I cani con fine pena mai sono quelli che, una volta entrati nei canili, hanno un’altissima possibilità di restarci per tutta la vita. Animali condannati a trascorrere un’esistenza fatta di privazioni, interamente condotta dietro le sbarre, spesso in solitudine. I canili non sono la soluzione, e questo è oramai chiaro a quasi tutti, perché anche quelli migliori, che sono sempre meno di quanto si creda, non sono luoghi felici. Quando anche chi opera all’interno ci mette il massimo del suo possibile queste strutture restano sempre delle prigioni. Più si abbassa il livello di attenzione e più la vita di questi cani perde qualità sino a scomparire, proprio come avviene per gli animali di circhi e zoo, aprendo per loro baratri sconosciuti.
Guardando attraverso le grate di un box l’osservatore attento, quello che ha la voglia e anche la resistenza per andare oltre, percepisce una sofferenza, talvolta muta, talvolta abbaiata, ma comunque dolorosa. Qualcosa che se non stai attento ti si attacca all’anima: in molti casi si ha la netta percezione che il dolore che leggi negli occhi di questi animali sia senza cura. In tutti gli esseri viventi ci sono limiti che non dovrebbero essere mai superati. Percorsi della mente che non prevedono un ritorno, peggio della malattia fisica. Quando si altera la psiche, quando è il cervello che crea fantasmi e ossessioni, si apre il baratro della follia. Una voragine capace di inghiottire non soltanto gli umani, ma tutti gli esseri viventi che provano emozioni.
Nei canili ci sono animali anziani, magari non perfetti, talvolta anche esteticamente bruttini, ma talmente simpatici ed equilibrati da avere anche loro una possibilità. Questi sono cani difficili da far adottare, ma sono animali con una speranza. Quella che non è data a quei soggetti che una volta costretti in canile hanno imboccato una strada impervia, che rischia di diventare di impossibile ritorno. Animali che, a causa di storie di vita hanno perso l’equilibrio, rifugiandosi nei casi peggiori, proprio come accade per gli uomini, nella follia. Sono questi i cani che resteranno imprigionati in un viaggio senza stazioni di arrivo, quelli del fine pena mai!
I cani con fine pena mai sono quelli alienati, difficilmente recuperabili, destinati a una vita colma di sofferenze e paure
Storie che ricordano il libro di Mario Tobino “Per le antiche scale”, ambientato nel manicomio di Lucca prima dell’avvento della legge Basaglia, la norma che finalmente mise termine all’esistenza dei manicomi. Nel libro è contenuta la lucida descrizione della follia, capace di rapire per sempre il normale sentire in ogni essere vivente. Un fatto sul quale ci si sofferma troppo poco, quasi avendo paura che questo sottile filo possa spezzarsi, di colpo, anche in ognuno di noi. Gli animali non fanno certo eccezione, se solo avessimo la voglia di capire, di individuare il problema e di comprendere il peso e la grande sofferenza. Situazioni dolorose certamente, drammi che bisogna avere voglia di affrontare, di comprendere e dove possibile di lenire.
Questa è l’osservazione del dottor Anselmo, medico protagonista del libro, che non capisce come possano convivere due anime in una stessa persona, come la musica possa essere salvezza e il pensiero condanna.
«La pazzia è come le termiti che si sono impadronite di un trave. Questo appare intero. Vi si poggia il piede, e tutto fria e frana. Follia maledetta, misteriosa natura. Ma come, ma perché il Meschi quando soffia nel sassofono incanta e invece quando parla è zimbello di pensieri? assurdità? inconcludenze? O per lo meno noi non comprendiamo assolutamente nulla di quello che dice?»
Tratto da “Per le antiche scale” di Mario Tobino
Alcune volte l’alterazione comportamentale è uno stato causato da un’origine sconosciuta, altre volte è la conseguenza di un’insieme di concause: la mancata socializzazione, la paura, la noia. Elementi che giorno dopo giorno possono arrivare a far perdere il senno oppure creare l’impossibilità di condurre una vita normale. Così succede a molti cani condannati a passare la loro esistenza nei canili, magari solo perché appartengono a razze difficili da gestire, oppure hanno morsicato, per paura, essendo animali non socializzati, di branco, che non vogliono avere a che fare con l’uomo. Meno ancora dopo che li ha rinchiusi nel budello dove saranno detenuti a vita, il box spesso troppo angusto di un canile. Pochi metri quadri, forse puliti ma pieni soltanto di una noia senza fine, come una cella di Guantanamo.
