Il randagismo si combatte con l’educazione delle persone al possesso responsabile degli animali, che si deve tradurre nella volontà di gestirli mettendo in atto comportamenti responsabili. Troppo spesso si ritiene che il randagismo sia un fenomeno inevitabile, come se fosse una componente naturale insita nella comunità umane. Ma se questa idea poteva avere un fondamento agli inizi del secolo scorso in Europa e ancora ora in determinate aree geografiche del mondo, in Italia adesso è solo una vergogna da cancellare. Il randagismo, canino e felino, esiste solo a causa della cattiva, quando non pessima, gestione degli animali domestici.
Le mancate attenzioni che troppe persone dimostrano verso questo problema sono alla base di un fenomeno complesso, che ha una capacità rigenerativa proporzionale alle nostre omissioni. Avere un cane oppure un gatto non è un obbligo ma è frutto di una decisione, che quando presa alla leggera, senza pensare troppo, crea danni. Agli animali che spesso conducono una vita di stenti, alla collettività che paga il danno economico che deriva da comportamenti sbagliati che generano un effetto moltiplicatore. Capace in poco tempo di riportare il numero degli animali randagi a una costante rigenerazione che compensa morti e malattie.
Quanti pensano che il principale strumento con cui curare la piaga del randagismo siano le strutture come canili e rifugi, coltivano un illusione che non avrà successo. Il canile, per il randagismo canino ad esempio, è soltanto il punto di arrivo del problema, che anziché tradursi in una speranza di una esistenza diversa spesso si concretizza in una triste prigionia a vita. Un luogo frequentemente gestito da persone che hanno trovato nel randagismo una fonte di reddito che non conosce crisi, almeno sino quando non si chiuderanno i rubinetti che alimentano la sorgente.
Il randagismo si contrasta solo con l’educazione al rispetto e alla legalità
Canili che ospitano migliaia di cani che ogni giorno riempiono il salvadanaio della criminalità, svuotando quello della collettività. Spesso grazie all’inerzia degli enti pubblici, che trincerandosi dietro la mancanza di risorse, dimenticano quante ne vengono sperperate per tenere gli animali imprigionati. Dimenticandosi le problematiche di ogni genere che sono la naturale conseguenza di una convivenza non gestita: sanitarie, economiche, ambientali e di sofferenza per gli animali. Eppure basterebbero pochi comportamenti diligenti per arrivare, in modo incruento e in pochi anni, a una drastica riduzione del randagismo.
Primo presupposto è che ognuno capisca di dover essere responsabile dei problemi causati dagli animali con cui vive, per utilità o per piacere. Una responsabilità basata su due presupposti, entrambi della massima importanza, il primo di ordine morale e il secondo legato agli obblighi legali. L’educazione di una comunità al rispetto degli animali e delle regole contribuisce a rafforzare il senso civico, a tutto vantaggio dei suoi componenti. Iscrizione di cani e gatti in anagrafe, sterilizzazione e cura sono tre doveri, che quando si traducono in comportamenti virtuosi, rappresentano uno strumento vincente per contrastare il randagismo.
Una necessità in una situazione emergenziale come quella italiana, specie al Sud, dove i canili traboccano di animali indesiderati e le strade sono affollate di animali randagi, che sopravvivono grazie all’empatia e alla compassione di molti. In questo contesto sterilizzare gli animali di proprietà, nel senso largo del termine, per evitarne la riproduzione dovrebbe essere incentivato e considerato un dovere. Superando i luoghi comuni che raccontano della necessità, per una femmina di cane o di gatto, di fare almeno una cucciolata e gli stereotipi machisti che non verrebbero la castrazione dei maschi, senza parlare dell’illusione che tutti i nuovi nati saranno sistemati benissimo.
