Foto tratta dal sito del Parco della Majella in occasione della sua traslocazione
La morte dell’orso Juan Carrito non deve essere inutile: l’orso più famoso del mondo a causa delle sue scorribande ci lascia innumerevoli spunti su cui riflettere. Riflessioni che devono andare oltre all’impatto emotivo perché, per chi ha seguito la sua storia, è stato come se fosse venuto a mancare qualcuno che si conosceva bene. In fondo un esempio di determinazione nel perseguimento degli obiettivi, seppur indotti da comportamenti umani sbagliati.
Non amo umanizzare gli animali, trovo che sia un po’ come sottrar loro qualcosa che è nell’essenza di ogni essere vivente. Il rispetto e l’affetto non sono dovuti solo agli uomini, ma soprattutto il rispetto è un sentimento che bisogna provare, come compassione ed empatia, verso tutti gli abitanti di questo fantastico e bistrattato pianeta.
La morte dell’orso Juan Carrito è stata una sorta di appuntamento a Samarcanda, voluto dagli uomini però
Amarena, già abituata a entrare nei paesi per cercare piante da frutto, in particolare proprio le ciliegie, ha iniziato a vivere sempre più vicino ai paesi. Per evitare ai suoi cuccioli incontri mortali, non immaginando quanto gli uomini sappiano, spesso, essere molto più pericolosi degli orsi maschi. Così nell’estate del 2020 Amarena è stata assediata ogni giorno da centinaia di turisti. Che volevano vederla, fare un video o una foto da postare sui social. Un assedio incessante che nemmeno i Guardia Parco e i Carabinieri Forestali sono riusciti a impedire.
Più Amarena e i suoi cuccioli venivano pressati, inseguiti e perseguitati più era facile che questa vicinanza potesse diventare fonte di problemi. Così il più intraprendente dei suoi cuccioli, che sono come quelli di uomo uno diverso dall’altro per carattere e temperamento, ha cominciato a imparare che non aveva motivo per aver paura delle persone. Una pessima visione del mondo, questa, per un animale selvatico, che per vivere bene deve avere paura di noi e non vederci come creature diverse ma socievoli. Una condizione, quella di provare paura nei confronti degli uomini che spesso rappresenta la sottile frontiera fra vita e morte. Oppure fra vita libera e una destinata a essere vissuta da prigioniero, come successo all’orso trentino M49.
Così, crescendo, Juan Carrito, che deve il suo nome proprio all’omonimo paese del Parco, ha cominciato a visitare fattorie e pollai, senza disdegnare apiari e altri insediamenti umani. Per poi iniziare a frequentare il centro di Roccaraso, arrivando perfino a entrare in una pasticceria del centro. Per queste e altre incursioni finì per essere catturato e portato in montagna, nella speranza che potesse restarci. Nulla da fare, dopo pochi giorni o settimane Carrito tornava a Roccaraso. Questo anche perché qualcuno lasciava cibo per attirarlo e il Comune non aveva messo in sicurezza i bidoni dei rifiuti.
La morte di Juan Carrito dovrebbe insegnarci ad avere più attenzioni verso il capitale naturale
Il Parco, anzi i parchi visto che Carrito faceva il pendolare fra il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, quello del Gran Sasso e dei Monti della Laga e l’area protetta della Majella, hanno fatto sempre il possibile per proteggerlo. Qualcuno potrà anche dire che non è stato fatto abbastanza, ma la realtà è che quando il danno è fatto non sempre è possibile ripararlo. Una volta diventato confidente Juan Carrito aveva, in fondo, solo due possibilità: morire da orso libero a causa di un incidente o finire la sua vita da orso prigioniero, in cattività, come per fortuna non è stato.
