Primo traguardo raggiunto per #EndTheCageAge, l’iniziativa lanciata a livello europeo per arrivare alla definitiva eliminazione dell’allevamento di animali in gabbia. #EndTheCageAge ha coinvolto tutti i cittadini della Comunità, oltre 170 ONG, sensibilizzando sulla crudeltà dell’allevamento in gabbia milioni di persone.
Ora la Commissione Europea dovrà tenere conto di questa iniziativa e portare all’attenzione del Parlamento Europeo delle proposte per superare l’allevamento in gabbia. Un sistema di allevamento molto più diffuso di quanto l’opinione pubblica pensi, che riguarda milioni di animali ogni anno.
La collaborazione di decine e decine di associazioni per la tutela dei diritti degli animali, e non solo, ha reso possibile il raggiungimento di questo traguardo. Che però deve essere valutato come il primo step di un percorso che possa portare al raggiungimento del risultato sperato.
#EndTheCageAge ha dimostrato l’importanza della cittadinanza attiva
Grazie alle leggi europee i cittadini della Comunità possono rendersi parte attiva per imporre alla Commissione di affrontare un determinato argomento. Questo non significa che il parlamento sia poi vincolato a far sparire in quattro e quattro otto le gabbie, ma è comunque obbligato a esaminare la richiesta a ad adottare dei provvedimenti.
In Italia per raggiungere questo obiettivo si sono mobilitate moltissime organizzazioni, non solo di tutela degli animali ma anche ambientaliste. Venti organizzazioni unite per raggiungere lo scopo: Animal Law, Animal aid, Animal Equality, CIWF Italia Onlus, Lega Nazionale Difesa del Cane, Legambiente, Amici della Terra, Il Fatto Alimentare, Terra Nuova, Slow Food, Confconsumatori, Lega per l’abolizione della caccia, Jane Goodall Institute, Terra! Onlus, Animalisti Italiani, ENPA, LAV, Partito animalista, LEIDAA, OIPA, LUMEN.
L’allevamento in gabbia riguarda molte specie animali, costrette a trascorrere in gabbia la loro intera esistenza: polli, quaglie, conigli ma anche suini e vitelli. Un metodo che è causa di grandi sofferenze e che non ha altra giustificazione che non sia il maggior profitto.
Traguardo raggiunto per #EndTheCageAge dunque: ora sarà necessario attendere la calendarizzazione della Commissione, che dovrà valutare non solo come procedere ma anche il peso del gran numero di firme raccolte. Dimostrando, con un successo senza precedenti, l’importanza del benessere animale per i cittadini di tutta Europa.
Il traffico di cuccioli e la Commissione Europea pare che abbiano diverse direzioni di marcia.
Il primo va a gonfie vele, mutando sempre metodi e strategie, mentre la seconda continua a procedere con mille cautele.
Che forse potremmo iniziare a chiamare per nome, definendole come una voluta scarsa reattività.
Fra sondaggi, opinioni, gruppi di lavoro interdisciplinari, pressioni di lobbie di ogni tipo e un’attività non pervasiva ed efficace delle associazioni animaliste il tempo passa inesorabile. Mentre i paesi della vecchia Europa continuano ad essere sempre sotto attacco da parte dei paesi europei “specializzati” nella produzione di cani, come Ungheria e Slovacchia, ma anche Polonia, Repubblica Ceca e la Romania che si sta affacciando a questo mercato.
Ufficialmente gli uffici comunitari dicono che stanno studiando come arginare il fenomeno, ma nella realtà non sanno come affrontare l’unico vero dilemma su questo argomento, passando da regole solo apparentemente certe mentre sono aleatorie a regole pratiche, facili da applicare, reali.
Quelle che servirebbero davvero per bloccare il traffico di cuccioli sempre più piccoli, sempre più fragili e quindi sempre più soggetti a maltrattamenti da parte dei trafficanti.
I processi ai trafficanti di cuccioli, dove gli imputati si possono permettere di spendere decine di migliaia di euro in avvocati e consulenze, alcune anche incredibili dove veterinari ASL e forze dell’ordine vengono chiamate come testi della difesa (davvero uno strano paese il nostro), hanno dimostrato molto chiaramente quanto la normativa comunitaria e quella italiana siano del tutto inefficaci, di difficile applicazione e in alcuni passaggi rappresentino strumenti a favore della difesa di chi traffica.
