghi destinati all’insegnamento, sottopone animali ad esperimenti tali da destare ribrezzo“. Un testo sicuramente molto avanzato per quei tempi. Più di quanto non sia il riferimento agli animali inserito ora in Costituzione.
Alla reale tutela degli animali servono provvedimenti applicabili utili a una nuova cultura basata sul rispetto
Quel rispetto che è svanito quando si è deciso di percorrere la strada del compromesso. Inserendo una dicitura talmente generica da essere quasi del tutto inutile. Un segnale che attesta l’incapacità della politica di recepire le istanze del popolo che dovrebbe amministrare, che in maggioranza avrebbero voluto sentir parlare di rispetto e dignità nei confronti degli animali. Puntando nel contempo un riflettore sulla mancanza di visione di chi si occupa della loro tutela, che non avrebbe dovuto accontentarsi delle briciole.
Se nemmeno un’affermazione di principio forte, come quella contenuta nel Trattato di Lisbona, è servita per ottenere un cambiamento di passo sostanziale, figuratevi quanto sarà utile questa modifica in Costituzione. Nulla più che fumo negli occhi, se consideriamo quanto sia realmente servito definire gli animali quali esseri senzienti. Ancora una volta tutto deve cambiare perché nulla cambi, come scriveva Tommasi di Lampedusa nel Gattopardo.
Ora bisogna attendere e valutare le conseguenze di questa modifica. Vedere se e cosa cambierà nelle attività poste a tutela di animali e ambiente. Sperando che almeno per la tutela ambientale la dichiarazione con la quale lo Stato si impegna a esserne custode si concretizzi in azioni e non in vuote parole. I cambiamenti si mettono in atto con le azioni, mentre la propaganda può essere mossa da fiumi di parole, vuote come il senso civico di chi fa promesse e non le mantiene. Una vera maledizione lanciata verso il futuro delle prossime generazioni.
Per proteggere gli animali non basta inasprire le pene, ma occorre analizzare il problema con una visione forse più ampia. Che dovrebbe cominciare dal rendere più brevi i tempi di applicazione delle sanzioni, snellendo i processi e eliminando i troppi cavilli.
Ogni volta che si registrano fatti gravi, come quello del cane seviziato a Partinico, in Sicilia, si ripete sempre un identico copione. I social si infiammano diventando arene e i politici promettono revisioni normative. Che non arrivano mai e quando succede spesso sono inefficaci.
Così molti cittadini vorrebbero risolvere il problema con azioni di giustizia sommaria, che per fortuna restano chiacchiere da bar, anzi da social. E coinvolgono tutti quelli che si permettono di sottolineare l’inciviltà di reazioni forcaiole. Tacciati di complicità con i maltrattatori.
In uno stato di diritto la giustizia non si fa nelle piazze, né in quelle virtuali e tanto meno in quelle reali. La giustizia deve essere amministrata dallo stato, nell’interesse del bene collettivo. Per essere efficace, però, occorre che sia veloce e concreta e non solo agitata come una minaccia.
Basterebbe inasprire le pene per proteggere realmente gli animali?
In via teorica probabilmente si, in via pratica con il sistema penale italiano la miglior risposta potrebbe essere forse. Il procedimento penale in Italia è ricco di formalità e formalismi, di cavilli che permettono rinvii e annullamenti, di un garantismo talvolta eccessivo.
Bisognerebbe comunque guardare il tema della violenza in modo olistico, con uno sguardo profondo e senza una suddivisione di specie. Gli atti violenti, gravi e commessi con volontà di infierire, sono il sintomo di una pericolosità sociale di chi li commette. Sempre e al di là del fatto di chi sia la vittima di violenze efferate.
Questi soggetti rappresentano un pericolo per la società, perché la violenza comunque agita è uno degli indicatori di un problema comportamentale che non andrebbe, mai, sottovalutato. Non importa se questa sia esercitata su donne o bambini oppure su animali. E’ l’atto che deve essere inibito, è il responsabile che deve essere messo in condizioni, giuridicamente disciplinate, di non far danno.
Guardare il problema dei crimini violenti, dell’incitazione all’odio, dell’esaltazione dei comportamenti violenti e della giustizia sommaria sotto questa luce cambia la prospettiva. Modificando anche la scelta dei provvedimenti da adottare.
La punizione è importante, sicuramente e in particolare se vista come possibilità di rieducazione, ma più importante ancora è la neutralizzazione del comportamento. L’inibizione di una possibile reiterazione. Vanno pensati provvedimenti che possano essere applicati rapidamente, in attesa di una sentenza definitiva di condanna.
Misure interdittive ad esempio oppure obbligo di firma, divieto di avvicinamento a persone o animali, divieto di detenzione preventivo di animali. Provvedimenti simili a quelli previsti per la tutela delle donne o contro le tifoserie violente. Accompagnati da una maggior sensibilizzazione delle forze di polizia sul tema dei diritti animali.
I crimini violenti contro gli animali sono solo la punta dell’iceberg
Oramai è scientificamente provato il collegamento fra le azioni crudeli commesse a danno degli animali, vedendolo come elemento predittivo della commissione di futuri crimini nei confronti degli umani. Il cosiddetto salto di specie, che si basa sull’annullamento dell’empatia.
Ma voler mettere alla forca senza processo il responsabile significa non aver presente che questi comportamenti, seppur invocati sui social, oltre a non essere risolutivi denotano una patologia di fondo: la prevalenza dell’emotività sul ragionamento. Comportamento che spesso rende la folla non più un insieme di individui ma una massa acefala pericolosa.
