Orsi in Trentino: serve ragionamento, non basta il cuore per cambiare le cose e farsi contare nelle piazze è sempre un errore strategico, se non si è in grado di riempirle. La polarizzazione delle scontro è diventata più funzionale alla strategia elettorale e governativa di Fugatti, che non alla tutela reale degli orsi. Usando schemi di comunicazione diversi nei contenuti, ma troppo simili nell’esporre le ragioni degli schieramenti, si cerca di infiammare le piazze, spesso con risultati molto deludenti. Per questo occorre saper coniugare cuore e cervello, seguendo una linea etica basata su una realtà meno emotiva e più tecnica.
Orsi in Trentino, serve ragionamento per raccontare alla pubblica opinione cosa non è stato fatto da chi si lamenta
Per spiegare il fallimento della politica del Trentino nella gestione degli orsi, reintrodotti per scelta politica e questo non va dimenticato, occorre mettere in fila gli errori. In modo da illustrare le ragioni che hanno portato alla situazione attuale.
Gli errori della politica, dall’inizio del progetto a oggi:
Mancata informazione e formazione: i trentini non hanno ricevuto le corrette informazioni per consentire alle persone di condividere il territorio con gli orsi;
Diffusione di informazioni prive di contenuto scientifico: gli orsi non sono troppi perché la loro diffusione è legata alle risorse del territorio e non possono essere “politicamente” in sovrannumero;
Mancata messa in sicurezza dei rifiuti: non aver ancora adottato i cassonetti dei rifiuti alimentari a prova d’orso abitua i plantigradi a cercare cibo dove non dovrebbero. Questa abituazione è causa di una colpa grave delle amministrazioni pubbliche;
Omessa chiusura temporanea di alcuni sentieri durante la primavera, come avviene in Abruzzo, per evitare possibili incidenti e proteggere uomini e animali;
Mancato rispetto del divieto di foraggiamento e uso di esche olfattive: occorre controllare che non sia sparso cibo in zone vicine all’abitato e far rispettare anche ai fotografi e alle agenzie escursionistiche, il divieto di utilizzare esche olfative per attirare i plantigradi;
Mancato rispetto della buona pratica di tenere i cani al gunzaglio durante le escursioni e diffondere l’uso del campanellino sullo zaino per chi fa escursioni in solitaria, sanzionando chi non rispetta i divieti già vigenti;
Utilizzo di strategie di comunicazione basate sulla paura, per convincere la popolazione di essere in pericolo a causa dei predatori e assenza di comunicazione comparativa, per relativizzare la paura verso i grandi carnivori.
La convivenza con gli animali selvatici è una necessità per l’uomo
Occorre, inoltre, fare comunicazione positiva nei confronti delle persone, evitando di criminalizzare tutti gli abitanti del Trentino. Ci sono persone che vogliono vivere in una provincia attenta alla conservazione dell’ambiente e alla convivenza con gli animali. Accusare tutti i trentini di essere dei mostri non agevola certamente il rapporto, che spesso viene visto come il comportamento ostile di un cittadino, mai entrato in un bosco. Per essere credibili, da qui nasce l’attenzione e la propensione all’ascolto, occorre esporre idee che siano più articolate e complesse degli slogan.
Per questo parlare per slogan non solo è inutile, ma risulta controproducente. Tutti noi siamo portati a sentire con attenzione solo le opinioni esposte da persone che le argomentano, senza semplificare tutto e senza ridurre il rapporto uomo/orso a un cartoon. La convivenza impone delle regole e delle limitazioni, che in fondo non sono molto diverse nemmeno nei rapporti umani. La nostra vita è scandita da regole e divieti, nati per agevolare la convivenza. Dai semafori alle isole pedonali, dai limiti di velocità alla raccolta differenziata per evitare conflitti le società impongono regole. Anche per la convivenza con gli animali selvatici servono ragionamenti e regole.
L’incidente occorso a Andrea Papi è stato terribile per tutti, un episodio che avremmo voluto che non accadesse mai. Ma partire da un incidente per chiedere l’abbattimento degli orsi è un errore frutto di una valutazione grossolana. Che può essere comprensibile per i suoi famigliari, che risulta poco realistica, se valutiamo quali siano le cause di morte per incidente anche solo in Trentino. Se passasse questo ragionamento bisognerebbe chiudere strade e autostrade, vietando piste da sci e escursioni in montagna.