La mancata sterilizzazione di cani e gatti è la sorgente del randagismo, in una realtà costituita da poche adozioni responsabili e tanti cuccioli indesiderati
“Tanto i cuccioli li piazzo subito” è la risposta più frequente data da chi rifiuta di far sterilizzare i propri animali, che magari sono anche lasciati liberi di vagare incustoditi sul territorio. Certo sistemare un cucciolo è più facile che far adottare un animale più cresciuto, anche perché un cucciolo intenerisce maggiormente, ma quando cresce? Quando il tenero batuffolo di pelo diventa un animale con tutte le sue esigenze oppure è diverso, per taglia o carattere da quello che si credeva, quanti saranno disponibili davvero a condividere la vita con lui?
Così finisce che nelle aree meno urbanizzate gli animali prendono la via della strada, andando ad aggiungersi a quelli già presenti sul territorio. Continuando a riprodursi senza controllo, falcidiati dalle malattie ma sempre in grado di far crescere il numero dei randagi. Una catena di eventi coincatenati che non ha ancora consentito di battere il randagismo, anche grazie a una serie di carenze legislative, di mancati controlli e di mancate sterilizzazioni da parte del servizio veterinario pubblico. Proprio quest’ultimo avrebbe dovuto rappresentare il perno su cui fa girare l’intera attività di contrasto al randagismo, ma purtroppo non è stato così.
Il servizio pubblico doveva rappresentare il tratto di unione fra la prevenzione delle zoonosi, il reale contenimento del randagismo canino e felino e una corretta valutazione del benessere animale. Invece appare evidente che qualcosa non ha funzionato, lasciando proliferare canili gestiti in condizioni indegne, limitando le sterilizzazioni a numeri risibili, non riuscendo a garantire il benessere degli animali. Unica certezza è che quello che doveva essere una funzione importantissima, messa al servizio di popolazione e animali, spesso si è trasformata in un potere senza controllo, che risponde soltanto a se stesso. Per restare in tema, il classico gatto che si morde la coda.
I cani con fine pena mai sono quelli che, una volta entrati nei canili, hanno un’altissima possibilità di restarci per tutta la vita. Animali condannati a trascorrere un’esistenza fatta di privazioni, interamente condotta dietro le sbarre, spesso in solitudine. I canili non sono la soluzione, e questo è oramai chiaro a quasi tutti, perché anche quelli migliori, che sono sempre meno di quanto si creda, non sono luoghi felici. Quando anche chi opera all’interno ci mette il massimo del suo possibile queste strutture restano sempre delle prigioni. Più si abbassa il livello di attenzione e più la vita di questi cani perde qualità sino a scomparire, proprio come avviene per gli animali di circhi e zoo, aprendo per loro baratri sconosciuti.
Guardando attraverso le grate di un box l’osservatore attento, quello che ha la voglia e anche la resistenza per andare oltre, percepisce una sofferenza, talvolta muta, talvolta abbaiata, ma comunque dolorosa. Qualcosa che se non stai attento ti si attacca all’anima: in molti casi si ha la netta percezione che il dolore che leggi negli occhi di questi animali sia senza cura. In tutti gli esseri viventi ci sono limiti che non dovrebbero essere mai superati. Percorsi della mente che non prevedono un ritorno, peggio della malattia fisica. Quando si altera la psiche, quando è il cervello che crea fantasmi e ossessioni, si apre il baratro della follia. Una voragine capace di inghiottire non soltanto gli umani, ma tutti gli esseri viventi che provano emozioni.
Nei canili ci sono animali anziani, magari non perfetti, talvolta anche esteticamente bruttini, ma talmente simpatici ed equilibrati da avere anche loro una possibilità. Questi sono cani difficili da far adottare, ma sono animali con una speranza. Quella che non è data a quei soggetti che una volta costretti in canile hanno imboccato una strada impervia, che rischia di diventare di impossibile ritorno. Animali che, a causa di storie di vita hanno perso l’equilibrio, rifugiandosi nei casi peggiori, proprio come accade per gli uomini, nella follia. Sono questi i cani che resteranno imprigionati in un viaggio senza stazioni di arrivo, quelli del fine pena mai!