In Italia manca l’educazione sul modo di rapportarsi con le varie componenti naturali, che bisogna imparare a conoscere e a rispettare. Nessun animale selvatico deve essere antropomorfizzato, riconoscendo che le vite di uomini e animali si possono intersecare nella condivisione dei territori e delle risorse, ma senza sovrapporsi. Mondi che devono restare separati, nei quali gli uomini devono imparare a entrare e uscire in punta di piedi. Con la consapevolezza che la cosa più importante non è vedere o farsi una foto con l’orso, ma riconoscere la sua importanza senza interferire, nei limiti del possibile, con la nostra presenza.
Occorre poi frammentare quelle barriere continue costituite dalle nostre infrastrutture: strade e ferrovie non devono diventare ostacoli pericolosi e insormontabili. Occorre costruire corridoi ecologici, sottopassi, ponti e strutture idonee che consentano agli animali di potersi spostare senza essere costretti ad attraversare strade e autostrade. In Italia se ne parla da decenni ma la loro realizzazione resta sempre ferma al palo, mentre si continuano a teorizzare di opere faraoniche inutili e dannose, come il ponte sulla Stretto di Messina.
Impariamo ad avere coscienza delle nostre azioni, con la consapevolezza di poter creare grandi problemi alla biodiversità
L’orso marsicano è una sottospecie unica, un patrimonio importante costituito da poche decine di esemplari che devo essere considerati preziosi. Perdere un orso, anche un solo orso, rappresenta un enorme danno fatto alla biodiversità, considerando che proprio gli orsi sono considerati una specie ombrello fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio naturale. Difendere gli animali selvatici parte dall’avere comportamenti responsabili: guidare con attenzione e moderando la velocità specie di notte, non alimentando gli animali grazie anche a una corretta gestione dei rifiuti. Ma anche tenendo i cani sempre al guinzaglio quando si fanno escursioni in natura, senza inseguire mai gli animali per fare una foto.
Cerchiamo di veicolare solo informazioni corrette, diffondiamo le buone pratiche come quella di non alimentare e non interagire con i selvatici. Chiediamo ai politici che votiamo di attivarsi per la costruzione dei corridoi ecologici, per dare maggiori risorse in uomini e mezzi alle aree protette. Cerchiamo di essere tutti una componente attiva per la difesa dell’ambiente e di tutte le forme di vita, non fermiamoci a considerare solo gli animali “simpatici”. Ogni essere vivente è importante, ogni organismo ha un suo posto nella natura, anche se spesso non siamo in grado di conoscere quale sia.
Juan Carrito è diventato un simbolo che resterà nel cuore di tutti le persone che si sono in qualche modo occupate di lui. Non lasciamolo diventare un’icona vuota e priva di contenuti, ma trasformiamolo in un animale che è stato capace di indicarci i nostri errori, di insegnarci che non c’è amore senza rispetto e che ogni animale ha caratteristiche uniche e inimitabili. Non esistono animali buoni o cattivi, mentre esistono individui profondamente diversi fra loro, per carattere e comportamento, proprio come lo siamo noi, senza però avere fini diversi che non siano il perseguimento della propria esistenza e della perpetuazione della specie.
Ora più che mai sul futuro di questo giovane orso si addensano nubi nere, foriere di una captivazione che potrebbe diventare permanente. L’orso, con il suo comportamento indotto, sta galoppando dall’essere un animale confidente verso il diventare un orso problematico. Che non riesce a stare lontano dagli ambienti urbani, che si sono dimostrati un irrinunciabile fast food. Ma un orso, anche se di indole pacifica, resta sempre un orso e non può convivere con gli uomini all’interno di un centro abitato.
Ora si prevede una nuova cattura, con la quarta sedazione in pochi mesi, e il suo ricovero probabilmente presso il centro di Palena. Una struttura del Parco della Majella dove era stato già ospitato prima dell’ultimo trasferimento in montagna. Con lo scopo di essere sottoposto a un programma di rieducazione, che sembrava essere già stato messo in atto, prima della smentita dell’ente parco. Un percorso difficile, ruvido e pieno di incognite.