La montagna uccide eppure questa sfida è considerata accettabile
Eppure i trentini dovrebbero temere più la strage compiuta ogni anno dai pesticidi, con nove milioni di morti premature ogni anno nel mondo, che non gli orsi. Per questo è importante fare divulgazione e informazione.
Gli effetti dei pesticidi sulla salute umana. Nove milioni di morti premature ogni anno, circa 385 milioni di casi di avvelenamento acuto non intenzionale da pesticidi in tutto il mondo e circa 11.000 decessi. Questi i numeri di una pandemia nascosta generata per la massimizzazione dei profitti dell’industria dell’agricoltura intensiva. Lavoratori agricoli, donne in gravidanza e bambini sono i soggetti più a rischio di esposizione ai pesticidi sia in maniera acuta, sia cronica con effetti a breve e a lungo termine. I bambini sono particolarmente vulnerabili all’esposizione ai pesticidi a causa della loro fisiologia, del comportamento e dell’esposizione prenatale. Sui feti e neonati la tossicità dei pesticidi risulta amplificata rispetto agli adulti.
Un crescendo di uccisioni a colpi di fucile che una volta rimanevano nascoste, facendo prediligere ai bracconieri la tecnica delle tre “S”: spara, scava, sotterra. Mentre ora, sarà anche grazie alle dichiarazioni di alcuni ministri e al governo più filo-venatorio della Repubblica, gli episodi di bracconaggio si moltiplicano, con cadaveri lasciati volutamente in bella mostra. Come a rappresentare la possibilità per il bracconaggio contro i lupi di rialzare la testa. Messaggi inquietanti per chi si occupa di tutela ambientale e della difesa degli animali, ma forse anche messaggi chiari verso la politica perché adotti provvedimenti.
Quello che appare è un quadro a tinte fosche che vede un’esposizione preoccupante del bracconaggio, stimolato probabilmente anche dalle dichiarazioni “esuberanti” dei politici come il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida. In un momento in cui l’idea del fare sembra prevalere rispetto all’idea di risolvere i problemi. Ben sapendo che l’abbattimento dei lupi non servirà a risolvere il problema delle predazioni degli animali lasciati incustoditi al pascolo. Il numero delle predazioni degli animali allevati non dipende dal numero dei lupi, ma dall’attrattività delle prede: se sono facili da uccidere sono cibo a basso dispendio energetico.
Azioni di bracconaggio sui lupi in crescita, senza che nemmeno il ministero dell’ambiente faccia sentire la sua voce
Le azioni di bracconaggio sono passate inosservate, anche quando un gruppo di cacciatori di cinghiali ha ucciso un lupo vicino alle case, davanti agli occhi di un bambino. Sui media solo poche righe, nessuna dichiarazione ufficiale delle autorità e nemmeno dei politici. Completamente assente anche il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin, che non risulta abbia mai detto parola contro il bracconaggio., tanto da far rimpiangere persino il suo predecessore Cingolani.
Per fortuna, almeno per il momento, esistono baluardi europei difficili da espugnare, anche per i fautori della caccia al lupo, come la Convenzione di Berna, Senza contare la legge sulla caccia che classifica il lupo come specie particolarmente protetta, che senza modifiche non consente deroghe al divieto di abbattimento. Visti i tempi non bisogna certo sentirsi rassicurati: a modificare la legge 157/92 basta un atto parlamentare. In questo momento, forse, la miglior barriera contro la caccia selvaggia al lupo sono i fondi del PNRR, che potrebbero esserci negati in caso di palesi violazioni.
Il lupo è il nemico numero uno degli allevatori, anche se i danni da predazione dei lupi vengono indennizzati
Le predazioni che i lupi fanno nei confronti degli animali al pascolo sono sempre indennizzate dalle Regioni. In modo insoddisfacente sentendo gli allevatori, che spesso scordano quanti incentivi riceva l’agricoltura e dimenticano come in ogni attività esista il rischio di impresa. Accettato quando si parla delle grandinate, considerate un fenomeno naturale imponderabile, ma non se a provocar danni è un altro fenomeno della natura: il lupo. Colpevole di aver da sempre cattiva fama e di volersi comportare proprio come la natura lo ha programmato: un superpredatore ai vertici della catena alimentare.
