Foto tratta dal sito del Parco della Majella in occasione della sua traslocazione
La morte dell’orso Juan Carrito non deve essere inutile: l’orso più famoso del mondo a causa delle sue scorribande ci lascia innumerevoli spunti su cui riflettere. Riflessioni che devono andare oltre all’impatto emotivo perché, per chi ha seguito la sua storia, è stato come se fosse venuto a mancare qualcuno che si conosceva bene. In fondo un esempio di determinazione nel perseguimento degli obiettivi, seppur indotti da comportamenti umani sbagliati.
Non amo umanizzare gli animali, trovo che sia un po’ come sottrar loro qualcosa che è nell’essenza di ogni essere vivente. Il rispetto e l’affetto non sono dovuti solo agli uomini, ma soprattutto il rispetto è un sentimento che bisogna provare, come compassione ed empatia, verso tutti gli abitanti di questo fantastico e bistrattato pianeta.
La morte dell’orso Juan Carrito è stata una sorta di appuntamento a Samarcanda, voluto dagli uomini però
Amarena, già abituata a entrare nei paesi per cercare piante da frutto, in particolare proprio le ciliegie, ha iniziato a vivere sempre più vicino ai paesi. Per evitare ai suoi cuccioli incontri mortali, non immaginando quanto gli uomini sappiano, spesso, essere molto più pericolosi degli orsi maschi. Così nell’estate del 2020 Amarena è stata assediata ogni giorno da centinaia di turisti. Che volevano vederla, fare un video o una foto da postare sui social. Un assedio incessante che nemmeno i Guardia Parco e i Carabinieri Forestali sono riusciti a impedire.
Più Amarena e i suoi cuccioli venivano pressati, inseguiti e perseguitati più era facile che questa vicinanza potesse diventare fonte di problemi. Così il più intraprendente dei suoi cuccioli, che sono come quelli di uomo uno diverso dall’altro per carattere e temperamento, ha cominciato a imparare che non aveva motivo per aver paura delle persone. Una pessima visione del mondo, questa, per un animale selvatico, che per vivere bene deve avere paura di noi e non vederci come creature diverse ma socievoli. Una condizione, quella di provare paura nei confronti degli uomini che spesso rappresenta la sottile frontiera fra vita e morte. Oppure fra vita libera e una destinata a essere vissuta da prigioniero, come successo all’orso trentino M49.
Così, crescendo, Juan Carrito, che deve il suo nome proprio all’omonimo paese del Parco, ha cominciato a visitare fattorie e pollai, senza disdegnare apiari e altri insediamenti umani. Per poi iniziare a frequentare il centro di Roccaraso, arrivando perfino a entrare in una pasticceria del centro. Per queste e altre incursioni finì per essere catturato e portato in montagna, nella speranza che potesse restarci. Nulla da fare, dopo pochi giorni o settimane Carrito tornava a Roccaraso. Questo anche perché qualcuno lasciava cibo per attirarlo e il Comune non aveva messo in sicurezza i bidoni dei rifiuti.
La morte di Juan Carrito dovrebbe insegnarci ad avere più attenzioni verso il capitale naturale
Il Parco, anzi i parchi visto che Carrito faceva il pendolare fra il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, quello del Gran Sasso e dei Monti della Laga e l’area protetta della Majella, hanno fatto sempre il possibile per proteggerlo. Qualcuno potrà anche dire che non è stato fatto abbastanza, ma la realtà è che quando il danno è fatto non sempre è possibile ripararlo. Una volta diventato confidente Juan Carrito aveva, in fondo, solo due possibilità: morire da orso libero a causa di un incidente o finire la sua vita da orso prigioniero, in cattività, come per fortuna non è stato.
In Italia manca l’educazione sul modo di rapportarsi con le varie componenti naturali, che bisogna imparare a conoscere e a rispettare. Nessun animale selvatico deve essere antropomorfizzato, riconoscendo che le vite di uomini e animali si possono intersecare nella condivisione dei territori e delle risorse, ma senza sovrapporsi. Mondi che devono restare separati, nei quali gli uomini devono imparare a entrare e uscire in punta di piedi. Con la consapevolezza che la cosa più importante non è vedere o farsi una foto con l’orso, ma riconoscere la sua importanza senza interferire, nei limiti del possibile, con la nostra presenza.