I cani con fine pena mai sono quelli alienati, difficilmente recuperabili, destinati a una vita colma di sofferenze e paure
Storie che ricordano il libro di Mario Tobino “Per le antiche scale”, ambientato nel manicomio di Lucca prima dell’avvento della legge Basaglia, la norma che finalmente mise termine all’esistenza dei manicomi. Nel libro è contenuta la lucida descrizione della follia, capace di rapire per sempre il normale sentire in ogni essere vivente. Un fatto sul quale ci si sofferma troppo poco, quasi avendo paura che questo sottile filo possa spezzarsi, di colpo, anche in ognuno di noi. Gli animali non fanno certo eccezione, se solo avessimo la voglia di capire, di individuare il problema e di comprendere il peso e la grande sofferenza. Situazioni dolorose certamente, drammi che bisogna avere voglia di affrontare, di comprendere e dove possibile di lenire.
Questa è l’osservazione del dottor Anselmo, medico protagonista del libro, che non capisce come possano convivere due anime in una stessa persona, come la musica possa essere salvezza e il pensiero condanna.
«La pazzia è come le termiti che si sono impadronite di un trave. Questo appare intero. Vi si poggia il piede, e tutto fria e frana. Follia maledetta, misteriosa natura. Ma come, ma perché il Meschi quando soffia nel sassofono incanta e invece quando parla è zimbello di pensieri? assurdità? inconcludenze? O per lo meno noi non comprendiamo assolutamente nulla di quello che dice?»
Tratto da “Per le antiche scale” di Mario Tobino
Alcune volte l’alterazione comportamentale è uno stato causato da un’origine sconosciuta, altre volte è la conseguenza di un’insieme di concause: la mancata socializzazione, la paura, la noia. Elementi che giorno dopo giorno possono arrivare a far perdere il senno oppure creare l’impossibilità di condurre una vita normale. Così succede a molti cani condannati a passare la loro esistenza nei canili, magari solo perché appartengono a razze difficili da gestire, oppure hanno morsicato, per paura, essendo animali non socializzati, di branco, che non vogliono avere a che fare con l’uomo. Meno ancora dopo che li ha rinchiusi nel budello dove saranno detenuti a vita, il box spesso troppo angusto di un canile. Pochi metri quadri, forse puliti ma pieni soltanto di una noia senza fine, come una cella di Guantanamo.
I cani che resteranno detenuti a vita sono prigionieri incolpevoli di un patto tradito
Una piccola aliquota di animali e uomini instabili, senza apparenti ragioni, esiste e esisterà, forse non per sempre, ma ancora a lungo, finché non diventeremo bravi a curare le anime. Gli altri, quelli che hanno compiuto il doloroso percorso in salita che li ha resi difficilmente gestibili, instabili e talvolta anche potenzialmente pericolosi, sono quasi sempre una nostra responsabilità. Dovuta a cattive scelte, a incapacità di gestire animali caratterialmente complessi, alla decisione di volerli, presa d’impulso, che altrettanto d’impulso poi svanisce. Condannando gli animali a diventare prigionieri di un sistema che, come il carcere, difficilmente è capace di creare i presupposti per una seconda chance. Per mancanza di mezzi, di personale, spesso di capacità o semplicemente per disinteresse.
Può succedere che i cani subiscano le scelte di essere stati salvati a forza e rinchiusi. Da persone che a tutti i costi hanno deciso per loro, che fosse più sicuro il canile della strada, che fosse meglio un box di un rapporto imperfetto o di un compagno di vita giudicato non adeguato. Storie di adozioni sbagliate, che non incrociano i bisogni dei cani, ma soddisfano solo le aspettative di chi li fa adottare. Senza tenere conto che non tutti gli animali, proprio come le persone, sono uguali, reagiscono allo stesso modo, hanno identiche abilità, capacità di resistere, di vivere soli. Certo la vita è importante, va sempre difesa, ma per essere vera vita deve contemplare un equilibrio, quello che fa vivere in armonia con l’ambiente che ci ospita. Quando invece diventa “pena di vita”, può davvero arrivare a non essere migliore della morte.