I cani che resteranno detenuti a vita sono prigionieri incolpevoli di un patto tradito
Una piccola aliquota di animali e uomini instabili, senza apparenti ragioni, esiste e esisterà, forse non per sempre, ma ancora a lungo, finché non diventeremo bravi a curare le anime. Gli altri, quelli che hanno compiuto il doloroso percorso in salita che li ha resi difficilmente gestibili, instabili e talvolta anche potenzialmente pericolosi, sono quasi sempre una nostra responsabilità. Dovuta a cattive scelte, a incapacità di gestire animali caratterialmente complessi, alla decisione di volerli, presa d’impulso, che altrettanto d’impulso poi svanisce. Condannando gli animali a diventare prigionieri di un sistema che, come il carcere, difficilmente è capace di creare i presupposti per una seconda chance. Per mancanza di mezzi, di personale, spesso di capacità o semplicemente per disinteresse.
Può succedere che i cani subiscano le scelte di essere stati salvati a forza e rinchiusi. Da persone che a tutti i costi hanno deciso per loro, che fosse più sicuro il canile della strada, che fosse meglio un box di un rapporto imperfetto o di un compagno di vita giudicato non adeguato. Storie di adozioni sbagliate, che non incrociano i bisogni dei cani, ma soddisfano solo le aspettative di chi li fa adottare. Senza tenere conto che non tutti gli animali, proprio come le persone, sono uguali, reagiscono allo stesso modo, hanno identiche abilità, capacità di resistere, di vivere soli. Certo la vita è importante, va sempre difesa, ma per essere vera vita deve contemplare un equilibrio, quello che fa vivere in armonia con l’ambiente che ci ospita. Quando invece diventa “pena di vita”, può davvero arrivare a non essere migliore della morte.
L’importante è essere consapevoli che i canili non rappresentano la salvezza: ogni cane che entra in un box costituisce la dimostrazione di un nostro fallimento, di un patto che abbiamo tradito con il miglior amico dell’uomo. Per questo adottare è infinitamente più etico che comprare animali, così come non farli nascere è un dovere ineludibile, in un mondo dove ce ne sono già troppi rispetto ai possibili compagni delle loro vite. Entrate in un canile, guardate gli ospiti, fermatevi a guardare per un minuto occhi e comportamenti. Se lo avrete fatto con lo spirito giusto non potrete che scegliere uno di loro, magari anche il più bello e equilibrato, ma sicuramente un cane prigioniero, da liberare.
Cambiare il modo di contrastare il randagismo, educare al rispetto e alla comprensione della sofferenza
Occorre cambiare passo, non lasciare che i cani diventino strumenti di guadagno, come se fossero cose animate, come se fosse importante soltanto mantenerli in vita. Dobbiamo forse smettere di considerare la vita l’unico valore meritevole di tutela e dobbiamo iniziare a parlare di “diritto al benessere e alla felicità”. I cani lasciati a marcire nei canili gestiti in modo criminale, per incassare il prezzo della sofferenza quotidiana, devono diventare un retaggio del passato. Occorre considerare il randagismo un’emergenza che deve essere contrastata con campagne di sterilizzazione a tappeto, stabilendo percorsi abilitativi per chi voglia avere un cane. Bisogna introdurre l’interdizione alla detenzione di animali per quanti sono condannati per maltrattamento, che poi altro non è che una devianza criminale.
Bisogna riqualificare i crimini a danno di animali usando gli stessi parametri che sono considerati validi per gli uomini. Occorre smettere di usare termini roboanti ma vuoti, come “esseri senzienti”, se poi questa definizione resta priva di applicazioni concrete. La chiave di tutto è nel termine “rispetto”, l’unico sentimento in grado di garantire la convivenza sociale fra uomini e fra noi e gli altri esseri viventi. Smettendo di considerare il solo diritto alla vita come unico baluardo in grado di difendere chi abbia difficoltà a poterla vivere pienamente. Non è questione di vita o di morte, ma di dignità, di integrità psicofisica e di dare un valore diverso al termine, abusato, di “benessere animale”.