Juan Carrito torna a Roccaraso e questo rappresenta la conferma della potenza del condizionamento da rifiuti
In Trentino un orso come Carrito sarebbe già stato catturato o abbattuto, mentre in Abruzzo stanno facendo più del possibile per un futuro diverso. Ma è evidente che la buona volontà non è sempre sufficiente per ottenere il risultato sperato. Specie quando parliamo di animali intelligenti, con un comportamento alterato da una lunga teoria di errori commessi dagli uomini. Qualcuno potrebbe pensare che non si possa impiegare così tanto tempo e risorse per risolvere un problema che riguarda un solo orso. Una chiave di lettura sbagliata.
Gli orsi marsicani appartengono a una sottospecie, un unicum endemico di questa zona e per questo importantissimo. La popolazione è composta da un numero basso di esemplari, che per ragioni etologiche, faticano a disperdersi sul territorio. Per questo il rischio che questa sottospecie possa scomparire, scendendo sotto il numero minimo di esemplari, è più che concreto. Una ragione per la quale non è possibile pensare di poter rinunciare anche a un solo orso.
Una situazione che avrebbe dovuto portare a comportamenti più responsabili delle istituzioni e degli stessi cittadini e turisti. Invece nonostante i tavoli in in Prefettura e le continue sollecitazioni dei Parchi coinvolti nella tutela dei marsicani, troppe questioni sono rimaste senza risposta. La prima e la più importante resta sempre quella della messa in sicurezza dei rifiuti. Una carenza di troppe amministrazioni comunali che non hanno voluto investire su questo con progetti e risorse. Dal Trentino all’Abruzzo corre un filo rosso di inadempienze e sottovalutazioni che hanno causato problemi seri. Non solo agli orsi ma a tutte le specie selvatiche.
Juan Carrito dovrebbe diventare il simbolo che riunisce tutti gli errori commessi dagli uomini
Il ritorno di Carrito a Roccaraso è il risultato di un cocktail di ingredienti avvelenati, che nemmeno gli sforzi dei due Parchi nazionali coinvolti sono riusciti a mitigare. Eppure l’impegno profuso è stato davvero molto, ma non è bastato a scongiurare il peggio. I parchi non hanno potere impositivo sulle amministrazioni, hanno bisogno di avere la loro collaborazione e questa è mancata. Possono invece porre divieti e limitazioni nelle aree che amministrano per residenti e turisti, ma non possono mettere un Guardia Parco a ogni svolta di strada.
La voglia di natura mai come in questi anni ha portato i turisti a rifugiarsi nelle aree protette, ma questa pressione non porta sempre risultati positivi. Aiuta l’economia del territorio ma conduce anche a eccessi, a ricerche di facili guadagni, cercando di attirare gli animali selvatici per farli vedere, fotografare. Senza porsi troppe domande, senza saper prevedere i danni che da questi comportamenti potevano derivare. Ora molti sono in pena per la sorte di Juan Carrito, ma se non impariamo a rispettare prescrizioni e divieti questa storia purtroppo si ripeterà.
Juan Carrito è rinchiuso a Palena, centro per gli orsi gestito dal Parco della Majella, in attesa di verdetto sulla sua reimmissione in libertà. Nella più completa mancanza di informazioni: il parco non ha rilasciato più informazioni dalla cattura dell’orso e dall’ingesso nel centro. Un cambiamento di passo drastico rispetto a quanto sempre fatto in questi anni dal Parco Abruzzo, Lazio e Molise. Che ha sempre agito con grande trasparenza e con un costante flusso informativo sulle attività intraprese.
Qualcuno potrebbe dire che sono scelte, considerando che ogni area protetta è autonoma, ma questo non basta a spiegare il buco nero informativo. Nessuna notizia sulle modalità di riabilitazione, sulle tempistiche e sul working in progress che riguarda Juan Carrito. Forse perché questa vicenda sembra destare molto meno preoccupazione di quanto non sia successo quando son stati imprigionati gli orsi in Trentino. Probabilmente confidando sul fatto che in precedenza sia stato fatto di tutto, da parte del PNALM, per evitarne la cattura.
Juan Carrito, ora rinchiuso a Palena, tornerà mai a essere un orso libero?