L’importante è essere consapevoli che i canili non rappresentano la salvezza: ogni cane che entra in un box costituisce la dimostrazione di un nostro fallimento, di un patto che abbiamo tradito con il miglior amico dell’uomo. Per questo adottare è infinitamente più etico che comprare animali, così come non farli nascere è un dovere ineludibile, in un mondo dove ce ne sono già troppi rispetto ai possibili compagni delle loro vite. Entrate in un canile, guardate gli ospiti, fermatevi a guardare per un minuto occhi e comportamenti. Se lo avrete fatto con lo spirito giusto non potrete che scegliere uno di loro, magari anche il più bello e equilibrato, ma sicuramente un cane prigioniero, da liberare.
Cambiare il modo di contrastare il randagismo, educare al rispetto e alla comprensione della sofferenza
Occorre cambiare passo, non lasciare che i cani diventino strumenti di guadagno, come se fossero cose animate, come se fosse importante soltanto mantenerli in vita. Dobbiamo forse smettere di considerare la vita l’unico valore meritevole di tutela e dobbiamo iniziare a parlare di “diritto al benessere e alla felicità”. I cani lasciati a marcire nei canili gestiti in modo criminale, per incassare il prezzo della sofferenza quotidiana, devono diventare un retaggio del passato. Occorre considerare il randagismo un’emergenza che deve essere contrastata con campagne di sterilizzazione a tappeto, stabilendo percorsi abilitativi per chi voglia avere un cane. Bisogna introdurre l’interdizione alla detenzione di animali per quanti sono condannati per maltrattamento, che poi altro non è che una devianza criminale.
Bisogna riqualificare i crimini a danno di animali usando gli stessi parametri che sono considerati validi per gli uomini. Occorre smettere di usare termini roboanti ma vuoti, come “esseri senzienti”, se poi questa definizione resta priva di applicazioni concrete. La chiave di tutto è nel termine “rispetto”, l’unico sentimento in grado di garantire la convivenza sociale fra uomini e fra noi e gli altri esseri viventi. Smettendo di considerare il solo diritto alla vita come unico baluardo in grado di difendere chi abbia difficoltà a poterla vivere pienamente. Non è questione di vita o di morte, ma di dignità, di integrità psicofisica e di dare un valore diverso al termine, abusato, di “benessere animale”.
Li chiamano gli spostacani perché trasferiscono gli animali senza criterio da Sud a Nord. Sono personaggi che gravitano intorno al mondo del randagismo. Sono quelli che hanno creato il business della sofferenza, sfruttando la sensibilità di quanti amano gli animali. Bisogna stare però attenti perché la realtà è più complessa e composita di quello che si potrebbe immaginare. Una realtà che si separa fra bene e male, fra corretto e scorretto. Ma anche fra utile e dannoso.
Non tutti quelli che si occupano di trovare un futuro agli animali sono, ovviamente, dei balordi o peggio dei maltrattatori di animali. Non tutti quelli che spostano animali da una parte all’altra dell’Italia o dell’Europa sono da guardare con sospetto. Bisogna però essere in grado di valutare azioni, modalità, intenzioni: questo fa la differenza.
Con la scusa del “compiere una buona azione” si creano in automatico un mantello di impunità morale, senza andare però poi troppo per il sottile. Fanno viaggiare gli animali peggio che nei carri bestiame, non si preoccupano della promiscuità dei trasporti e dei rischi di contagio. Non mettono molta attenzione nella scelta degli adottanti e, troppo spesso, nemmeno nella verifica delle condizioni di salute dell’adottato.
Li chiamano gli spostacani perché sposano animali senza criterio : cosa succede quando l’adottante non ha possibilità economiche?
Così può succedere che qualcuno, senza grosse possibilità economiche, riceva un animale con gravi patologie, che non avrà magari possibilità di curare. Così come è accaduto che un’anziana signora che aspettava un cane di media taglia ne riceva uno di taglia grande, magari anche con disturbi del comportamento. In poco tempo l’adottante, che pensava di aver aiutato un povero cane, si ritroverà improvvisamente ad avere bisogno di aiuto.