Non prendete animali dagli sconosciuti se non volete rischiare sorprese, alimentare traffici, contribuire a diffondere pessime pratiche. E non ultimo a creare un danno agli animali, troppo spesso oggetto di maltrattamenti.
Tutto si vende sulla rete, in modo più o meno palese, con annunci più o meno veritieri spesso basati sull’assunto che ogni mattina si sveglia un leone e centomila gazzelle.
Quindi se ai predatori non mancano le prede devono individuare solo il miglior annuncio per catturarle. La savana degli uomini ora è la rete, dove comodamente seduti i trafficanti e non solo attendono le loro vittime.
Gli acquisti di animali su internet sono sempre più frequenti anche perché non esistono leggi che lo vietino; così ogni giorno centinaia di persone si affollano per scoprire il miglior prezzo. Quello per mettere un animale sotto l’albero del prossimo Natale o di altre occasioni. E non si parla di soli cani ma di tutto il variegato mondo racchiuso nella magica parola pet, ovvero animale da compagnia.
Il commercio di animali viaggia sulla rete
Uno sterminato campionario di specie e razze animali che vengono commerciate per la supposta gioia dei possessori, sempre meno per quella di chi questa condizione, da animale, la subisce.
Così non ci si rivolge più al negozio sotto casa o al rifugio più vicino, perdendosi in un’offerta smisurata composta dal variegato universo di chi propone animali attraverso le pagine dei siti di annunci o di Facebook. Con una sostanziale differenza: i siti d’annunci puntano più sulle vendite, le pagine Facebook sulle adozioni del cuore, ma il risultato in fondo non cambia.
In ogni caso si cerca di intercettare bisogni, di incrociare richieste, di risolvere problemi o di vendere a prezzi di saldo. Raramente si cerca di far capire alle persone che anche un’adozione deve essere una scelta responsabile. Che un animale è per sempre, costa in termini di risorse economiche e di tempo.
Certo in molte situazioni cambia decisamente lo spirito ma mentre l’offerta dei trafficanti/commercianti è sempre chiara, almeno sotto il profilo economico e infatti si parla di vendita, lo stesso non sempre accade per le adozioni. Ci sono realtà serie e un vasto sottobosco di persone che lo sono decisamente meno.
Trafficanti di cuccioli di razza consegnano i cani nelle stazioni di servizio
In entrambi i casi molto spesso le consegne avvengono con le stesse modalità: sotto i cavalcavia delle autostrade, nelle aree di servizio meno frequentate, nei parcheggi delle zone industriali durante il week end. Così non ci sono i controlli che, per quanto pochi, hanno le strutture fisse. Gli animali passano di mano in mano in mezzo alla strada, con rischio di fughe indesiderate, con un passaggio di soldi che avviene rigorosamente in contanti, per quanto concerne gli animali acquistati in rete.
Può quindi accadere che l’ingenuo acquirente/adottante si ritrovi in braccio un animale ben diverso da quello che aveva scelto, ma né il luogo né chi gliel’ha portato ammettono cambi, indecisioni, mancati ritiri. L’errore è fatto e la conseguenza è inevitabile.
Questo succede per i cani che i trafficanti dell’Est vendono direttamente ai privati su internet, con piccoli viaggi meno rischiosi e con margini più interessanti, per gli animali che molti allevatori amatoriali vendono in nero e per quelli portati da certe staffette (non tutte), fatte da professionisti del trasporto di animali dal sud al nord Italia.
Con condizioni di viaggio degli animali spesso inaccettabili, ma che i pochissimi controlli riescono a evidenziare solo in pochissime occasioni, rispetto al volume del traffico.
Non contribuite ad arricchire chi traffica e non alimentate maltrattamenti di animali
Questa realtà non riguarda solo cani e gatti, non è un’esclusiva dei trafficanti slovacchi o ungheresi e di qualche professionista dell’adozione al di fuori delle strutture autorizzate, come invece legge e intelligenza vorrebbero. Questo fenomeno interessa anche specie animali diverse.