Occorre poi frammentare quelle barriere continue costituite dalle nostre infrastrutture: strade e ferrovie non devono diventare ostacoli pericolosi e insormontabili. Occorre costruire corridoi ecologici, sottopassi, ponti e strutture idonee che consentano agli animali di potersi spostare senza essere costretti ad attraversare strade e autostrade. In Italia se ne parla da decenni ma la loro realizzazione resta sempre ferma al palo, mentre si continuano a teorizzare di opere faraoniche inutili e dannose, come il ponte sulla Stretto di Messina.
Impariamo ad avere coscienza delle nostre azioni, con la consapevolezza di poter creare grandi problemi alla biodiversità
L’orso marsicano è una sottospecie unica, un patrimonio importante costituito da poche decine di esemplari che devo essere considerati preziosi. Perdere un orso, anche un solo orso, rappresenta un enorme danno fatto alla biodiversità, considerando che proprio gli orsi sono considerati una specie ombrello fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio naturale. Difendere gli animali selvatici parte dall’avere comportamenti responsabili: guidare con attenzione e moderando la velocità specie di notte, non alimentando gli animali grazie anche a una corretta gestione dei rifiuti. Ma anche tenendo i cani sempre al guinzaglio quando si fanno escursioni in natura, senza inseguire mai gli animali per fare una foto.
Cerchiamo di veicolare solo informazioni corrette, diffondiamo le buone pratiche come quella di non alimentare e non interagire con i selvatici. Chiediamo ai politici che votiamo di attivarsi per la costruzione dei corridoi ecologici, per dare maggiori risorse in uomini e mezzi alle aree protette. Cerchiamo di essere tutti una componente attiva per la difesa dell’ambiente e di tutte le forme di vita, non fermiamoci a considerare solo gli animali “simpatici”. Ogni essere vivente è importante, ogni organismo ha un suo posto nella natura, anche se spesso non siamo in grado di conoscere quale sia.
Juan Carrito è diventato un simbolo che resterà nel cuore di tutti le persone che si sono in qualche modo occupate di lui. Non lasciamolo diventare un’icona vuota e priva di contenuti, ma trasformiamolo in un animale che è stato capace di indicarci i nostri errori, di insegnarci che non c’è amore senza rispetto e che ogni animale ha caratteristiche uniche e inimitabili. Non esistono animali buoni o cattivi, mentre esistono individui profondamente diversi fra loro, per carattere e comportamento, proprio come lo siamo noi, senza però avere fini diversi che non siano il perseguimento della propria esistenza e della perpetuazione della specie.
Caccia aperta sempre ovunque, anche nelle aree protette e in quelle urbane per contenere lo straripante assedio faunistico! Potrebbe sembrare un’esagerazione, ma l’attuale governo sta cercando di tradurre in realtà i sogni proibiti dei cacciatori. Non si tratta di promesse elettorali, ma di un emendamento messo nero su bianco e accolto per la discussione dalla Commissione bilancio della Camera dei deputati. Pubblicato, per trasparenza e un poco anche per arroganza, nell’accoglierlo, sul sito ufficiale del parlamento.
Si tratta di ben quindici deputati di Fratelli d’Italia, non è una questione politica ma del modo di fare politica, che si sono ingegnati per dar vita a un emendamento-capolavoro. Che propongono di inserire l’articolo 78bis nella manovra finanziaria per modificare l’articolo 19 della legge 157/92, che regola il prelievo venatoria. Una legge già di per se fuori del tempo, visto che non è una norma che tutela la fauna, ma che regolamenta, male, la caccia. Incaricando le Regioni che “provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto“.
