Non coltiviamo l’empatia ma stimoliamo l’aggressività, perché mai ci stupiamo dei risultati?

coltiviamo empatia stimoliamo aggressività

Non coltiviamo empatia ma stimoliamo l’aggressività: come mai ci stupiamo dei risultati? Siamo una società bipolare, non soltanto polarizzata, incapace di difendere le proprie ragioni senza urlare. Ogni qualvolta succedono episodi di violenza è un attimo passare dallo sgomento all’insulto, dal pacato ragionamento alla peggiore invettiva. Un comportamento diffuso a 360 gradi, su qualsiasi argomento, con scontri verbali scomposti quanto spesso insulsi, privi di ogni risultato. Si parte da un fatto, spesso tragico, per azzuffarsi scompostamente dando un pessimo esempio alla gioventù che si vorrebbe educare.

Confondendo spesso patologia con crimine, fragilità e incapacità di avere una scala valoriale con deliberata crudeltà. Oppure facendo l’esatto opposto giustificando gesti criminali trasformandoli in errori. In un tempo in cui pietà, compassione, fratellanza e convivenza sembrano essere diventati concetti vuoti. Come si può pretendere di insegnare il rispetto e la difesa dei diritti in un tempo in cui diritti e buon senso affogano nel mar Mediterraneo? Quando sotto le bombe di ogni schieramento restano i corpi dei bambini e non quelli dei soldati, che già basterebbero per renderebbero tragica e insensata ogni guerra? Come si può pensare che rispetto e vero amore prevalgano in una società che causa morte e disperazione per profitto?

Noi animali umani, che sempre animali siamo anche se spesso riusciamo a somigliare ai peggiori mostri dei romanzi, non sappiamo difendere l’importanza della coesistenza. Non sappiamo coesistere con gli animali, ma nemmeno con i nostri simili: scaviamo trincee profonde per difendere diritti che riteniamo esclusivamente nostri. Senza nemmeno provare vergogna, senza preoccuparci di quel che avviene nella parte povera del mondo o nelle periferie degradate delle nostre città.

Non coltiviamo empatia ma stimoliamo l’aggressività, in modo strumentale e consapevole senza pensare ai danni

Provo orrore verso chi strumentalizza ogni vicenda solo per interesse personale, senza soffermarsi e interrogarsi sulle cause. Nel marasma delle parole riusciamo a comporre dei mix tossici, con una superficialità che non dovrebbe appartenere a personaggi che ricoprono un ruolo pubblico. Provo orrore verso uomini e donne che per tornaconto politico fanno dichiarazioni vergognose per violenza intrinseca e assenza di contenuti. Persone che non conoscono il senso di compassione e empatia, che non hanno a cuore il futuro della collettività, ma soltanto il personale momento di gloria.

Sarebbe il tempo di passare dalle parole ai fatti, perché i riconoscimenti di facciata non cancellano la sofferenza. I diritti, quando sono solo annunciati ma non vengono garantiti, si trasformano dall’essere capisaldi inamovibili in parole vuote. Abbiamo definito gli animali esseri senzienti e li abbiamo anche infilati a forza in Costituzione, poi però questi esseri senzienti sono seviziati e fatti vivere in condizioni inaccettabili negli allevamenti intensivi. Sarebbe tempo di comprendere che non è più tempo di dire cose, perché questo è il tempo in cui è indispensabile fare cose. Nell’interesse di una società umana migliore e consapevole.

Un ministro, solo come esempio, ha affermato che chi uccide deve essere per sempre sepolto in carcere con un fine pena mai, possibilmente lavorando. Una condizione questa, quella di lavorare, che proprio lo Stato che rappresenta non garantisce alla stragrande maggioranza dei detenuti. Facendo aumentare le recidive e diminuire la possibilità di reinserimento sociale. Un’affermazione inconcepibile perché per un carcerato il lavoro non è un’afflizione, ma un momento di riscatto. Che troppo spesso, nelle carceri italiane, non può essere vissuto.

Per cambiare la società occorre cambiare i punti di riferimento, cercando persone umane e di buon senso

La nostra collettività potrà migliorare solo alzando l’asticella della cultura e del sostegno, dell’attenzione verso il disagio, in particolare quello giovanile. Cercando di diffondere la cultura del rispetto generalizzato, che non è una questione di genere e nemmeno di specie. Ogni essere vivente merita rispetto, perché ogni vita è importante. I nativi americani quando uccidevano un animale durante la caccia, prima di ogni cosa innalzavano preghiere verso lo spirito dell’animale morto per ringraziarlo del suo sacrificio. Consapevoli di essere parte di un tutto nel quale vita e morte si intrecciano in un percorso senza distinzione di specie.