Per fortuna tantissime realtà non operano in questo modo. Ci sono associazioni grandi e piccole, serie, che cercano di sistemare animali e di dargli un futuro migliore. Senza lucrare, pur chiedendo magari un rimborso, sempre in modo tracciabile con un bonifico su un conto corrente bancario. Le associazioni serie non usano le Postepay intestate a persone fisiche.
Associazioni che devono una sede reale, che esistono davvero e non solo nel mondo virtuale, che lavorano bene e hanno un’ottima reputazione. Associazioni che non consegnerebbero mai un cane in autostrada o sotto un ponte della tangenziale.
Adottare un cane deve essere una scelta consapevole, non un gesto emotivo
Per questo è importante stare attenti, fare scelte consapevoli, informarsi. Bisogna essere responsabili: un animale costa tempo e denaro. Non si può decidere un’adozione per l’impulso dato da una spinta emotiva, per un appello sui social a cui si è aderito senza fermarsi e ragionare. I rifugi sono pieni di animali spostati da una parte all’altra e poi non voluti da chi li ha adottati. Causando un altro danno al cane o al gatto che viene rifiutato e che, anche nei rifugi del Nord, rischia poi di passare tutta la sua vita dietro le sbarre.
Li chiamano gli spostacani con un tono dispregiativo, ma sono definiti anche come “animalari” per distinguerli dagli animalisti. Come accade per i cuccioli della tratta dai paesi dell’Est anche in questo caso ci sono troppe persone che si gettano a capofitto in avventure, senza troppo riflettere, creando poi un danno agli animali.
Non può bastare il cuore se non lo si collega a un ragionamento, se non si valutano le proprie possibilità di tempo, economiche e se non si riflette sui bisogni che un animale ha. Non basta il cibo, non basta il riparo e nemmeno il veterinario: gli animali che vivono con noi hanno bisogno di tempo e di relazionarsi con gli umani. Diversamente meglio un peluche.
Facili emozioni, facili abbandoni: la sintesi nuda e cruda di quello che può significare adottare un animale, ma non soltanto un cane, sulla spinta di un impulso emotivo.
La rete è piena delle cosiddette “adozioni del cuore”, quei casi pietosi, talvolta anche un po’ ingigantiti seppur quasi sempre con buone intenzioni, che richiederebbero un’adozione immediata.
Questo modo di porgere la realtà, il randagismo e le sue conseguenze, stimola nelle persone sensibili il desiderio di poter fare qualcosa, di alleviare una sofferenza andando a colpire la sfera emozionale che prevale su quella razionale.
Proprio in questo modo, seguendo il filo dell’emozione, dell’emergenza, dell’urgenza si mettono in moto una serie di attività che, troppo spesso, hanno come conseguenza ultima quella di stimolare facili emozioni, facili abbandoni.
Qualcuno si chiederà come possa essere possibile che una persona che abbia dimostrato un sentimento positivo nei confronti di un animale possa poi essere capace di disfarsene, in modo più o meno corretto: semplicemente grazie all’inversione della prevalenza fra emozione e realtà.
Le adozioni fatte su base esclusivamente emotiva sono un danno
La più grande critica che mi sento di rivolgere a chi promuove le adozioni “emozionali”, in buona o in cattiva fede, per amore degli animali o per lucro (accade), è basata su un principio oramai analizzato, studiato e accettato come una certezza: animale e padrone devono essere compatibili, chi adotta deve ricevere informazioni corrette e complete.
Nei canili più organizzati anche in Italia è stato mutuato dai paesi anglosassoni il sistema denominato “matching”: l’adottante e il cane devono essere valutati per le diverse caratteristiche che sono proprie di ogni persona e di ogni animale ed a questi profili devono essere associate delle categorie, dei dei colori.
Un adottante che è stato valutato come appartenente alla categoria contraddistinta dal colore giallo potrà, ad esempio, adottare solo cani che appartengono alla stessa categoria, allo stesso colore.