Praticamente si tratta di fatto di dar vita a una stagione di caccia infinita, un luna park per cacciatori sempre aperto, perché dalla fauna occorre difendersi. Non si può prescindere da una gestione venatoria da attuare contro questi selvatici che attentano agli umani possedimenti, compresi quelli immigrati, quasi sempre per mano umana, da altri continenti. Un intervento indifferibile e prioritario che se potesse trovare concretizzazione costituirebbe un’ulteriore follia a favore dei cacciatori.
Caccia aperta sempre e ovunque, per ricompensare gli elettori annegando la proposta nella legge di bilancio
Un altro fatto decisamente pessimo è costituito dal contenitore con il quale si cerca dii fare passare questa modifica dell’attuale normativa. Con un metodo spesso criticato dalle opposizioni, a cui fino a ieri apparteneva FDI: quello di annegare emendamenti inaccettabili nei tanti decreti omnibus di questo Stato. Un modo vergognoso, utilizzato da destra a sinistra per far passare provvedimenti che non sarebbero mai passati se fossero stati inseriti in una normativa specifica. Ma vediamole in dettaglio queste due perle politiche, che sgorgano dalle fantasie di un nutrito gruppo di parlamentari.
2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, per la tutela della biodiversità, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche e per la tutela della pubblica incolumità e della sicurezza stradale provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto. Le attività di contenimento di cui al primo periodo non costituiscono esercizio di attività venatoria. Qualora i predetti metodi si rivelino inefficaci, le regioni e le province autonome possono autorizzare, sentito l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, piani di controllo numerico mediante abbattimento o cattura. 3. I piani di cui al comma 2 sono attuati dai cacciatori iscritti agli ambiti territoriali di caccia o nei comprensori alpini delle aree interessate, previa frequenza di corsi di formazione autorizzati dagli organi competenti a livello regionale e sono coordinati dagli agenti delle Polizie provinciali o regionali. Le autorità deputate al coordinamento dei piani di abbattimento possono altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio, delle guardie venatorie, degli agenti delle polizie locali, nonché del personale del comando unità per la tutela forestale ambientale e agroalimentare dell’arma dei carabinieri. 4. Gli animali abbattuti durante le attività dei controlli sono sottoposti all’analisi igienico sanitaria e in caso negativo, sono destinati al consumo alimentare.
Testo inserito Articolo 78bis della V Commissione permanente
Non basta aver la caccia aperta tutta l’anno, ci vuole altro per accontentare i cacciatori
Per questo la proposta di creare un articolo bis anche nella legge sulla caccia, l’ormai famigerata 157/92, che stabilisca chi coordina e mette in atto il piano di sterminio faunistico. Provvedimento che non dovrebbe mai essere accettato dall’Europa ma nemmeno dalla nostra Corte Costituzionale, almeno si spera. Il primo tassello del piano è quello di affidare ai Carabinieri Forestali l’esecuzione del progetto e il suo coordinamento. Mossa geniale pensata per sottrarre risorse alle già scarse forze in campo sulla tutela degli animali e dell’ambiente, che ancora sfugge ma comprende anche la fauna per restare in equilibrio.
1. Con decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e sentito, per quanto di competenza, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e previa intesa in sede di conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano è adottato entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge il piano straordinario per la gestione ed il contenimento della fauna selvatica, di durata quinquennale e adottato. 2. Il Piano costituisce lo strumento programmatico, di coordinamento e di attuazione dell’attività di gestione e contenimento numerico della presenza della fauna selvatica sul territorio nazionale mediante abbattimento e cattura. 3. Le attività di contenimento disposte nell’ambito del Piano non costituiscono esercizio di attività venatoria e sono attuate anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto. 4. Il Piano è attuato e coordinato dal Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare dell’Arma dei Carabinieri, il quale può avvalersi dei cacciatori iscritti agli ambiti territoriali di caccia o nei comprensori alpini, delle guardie venatorie, degli agenti delle Polizie locali e provinciali munite di licenza per l’esercizio venatorio, nonché dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali il Piano trova attuazione, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio». 78.015. Foti, Angelo Rossi, Cerreto, Caretta, Almici, Ciaburro, La Porta, La Salandra, Malaguti, Marchetto Aliprandi, Cannata, Giorgianni, Lucaselli, Mascaretti, Tremaglia.