Con le poche informazioni date dal Parco bisognerebbe avere qualità divinatorie, piuttosto che nozioni di comportamento animale per prevedere il suo futuro. Una scommessa quindi molto difficile. Che vede Carrito involontario protagonista di una complessa gestione che sino dall’inizio suscitava molti interrogativi. Certo sarebbe opportuno che il Parco spiegasse meglio cosa intende fare per riabilitare Carrito. Quali siano i metodi applicati per disabituarlo all’uomo e quali le tempistiche previste.
Senza continuare a lasciare questa vicenda avvolta nella nebbia, facendo temere il peggio. Nell’ambito delle attività di conservazione la comunicazione verso il pubblico è davvero importante. Crea una differenza che riduce la diffidenza, che impedisce di fare ipotesi, magari fantasiose ma plausibili. I metodi, gli esperti in campo, la trasparenza dovuta ai cittadini sono tutti argomenti su cui il Parco della Majella rischia di scivolare su una pelosissima buccia di banana: Carrito.
L’esperienza insegna che gli strumenti di dissuasione dai comportamenti sgraditi possono essere spesso spiacevoli. Specie quando il soggetto è molto testardo, e su questo Carrito risulta imbattibile, e si hanno a disposizione tempi brevi. Un giovane orso non può restare in cattività a lungo prima di essere liberato, per una lunga serie di ragioni. Un orso confidente a maggior ragione, considerando anche le dimensioni ristrette del centro che lo ospita a Palena. Per questo la preoccupazione è legittima e basterebbe poco per fugare i dubbi e rassicurare l’opinione pubblica.
L’importanza di ogni singolo orso marsicano per la conservazione della specie richiederebbe maggior informazione
Partendo dal presupposto che ogni patrimonio collettivo, orsi marsicani inclusi, appartiene a tutti i cittadini è difficile non essere critici sulle modalità informative del Parco. Questa è la ragione che marca fortemente la valutazione su due diversi modi di gestire il flusso di informazioni: quello del PNALM, che si espone anche a critiche a causa delle molte informazioni date, e quello molto, troppo criptico del Parco della Majella. Una strategia di comunicazione che meriterebbe di essere riconsiderata, per dovere e per rispetto.
Il ragionamento, di per se, è molto semplice, ma purtroppo è l’applicazione pratica che difetta. Anche in quei Comuni che si fanno vanto di essere immersi in una natura incontaminata e che poi, nella pratica, sembrano dimenticarsi dei doveri di attenzione che questo comporta. Ora però la cosa più importante è conoscere la sorte di Juan Carrito e mancano molto le lunghe stories che il PNALM faceva regolarmente sui social.
Il tentativo mira a ottenere un radicale cambiamento delle abitudini del giovane orso. Sperando di risolvere quell’eccesso di confidenza indotto dagli uomini. Juan Carrito in passato è stato al centro di molte operazioni condotte dai Guardia Parco e dai Carabinieri Forestali. Messe in atto con lo scopo di rendere l’orso meno confidente nei confronti dell’uomo, dopo che era stato sorpreso in pollai e centri urbani, attirato dal cibo. Un comportamento in parte dovuto a quello della madre Amarena, in parte causato da curiosi e turisti che hanno braccato l’intera famiglia per un’intera estate, l’anno della sua nascita.
Tutti volevano fare una foto o un video di Amarena e di Juan Carrito con i fratelli, un comportamento irresponsabile che il Parco ha contrastato con ogni mezzo. Senza riuscire a evitare le conseguenze di questa vicinanza, che ha avuto il suo epilogo, prevedibile, nella cattura di questa mattina. Dopo diversi tentativi di dissuasione anche con l’uso di proiettili di gomma per portarlo a evitare i centri abitati. Senza ottenere il risultato auspicato. Fortunatamente gli altri tre figli dell’orsa Amarena non hanno seguito l’esempio del loro fratello, perché ogni orso ha la sua natura, proprio come succede per le persone.
