Caccia aperta a lupi e orsi: l’Europa sta per piegarsi alle richieste degli allevatori

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Caccia aperta a lupi e orsi: le destre ottengono all’Europarlamento una schiacciante maggioranza sulla risoluzione che apre la strada agli abbattimenti. Richiesti a gran voce dai cacciatori e sostenuti politicamente dalla parte più vicina a queste realtà, gli abbattimenti dei predatori stanno per essere sempre più vicini. I grandi predatori, come orsi e lupi, sono indicati, da anni, come un pericolo per gli allevamenti di animali al pascolo e non come componenti indispensabili per il mantenimento degli equilibri.

Una strada che parte da lontano, aperta iniziando a creare paura e ostilità nella popolazione. Che a forza di sentire descrivere i lupi come una minaccia per le attività umane, non si attiva contro le ipotesi di un provvedimento immotivato. La strategia era chiara da tempo e la si poteva leggere nei titoli delle cronache dei giornali. Dove i lupi vengono quasi sempre presentati come un pericolo per bambini e animali domestici, che devono essere difesi da questi predatori feroci. Una narrazione insensata, ma capace di fare facile breccia in chi poco conosce dei meccanismi naturali, dell’importanza di lupi e orsi.

Pochi giorni fa il Parlamento Europeo ha approvato a larga maggioranza (306 favorevoli, 225 contrari e 25 astenuti) la risoluzione che propone nuove strategie per la tutela degli allevamenti. Dichiarando, falsamente, l’inefficacia dei metodi di difesa attiva, come recinti elettrici e cani da guardiania, per tutelare gli animali domestici dai predatori. In Italia il pericolo maggiore di un cambiamento di status, necessario per renderlo cacciabile, riguarda il lupo, che ha una popolazione ben distribuita e diffusa sull’intera penisola. Minor pericolo corrono gli orsi del nostro paese, che sono ancora molto lontani dal poter essere considerati fuori pericolo di estinzione. In particolare per quanto riguarda la sottospecie marsicana.

Caccia aperta a lupi e orsi, assecondando le richieste di allevatori e cacciatori

Nonostante sia oramai riconosciuta la necessità di mantenere l’equilibrio ambientale, come condizione fondamentale per la salute del pianeta, la politica cerca sempre di esplorare nuove vie. Per accontentare quella componente granitica del suo elettorato che in un momento di grande volatilità dei consensi e di volubilità nel voto, rappresenta una garanzia. Solida come hanno sempre dimostrato di essere i rappresentanti di allevatori e cacciatori all’interno delle urne. Portatori di interessi pratici ed economici che sono disponibili a difendere ricompensando i politici che assecondano le loro richieste. Universalmente riconducibili agli schieramenti politici della destra, come avviene oramai da tempo in tutta Europa.

Che il lupo in Italia non sia attualmente in pericolo di estinzione è scientificamente un dato di fatto difficile da contestare. Nonostante i numerosi episodi d bracconaggio, occulti e palesi, investimenti e avvelenamenti. Il lupo ha dimostrato di essere una specie resiliente, capace in pochi decenni di riconquistare l’intero stivale, con una diffusione praticamente quasi ubiqua. Il focus sulla presenza e sull’importanza del lupo deve però andare oltre alla minaccia di estinzione. Diversamente si affronta il problema guardando solo una delle tante sfaccettature delle questione che riguarda i predatori.

Bisognerebbe fare valutazioni più complesse e di più ampio respiro, che portino a ragionare sull’importanza del lupo piuttosto che sui danni che provoca agli allevamenti. Le prede d’elezione del lupo sono gli ungulati selvatici per arrivare sino alle nutrie, mentre gli animali domestici diventano un obiettivo solo quando sono incustoditi e senza difesa. Un ragionamento fatto senza pregiudizi e senza che siano gli interessi economici di pochi a prevalere, dovrebbe far valutare ben altri fattori che non il pericolo di estinzione. Bisognerebbe partire da lontano, proprio dalla necessità di mantenere l’equilibrio ambientale.