In questo modo una persona anziana, magari malferma sulle gambe non potrà correre il rischio di adottare il cucciolo di un molossoide, ma ragionevolmente adotterà un cane di una certa età, con un carattere tranquillo e di una taglia compatibile con le possibilità di movimento della futura proprietaria.
Nel contempo all’adottante saranno fornite anche tutte le necessarie informazioni sull’impegno connesso al possesso responsabile di un animale: il costo di mantenimento, il costo delle cure veterinarie e il fatto che ci potranno essere, come accade a noi, emergenze per malattie improvvise o infortuni che comporteranno maggiori spese e maggiori necessità di tempo da dedicare al loro futuro compagno di vita.
Incrociare bisogni e possibilità di persone e animali migliora la convivenza
In questo modo chi adotta un animale avrà consapevolezza di quanto sia importante il suo gesto, una scelta che comporta l’accettazione del fatto che sia per sempre e di quanto questo potrà incidere sulla sua vita. Grazie ai programmi di “matching” fra cani e padroni è stato statisticamente dimostrato che il ritorno degli animali adottati in canile si sia quasi azzerato, grazie all’incontro preciso di due bisogni compatibili fra loro, che sono riusciti con poco sforzo a integrarsi.
Questo non può succedere quando i cani vengono visti su internet, spediti magari con le famose staffette che ogni giorno attraversano la penisola, con metodi, mezzi di trasporto e modalità di affidamento spesso molto discutibili, anche se come in ogni settore ci sono persone responsabili, persone irresponsabili che causano più danni dei vantaggi che producono e una minoranza che lucrano su questo fenomeno in modo davvero molto poco corretto, trasparente, fiscalmente accettabile.
Pur comprendendo i problemi del randagismo che affliggono da sempre il sud Italia, già trattati in diversi articoli, sono un convinto assertore del fatto che gli animali non possano essere affidati a distanza tramite internet, ma debbano essere fatti arrivare in strutture autorizzate di associazioni o dove operano associazioni, serie, e poi solo successivamente affidati.
Se si continuerà ad affidare cani via internet, anche con i controlli pre-affido che hanno un valore relativo, il rischio è quello di perpetuare l’assunto facili emozioni, facili abbandoni, contribuendo soltanto a generare problemi e non vantaggi per gli animali.
Le adozioni generano abbandoni?
Le persone che hanno la volontà di adottare un animale non fanno certo fatica a trovarlo e non hanno bisogno di essere fortemente sollecitate emozionalmente: canili e gattili, strutture di soccorso e rifugi, sono pieni di ospiti che non aspettano altro che una persona che voglia condividere vita e casa con loro.
Al nord c’è maggior gestione del randagismo e quindi la situazione è nettamente migliore, ma questa deve essere vista come una ragione per adottare tramite associazioni e rifugi e non tramite internet e le staffette. Un’azione virtualmente positiva rischia soltanto di alimentare una cattiva gestione degli animali, un’adozione di impulso poco ponderata e non correttamente supportata dalle giuste informazioni.
Una grande responsabilità sulle adozioni (ir)responsabili ce l’hanno soprattutto i Comuni e le ASL del sud Italia, che troppo spesso affidano alle azioni di buona volontà dei cittadini il compito di cercare di alleggerire il numero degli ospiti di canili e gattili, chiudendo un’occhio quando non tutti e due sul come questo avvenga.
Le associazioni hanno il dovere di promuovere adozioni responsabili, di informare correttamente gli adottanti, di creare dei filtri e delle buone pratiche per migliorare sempre di più le modalità di affido, ma Comuni e ASL devono davvero impegnarsi in quello che è un loro compito istituzionale, con mezzi sufficienti per fare prevenzione e informazione verso i cittadini e per promuovere sterilizzazione e gestione responsabile degli animali da parte dei proprietari.
Diversamente continueremo a impiegare risorse pubbliche e private senza che questo serva a risolvere il problema: abbiamo dei doveri verso gli animali, in particolare chi per scelta ha deciso di occuparsene.