Nel momento presente, invece, la vita sembra perdere di valore, la sensibilità si anestetizza nonostante le guerre alle porte di casa. Quasi fossimo diventati i protagonisti di un videogame e non gli abitanti di un pianeta con 8 miliardi di persone, di esseri umani. Davvero vogliamo continuare in questa direzione, vogliamo rischiare che quest’epoca che ho definito “Antropocene bellico” sia il presente sul quale speriamo di costruire un futuro? Che rischiamo di non far vivere alle generazioni che sino a oggi siamo stati incapaci di far crescere in modo equilibrato!

Animalismo in bilico fra cuore e ragione

Animalismo in bilico fra cuore e ragione
Immagine di Elisa Riva su Pixabay

Animalismo in bilico fra cuore e ragione, in un equilibrio che troppo spesso pare difficile da mantenere. Ma se il cervello senza emotività non emoziona, il cuore senza cervello fa disastri.

Quando i diritti degli animali vengono difesi senza portare argomenti ma solo perché “i pelosetti non si toccano” non abbiamo fatto un passo avanti. Abbiamo solo dato argomentazioni a chi sostiene che gli animalisti siano fanatici.

Nel tempo dei social ognuno è in grado di far raggiungere il proprio pensiero, dal più semplice al più elaborato, a milioni di utenti. E se fai comunicazione sai molto bene che certi argomenti pagano molto più di altri. Lisciare il pelo ai sostenitori è la cosa più facile del mondo. La difficoltà è convincere gli altri.

Cani e gatti sono animali “diversi”

Parlare di maltrattamenti su gatti e cani suscita molte più reazioni, like, condivisioni ma anche insulti, spesso a 360°, di quanto non faccia un articolo sul maltrattamento dei suini. Che spesso trova il sostegno solo dei vegani arrabbiati, quelli che insultano tutti gli onnivori. Senza rendersi conto che mai nessuno è stato convinto a cambiare opinione se preso a sputi in faccia.

Eppure gli argomenti a supporto dell’essere vegani certo non mancherebbero. Senza necessità di insultare chi la pensa in modo diverso. Come fanno, per fortuna, i tantissimi vegani che cercano il dialogo e non l’imposizione. Ma si sa che argomentare è più complesso che insultare, richiede preparazione. Per questo non governo emotivo può succedere che si trasformi una buona intenzione in una pessima azione. Liberando un’aggressività inutile verso il mondo che è cosa opposta all’empatia.

Si sa che i social non sono una palestra di equilibrio e che la rete è diventata una sorta di muro su cui sfogare l’aggressività. Tanto che molte persone ne fuggono disgustate per la violenza, gli insulti e la pochezza degli argomenti. Per la tendenza a litigare con gente che nemmeno si conosce, per il primato di un’idea che spesso nemmeno si sarebbe in grado di difendere a tutto tondo.

Però se lo scopo è quello di dare un piccolo contributo a migliorare la nostra società avremmo il dovere di interrogarci. Per avere sempre ragione basterebbe parlarsi allo specchio, senza bisogno di scrivere sui social commenti, spesso irrilevanti, che forse non useremmo neanche se ci trovassimo seduti al tavolino di un bar, con amici.

Animalismo in bilico fra cuore e ragione

Mantenere l’animalismo in bilico fra cuore e ragione è un esercizio delicato, come sempre quando bisogna far coincidere l’emotività con la razionalità. Diventa un esercizio possibile nel momento in cui ragioniamo su un argomento che conosciamo, sul quale abbiamo approfondito la nostra conoscenza.

Questo credo, e temo, sia il nocciolo della questione: per far avanzare i diritti degli animali, come per tutte le cause di questo mondo, occorre andare oltre l’emozione. Ma questo confine ce lo fanno superare solo le nostre competenze in materia. Saranno cultura e informazione a cambiare il mondo, non certo la partecipazione scomposta a una qualsiasi discussione su argomenti che ci emozionano, ma dei quali poco o nulla sappiamo in realtà.

Occorre provare a riconoscere la forza della proposta, che molte volte è più convincente e duratura di quella della protesta. Con l’obbligo morale di ricordare sempre che, quando si parla per conto di chi non ha voce, bisognerebbe sforzarsi di farlo per garantirgli un vantaggio. Quando l’unico a essere soddisfatto è chi scrive, e non c’è crescita né progresso, significa che il danno, piccolo o grande è fatto.

Dobbiamo ricordare, tutti, che la difesa dei diritti degli animali è un argomento che li riguarda a 360°,che non si ferma agli animali del cuore, a quelli che accompagnano la nostra vita. Bisogna capire la sofferenza del pesce rosso (leggi qui), ma anche quella del visone o del manzo. Passando, naturalmente, anche attraverso quella umana: la sofferenza è un patrimonio comune di tutti i viventi e questo non andrebbe mai scordato.

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