Proposta di creazione dell’articolo 19/bis nella legge 157/92 – L’elenco al termine è quello dei 15 deputati di Fratelli d’Italia che lo hanno proposto
Se gli orsi diventano confidenti la colpa è dell’uomo e questo comportamento è in gran parte causato dalle risorse alimentari. Gli animali selvatici, istintivamente, sono portati a buona ragione a diffidare della nostra specie, sino a quando non rappresentiamo un’opportunità piuttosto che un pericolo. Nel preciso momento in cui noi mettiamo a disposizione cibo per gli animali selvatici iniziamo a posare il primo mattoncino del condizionamento. Che causa con il tempo una crescente minor diffidenza nei confronti dell’uomo e dei suoi insediamenti.
L’alterazione del comportamento può portare i selvatici ad avvicinarsi sempre di più, fino a ritenere fattorie e paesi come luoghi frequentabili, dove poter trovare risorse alimentari. In questo modo gli errori di gestione dei rifiuti, l’abbandono degli animali morti nei pressi degli allevamenti e il pascolo libero senza controllo diventano le prime fonti di guai. Attirando i predatori, come orsi e lupi, salvo poi lamentarsi per i problemi generati da questa indesiderata vicinanza. Ma non è soltanto il cibo a creare occasioni di scontri con gli umani, ma anche l’invasione dei territori dei selvatici.
Un esempio di scuola di questo percorso di abituazione è la storia degli orsi del Trentino. Reintrodotti nel 1996 dalla Slovenia grazie al famoso progetto LIFE Ursus, finanziato dall’Europa, sono stati liberati i primi orsi. In un territorio fortemente antropizzato, sfruttato per agricoltura e infrastrutture turistiche, parcellizzato dalle infrastrutture umane che non hanno agevolato gli spostamenti. Un progetto di sicuro interesse, che mirava al ripopolamento degli orsi in tutto l’arco alpino. Divenendo in breve uno dei problemi locali più spinosi nel conflitti quotidiani fra popolazione locale e grandi carnivori.
Quando gli orsi diventano confidenti colpa degli uomini bisognerebbe analizzare e risolvere le cause
Con il senno di poi il progetto è stato probabilmente basato su diversi errori di percorso, come quelle sulla dispersione degli orsi che non si è mai realizzata. Con le comunità locali che dapprima hanno approvato la loro reintroduzione e poi hanno in parte cambiato parere. Soprattutto in tutte quelle categorie costrette a cambiare dei comportamenti per poter convivere in modo sereno: allevatori, agricoltori, cacciatori e in parte anche gli escursionisti. Che dopo anni di assenza o di ridotta presenza dei grandi carnivori, faticano a adattarsi. Anzi sarebbe più giusto dire che nel 90% dei casi non vogliono proprio modificare comportamenti e usi.
Le difese passive per proteggere gli animali al pascolo da orsi e lupi sono state viste come una spiacevole seccatura, le attenzioni nello smaltimento dei rifiuti commestibili della zootecnia sono state scarse e questo ha fatto da esca. Un problema che in Abruzzo, dove gli orsi sono presenti da sempre insieme ai lupi, è stato affrontato da tempo con maggior attenzione e sensibilità. Portando a risultati di convivenza decisamente positivi, anche se non sono mancati nel tempo incontri e scontri. Senza mai registrare l’asprezza dei rapporti e negli scontri tipica del Nord del paese.
Gli scontri più discussi fra uomini e orsi sono tutti avvenuti in Trentino, mai in Abruzzo e zone circostanti
Come abbattimento o captivazione permanente degli orsi, che dapprima erano giudicati confidenti e poi problematici. In Abruzzo agli orsi, da sempre, viene dato un nome, in Trentino sono indicati con una sigla, come scienza vuole. Un piccolo ma significativo segnale.