Il concetto di troppi predatori è umano, come lo è quello che ci siano troppi animali dell’una o dell’altra specie. In particolare quando questo viene considerato in senso assoluto, senza raffronto con le alterazioni che noi uomini abbiamo creato. Ogni specie si riproduce e aumenta di numero a seconda delle risorse di cibo e territorio. Unica specie animale che fa eccezione è la nostra, che quasi mai tiene in considerazioni queste variabili, dimenticandosi del concetto di portanza ambientale.
La storia del lupo sul territorio del nostro paese è l’esempio di questa realtà: persecuzione, ma anche e soprattutto diminuzione di prede e territorio, lo avevano decimato. Lasciando che per decenni restasse presente solo in piccoli gruppi in alcuni territori centro meridionali del paese. L’abbandono delle campagne, l’aumento degli ungulati causato dai ripopolamenti dei cacciatori e un nuovo status giuridico, che lo ha fatto passare da animale nocivo a specie protetta, hanno poi cambiato le sorti di un’intera specie. Il lupo piano piano, è riuscito a riprendersi i suoi spazi, ricolonizzando i territori da dove era stato spazzato via. Senza bisogno di reintrodurre alcun esemplare: nemmeno uno, nonostante le leggende.
Possiamo sostenere che ci siano troppi lupi, ma anche orsi, nutrie o cinghiali? La risposta è no, il concetto di “troppo” non appartiene alle naturali dinamiche di popolazione, tanto più quando parliamo di predatori e non di prede. Queste ultime infatti, se l’uomo altera gli equilibri, possono arrivare ad avere numeri maggiori di quanto potrebbe essere auspicabile. Ma questo avviene, quasi sempre, in carenza di un numero adeguato di predatori e in presenza di un’abbondanza di risorse alimentari a basso dispendio energetico, come i rifiuti.
Il concetto di troppi predatori non si basa dati biologici, ma solo su valutazioni di comodo della nostra specie
I predatori, ad esempio, si riproducono in modo proporzionale alle risorse di cui possono disporre, Necessitano di risorse alimentari, che sono costituite dalle specie predate e che, solo occasionalmente, possono essere gli animali allevati dagli uomini, quando non correttamente custoditi. Le loro prede d’elezione restano gli animali selvatici e per questo spesso entrano in contrasto con i cacciatori che li vedono come pericolosi avversari.
I concetti, molto sintetizzati, sono semplici e di facile comprensione. La natura rappresenta un sistema in sostanziale equilibrio, dove siamo quasi sempre noi umani i fattori destabilizzanti. L’unica specie del pianeta che si riproduce senza tenere conto di spazi e di risorse alimentari. Grazie alle nostre capacità di produrre cibo, di essere adattabili anche grazie a un costante progresso alimentato dall’uso delle tecnologie. Ma questo purtroppo non basta per incrociare adattabilità con condivisione di territorio e risorse. Non lo vogliamo fare con gli uomini, siamo ancora meno disponibili a cedere spazio ad altre specie.
La grave pandemia che stiamo vivendo ha causato molti morti e sofferenze, ma non porterà a una sostanziale riduzione della popolazione umana. Secondo le stime arriveremo a essere 8 miliardi entro il 2025 e questo accadrà nella consapevolezza che il pianeta farà moltissima fatica a sopportare questo carico. In particolare se non cambieremo le nostre abitudini e gli stili di vita, facendo un passo indietro rispetto allo sfruttamento dissennato delle risorse ambientali. Una scelta obbligata per non aprire la strada a molte altre emergenze pandemiche.Energie fossili, allevamenti intensivi e consumo di suolo sono i tre pilastri dell’Antropocene, dai quali sembra che non vogliamo distaccarci. Nonostante molte parole, che non compensano gli scarsi fatti concreti.