Pappagalli, piccoli mammiferi, rettili che sui siti di annunci si trovano offerti in gran quantità e con lauti guadagni per gli allevatori amatoriali. Che spesso hanno come oggetto della loro passione quella per l’evasione fiscale. In questo mare magno pochissimi sono i controlli e così fioccano le dichiarazioni di cessione di animali esotici a titolo gratuito. Un sistema per regolarizzare il possesso ai fini della normativa CITES e per eludere poi i controlli, specie quelli fiscali.
Ci sarebbe bisogno di una normativa europea che impedisse di pubblicare annunci per la cessione e la vendita di animali attraverso la rete e il divieto per i negozi online di vendere animali vivi. Il primo a non farlo è proprio il Regno Unito, che pur si dichiara molto attento alla tutela degli animali, salvo poi ignorare un fenomeno di massa.
La verità è che il fenomeno del malaffare nel commercio degli animali si sta trasferendo sulla rete, rendendo sempre più complessi e difficili i controlli che se già erano pochi sulle strutture commerciali autorizzate diventano quasi nulli su questo fronte.
Non prendete animali dagli sconosciuti e mai su Internet
La questione è sotto gli occhi di tutti e nonostante la prudenza suggerisca di non prendere animali dagli sconosciuti i più non vogliono sentire questa voce. Allettati dal prezzo che rende l’acquisto un vero affare, sino a quando non prende la piega tragica del bidone con acclusa sofferenza per l’animale.
Oppure sino a che si scopre che il cane di taglia piccola adottato e ricevuto sotto un cavalcavia era in realtà un cane grande, nemmeno in condizioni ottimali. In entrambi i casi è sempre troppo tardi e le conseguenze le pagano quasi sempre solo gli animali.
Bisogna cercare di diffondere la cultura della consapevolezza, nella quale è chiaro a tutti e sin da subito che un animale è un impegno grande e per tutta la vita. La decisione di averne uno deve essere una scelta responsabile, che non getti montagne di soldi in tasca a chi gli animali li sfrutta.
Facili emozioni, facili abbandoni: la sintesi nuda e cruda di quello che può significare adottare un animale, ma non soltanto un cane, sulla spinta di un impulso emotivo.
La rete è piena delle cosiddette “adozioni del cuore”, quei casi pietosi, talvolta anche un po’ ingigantiti seppur quasi sempre con buone intenzioni, che richiederebbero un’adozione immediata.
Questo modo di porgere la realtà, il randagismo e le sue conseguenze, stimola nelle persone sensibili il desiderio di poter fare qualcosa, di alleviare una sofferenza andando a colpire la sfera emozionale che prevale su quella razionale.
Proprio in questo modo, seguendo il filo dell’emozione, dell’emergenza, dell’urgenza si mettono in moto una serie di attività che, troppo spesso, hanno come conseguenza ultima quella di stimolare facili emozioni, facili abbandoni.
Qualcuno si chiederà come possa essere possibile che una persona che abbia dimostrato un sentimento positivo nei confronti di un animale possa poi essere capace di disfarsene, in modo più o meno corretto: semplicemente grazie all’inversione della prevalenza fra emozione e realtà.
Le adozioni fatte su base esclusivamente emotiva sono un danno
La più grande critica che mi sento di rivolgere a chi promuove le adozioni “emozionali”, in buona o in cattiva fede, per amore degli animali o per lucro (accade), è basata su un principio oramai analizzato, studiato e accettato come una certezza: animale e padrone devono essere compatibili, chi adotta deve ricevere informazioni corrette e complete.
Nei canili più organizzati anche in Italia è stato mutuato dai paesi anglosassoni il sistema denominato “matching”: l’adottante e il cane devono essere valutati per le diverse caratteristiche che sono proprie di ogni persona e di ogni animale ed a questi profili devono essere associate delle categorie, dei dei colori.
Un adottante che è stato valutato come appartenente alla categoria contraddistinta dal colore giallo potrà, ad esempio, adottare solo cani che appartengono alla stessa categoria, allo stesso colore.
In questo modo una persona anziana, magari malferma sulle gambe non potrà correre il rischio di adottare il cucciolo di un molossoide, ma ragionevolmente adotterà un cane di una certa età, con un carattere tranquillo e di una taglia compatibile con le possibilità di movimento della futura proprietaria.