Mentre nel territorio del PNALM amministrazione del Parco e sindaci dispongono la chiusura di intere zone, per tutelare le orse con i cuccioli, in Trentino le scelte sono differenti. Lasciando all’intelligenza di escursionisti e operatori i comportamenti da adottare in caso di incontri ravvicinati. Che sono quasi sempre accaduti con orse accompagnate dai piccoli oppure provocate da cani non tenuti al guinzaglio.
La cattura di M57 è dipesa dalla mancanza di cassonetti dei rifiuti anti orso
Altri episodi hanno riguardato, come nel caso del celebre orso M49, animali da reddito incustoditi o malghe vuote dove erano presenti possibili fonti di cibo. Ci sono stati anche incontri ravvicinati avuti con i turisti proprio a ridosso dei cassonetti di rifiuti dove prima dell’aggressione erano stati già notati orsi in cerca di cibo. Senza che fossero adottati provvedimenti da parte delle autorità, a dimostrazione di come gli orsi diventano confidenti per colpa dell’uomo.
Questa è proprio la vicenda di M57, catturato perché ritenuto un orso confidente, Una storia che ha visto il suo epilogo proprio vicino a un cassonetto per i rifiuti, cosa che ha provocato una scaramuccia con un turista. Uomo e orso si sono trovati, per motivi opposti, vicino all’identico obiettivo. Un deposito di rifiuti inadatto che rappresentava una fonte di cibo a basso dispendio energetico. Si trattava di un contenitore sprovvisto dei necessari accorgimenti che potevano renderlo inaccessibile e quindi privo di attrattiva.
Questa “non gestione” dei problemi ha portato nel ad abbattimenti e catture, scatenando le ire delle associazioni che difendono i diritti degli animali e, naturalmente, il plauso di allevatori e cacciatori. Che rappresentano lo zoccolo duro del serbatoio elettorale della Lega, che attualmente amministra il Trentino. La politica è più sensibile ai voti, al di là dello schieramento, che alla lungimiranza delle scelte.
Il problema non sono gli orsi ma l’amministrazione che usa i grandi carnivori come leva per ottenere consenso politico
La polarizzazione dello scontro voluta dall’amministrazione del Trentino, che risulta essere sorda a ogni mediazione, ha portato addirittura alla concessione della scorta al presidente Fugatti. Sulla base di presunte o reali minacce che sembrerebbero essergli state rivolte da alcune frange dell’animalismo. Dichiarazioni che ovviamente hanno fatto infuriare i difensori degli orsi, che hanno trovato questo provvedimento eccessivo e fuori luogo, facendolo rientrare fra i tanti motivi di attacco all’amministrazione.
Non si riesce a intravedere un epilogo per una serena convivenza fra grandi carnivori e trentini, mentre alcuni orsi restano prigionieri
Al momento è davvero difficile poter fare previsioni su quanto potrà accadere in futuro in Trentino. Unica certezza è che due dei tre orsi catturati, M49 e M57, sono ancora al centro di Casteller, detenuti in condizioni inaccettabili. L’orsa Dj3 invece è stata recentemente trasferita in un’altra struttura in Germania, con modalità tali da acuire ancora una volta lo scontro fra amministrazione e associazioni. Nel delicato argomento degli orsi prigionieri si delineano due diverse linee di pensiero fra chi vorrebbe liberare nuovamente in Trentino gli orsi prigionieri e chi, invece, vorrebbe trovare per loro realtà protette diverse, lontane dall’essere assimilabili a zoo.
Un orso catturato e tenuto in cattività molto difficilmente potrà essere liberato nuovamente in natura: l’abituazione all’uomo secondo gli esperti non consente questa ipotesi. Quando gli orsi diventano confidenti la colpa è dell’uomo, ma non è possibile riuscire a fargli fare un percorso inverso, specie in una realtà così antropizzata come il Trentino. Unica certezza in questo restano le pessime condizioni di detenzione dei due orsi a Casteller e l’altrettanto pessima gestione del progetto di reintroduzione dei plantigradi.