Ci sono troppi uomini e poco rispetto per l’ambiente che ci ospita, mortificato da un economia che rapina e non tutela
Se l’uomo fosse davvero sapiente, come dice il nome scientifico della nostra specie, capirebbe l’importanza dell’equilibrio. Una condizione indispensabile che viene prima di ogni altra considerazione: senza equilibrio non ci può essere ricchezza, uguaglianza, convivenza. Al suo posto ci sarà sempre e solo sfruttamento quotidiano senza aver riguardo per il futuro, assicurando sempre il soddisfacimento dei bisogni di pochi e garantendo una vita di stenti per molti. Per questo è davvero molto sconfortante dover ascoltare ragionamenti di corto periodo e vedere affrontare i problemi senza visione di quello che potrebbe succedere a fine secolo.
Ci siamo abituati a non considerare troppo la sofferenza, né quella degli umani né quella degli animali. Siamo anestetizzati dalla ricerca del benessere e non riusciamo a guardare oltre. Nemmeno in tempi bui come questi, che avrebbero potuto costituire un ottimo spunto di riflessione sullo stile di vita di ognuno di noi. Non sembra essere stato così e dopo l’iniziale coesione, che aveva fatto ben sperare. Eppure questo è il tempo del cambiamento, una sorta di ultima chiamata alla responsabilità collettiva di cittadini e governanti.
In linea teorica se perseguissimo davvero la via del cambiamento una sterzata potrebbe essere impressa, alimentando qualche speranza. Ma la nostra società sembra incapace di apprezzare l’equilibrio, di accettare il principio di condivisione di territorio e ricchezze, rinchiusa nei recinti culturali che hanno creato le premesse di questa incredibile realtà. Dimenticando che se guerra ci deve essere non sarà quella ai lupi che cambierà le sorti del mondo, salvo che finalmente non si prenda a braccare i lupi di Wall Street, quelli che spesso si arricchiscono lasciando il mondo senza acqua, cibo, istruzione, diritti. Un mondo iniquo non potrà mai essere un bel posto dove vivere.
Lupi e pastori possono convivere, se si capisce che la presenza dei predatori rende necessaria la protezione degli animali al pascolo. Per evitare che le predazioni possano innescare un conflitto permanente che diventa la causa di episodi di bracconaggio. Facendo si che i lupi scelgano come prede gli animali selvatici, contribuendo al mantenimento dell’equilibrio naturale.
Da troppo tempo i pastori hanno perso l’abitudine di dover vigilare gli animali al pascolo, essendoci stati lunghissimi periodi in cui lupi e anche orsi erano praticamente scomparsi dall’arco alpino. Ora con il loro ritorno gli animali al pascolo possono diventare un’alternativa alla caccia degli ungulati. Specie se i branchi non sono equilibrati a causa della prematura morte di qualche soggetto. Per questo è necessario che i pastori adottino le necessarie contromisure per difendere e proteggere i loro animali.
Ora grazie a Eurac Research, al Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige e all’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica verranno promossi dei percorsi informativi per illustrare ai pastori come convivere. Nel rispetto delle reciproche esigenze. Promuovendo corsi di formazione per i pastori di Alto Adige, Baviera e Austria nell’ambito del progetto LIFEStock Protect.
Lupi e pastori possono convivere in montagna, proteggendo gli animali domestici e migliorando la convivenza
Nei prossimi cinque anni gli allevatori di Alto Adige, Baviera e Austria riceveranno una formazione mirata alla protezione delle mandrie. Verranno istituiti dei “Centri di competenza per la protezione delle mandrie”, cinque dei quali in Alto Adige. “I primi corsi di formazione sulla protezione degli animali e sulla costruzione dei recinti si terranno la prossima primavera”. Secondo quanto illustrato da Julia Stauder di Eurac Research, che coordina il progetto sul territorio italiano.
In montagna le protezioni devono essere intelligenti e flessibili. Pensate e diversificate in base alla pendenza dei terreni e ad altre caratteristiche. Come ad esempio il dover consentire l’accesso ai pascoli ai turisti che praticano escursionismo. Consentendogli di fruire in sicurezza dei sentieri, in modo da non creare impedimenti al turismo, che rappresenta una risorsa importante.