Trasferito l’orso Juan Carrito dai dintorni di Roccaraso a una località impervia, per cercare di tenerlo lontano dai guai
Il cibo e l’assenza di timore per l’uomo sono i due principali fattori che stanno alla base di comportamenti non graditi, messi in atto dai plantigradi. Che anche se attuati in una regione da sempre tollerante nei confronti degli orsi e dei selvatici, rischiavano di creare situazioni di reciproco pericolo. L’ultima scorribanda che ha avuto quest’orso confidente come protagonista è stata, infatti, un’incursione in una pasticceria di Roccaraso. Episodio finito su tutti i social, che purtroppo non ha contribuito, come altri fatti, a educare le persone a un maggior rispetto verso gli orsi. Alla necessità di non invadere il loro territorio.
L’orso è diventato una star e le persone facevano qualsiasi cosa per cercare di poterlo avvicinare. Creando un danno che non si riesce a far comprendere, perché alla fine un orso confidente è destinato a essere spostato, catturato oppure ucciso. Proprio per colpa dei comportamenti umani, messi in atto senza preoccuparsi delle conseguenze. Per evitare il peggio è stato quindi necessario trasferire Juan Carrito in un’area impervia, per impedire che la sua presenza potesse alla fine portare a qualche episodio spiacevole. Mettendo in pericolo le persone e l’orso.
Stagione e luogo di traslocazione non sono ideali per garantire che Juam Carrito vada in letargo
Nel comunicato stampa è la stessa amministrazione del Parco, a cui bisogna dare atto di essere sempre molto trasparente, a giudicare non ideale la località di trasferimento. Giustificando però la scelta con necessità pratiche, probabilmente legate alla stagione fredda e anche amministrative, che impedivano il rilascio in Comuni esterni all’area protetta. Occorreva infatti sia spostare Juan Carrito rapidamente, che portarlo in una località dove la neve non fosse ancora troppo alta da impedirgli di trovare una tana in cui passare il periodo di letargo. In un territorio che doveva ricadere entro i confini del PNALM.
Il Parco ha affermato che in altre realtà nazionali o internazionali Juan Carrito sarebbe già stato catturato o abbattuto. Un fatto difficilmente contestabile, anche alla luce dei comportamenti trentini. Il PNALM invece ha sempre cercato di fare tutto il possibile per dissuadere l’orso ritenendolo un dovere, nel tentativo di evitare soluzioni estreme. Quello che appare certo è che, ancora una volta, siano i comportamenti errati di persone e amministrazioni a mettere in pericolo la vita degli animali. Per incuria o per un malinteso senso di amore verso gli orsi, per quanto riguarda le disponibilità alimentari, per stupido egoismo quando la motivazione è quella di volere un’immagine dell’orso.
Juan Carrito sarà monitorato nel periodo invernale da parte degli uomini del Parco, che cercheranno di assicurarsi che l’orso sia in buone condizioni. Un aiuto in questo senso verrà dal radiocollare indossato dal plantigrado, che fornirà costanti segnali sulla sua posizione. Nella speranza non solo che possa avere un buon letargo, ma anche che non ritorni rapidamente nella zona di Roccaraso. Bisogna ricordare che in una sola notte un orso è in grado di percorrere decine di chilometri e che gli animali scelgono dove vivere. Inconsapevoli del fatto che in questo caso una scelta sbagliata potrebbe rivelarsi fatale.
Se tenete alla salvezza dei selvatici non dategli da mangiare: il cibo rappresenta sempre una fonte di condizionamento
Lo sanno i cacciatori e ancora meglio i bracconieri, ma è un fatto ben noto anche agli etologi. Le disponibilità alimentari offerte dall’uomo, volontariamente o involontariamente, creano una dipendenza. Fanno abituare gli animali agli odori e alla presenza dell’uomo, diminuendo il naturale senso di timore nei confronti della nostra specie. Dal fornire cibo è nato il rapporto dei nostri antenati con il lupo, e da questo comportamento il cane nel corso di millenni è diventato il migliore amico dell’uomo.