Nel contempo all’adottante saranno fornite anche tutte le necessarie informazioni sull’impegno connesso al possesso responsabile di un animale: il costo di mantenimento, il costo delle cure veterinarie e il fatto che ci potranno essere, come accade a noi, emergenze per malattie improvvise o infortuni che comporteranno maggiori spese e maggiori necessità di tempo da dedicare al loro futuro compagno di vita.
Incrociare bisogni e possibilità di persone e animali migliora la convivenza
In questo modo chi adotta un animale avrà consapevolezza di quanto sia importante il suo gesto, una scelta che comporta l’accettazione del fatto che sia per sempre e di quanto questo potrà incidere sulla sua vita. Grazie ai programmi di “matching” fra cani e padroni è stato statisticamente dimostrato che il ritorno degli animali adottati in canile si sia quasi azzerato, grazie all’incontro preciso di due bisogni compatibili fra loro, che sono riusciti con poco sforzo a integrarsi.
Questo non può succedere quando i cani vengono visti su internet, spediti magari con le famose staffette che ogni giorno attraversano la penisola, con metodi, mezzi di trasporto e modalità di affidamento spesso molto discutibili, anche se come in ogni settore ci sono persone responsabili, persone irresponsabili che causano più danni dei vantaggi che producono e una minoranza che lucrano su questo fenomeno in modo davvero molto poco corretto, trasparente, fiscalmente accettabile.
Pur comprendendo i problemi del randagismo che affliggono da sempre il sud Italia, già trattati in diversi articoli, sono un convinto assertore del fatto che gli animali non possano essere affidati a distanza tramite internet, ma debbano essere fatti arrivare in strutture autorizzate di associazioni o dove operano associazioni, serie, e poi solo successivamente affidati.
Se si continuerà ad affidare cani via internet, anche con i controlli pre-affido che hanno un valore relativo, il rischio è quello di perpetuare l’assunto facili emozioni, facili abbandoni, contribuendo soltanto a generare problemi e non vantaggi per gli animali.
Le adozioni generano abbandoni?
Le persone che hanno la volontà di adottare un animale non fanno certo fatica a trovarlo e non hanno bisogno di essere fortemente sollecitate emozionalmente: canili e gattili, strutture di soccorso e rifugi, sono pieni di ospiti che non aspettano altro che una persona che voglia condividere vita e casa con loro.
Al nord c’è maggior gestione del randagismo e quindi la situazione è nettamente migliore, ma questa deve essere vista come una ragione per adottare tramite associazioni e rifugi e non tramite internet e le staffette. Un’azione virtualmente positiva rischia soltanto di alimentare una cattiva gestione degli animali, un’adozione di impulso poco ponderata e non correttamente supportata dalle giuste informazioni.
Una grande responsabilità sulle adozioni (ir)responsabili ce l’hanno soprattutto i Comuni e le ASL del sud Italia, che troppo spesso affidano alle azioni di buona volontà dei cittadini il compito di cercare di alleggerire il numero degli ospiti di canili e gattili, chiudendo un’occhio quando non tutti e due sul come questo avvenga.
Le associazioni hanno il dovere di promuovere adozioni responsabili, di informare correttamente gli adottanti, di creare dei filtri e delle buone pratiche per migliorare sempre di più le modalità di affido, ma Comuni e ASL devono davvero impegnarsi in quello che è un loro compito istituzionale, con mezzi sufficienti per fare prevenzione e informazione verso i cittadini e per promuovere sterilizzazione e gestione responsabile degli animali da parte dei proprietari.
Diversamente continueremo a impiegare risorse pubbliche e private senza che questo serva a risolvere il problema: abbiamo dei doveri verso gli animali, in particolare chi per scelta ha deciso di occuparsene.
L’anagrafe canina nazionale contro randagismo e traffico cuccioli: una necessità operativa, un progetto efficace che purtroppo è rimasto nei cassetti del Ministero della Salute.
Dal 1991 ad oggi. In sintesi più di un quarto di secolo di attese e un progetto di unificazione abortito.Quando nel 1991 venne promulgata la legge 281, pioniera in Italia nella tutela degli animali d’affezione, il legislatore stabilì che tutti i cani di proprietà o presenti in canili e rifugi fossero dotati di un identificativo.