Far adottare un cane sia gesto responsabile, fatto nell’interesse dell’animale senza diventare mai il tentativo di accasarlo senza garanzie, magari affidandolo a una persona in difficoltà pratica o emotiva: due disperazioni purtroppo non fanno una speranza, ma riaprono solo le porte di un canile.
Sono perfettamente consapevole che questo sia un argomento spinoso che pochi vogliono affrontare, ma le le lamentele sulla rete sono continue, i canili pieni di cani adottati e poi ceduti perché non gestibili dalle persone che li avevano voluti. Spesso, purtroppo, i viaggi della speranza dal sud al nord non hanno un lieto fine se non sono organizzati e gestiti in modo serio e responsabile.
Non c’è un solo essere vivente che non abbia il diritto di avere una vita migliore, non c’è un solo umano, cane, gatto o criceto in difficoltà che non abbia il diritto, sacrosanto, di essere adottato e di poter sperare di aver raggiunto la sua terra promessa. Quanto promesso però, per quanto premesso, deve potersi realizzare, essere ragionevolmente l’incrocio di due bisogni compatibili fra loro: quelli di una persona e di un animale.
Far adottare un cane sia un gesto responsabile, che porta a un’adozione consapevole
Non c’è niente di peggio di chi, invece, per seguire i suoi progetti, sogni o bisogni di gloria cerchi di “piazzare” un cane a una persona emotivamente sensibile, ricettiva, ma non in grado di poter far fronte a questa accoglienza, spesso costruita e stimolata dai bisogni dell’adottato senza però tener conto delle possibilità dell’adottante.
La rete è una palestra infinita e per molti versi oscura, dove ogni giorno si affrontano le esigenze dei randagi del sud Italia, indubbiamente figli di un dio minore, con il buon cuore degli adottanti del nord Italia, troppo spesso non correttamente informati sul reale stato di salute dei cani, sulla loro taglia, sulle necessità economiche che possono comportare molte patologie. Quelle che spesso prendono il nome di “adozioni del cuore“, fatte appunto seguendo il cuore ma senza avere reale consapevolezza di che cosa possano comportare.
Per tante adozioni andate a buon fine esistono come contraltare i dati dei canili che sono costretti a ricevere i cani a seguito di “rinuncia” dell’adottante, una sorta di diritto di recesso che rischia di confinare molti randagi del sud nei canili del nord. Queste rinunce non avvengono quasi mai per un capriccio ma per un errore, per un’induzione all’errore commessa da chi pur di piazzare un cane sventurato, un randagio di strada o di un canile lager, non si preoccupa di trovargli un’adozione “per sempre”, ma si accontenta di un’adozione.
Incrociare i bisogni fra l’adottante e le necessità dell’adottato è fondamentale
Così fra tanti cani fortunati ce ne sono altri che vengono collocati alterando le loro caratteristiche, come si farebbe con le auto usate: cuccioli di piccola taglia che in realtà sono dei maremmani, cani mansueti che si rivelano cuccioloni non socializzati che non devono e non possono essere affidati a chiunque oppure cani dichiarati sani che si rivelano portatori di gravi patologie, di vario genere e natura.
Questi cani sono sfortunati due volte: hanno avuto la fortuna di scampare a una situazione terribile accompagnata però alla sfortuna di essere spacciati, termine ruvido ma talvolta vero, a persone non solo inconsapevoli ma spesso nelle condizioni di non potersene occupare, per tanti motivi diversi: dalle capacità di gestione a quelle economiche. Cosi succede che la buona volontà talvolta faccia più danni dell’indifferenza. Per questo bisogna che far adottare un cane sia gesto responsabile.
Ho visto cani con gravissimi problemi ortopedici affidati a persone che avevano un reddito bassissimo, meno, molto meno, non solo del costo delle cure necessarie per curarli ma anche dei costi di ordinario mantenimento. Persone che avevano deciso di prendere quel cane sull’onda di una spinta emotiva, che talvolta cresce proprio nelle situazioni di umana difficoltà, senza che qualcuno abbia forse cercato di farle riflettere sull’opportunità di quell’adozione.