Se gli orsi diventano confidenti la colpa è dell’uomo e questo comportamento è in gran parte causato dalle risorse alimentari. Gli animali selvatici, istintivamente, sono portati a buona ragione a diffidare della nostra specie, sino a quando non rappresentiamo un’opportunità piuttosto che un pericolo. Nel preciso momento in cui noi mettiamo a disposizione cibo per gli animali selvatici iniziamo a posare il primo mattoncino del condizionamento. Che causa con il tempo una crescente minor diffidenza nei confronti dell’uomo e dei suoi insediamenti.
L’alterazione del comportamento può portare i selvatici ad avvicinarsi sempre di più, fino a ritenere fattorie e paesi come luoghi frequentabili, dove poter trovare risorse alimentari. In questo modo gli errori di gestione dei rifiuti, l’abbandono degli animali morti nei pressi degli allevamenti e il pascolo libero senza controllo diventano le prime fonti di guai. Attirando i predatori, come orsi e lupi, salvo poi lamentarsi per i problemi generati da questa indesiderata vicinanza. Ma non è soltanto il cibo a creare occasioni di scontri con gli umani, ma anche l’invasione dei territori dei selvatici.
Un esempio di scuola di questo percorso di abituazione è la storia degli orsi del Trentino. Reintrodotti nel 1996 dalla Slovenia grazie al famoso progetto LIFE Ursus, finanziato dall’Europa, sono stati liberati i primi orsi. In un territorio fortemente antropizzato, sfruttato per agricoltura e infrastrutture turistiche, parcellizzato dalle infrastrutture umane che non hanno agevolato gli spostamenti. Un progetto di sicuro interesse, che mirava al ripopolamento degli orsi in tutto l’arco alpino. Divenendo in breve uno dei problemi locali più spinosi nel conflitti quotidiani fra popolazione locale e grandi carnivori.
Quando gli orsi diventano confidenti colpa degli uomini bisognerebbe analizzare e risolvere le cause
Con il senno di poi il progetto è stato probabilmente basato su diversi errori di percorso, come quelle sulla dispersione degli orsi che non si è mai realizzata. Con le comunità locali che dapprima hanno approvato la loro reintroduzione e poi hanno in parte cambiato parere. Soprattutto in tutte quelle categorie costrette a cambiare dei comportamenti per poter convivere in modo sereno: allevatori, agricoltori, cacciatori e in parte anche gli escursionisti. Che dopo anni di assenza o di ridotta presenza dei grandi carnivori, faticano a adattarsi. Anzi sarebbe più giusto dire che nel 90% dei casi non vogliono proprio modificare comportamenti e usi.
Le difese passive per proteggere gli animali al pascolo da orsi e lupi sono state viste come una spiacevole seccatura, le attenzioni nello smaltimento dei rifiuti commestibili della zootecnia sono state scarse e questo ha fatto da esca. Un problema che in Abruzzo, dove gli orsi sono presenti da sempre insieme ai lupi, è stato affrontato da tempo con maggior attenzione e sensibilità. Portando a risultati di convivenza decisamente positivi, anche se non sono mancati nel tempo incontri e scontri. Senza mai registrare l’asprezza dei rapporti e negli scontri tipica del Nord del paese.
Gli scontri più discussi fra uomini e orsi sono tutti avvenuti in Trentino, mai in Abruzzo e zone circostanti
Come abbattimento o captivazione permanente degli orsi, che dapprima erano giudicati confidenti e poi problematici. In Abruzzo agli orsi, da sempre, viene dato un nome, in Trentino sono indicati con una sigla, come scienza vuole. Un piccolo ma significativo segnale.
Mentre nel territorio del PNALM amministrazione del Parco e sindaci dispongono la chiusura di intere zone, per tutelare le orse con i cuccioli, in Trentino le scelte sono differenti. Lasciando all’intelligenza di escursionisti e operatori i comportamenti da adottare in caso di incontri ravvicinati. Che sono quasi sempre accaduti con orse accompagnate dai piccoli oppure provocate da cani non tenuti al guinzaglio.