Dapprima fu il il tatuaggio e successivamente il microchip elettronico. In ogni caso è sempre stata prevista l’iscrizione in un’anagrafe. Grazie al decentramento fu dato alle regioni il compito di promulgare leggi di recepimento della normativa nazionale che normassero, anche sotto il profilo operativo, i dettami previsti dalla legge quadro nazionale.
Così facendo, però, le regioni ci misero anni e anni per legiferare in materia e l’ultima a farlo fu proprio la regione Lombardia, maglia nera nel recepire la legge 281/91, battuta anche dalla Sicilia -regione non all’avanguardia nel contrasto al randagismo- arrivata se non ricordo male penultima.
Nonostante questo si potrebbe pensare che dopo tanti anni tutti i problemi siano stati risolti e che l’anagrafe nazionale sia una realtà operativa da tempo, ma così non è! In questo momento abbiamo soltanto le anagrafi regionali e delle province autonome che si interfacciano solo parzialmente con quella nazionale.
L’anagrafe nazionale resta una promessa da quasi trentanni.
Nella realtà l’anagrafe nazionale non esiste ma è solo il prodotto di un tool informatico che restituisce, inserendo un numero di microchip, soltanto indicazioni sulla presenza dell’identificativo in una delle anagrafi regionali, peraltro con dati nemmeno aggiornati secondo quanto afferma lo stesso ministero.
Qualcuno si chiederà il motivo che da decenni rende l’anagrafe canina una banca dati monca, meno efficace di quanto potrebbe, depotenziata già da un numero imprecisato di mancate iscrizioni che vantano sicuramente cifre a 5 zeri. Il motivo è semplice: un errore iniziale ha fatto si che ogni regione si organizzasse in proprio, non solo con differenti programmi informatici, tutti pagati dai contribuenti, ma anche identificando in autonomia quali dati raccogliere e inserire.
All’atto del progetto di fusione ci si rese conto come questa problematica costituisse un grande ostacolo, per un motivo fondamentale che potrebbe identificare uno studente delle superiori: la non omogeneità dei dati.
Un errore al quale non si è mai voluto rimediare causando così un grande danno, non solo nella lotta al randagismo ma anche, per esempio, in quella al traffico di cuccioli provenienti dai paesi dell’Est Europa. Si potrebbe aumentare l’efficacia dei controlli se tutti i cani fossero inseriti in un’unica banca dati, controllabile in tempo reale dai servizi veterinari e dalle forze dell’ordine.
Aggiungendo informazioni importanti che possano far ricostruire l’intera vita dell’animale, compresi i dati identificativi della madre di ogni cucciolo di razza importato, se anche l’Europa decidesse di attrezzarsi con una nuova e miglior normativa.
L’anagrafe nazionale permetterebbe controlli in tempo reale
Potrebbero essere controllati in tempo reale anche i cani partiti da altre regioni italiane in questo continuo nomadismo di animali che vengono spostati da nord a sud, spesso in pessime condizioni di trasporto e, altrettanto spesso, senza il rispetto delle regole.
Poter controllare di notte, durante i giorni di chiusura delle ASL, potrebbe permettere di capire meglio la congruità fra i documenti presentati, dalle staffette o da chi traffica in cuccioli, e la realtà che compare in anagrafe.
Si potrebbe verificare il rispetto delle norme e delle disposizioni e, forse, individuare anche qualche complicità a livello istituzionale, ben felice di agevolare trasferimenti che diversamente rappresenterebbero un onere. Separando finalmente quanti operano nel rispetto delle norme da chi le vìola sistematicamente.
L’anagrafe sarebbe uno strumento potente nel contrasto dei tanti reati commessi nei confronti degli animali d’affezione, come dimostrano da tempo i risultati ottenuti grazie alle anagrafi nazionali implementate e realizzate per tracciare gli animali da reddito, contribuendo così a mettere un po’ d’ordine anche nel mondo delle staffette.
Troppi cani viaggiano eludendo controlli e normative in violazione del buon senso e della necessità, ovvia, di protezione dei loro diritti e del loro benessere.