Il futuro per gli orsi trentini si presenta incerto e con molte nubi che si stanno addensando all’orizzonte. E non promettono nulla di buono, specie se il gestore di questo patrimonio faunistico, un bene collettivo dell’intero paese, è più attento ai voti che alla difesa del capitale naturale.
Amarena orsa resa problematica dagli uomini, ha perso il naturale timore che la terrebbe al riparo da molti guai. Consentendole di svolgere la sua vita da orso all’interno della meravigliosa cornice del Parco, senza diventare un fenomeno da baraccone. Un concetto che sembra sfuggire a molti seppur semplicissimo: gli animali selvatici devono avere paura dell’uomo. Noi siamo il loro “nemico” naturale e la coabitazione stretta non è un vantaggio. Questa considerazione vale sia per gli orsi che per gli uomini, che sono i soli a essere davvero problematici nella convivenza con gli animali selvatici.
La paura, quello stato che fa accendere la luce rossa che significa “pericolo in avvicinamento”, rappresenta la migliore assicurazione per avere vicinanza, senza invasioni di campo. Un orso che ha paura dell’uomo non si avvicina agli insediamenti umani, salvo che non sia attratto dal cibo che, più o meno consapevolmente, gli mettiamo a disposizione. Per un animale selvatico il termine cibo è molto vasto e nel caso dell’orso spazia dalla frutta ai rifiuti, dalle carcasse di animali degli allevamenti al cibo offerto dai turisti. Probabilmente nessuno di noi, salvo alcuni appartenenti a determinate categorie come allevatori e cacciatori, vorrebbe essere causa della morte di un orso. Eppure i responsabili sono molti più di quanto si possa immaginare. E anche molti di più di quanti sappiano di essere tali.
Lo dimostra la storia di Amarena, orso confidente abituato a scorrazzare nei paesi dentro e ai limiti del Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise come se si trovasse a casa sua, nei boschi. Almeno sino a quando il pressing umano non causa serie difficoltà, portandola ad avere comportamenti che la mettono in pericolo, per assenza di vie di fuga. L’amministrazione del Parco ha fatto il possibile per cercare di limitare le invasioni di Amarena, raccogliendo la frutta, chiudendo alcune zone, dissuadendo fotografi e turisti. Ma non esiste peggior sordo di chi non vuole sentire e così Amarena è stata fatta diventare un’orsa confidente, che può essere problematica.
Amarena orsa resa problematica partorisce quattro cuccioli nell’estate 2020, un evento eccezionale
L’orsa più famosa d’Italia la scorsa primavera mette al mondo ben quattro cuccioli, un evento molto raro.Fatto ancora più raro riesce a portarli tutti e quattro al grande traguardo della seconda primavera. Così tutti vogliono vedere Amarena, in tanti la cingono d’assedio per un video, una foto o per semplice curiosità. Senza rendersi conto, nonostante gli appelli del Parco, che questi comportamenti sono forieri di guai. Cosi grossi che in Trentino avrebbero portato già alla captivazione di Amarena o al suo abbattimento. Ma l’Abruzzo è da sempre terra di orsi e la tolleranza è differente.
Il problema si sta però amplificando: i comportamenti di Amarena vengono appresi dai cuccioli, che la accompagnano nelle sue scorribande. Che vanno dalle visite nei paesi a quelle nei pollai, dove queste ultime finiscono sempre con qualche animale d’allevamento ucciso. Prontamente indennizzato dall’amministrazione del Parco, che in questo modo tiene sotto controllo i conflitti fra orsi e allevatori. Ma non riesce certo a evitare che turisti e residenti abbiano trasformato Amarena in un orso confidente. Con ben quattro cuccioli che in breve saranno orsi adulti e che hanno già dimostrato di essersi abituati alla presenza umana.
Questo ha spinto l’amministrazione del Parco a catturare uno dei cuccioli, battezzato Juan Carrito, per dotarlo di radiocollare, in modo da poter seguire i suoi spostamenti. Specie quando fra breve tempo gli orsi finiranno “smammati” per iniziare la loro vita autonoma, lontani da Amarena. Senza però poter dimenticare le esperienze fatte in questi due anni, compresa quella di essersi assuefatti alla vicinanza con l’uomo, un fatto che li porta ad accorciare le distanze.Mettendoli in pericolo per quel fenomeno che gli etologi definiscono “abituazione”, perdendo l’innata paura nei confronti degli esseri umani.