In questo momento in Trentino e limitrofi si cerca un pericoloso latitante che rappresenta un pericolo per l’incolumità pubblica. Per questo l’orso M49 deve scappare, inseguito da un manipolo di forestali che lo braccano. Su disposizioni di Maurizio Fugatti, il signore che si vede nella foto insieme al ministro dell’interno Matteo Salvini. Entrambi giurano di essere al servizio di tutti, anche se è evidente che un orso, per giunta sloveno, non è una figura che si possa includere nel gruppo.
Le motivazioni sono da ricercare in alcuni comportamenti da orso, tipici di un plantigrado, che M49 ha messo in atto, forse con più pervicacia di altri orsi. Ma si tratta pur sempre di comportamenti tipici della specie che non sono alterazioni indicative di una reale pericolosità. L’orso non predilige la vacca della malga, semplicemente sceglie una fonte di proteine più semplice da raggiungere. Del resto nessun animale scarta una facile preda per iniziare una competizione con quella irraggiungibile.
Tutti i predatori attaccano soggetti in difficoltà per una logica di sopravvivenza. Se fossero uomini diremmo che sono degli approfittatori di deboli e inermi, ma stiamo parlando di orsi. Che non hanno una morale, una fede, un credo ma si comportano secondo quanto l’evoluzione gli ha trasmesso. Il cibo è la cosa più importante per raggiungere due scopi: sopravvivere e riprodursi. Un comportamento ovvio e naturale quindi.
L’orso M49 deve scappare non perché è pericoloso, ma in quanto orso
Appurato che M49 è appunto un orso con comportamenti ursini, in un territorio che è antropizzato oggi quanto qualche anno fa, ci si chiede quale sia il problema. Considerando peraltro che il numero dei suoi simili non è cresciuto in modo esponenziale, tale da creare chissà quali problematiche.
Eppure gli orsi sono l’unico caso di ripopolamento di grandi carnivori fatto in Italia, nell’ambito di un progetto europeo. Un LIFE che ha avuto inizio nel 2010. Con fondi erogati dalla Comunità Europea, con un progetto condiviso dalla comunità locale. Importando in Trentino orsi sloveni, quindi anche sotto il profilo politico, del tutto comunitari, cosa non secondaria visti i tempi.
Il progetto partiva dalla volontà di rimpolpare una popolazione di orsi ridotta al lumicino, anche sotto il profilo genetico, nonostante fosse vietato cacciarli da decenni. Al contrario del lupo infatti, che mai è stato oggetto di reintroduzione, il numero di orsi presenti nel massiccio Adamello Brenta non si è mai ripresa negli anni, dando segni di recupero. Da qui il primo progetto LIFE e il rilascio di esemplari catturati in Slovenia, fatto con i soldi comunitari.
Fugatti dice che i grandi carnivori sono incompatibili con l’agricoltura di montagna
Forse sono i politici il problema, quelli che devono sempre avere un nemico da combattere, per giustificare la propria esistenza, la focalizzazione dell’attenzione popolare, l’interesse politico del proprio bacino di voti. Sentite l’intervento fatto da Fugatti all’assemblea del Trentino e giudicate da soli.
Avrete sentito dire che il problema sono i grandi carnivori, che sono incompatibili con le mandrie o le greggi al pascolo. Mentre è il pascolo libero, non controllato, a essere un problema in un ambiente naturale sano, che sia composto da prede e predatori. La questione infatti è basata sulla necessità di riportare le cose al punto antecedente allo sterminio dei predatori.
Peraltro nel tempo presente esistono strumenti e tecnologia per prevenire gli attacchi, per evitare le predazioni. Basterebbe che la politica smettesse di essere così arrogante nella gestione ambientale, così calcolatrice nel tornaconto elettorale. Sarà per questo che si nota la mancanza di statisti, che programmano il futuro, e la sovrabbondanza di politicanti, quelli che fanno già fatica a parlare di domani.
Le imbarazzanti dichiarazioni di Fugatti, che raccontano del centro da cui M49 è scappato come di un’eccellenza europea per la gestione degli orsi e i ritardi nella diffusione di immagini e di versioni credibili, creano molte perplessità. Ma se la Lega è il partito dei cacciatori, così non dovrebbero essere i pentastellati, che però non vanno oltre le prese di posizione del ministro Sergio Costa, che ha ribattezzato M49 con il nome di Papillon. In memoria del celebre evaso.
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