La caccia ha fallito ogni obiettivo di equilibrio, ma piuttosto ha dato un grande contributo in direzione contraria

Dopo decenni di gestione faunistica lasciata nelle mani dei cacciatori è oramai possibile affermare con certezza che la caccia non abbia mai funzionato come fattore equilibrante. Fallita nell’operazione di contenimento delle popolazioni e falsa nella leggenda che descrive i cacciatori come i più attenti custodi della natura e del territorio. Affermazioni che hanno riempito per decenni giornali e libri ma che, alla verifica dei fatti, risultano indifendibili. L’uomo non è in grado di creare forme di equilibrio più efficaci di quelle che si creano in un ambiente sano. Come dimostra la pessima gestione dei cinghiali, dove appare chiaro che la caccia non abbia mai contribuito a risolvere alcunché. Creando invece con la sua miopia una diffusione di questi ungulati che è partita proprio dai ripopolamenti per scopi venatori.

Pensare, alla luce delle conoscenze sull’etologia del lupo, che azioni di contenimento tramite abbattimento possano risolvere il problema delle predazioni è, scientificamente, una follia. Priva di ogni base, anche solo empirica, che possa garantire il funzionamento di questa teoria. Con una struttura sociale molto articolata il risultato di operare abbattimenti potrebbe portare solo ad una minor efficacia nella caccia dei branchi, che sarebbero così costretti a rivolgere le loro attenzioni verso prede più facili: gli animali d’allevamento.

Una realtà con motivazioni diverse, ma con risultati fallimentari analoghi, è stata quella di usare i cacciatori per limitare i cinghiali. Facendo finta di dimenticarsi come anche questi animali abbiano delle logiche di branco e una struttura sociale complessa. Che porta come conseguenza degli abbattimenti fatti dai cacciatori un innalzamento del tasso riproduttivo. Che unito a una pessima gestione dei rifiuti ha reso i cinghiali un problema, di fatto causato e amplificato proprio da scelte umane inappropriate. Per tutte queste considerazioni le decisioni di proseguire su strade fallimentari dovrebbero essere contrastate a tutto tondo.

Non sono i numeri dei lupi il problema, ma le condizioni di allevamento che non possono proseguire immutate

Se riconosciamo l’importanza di tutelare l’ambiente, dobbiamo anche riconoscere l’importanza di ogni creatura che lo abita e l’inadeguatezza dell’uomo nel cercare di gestire meccanismi che, peraltro, nemmeno conosce compiutamente. Esistono ambienti naturali che restano in perfetto equilibrio senza intervento umano, non sono noti interventi umani che abbiano ricostruito, a 360 gradi, equilibri alterati. Salvo che questo passaggio non sia avvenuto attraverso una rinaturalizzazione degli ambienti, che si sono poi rigenerati in modo autonomo nel corso di decenni.

Occorre che su questi punti la buona informazione faccia il suo lavoro, perché negare il fatto che i lupi non siano attualmente in pericolo di estinzione non servirà. Non serviranno a tutelare l’equilibrio ambientale gli abbattimenti, ma nemmeno le operazioni in cui si raccolgono fondi e consensi per una imprecisata difesa dei lupi. Bisogna riuscire a smontare la leggenda del lupo cattivo, creando consapevolezza nell’opinione pubblica che, spesso, crede ancora alle leggende che raccontano di lupi lanciati dagli elicotteri per ripopolare l’Appennino. Stupidaggini? Certamente si, ma con una diffusione e un seguito che probabilmente una notizia vera sarebbe riuscita a ottenere. Credo che questo sia un buon punto di ripartenza, per non perdere la battaglia per un futuro dignitoso per uomini e animali.

Cacciatori contro volpi, il TAR della Lombardia dice no!

Cacciatori contro volpi
Foto di Digital Designer da Pixabay

Cacciatori contro volpi, il TAR della Lombardia dice no ai tentativi di piegare la norma ai desideri dei cacciatori. Grazie a un ricorso promosso dalle associazioni ENPA, LAC e LAV al TAR, assistite dall’avvocatessa Valentina Stefutti. Le associazioni avevano impugnato il piano quinquennale di abbattimento delle volpi dell’ATC Laudense, per una serie di irregolarità. Il TAR ha stabilito la sospensiva di due punti del piano, riservandosi una valutazione complessiva in fase di discussione della causa di merito.