Così, grazie anche a una cattiva gestione dell’anagrafe, le verifiche procedono a rilento, manca la raccolta sistematica di informazioni e dettagli necessari a migliorare la qualità dei controlli, contribuendo in questo modo a rendere più difficile la lotta contro il randagismo. Da anni si parla di anagrafe nazionale, di unificazione reale delle banche dati ma anche questa, come accaduto a tante altre promesse fatte in materia di tutela degli animali, resta soltanto una speranza, per adesso vana.
Far adottare un cane sia gesto responsabile, fatto nell’interesse dell’animale senza diventare mai il tentativo di accasarlo senza garanzie, magari affidandolo a una persona in difficoltà pratica o emotiva: due disperazioni purtroppo non fanno una speranza, ma riaprono solo le porte di un canile.
Sono perfettamente consapevole che questo sia un argomento spinoso che pochi vogliono affrontare, ma le le lamentele sulla rete sono continue, i canili pieni di cani adottati e poi ceduti perché non gestibili dalle persone che li avevano voluti. Spesso, purtroppo, i viaggi della speranza dal sud al nord non hanno un lieto fine se non sono organizzati e gestiti in modo serio e responsabile.
Non c’è un solo essere vivente che non abbia il diritto di avere una vita migliore, non c’è un solo umano, cane, gatto o criceto in difficoltà che non abbia il diritto, sacrosanto, di essere adottato e di poter sperare di aver raggiunto la sua terra promessa. Quanto promesso però, per quanto premesso, deve potersi realizzare, essere ragionevolmente l’incrocio di due bisogni compatibili fra loro: quelli di una persona e di un animale.
Far adottare un cane sia un gesto responsabile, che porta a un’adozione consapevole
Non c’è niente di peggio di chi, invece, per seguire i suoi progetti, sogni o bisogni di gloria cerchi di “piazzare” un cane a una persona emotivamente sensibile, ricettiva, ma non in grado di poter far fronte a questa accoglienza, spesso costruita e stimolata dai bisogni dell’adottato senza però tener conto delle possibilità dell’adottante.
La rete è una palestra infinita e per molti versi oscura, dove ogni giorno si affrontano le esigenze dei randagi del sud Italia, indubbiamente figli di un dio minore, con il buon cuore degli adottanti del nord Italia, troppo spesso non correttamente informati sul reale stato di salute dei cani, sulla loro taglia, sulle necessità economiche che possono comportare molte patologie. Quelle che spesso prendono il nome di “adozioni del cuore“, fatte appunto seguendo il cuore ma senza avere reale consapevolezza di che cosa possano comportare.
Per tante adozioni andate a buon fine esistono come contraltare i dati dei canili che sono costretti a ricevere i cani a seguito di “rinuncia” dell’adottante, una sorta di diritto di recesso che rischia di confinare molti randagi del sud nei canili del nord. Queste rinunce non avvengono quasi mai per un capriccio ma per un errore, per un’induzione all’errore commessa da chi pur di piazzare un cane sventurato, un randagio di strada o di un canile lager, non si preoccupa di trovargli un’adozione “per sempre”, ma si accontenta di un’adozione.
Incrociare i bisogni fra l’adottante e le necessità dell’adottato è fondamentale
Così fra tanti cani fortunati ce ne sono altri che vengono collocati alterando le loro caratteristiche, come si farebbe con le auto usate: cuccioli di piccola taglia che in realtà sono dei maremmani, cani mansueti che si rivelano cuccioloni non socializzati che non devono e non possono essere affidati a chiunque oppure cani dichiarati sani che si rivelano portatori di gravi patologie, di vario genere e natura.
Questi cani sono sfortunati due volte: hanno avuto la fortuna di scampare a una situazione terribile accompagnata però alla sfortuna di essere spacciati, termine ruvido ma talvolta vero, a persone non solo inconsapevoli ma spesso nelle condizioni di non potersene occupare, per tanti motivi diversi: dalle capacità di gestione a quelle economiche. Cosi succede che la buona volontà talvolta faccia più danni dell’indifferenza. Per questo bisogna che far adottare un cane sia gesto responsabile.