Per i non addetti ai lavori semplifico molto i requisiti necessari per importare cuccioli in Italia: identificazione con microchip, passaporto valido e compilato correttamente, vaccinazione antirabbica praticata 21 giorni prima della partenza e cani che abbiano un’età compresa fra le 14 e le 16 settimane, a seconda del paese di provenienza, in base al vaccino antirabbico usato.
Parlando proprio del vaccino antirabbico arriva la prima follia: il vaccino comunemente più usato indica come età minima dei cani per essere sottoposti a vaccinazione anti rabbica, in tutti i paesi europei, un’età di 3 mesi, che significano convenzionalmente 90 giorni.
Ma in Ungheria, il paese dal quale parte il numero più elevato di cuccioli, la stessa casa farmaceutica ha depositato la scheda tecnica del vaccino indicando che può essere praticato a cuccioli di 11 settimane, vale a dire 77 giorni. Un vero controsenso che in Europa sia consentito alla stessa casa farmaceutica di depositare schede tecniche diverse sullo stesso farmaco, con identico principio attivo e denominazione commerciale.
In questo modo il vaccino è leader di mercato perché due settimane di tempo fanno proprio comodo a chi traffica in cuccioli, molto, troppo, comodo: 2 settimane consentono una maggior elusione dei controlli. Una vergogna per la casa farmaceutica, uno scandalo per l’Europa.
La determinazione dell’età dei cuccioli è infatti il fronte su cui si gioca la grande battaglia durante i procedimenti giudiziari, quelli che vedono protagonisti spesso gli stessi avvocati e gli stessi periti in ogni luogo della penisola e quindi più confusione si riesce a creare sull’argomento e meglio è.
Visto che non esiste una certezza sull’età di un cucciolo, ma solo una finestra temporale, più o meno ampia, di circa un paio di settimane (proprio come la differenza di tempo che consente vaccinazioni precoci). L’altro fronte è l’effettività della vaccinazione contro la rabbia, zoonosi pericolosa per l’uomo, spesso falsamente attestata nei passaporti ma poi non praticata, per evitare nei cuccioli, troppo giovani per essere vaccinati, immunodepressioni che li possano portare a contrarre diverse malattie virali.
Per contrastare questo fenomeno l’Europa ha stabilito che sopra la fustella del vaccino, che deve essere obbligatoriamente applicata sul passaporto, debba essere messa una plastica anti contraffazione: un’idea ridicola visto che il problema non è la fustella sul passaporto, ma il fatto che la vaccinazione sia effettiva, prima che ritorni anche da noi la rabbia.
Un vaccino costa poco, si può applicare la fustella e gettare via il principio attivo. Insomma la miglior idea risulta fallimentare e il problema dei passaporti falsi non è risolto: i passaporti non sono falsi in quanto lo sono le fustelle o altre piccole particolarità, ma lo sono in quanto contengono dati falsi, il primo dei quali è la data di nascita dei cani.
Se ci fosse la volontà di interrompere davvero il traffico basterebbero due indicazioni inderogabili e ineludibili: prelievi a destino di campioni su almeno il 50% degli animali della partita, a spese dei commercianti ovviamente, per ricercare gli anticorpi che validano l’efficacia dell’avvenuta vaccinazione antirabbica.
Stabilendo in un 5% massimo il caso di cani che non hanno sviluppato gli anticorpi al virus della rabbia; la seconda è quella di consentire l’importazione solo di cuccioli per i quali ci sia già stata l’eruzione dei denti premolari definitivi. La presenza dei molari è un dato fisico, non lascia finestre, o sono presenti o sono assenti. Certo ci potrebbe essere una piccola aliquota di cuccioli precoci, ma sarebbe un problema davvero minimo.
Nessuno vuole queste regole, considerate troppo restrittive e contestate dalle lobbie dei paesi produttori di cuccioli, ben consapevoli che il mercato richiede cuccioli sempre più giovani, neotenici, magari malati ma con un musetto tenero, purtroppo. La legge giusta manca, come l’acquirente responsabile.
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