Prendersela con chi non apprezza in genere la violenza, leggendola come un sintomo di pericolo per la collettività e la civile convivenza non risolve. Bisogna far pressioni sulla politica perché attui provvedimenti utili, senza sventolare solo bandiere a ogni crudele compiuto a danno degli animali.
Bisogna forse anche smettere di tollerare la violenza sui social, valutando se chi scrive certe cose, e ce ne sono di inquietanti, meriti di avere un profilo per inondare la rete di sottoprodotti della digestione (mentale). Non proteggeremo mai i più deboli se accettiamo e rendiamo normali i comportamenti aggressivi. Il rispetto non è un monolite granitico, ma una virtù e un sentimento da coltivare e far crescere.
Tutela animali è un obbligo delle istituzioni non delle associazioni che si occupano di animali. La surroga al posto della sussidiarietà rappresenta un errore strategico che nel tempo ha consentito alla pubblica amministrazione di eludere troppo spesso i propri doveri.
Questo tipo di scelta, motivata da un’inerzia nell’intervento, ha favorito per anni il disimpegno delle varie componenti pubbliche nel settore del benessere animale, ma in fondo anche nella gestione e nella prevenzione del randagismo.
Più l’ente pubblico latita e più privati e associazioni tendono a esercitare la surroga, investendo molto poco nello stimolo al rispetto dei doveri e molto nell’assistenza.
In questo modo però il problema non si risolve, lo dimostrano i fatti, le proteste dei cittadini, le staffette da nord a sud (leggi qui), i canili lager, la quasi totale assenza di servizi efficienti di pronto soccorso e l’elenco potrebbe essere ancora molto lungo.
Nonostante ciò chi si occupa di queste problematiche ha fin troppo spesso l’impressione che una parte delle energie spese, senza canalizzazione e progetto, finiscano per essere un rimedio per situazioni individuali del singolo animale, senza una reale capacità di incidere sul fenomeno che origina il problema.
Nel tempo forse ci si è dimenticati che la tutela animali è un obbligo delle istituzioni non delle associazioni o forse, più realisticamente, si è deciso che non era così importante ottenere il rispetto di questo precetto, scegliendo di passare da un ruolo sussidiario, accessorio, allo svolgimento del ruolo primario nel campo dell’assistenza.
Collaborare con le istituzioni non significa sostituirsi a loro
Spesso sotto il governo emotivo (leggi qui), meno spesso per scelta razionale e talvolta, purtroppo, occupando una nicchia libera e facendola diventare un modo non sempre trasparente di far soldi.
Così se le ASL non sterilizzano ci pensano i volontari, le associazioni non in concorso ma in autonomia. Consentendo in questo modo ad ASL e Comuni di eludere un dovere sancito da una legge, riconosciuto e come tale finanziato dalle tasse dei cittadini.
Creando nel tempo i presupposti per far si che un comportamento eccezionale diventi regola, che l’inerzia diventi sistema. Seguendo la logica, un poco perversa, del meglio fare (subito) piuttosto che studiare e imparare come costringere le istituzioni (dopo) a rispettare le leggi.
Nello stesso modo si costruiscono canili e rifugi per colmare il problema della carenza di strutture o per sopperire alla mancanza di centri in grado di assicurare il benessere degli animali. Non in modo sporadico e con una visione di periodo ma, spesso, secondo un criterio che insegue l’emergenza, non pianifica le necessità sul territorio. Succede anche che questo avvenga senza creare sinergie fra le varie componenti, talvolta creando strutture non in grado di assicurare il benessere degli animali ospitati.
Il randagismo, canino e felino, non si possono combattere con queste strategie : occorre un piano di sistema, azioni coordinate e soprattutto una componente pubblica che funziona, assiste, programma (leggi qui). Senza programmazione si può tamponare un problema, mai risolverlo.
Ma in questo settore è proprio il classico gatto che si morde la coda: un grande fermento, molti soldi che spesso vanno dispersi e una capacità di incidere limitata sul problema, occupandosi di singoli eventi, delle singole istanze degli animali abbandonati. Encomiabile, meraviglioso per i salvati, gratificante per i salvatori ma certo non risolutivo rispetto alla perpetuazione del problema.
La chiave di volta si chiama sussidiarietà e non surroga
Bisogna ritornare al principio costituzionale di sussidiarietà (leggi qui), eliminando la surroga che ritengo produttiva di danni. Bisogna pretendere che le cose vengano fatte, conoscere i propri diritti e quelli degli animali, contribuire alla crescita sociale. Il modello attuale non ha prodotto grandi risultati e non dobbiamo nasconderlo.
Occorre quindi affrontare il problema e ripensare i ruoli anche delle associazioni, che nel loro operare spesso non sono esenti da colpe pur svolgendo un lavoro importante, encomiabile e necessario.
La Costituzione stabilisce all’articolo 118 che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà“.
Dove il termine favoriscono va letto con sostengono, impiegano, finanziano, coordinano negli interventi. Spesso l’esatto opposto di quanto avviene nel settore della tutela degli animali.
Occorre quindi avere ben presente che la tutela animali è un obbligo delle istituzioni non delle associazioni protezionistiche, né dei cittadini singoli o aggregati in comitati o gruppi. Lo prevedono diverse leggi del nostro ordinamento, norme di livello comunitario e, non ultima certo la nostra Costituzione.
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