Il tribunale amministrativo ha ritenuto di sospendere la possibilità di cacciare le volpi dagli autoveicoli anche di notte e con i fari e di usare operatori non previsti dalle leggi in materia. Una censura che era già stata avanzata in altre occasioni, sempre sui piani di abbattimento delle volpi. I predatori sono da sempre osteggiati dal mondo venatorio, che li guarda sempre come competitori dei cacciatori su lepri e fagiani. Sotto il profilo scientifico le volpi, come tutti i predatori, sono un elemento fondamentale per l’equilibrio ambientale e, di conseguenza, dovrebbero essere tutelate e non sterminate.

Peraltro le volpi oltre a tenere sotto controllo le popolazioni di lagomorfi, con il prelievo dei soggetti meno prestanti e quindi più facili da catturare, sono anche gli unici predatori della nutria, negli stadi giovanili. Da tempo la comunità scientifica riconosce a tutti i predatori un effetto benefico sull’ambiente, contestato soltanto dal mondo della caccia e dalla parte peggiore del mondo agricolo.

Abbattere le volpi sparando di notte dai veicoli non sarà permesso

Il TAR ha infatti riconosciuto che la caccia alle volpe praticata dai veicoli, con l’uso di fonti luminose rappresenta un pericolo, oltre che un allargamento indebito del perimetro normativo. Una considerazione che i cacciatori ben conoscono, ma che provano a introdurre nei piani fino allo sfinimento. Per fortuna le associazioni presentano su questi piani di abbattimento continui ricorsi, che fermano l’illegalità.

Vietata anche la possibilità di usare negli abbattimenti personale autorizzato dagli ATC. A eseguire le operazioni di prelievo della fauna possono essere soltanto le figure previste dalla legge 157/92 e non altre. Fallito quindi il tentativo di poter aumentare il numero delle persone autorizzate a praticare la caccia alla volpe. La caccia notturna con i fari oltre ad essere pericolosa rappresenta una fonte di immotivato disturbo nei confronti di tutta la fauna.

La parola fine su questo piano poliennale, che dovrebbe restare in vigore nel comprensorio di caccia lodigiano sino al 2023, sarà scritta dal tribunale amministrativo il 16 luglio 2020. In quella datasi riunirà per valutare la questione nel merito, affrontando così anche le altre motivazioni del ricorso. In una regione, la Lombardia, che pur continuando a perdere ricorsi su provvedimenti adottati per favorire la caccia, sembra non avere intenzione di desistere.

A questo LINK potete scaricare un commento dell’avvocato Stefutti e l’ordinanza del TAR

Abbiamo paura del lupo ma anche dell’orso e dell’uomo

abbiamo paura del lupo

Abbiamo paura del lupo e dell’orso ma anche dei nostri simili: in questo secolo dominato dalla diffidenza e dalla paura qualcuno cavalca le ancestrali diffidenze.

Soffiando sulle braci che covano da sempre nella natura umana. In fondo l’uomo nasce come preda e solo dopo assumerà il ruolo di predatore.

Un’incredibile processo evolutivo che lo porterà a una trasformazione che non ha eguali in natura: quella che ha condotto una ex-preda a diventare un dominatore. Lasciando però intatte tutte le sue paure.

La paura è forse lo stato d’animo prevalente del nostro inconscio, quello che non ci ha mai abbandonato durante la nostra evoluzione, da quando Lucy iniziò il suo percorso per farci arrivare a quelli che siamo (leggi qui). Così noi predatori, noi dominatori, viviamo nel terrore che qualche animale umano o non umano ci porti via quello che riteniamo un nostro patrimonio personale. La nostra storia dimostra che siamo naturalmente poco inclini a condividere, molto di più a possedere.