Un animale non è per tutti, non bastano buoni sentimenti, occorre riflettere con attenzione su tempo e costi
Che dire poi di cani sicuramente incolpevoli ma mordaci, affidati da cuccioloni a persone 80enni oppure a famiglie con bambini? Per le tante adozioni fatte in modo responsabile ce ne sono molte fatte solo con lo scopo di far partire i cani da squallidi canili. Per sottrarli a un randagismo endemico, troppo spesso con la complicità quando non addirittura con l’incentivo di amministrazioni e veterinari pubblici. Per non parlare di chi lucra sul buon cuore cercando di far soldi, dei finti volontari, degli staffettisti, categoria in cui si mescolano volontari di cuore a persone che lo fanno, spesso malamente, solo per mestiere lucrando sui bisogni e guadagnando lauti compensi in nero.
Se si parlasse di migranti molti di loro sarebbero scafisti, ma quando si parla di animali troppi si fanno prendere dai buoni sentimenti e fan finta di non vedere. E così’ spesso gli scafisti son difesi dal popolo della rete anche quando sono responsabili di morti, fughe, investimenti per le pessime condizioni di trasporto (leggi qui).
Non è facile parlare di questo problema, delle adozioni (ir)responsabili: sono troppi gli interessi e le sensibilità in gioco e questo argomento rappresenta spesso un tabù per associazioni piccole e grandi. Una sorta di angolo buio da non illuminare, un angolo fatto di soddisfazioni personali, di buon cuore mal riposto, di interessi che talvolta possono essere anche grandi. Il lato speculare e positivo è dato invece dalle persone che gestiscono questo flusso di “migranti” con buon senso, secondo le regole sanitarie e le buone pratiche. Facendo trasporti dove i cani viaggiano in condizioni di benessere, non scappano e non muoiono e sono destinati a adottanti consapevoli, correttamente informati e attrezzati a ricevere sia la gioia che il problema.
Far adottare responsabilmente un cane comporta piaceri ma anche sacrifici
Un cane costa, in questi momenti non è per tutti come non lo sono, purtroppo, figli, case, vacanze e i tanti bisogni compulsati da questa crisi, stretti fra i muri delle intenzioni e dei desideri e quelli, ben più alti, delle realtà economiche. Non bisogna promettere cose non vere, bisogna illustrare alle persone che la buona volontà e la generosità sono caratteristiche nobilissime dell’animo umano, che però non riescono ancora a riempire il carrello della spesa.
Ma non è solo il profilo economico il punto: come genitori “normali” non sarebbero in grado di gestire, senza sostegno, figli con comportamenti caratteriali è altrettanto vero che chi ha avuto un cane buono e socializzato potrebbe non essere però in grado di gestire un pitbull aggressivo. Semplice logica, che non viene superata nemmeno dal cuore lanciato oltre l’ostacolo. Semplice logica che dovrebbe sconsigliare e impedire adozioni avventate.
Se vogliamo davvero il bene degli animali smettiamo di piazzarli attraverso internet e i social, creiamo una rete di strutture autorizzate e solidali, che possano accogliere gli animali e abbinarli in modo corretto con i possibili adottanti. Le associazioni alzino la loro voce per dire in modo inequivocabile che i cani non possono essere consegnati e affidati nelle piazzole delle autostrade, sotto i ponti delle tangenziali o nelle aree industriali, come avviene con regolare e ignorata cadenza in troppi hotspot noti a tutti, come ad esempio a San Giuliano Milanese, talvolta con successivo stallo presso strutture di persone che si sono rese responsabili del traffico di cuccioli dall’Est Europa.
Occorre una riflessione ampia su questa realtà, soprattutto perché poi a pagare non siano sempre gli stessi: gli animali. Far adottare un cane sia gesto responsabile, ponderato e mai fatto d’istinto.
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