La cattura di M57 è dipesa dalla mancanza di cassonetti dei rifiuti anti orso
Altri episodi hanno riguardato, come nel caso del celebre orso M49, animali da reddito incustoditi o malghe vuote dove erano presenti possibili fonti di cibo. Ci sono stati anche incontri ravvicinati avuti con i turisti proprio a ridosso dei cassonetti di rifiuti dove prima dell’aggressione erano stati già notati orsi in cerca di cibo. Senza che fossero adottati provvedimenti da parte delle autorità, a dimostrazione di come gli orsi diventano confidenti per colpa dell’uomo.
Questa è proprio la vicenda di M57, catturato perché ritenuto un orso confidente, Una storia che ha visto il suo epilogo proprio vicino a un cassonetto per i rifiuti, cosa che ha provocato una scaramuccia con un turista. Uomo e orso si sono trovati, per motivi opposti, vicino all’identico obiettivo. Un deposito di rifiuti inadatto che rappresentava una fonte di cibo a basso dispendio energetico. Si trattava di un contenitore sprovvisto dei necessari accorgimenti che potevano renderlo inaccessibile e quindi privo di attrattiva.
Questa “non gestione” dei problemi ha portato nel ad abbattimenti e catture, scatenando le ire delle associazioni che difendono i diritti degli animali e, naturalmente, il plauso di allevatori e cacciatori. Che rappresentano lo zoccolo duro del serbatoio elettorale della Lega, che attualmente amministra il Trentino. La politica è più sensibile ai voti, al di là dello schieramento, che alla lungimiranza delle scelte.
Il problema non sono gli orsi ma l’amministrazione che usa i grandi carnivori come leva per ottenere consenso politico
La polarizzazione dello scontro voluta dall’amministrazione del Trentino, che risulta essere sorda a ogni mediazione, ha portato addirittura alla concessione della scorta al presidente Fugatti. Sulla base di presunte o reali minacce che sembrerebbero essergli state rivolte da alcune frange dell’animalismo. Dichiarazioni che ovviamente hanno fatto infuriare i difensori degli orsi, che hanno trovato questo provvedimento eccessivo e fuori luogo, facendolo rientrare fra i tanti motivi di attacco all’amministrazione.
Non si riesce a intravedere un epilogo per una serena convivenza fra grandi carnivori e trentini, mentre alcuni orsi restano prigionieri
Al momento è davvero difficile poter fare previsioni su quanto potrà accadere in futuro in Trentino. Unica certezza è che due dei tre orsi catturati, M49 e M57, sono ancora al centro di Casteller, detenuti in condizioni inaccettabili. L’orsa Dj3 invece è stata recentemente trasferita in un’altra struttura in Germania, con modalità tali da acuire ancora una volta lo scontro fra amministrazione e associazioni. Nel delicato argomento degli orsi prigionieri si delineano due diverse linee di pensiero fra chi vorrebbe liberare nuovamente in Trentino gli orsi prigionieri e chi, invece, vorrebbe trovare per loro realtà protette diverse, lontane dall’essere assimilabili a zoo.
Un orso catturato e tenuto in cattività molto difficilmente potrà essere liberato nuovamente in natura: l’abituazione all’uomo secondo gli esperti non consente questa ipotesi. Quando gli orsi diventano confidenti la colpa è dell’uomo, ma non è possibile riuscire a fargli fare un percorso inverso, specie in una realtà così antropizzata come il Trentino. Unica certezza in questo restano le pessime condizioni di detenzione dei due orsi a Casteller e l’altrettanto pessima gestione del progetto di reintroduzione dei plantigradi.
Il futuro per gli orsi trentini si presenta incerto e con molte nubi che si stanno addensando all’orizzonte. E non promettono nulla di buono, specie se il gestore di questo patrimonio faunistico, un bene collettivo dell’intero paese, è più attento ai voti che alla difesa del capitale naturale.
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