Da sempre abbiamo paura dei predatori come traspare dal nostro lessico: gli uomini avidi sono squali, gli approfittatori sciacalli oppure iene e avvoltoi, quelli molto furbi volpi, quelli che ci spaventano son lupi e le aggregazioni umane in senso spregiativo sono rappresentate come un branco. Dimenticando che anche noi all’interno del contesto sociale viviamo in branchi, esattamente come i lupi. Anche se noi abbiamo paura del lupo.

Il nostro branco è la famiglia e gli amici, i branchi vicini sono i colleghi e gli altri gruppi nei quali in fondo ci riconosciamo, con i dovuti distinguo. Poi c’è tutto il resto, quello che rappresenta l’alterità al nostro branco. Che viene visto come minaccia quando ha usi, costumi, colori di pelle diversi oppure si mette in competizione, spesso solo apparente, per le risorse. Per questo abbiamo paura del lupo.

Forse però dietro tutto questo, dietro il bisogno di combattere, odiare e anche arrivare a uccidere chiunque possa portarci via qualcosa che riteniamo nostro, si nasconde proprio il bisogno di riconoscerci, di vivere in un branco omogeneo, per colore, interessi e vedute. Anche la cosa più opinabile, il credo religioso, diventa un motivo di paura: parliamo di un unico dio ma quello in cui ognuno forse crede in fondo è sempre migliore. Con una religione spesso fatta di buoni precetti che vengono tradotti in cattivi, quando non pessimi, esempi.

Così se la nostra debolezza la trasformiamo illusoriamente in una dimostrazione di forza diventiamo facili prede di chiunque alimenti questa paura ancestrale, proprio come le gazzelle quando si sentono in pericolo. Solo che noi non siamo più come timidi erbivori, non siamo più prede e allora ecco che combattiamo contro i lupi e gli orsi, contro chi bussa alle porte del nostro mondo perché non sono più “abitanti della Terra” ma diventano nemici, come se non ci potesse essere spazio per tutti, se tutti ci moderassimo nel consumo delle risorse e se la ricchezza venisse prodotta, anche, per essere condivisa.

Questo nostro umano modo di incedere sul pianeta è stato connotato, lo dice la storia umana, dall’uso costante degli strumenti sbagliati, per affrontare i problemi cruciali, combattendo anziché fare valutazioni senza pregiudizi cercando davvero le soluzioni. Così se un’orsa che difende i cuccioli da un potenziale aggressore può essere fatta fuori senza troppi pensieri, lo stesso comportamento scarsamente empatico lo usiamo verso gli uomini che hanno un altro colore di pelle e che identifichiamo come predatori del nostro futuro prossimo. Con sistemi certo apparentemente meno violenti, spesso solo all’apparenza.

Come molti sono stati indotti a credere che tutti gli orsi siano cattivi, pericolosi e vadano sterminati altrettanti usano gli stessi strumenti per dividere quella che dovrebbe essere la nazione umana. Il peggio è che questo spezza il cerchio dell’empatia, la possibilità di capire la sofferenza, le necessità di includere che non può essere fatta stigmatizzando le differenze. E molti soffiano sul fuoco, ben sapendo che è molto più contagiosa la paura dell’empatia. Alimentando il fatto noto che noi uomini abbiamo paura del lupo.

Siamo una società che nonostante l’evoluzione non cerca risoluzioni, preferisce soluzioni spicce: abbattere i lupi, combattere gli orsi, erigere muri, allontanare dalla vista il problema diventando complici della creazione di nuovi campi di concentramento (leggi qui). Così ci allontaniamo da ogni possibile equilibrio, creiamo le condizioni in cui sono nate tutte le violenze della nostra storia umana.

Dobbiamo ritrovare un equilibrio, forse lo stesso che c’è sempre stato dopo le grandi catastrofi, quando l’unione era l’unico modo per dare un futuro a una nazione, a una regione. Senza guardare colori, razze, specie ma con la consapevolezza che esiste una sola casa per tutti: il pianeta che abitiamo con pari diritti. Per uomini e animali se vogliamo dare un senso alla parola che più trasmette speranza: futuro.