Ho visto cani con gravissimi problemi ortopedici affidati a persone che avevano un reddito bassissimo, meno, molto meno, non solo del costo delle cure necessarie per curarli ma anche dei costi di ordinario mantenimento. Persone che avevano deciso di prendere quel cane sull’onda di una spinta emotiva, che talvolta cresce proprio nelle situazioni di umana difficoltà, senza che qualcuno abbia forse cercato di farle riflettere sull’opportunità di quell’adozione.
Un animale non è per tutti, non bastano buoni sentimenti, occorre riflettere con attenzione su tempo e costi
Che dire poi di cani sicuramente incolpevoli ma mordaci, affidati da cuccioloni a persone 80enni oppure a famiglie con bambini? Per le tante adozioni fatte in modo responsabile ce ne sono molte fatte solo con lo scopo di far partire i cani da squallidi canili. Per sottrarli a un randagismo endemico, troppo spesso con la complicità quando non addirittura con l’incentivo di amministrazioni e veterinari pubblici. Per non parlare di chi lucra sul buon cuore cercando di far soldi, dei finti volontari, degli staffettisti, categoria in cui si mescolano volontari di cuore a persone che lo fanno, spesso malamente, solo per mestiere lucrando sui bisogni e guadagnando lauti compensi in nero.
Se si parlasse di migranti molti di loro sarebbero scafisti, ma quando si parla di animali troppi si fanno prendere dai buoni sentimenti e fan finta di non vedere. E così’ spesso gli scafisti son difesi dal popolo della rete anche quando sono responsabili di morti, fughe, investimenti per le pessime condizioni di trasporto (leggi qui).
Non è facile parlare di questo problema, delle adozioni (ir)responsabili: sono troppi gli interessi e le sensibilità in gioco e questo argomento rappresenta spesso un tabù per associazioni piccole e grandi. Una sorta di angolo buio da non illuminare, un angolo fatto di soddisfazioni personali, di buon cuore mal riposto, di interessi che talvolta possono essere anche grandi. Il lato speculare e positivo è dato invece dalle persone che gestiscono questo flusso di “migranti” con buon senso, secondo le regole sanitarie e le buone pratiche. Facendo trasporti dove i cani viaggiano in condizioni di benessere, non scappano e non muoiono e sono destinati a adottanti consapevoli, correttamente informati e attrezzati a ricevere sia la gioia che il problema.
Far adottare responsabilmente un cane comporta piaceri ma anche sacrifici
Un cane costa, in questi momenti non è per tutti come non lo sono, purtroppo, figli, case, vacanze e i tanti bisogni compulsati da questa crisi, stretti fra i muri delle intenzioni e dei desideri e quelli, ben più alti, delle realtà economiche. Non bisogna promettere cose non vere, bisogna illustrare alle persone che la buona volontà e la generosità sono caratteristiche nobilissime dell’animo umano, che però non riescono ancora a riempire il carrello della spesa.
Ma non è solo il profilo economico il punto: come genitori “normali” non sarebbero in grado di gestire, senza sostegno, figli con comportamenti caratteriali è altrettanto vero che chi ha avuto un cane buono e socializzato potrebbe non essere però in grado di gestire un pitbull aggressivo. Semplice logica, che non viene superata nemmeno dal cuore lanciato oltre l’ostacolo. Semplice logica che dovrebbe sconsigliare e impedire adozioni avventate.
Se vogliamo davvero il bene degli animali smettiamo di piazzarli attraverso internet e i social, creiamo una rete di strutture autorizzate e solidali, che possano accogliere gli animali e abbinarli in modo corretto con i possibili adottanti. Le associazioni alzino la loro voce per dire in modo inequivocabile che i cani non possono essere consegnati e affidati nelle piazzole delle autostrade, sotto i ponti delle tangenziali o nelle aree industriali, come avviene con regolare e ignorata cadenza in troppi hotspot noti a tutti, come ad esempio a San Giuliano Milanese, talvolta con successivo stallo presso strutture di persone che si sono rese responsabili del traffico di cuccioli dall’Est Europa.
Occorre una riflessione ampia su questa realtà, soprattutto perché poi a pagare non siano sempre gli stessi: gli animali. Far adottare un cane sia gesto responsabile, ponderato e mai fatto d’istinto.
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