Chi rispetta gli animali selvatici deve comportarsi in modo responsabile, mantenendo le distanze
Difficile prevedere il futuro ma se tutti i cuccioli avessero comportamenti simili a quelli di Amarena quest’estate la vita dei guardia parco non sarà tranquilla. Nonostante il grande sforzo di comunicazione messo in atto, con cartellonistica, siti internet e social, ma anche con divieti e ordinanze, il futuro di questi orsi non dipende solo da Parco. In massima parte dipenderà dai comportamenti tenuti dalle persone, proprio quelle che dicono di amare gli orsi. Un amore cieco però, che per una foto è disposto a tutto, anche a inseguire gli orsi con la macchina.
Gli errori dei nostri comportamenti con i selvatici vengono poi pagati, spesso a caro prezzo, dagli animali. Nelle aree protette spesso predatori opportunisti, come le volpi, si mettono al bordo della strada perché i turisti danno loro da mangiare. Un comportamento sbagliato che le espone al rischio concreto di finire investite dalla prima auto di passaggio. Un gesto privo di cattive intenzioni si trasforma nella causa della morte di un selvatico. Ottenendo così identico risultato a quello del cacciatore quando tira il grilletto del fucile.
Quando si entra in contatto con la natura bisogna seguire le sue regole, rispettare le normative e le richieste di chi gestisce le aree protette. Tutti noi quando passeggiamo in un bosco oppure camminiamo su un sentiero in montagna dobbiamo avere la consapevolezza di essere degli ospiti. Che per essere graditi e non fare danno devono avere comportamenti attenti e rispettosi per non essere corresponsabili di fatti sgradevoli, come la morte di un animale.
Sopravvissuti all’Homo sapiens è il nuovo progetto del foto naturalista ligure Paolo Rossi, che ci ha già regalato bellissimi libri e vari docufilm. Tutti realizzati con la passione che contraddistingue il suo lavoro, fatto sempre con il massimo rispetto per gli animali, senza usare trucchi. Questo lo rende molto diverso all’interno di un panorama non sempre etico, dove l’utilizzo di vari attrattivi, dalle esche olfattive ai carnai, sono le armi usate da molti fotografi e documentaristi. Trucchi che se consentono di ottenere buone riprese con minor fatica, risultano dannosi per la fauna, per diversi motivi.
L’ultima impresa di Paolo Rossi è stata quella di realizzare un docufilm molto apprezzato sul gatto selvatico, riscoperto all’interno delle vecchie faggete fra Liguria e Piemonte. Realizzato grazie a una pazienza certosina, piazzando video trappole e aspettando di poterne cogliere i risultati. Che puntuali sono arrivati e che gli hanno permesso di realizzare Felis – Gatto Servaego. Un docufilm proiettato anche al Sondrio Festival, una delle importanti rassegne dedicate soprattutto a documentari naturalistici.
Ora si propone, usando sempre il sistema del finanziamento che arriva dai suoi sostenitori, la realizzazione di questo nuovo film. Che vuole documentare gli animali selvatici sopravvissuti alla presenza umana sempre nel territorio che Paolo meglio conosce. Quello bello e selvaggio che si trova nelle zone dell’entroterra ligure e piemontese.
Sopravvissuti all’Homo sapiens racconterà la vita degli abitanti più elusivi dei boschi, sopravvissuti all’invasione umana
Lo spirito è sempre quello di far innamorare della natura, con libri fotografici o video. L’importante è riuscire a trasmettere un messaggio di rispetto e di difesa del territorio, di interesse verso la vita selvatica che popola quegli ambienti. Cercando non solo di produrre belle immagini, ma anche accompagnando gruppi in vari eventi che organizza, trasmettendo passione e conoscenza.
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