Abbattimento volpi nel bresciano per agevolare la caccia

Abbattimento volpi nel bresciano per agevolare la caccia

Abbattimento volpi nel bresciano per agevolare la caccia: potrebbe sembrare una delle solite commistioni fra politica e gestione della fauna, travestita da azione per tutelare l’ambiente, invece è peggio.

Questa volta l’abbattimento volpi nel bresciano per agevolare la caccia è fatto in un modo molto più spudorato, irritante e inaccettabile. Bisogna abbattere le volpi non perché mettano in pericolo chissà quale ecosistema ma soltanto perché predano la selvaggina destinata ai cacciatori.

La gestione della fauna in Lombardia non viene quindi attuata nell’interesse della comunità nazionale ma soltanto per tutelare i cacciatori che, pur essendo in costante diminuzione, rappresentano un serbatoio di voti importante. Tanto importante da avere la spudoratezza di scrivere a chiare lettere che gli abbattimenti avvengono esclusivamente per tutelare lepri e fagiani.

L’intero iter amministrativo che ha portato all’emissione del decreto 3276 del 23 marzo 2017, peraltro introvabile sulla rete e probabilmente inserito in qualche oscura directory, si basa infatti sulla necessità di tutelare la selvaggina cacciabile, consentendo di abbattere la volpe, nell’ambito territoriale Unico di Brescia, con ogni mezzo e sulla base di un censimento approssimativo.

Se le istituzioni sono schierate con il mondo venatorio tutto diventa lecito

Sotto il profilo regolamentare l’ATC Unico di Brescia, la Regione Lombardia e l’ISPRA hanno operato con meticolosa attenzione, per non rischiare di perdere le impugnative che saranno fatte al TAR. Sotto il profilo dell’opportunità appare invece chiaro come il provvedimento non si basi sulla necessità di preservare la biodiversità ma che rappresenti semplicemente un grande regalo, spalmato su una durata di ben 5 anni, fatto dalla politica ai cacciatori.

Secondo quanto disposto sarà quindi possibile cacciare la volpe nell’ATC Unico di Brescia di giorno e di notte, con carabine e con fucili a munizione spezzata, nelle tane con i cani e con l’utilizzo di trappole a scatto, metodi tutti ritenuti ecologici, anche e incredibilmente da ISPRA, in quanto garantiscono di operare solo sulla specie target: la volpe.

Ma perché le volpi sono così pericolose per la sopravvivenza di lepri e fagiani? Semplicissimo: perché i cacciatori e le amministrazioni lanciano animali ufficialmente “da riproduzione” che però, guarda caso, non si riproducono mai a sufficienza e così, a ogni stagione venatoria, si è costretti a ripetere costose immissioni sul territorio liberando un numero enorme di lepri e fagiani. Quasi tutte acquistate con soldi pubblici, le altre di cattura.

Nel corso di sei anni, dal 2010 al 2015, sono state liberate nell’ATC unico di Brescia complessivamente 14.481 lepri, come risulta dai dati forniti dall’ente gestore, senza che questo abbia evidentemente risolto il problema della penuria di lepri lamentata dai cacciatori.

Lo stesso discorso sembra valere, amplificato, per i fagiani considerando che sempre da quanto indicato nel piano predisposto dall’ATC in cui si chiede di poter dichiarare guerra alle volpi, peraltro già cacciabili durante la stagione venatoria ordinaria, nei sei anni presi in esame sono stati liberati sul territorio l’incredibile numero di 263.668 fagiani. Tutti destinati alle doppiette!

A questo punto appare evidente che l’arroganza e lo strapotere dei nostri amministratori ha qualcosa di diverso dal concetto di gestione della fauna, mentre è sempre più concreto che si tratti di un’operazione di gestione del consenso per fini elettorali. Con buona pace di ISPRA, della fauna selvatica che è costituisce patrimonio indisponibile dello Stato e di ogni buona regola di gestione.

Peraltro occorre ricordare che la volpe è un animale opportunista con una dieta molto variata, composta anche da frutti e bacche, senza disdegnare topi e animali morti. Non certo il nemico numero uno di lepri e fagiani.

Il piano è stato successivamente annullato dal TAR della Lombardia per diversi profili di illegittimità.

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